11. Piazza, bella piazza Maggio 27, 2008

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1 11. Piazza, bella piazza Maggio 27, 2008 Barcellona. Ottobre La città ci appare stupenda. Le ramblas, il genio architettonico di Gaudì, l acquario. All uscita dalla metropolitana urla e passi pesanti. Due ragazzi di corsa. Poi la giovane signora alla quale hanno appena portato via l orologio. Intorno non sembra esserci sorpresa. Né indignazione. Forse ci stiamo davvero abituando. In ogni caso alla reception dell albergo sono stati cortesi a metterci in guardia. Canton. Dicembre Appena due giorni. Poco più di un lampo. Impalcature di caucciù avvolgono palazzi di dieci, talvolta venti, piani. Facciamo in tempo a comprare in un mercatino rionale un Gesù Bambino di porcellana rigorosamente biondo. Trascorrerà il Natale nella città dei presepi. A pranzo siamo ospiti di una scuola. L immancabile riso accompagnato da una crema densa e rossastra e pelle grassa di pesce non meglio identificato. Siamo tentati di lasciare tutto lì. Ci trattengono il timore di essere scortesi e il ricordo rassicurante della pelle croccante di pollo mangiata da ragazzi. Il sapore è buono. Dubrovnik. Agosto La città vecchia è davvero molto bella. Come del resto il mare di Cavtat e la cortesia delle persone che ci hanno affittato la casa. La necessità di cambiare giorno per giorno le nostre lire per difenderle dall inflazione è un segno che sta per accadere qualcosa. Ma siamo in vacanza e non abbiamo voglia di farci troppe domande. Pochi mesi dopo inizia la devastazione. E la guerra civile. Pensiamo con apprensione, sgomento, solidarietà alle persone conosciute, alla famiglia che ci ha ospitato, ai luoghi dove abbiamo trascorso giornate indimenticabili. Honk Kong. Dicembre Forcella e la Duchesca, i quartieri per antonomasia degli acquisti superconvenienti e dei pacchi megalattici per chi vive o passa da Napoli, ci appaiono di colpo cose da dilettanti. La nostra guida non aveva esagerato: qui si vende, si compra, si scambia di tutto. Con tutto. I prezzi fissi non si sa cosa siano. I margini di contrattazione pure: si riesce a comprare anche offrendo meno di un terzo di quello che è stato chiesto. Per la furia risparmiatrice delle nostre mamme sarebbe stato il paradiso terrestre. I tram versione megapacchetti di sigarette con le porte ci anticipano squarci di futuro iper sponsorizzato. Monaco di Baviera. Settembre La voglia di trovare risposte un po meno dico la mia tanto ognuno dice quello che vuole su tutto quel che gli pare di quanto di solito si faccia in Italia, ci porta in Baviera, per conoscere da vicino il sistema di formazione professionale tedesco. Rimaniamo tra le altre cose sbalorditi dalla quantità di materiali - nella fattispecie motori, sistemi di freno, cambi, ecc. - che le imprese, tedesche e non, forniscono alla scuola pubblica. Ci sembra degno di nota anche il sistema di verifica delle conoscenze e delle competenze non solo dei ragazzi ma anche degli insegnanti. Napoli. Tutti i giorni di tutti gli anni. Stazione centrale. Primo mattino. Decine di dannati di ogni età dormono su improvvisati giacigli di cartone. Parlano di rado e quasi solo tra loro. Come bravi fantasmi scompaiono in occasione di ricorrenze importanti, quando Capi di Stato o autorità religiose sono in visita in città. Il giorno dopo è uguale a quello prima. In quanto persone, continuano semplicemente a non esistere. Dai passanti solo occhiate di fastidio, riprovazione, disgusto. Come se fosse una colpa sopravvivere in quelle condizioni. Palermo. Giugno Sono trascorsi 36 giorni da quando, a Capaci, hanno perso la vita per mano della mafia Giovanni Falcone, sua moglie, gli uomini della scorta. CGIL, CISL e UIL promuovono una manifestazione denominata emblematicamente L Italia parte civile. Una

2 città partecipe e solidale è invasa da decine di migliaia di persone giunte da ogni parte d Italia. La manifestazione si è appena conclusa quando entriamo nel bar. Il giovane proprietario ci chiede i motivi della nostra presenza in città. Tanto orgoglio nella nostra risposta. Tanta sfida nei suoi occhi. Ci dice che viene a Napoli ogni anno. Ma ci tiene a sottolineare che lo fa per una ragione molto più seria della nostra: assistere alla partita della Juve allo stadio San Paolo. Roma. Ottobre Stazione Termini. Un addetto alle pulizie regolarmente provvisto di scopa e paletta scaraventa una lattina in mezzo ai binari. Poi, con ostentata noncuranza, continua a raccogliere di malavoglia mozziconi e cartacce. Non è la sera giusta per farsi venire in mente lo spazzino londinese che ammira tutto soddisfatto la strada che ha appena finito di pulire (1). Sydney. Settembre Le Olimpiadi sono il pretesto per un viaggio all altro capo del mondo. Siamo in quattro. Felici nonostante il numero spropositato di ore trascorse in aereo, classe rigorosamente economy. Perfino l entusiasmo da ultras di Michele, per il quale tutto ciò che accade in Australia è la testimonianza di una civiltà superiore, visto da qui, ci appare meno insopportabile. Intorno a noi piccole e grandi testimonianze di un forte senso civico. Forse anche una metropoli può avere un volto umano. Forse è lo spazio, sono le distanze, a rendere possibile il miracolo. Tokio. Dicembre All uscita della metropolitana scopriamo di essere dal lato sbagliato della strada. Sul marciapiede un numero spropositato di brulicanti giapponesi ci viene incontro, sci in spalla. E letteralmente impossibile procedere. Facciamo dietro front. Dal marciapiede giusto non possiamo fare a meno di tornare a osservare la scena. Sono ormai tre settimane che siamo qui ma continuiamo a rimanere attoniti di fronte a questo straboccante, rumoroso, cocktail di efficienza e ossessione. Bergamo, Bologna, Bruxelles, Firenze, Francoforte, Lisbona, Madrid, Milano, Parigi, Venezia, Zurigo. L elenco potrebbe essere ancora lungo. Comprendere cento altre piccole, medie e grandi città del mondo. Tante altre storie, testimonianze, di un paesaggio sociale che in maniera più e meno prevedibile si trasforma. Tanti volti ancora di una modernità che non perde occasione per mettere in mostra la sua straordinaria forza omologante, la propria capacità di cancellare la memoria di ciò che è stato, l impegno incessante con il quale riesce a rendere superata, obsoleta, ogni cosa. Cambiano le idee, i fatti, le persone. Cambiano le categorie e i concetti che siamo soliti usare per interpretarli. Cambiano i contenuti, i protagonisti, le regole, del gioco sociale. E d un tratto ci accorgiamo che concetti e parole per noi importanti non hanno più lo stesso significato di sempre. E un mondo senza forma. Dai mille e contraddittori volti. Che esalta, deprime, affascina, confonde. Che sempre più spesso ci costringe a fare i conti con il disorientamento di chi sente messi in discussione i punti fermi della propria esistenza individuale e sociale; il disagio di chi si sveglia ogni notte in una stanza d albergo diversa e ancora fino a un attimo prima di lasciare il filo delle ore, gli ordini degli anni e dei mondi che ogni uomo che dorme tiene in cerchio intorno a sé, di ricomporre l ordine delle cose, di fare d un colpo il quotidiano salto sopra secoli di civiltà (2), prova l angoscia sottile di chi non sa da che parte accendere la luce o scendere dal letto per andare in bagno; l inquietudine di chi, tornando a casa la sera, trova i mobili disposti in maniera diversa da come li aveva lasciati al mattino; l affanno di chi si accorge d un tratto che le carte con le quali era solito leggere e interpretare il mondo, e sé stesso nel mondo, sono irrimediabilmente sparigliate. Insieme ai campi di periferia dove si poteva davvero non aver paura di sbagliare un calcio di rigore, sono cambiati la qualità, il ruolo, la funzione, l importanza, il rendimento, delle principali agenzie di identificazione collettiva. A essere messo in discussione è l universo condiviso di valori, strutture, cose, che ha tenuto assieme intere generazioni di donne e di uomini che sapevano di potervi fare affidamento, e ha permesso ai loro figli di contestare i valori di cui erano destinatari, di mettere in campo le risorse in loro possesso per

3 contrapporsi alle idee e ai modelli culturali e di comportamento predominanti. E la crisi dei soggetti erogatori di valori stabili. La rarefazione delle strutture diffuse nel territorio e radicate nella società. Il collasso della capacità - possibilità di stabilire rapporti sociali duraturi. In che modo rispondiamo a tutto questo? Talvolta, provando a definire un diverso ordine di priorità. Volgendo finalmente lo sguardo verso coloro che, in ogni parte del mondo, si ritrovano vittime del castigo dell esclusione in quanto esito di un processo sociale nel quale sono, o si sentono, lasciati soli. Più spesso, cercando semplicemente di resistere. Tentando di riconoscere qualcosa di familiare nelle trasformazioni che minacciano di sconvolgere le nostre vite. Continuando a dare alle cose che cambiano gli stessi nomi di sempre. Cercando rifugio, sicurezza, in una qualche idea di democrazia rappresentativa ereditata. Fino a che ci rendiamo conto che i nostri tentativi di guardare a ciò che accade sulla base di credenze e teorie consolidate, per quanto eroici, sono nella sostanza destinati a non produrre risultati. Sono questi i momenti nei quali ci ritroviamo alle prese con la domanda canonica, insidiosa, difficile, per eccellenza: che fare? Che fare in un mondo nel quale della democrazia non ci può essere che traccia (3); nel quale il reddito medio per abitante dei Paesi più poveri è di 324 dollari all anno a fronte dei circa 24 mila dollari dei Paesi più ricchi e industrializzati; nel quale a più di un terzo della popolazione mondiale è destinato appena il 2 per cento del reddito complessivo, a fronte dell 80 per cento destinato al 16 per cento della popolazione che vive nei Paesi più industrializzati. Che fare in un mondo in cui, nell ambito dei paesi ricchi, sono sempre più numerosi coloro che ritengono che si possa partecipare standosene seduti sul divano con il telecomando rigorosamente a portata di mano in attesa del leader, o peggio ancora dell idolo, nelle mani del quale poter affidare il proprio futuro. La nostra idea è che il tentativo di rintracciare risposte possibili alla domanda difficile è in molti modi connesso alla consapevolezza che mai come in questo tormentato avvio di terzo millennio la qualità del processo democratico non è data una volta per tutte, è legata non solo alla credibilità e alla rappresentatività delle istituzioni e dei poteri che in diversi ambiti e a diversi livelli ci governano, ma anche alla capacità e alla voglia di ciascuno (in quanto semplice cittadino o in quanto aderente ad associazioni, sindacati, movimenti, partiti) di contribuire, concorrere, partecipare, alla costruzione del discorso pubblico. Mentre siamo alle prese con le meraviglie, le atrocità, le incertezze, di questo nostro mondo, la specifica responsabilità che ci fa scegliere di partecipare, che ci consente di ritrovare argomenti, ragioni, motivazioni, per impegnarci in prima persona, è una condizione fondamentale per arrestare il declino della politica e, dunque, della democrazia. Le nostre azioni individuali e collettive possono essere in vario modo di aiuto nella definizione di futuri meno ingiusti, dove meno persone possibili siano costrette a vivere l esperienza umiliante del mancato riconoscimento dei propri diritti, dell essere o del sentirsi esclusi; possono contribuire a ridurre l incertezza, a riconoscere di più e meglio i valori che abbiamo ereditato, a individuarne di nuovi, a riclassificare criteri e a ridefinire ordini di priorità. E bene ribadire che con ciò non intendiamo certo mettere in discussione il criterio che assegna a coloro che nella scala gerarchica occupano i posti più elevati, le principali responsabilità. Come ricorda la feroce cavalletta Hopper alla giovane principessa Atta in A Bug s Life, la regola numero uno del comando dice che la colpa è sempre di chi comanda (4) e tanto basta. Si tratta piuttosto di non cedere in nessuna circostanza alla tentazione di mettere in ombra ciò che è proprio del dominio di ciascuno di noi; si tratta di essere fino in fondo consapevoli che anche nelle nostre società interdipendenti e globali, il modo come andranno le cose non è affatto indipendente dalle responsabilità che ciascuno decide di assumersi, dalla voglia e dalla capacità di provare a recitare una parte da protagonisti. Dato questo sfondo, è del tutto evidente che la contrapposizione tra società politica e società civile - che pure nel nostro Paese ha avuto, nella fase in cui la dissoluzione dei partiti storici seguita a Tangentopoli è sembrata travolgere ogni cosa, una funzione importante -

4 non ha più ragione di essere: oggi la priorità è al contrario proprio quella di riannodare in maniera più salda i fili che connettono la società con la politica. Si tratta di mettere in campo idee e progetti che possano sostenerci nei nostri infiniti tentativi di individuare modi inediti di pensare noi stessi, di nominare le cose, di perseguire fini e di realizzarli, in quanto singole persone e in quanto componenti di un variegato numero di istituzioni, gruppi, comunità, dall Unione Europea alla bocciofila appena aperta sotto casa, in un mondo che si trasforma continuamente. Il messaggio in questo caso è: interpretare il cambiamento. Definirne i caratteri. Ridurre il disagio individuale e sociale che ad esso è connesso. Allargare l area dell accesso. Rendere almeno un po meno esile il filo che tiene assieme memoria e futuro. In particolare la capacità di non perdere di vista ciò che di positivo abbiamo ereditato, ciò che si è rivelato stabile nella durata, ciò che permane, nonostante l impeto della tempesta, è importante perché può aiutarci a dare un senso a ciò che accade, a sentirci almeno un po meno in balìa della forza inevitabilmente instabile del futuro. E alla luce di queste considerazioni che ci pare utile ritornare su alcune delle questioni più significative che abbiamo fin qui affrontato, provando allo stesso tempo ad evidenziare le ragioni per le quali esse restano, anche nel mutato scenario, decisive. Lo faremo assegnando la priorità a tre aspetti che riteniamo particolarmente rilevanti. Il primo si riferisce al rapporto tra mutamento sociale e mutamento politico; il secondo alla definizione di sfera pubblica, cioè degli ambiti nei quali persone titolari di diritti valutano in maniera autonoma, sulla base di criteri indipendenti da quelli assegnati dalla valutazione di coloro che hanno poteri in altre sfere, i diversi aspetti della vita collettiva e per questa via costruiscono cerchie di comunicazione alternative a quelle date; il terzo si riferisce infine all importanza dei contenuti e dei luoghi della partecipazione. L auspicio è che da tale impegno possa scaturire qualche ulteriore passo verso la definizione di un agire politico che abbia, nel solco di una nobile tradizione che va da Aristotele ad Hanna Arendt, non solo fini e scopi ma anche e soprattutto senso. L obiettivo, quello di scovare possibili tracce di una politica capace di essere ospitale, perché in grado di riconoscere pari dignità e rilevanza a più valori, tradizioni, memorie; universale, perché capace di tornare a pensare, progettare, costruire futuri possibili per donne e uomini di ogni parte del mondo; inclusiva, perché sa dare il giusto valore ai diritti, alle libertà, alla conoscenza, al lavoro, all alba di un secolo che si annuncia dominato dal potere dell informazione e della comunicazione; plurale, perché riesce a confrontarsi intorno a idee, programmi, proposte, scelte, soluzioni alternative o anche solo diverse; ragionevole, perché dalla consapevolezza che non tutto è possibile sa trarre l energia per ampliare i confini nei quali a ciascun cittadino è dato di avere pari opportunità di perseguire i propri progetti ed esperimenti di vita. Si può cominciare affermando che è nei confini dei nostri modi di vivere e di stabilire relazioni con gli altri che è possibile trovare le radici del cambiamento. Viviamo in un mondo che si trasforma incessantemente grazie alle scoperte scientifiche, ai processi demografici, alle innovazioni tecnologiche, ai mutamenti organizzativi, alle teorie e alle profezie di scienziati e poeti, filosofi e scrittori. Sono i mille e mutevoli volti della società a ridefinire le credenze, le aspettative e gli interessi che modellano le nostre vite; a determinare la distribuzione tra vincenti e perdenti sociali; a definire i percorsi e le opportunità attraverso le quali le persone si ritrovano incluse o escluse dai processi di cambiamento; a produrre effetti sui soggetti, i luoghi, le forme della politica, e sulla natura delle sue istituzioni. Accade a volte grazie a una scoperta, a un libro, a un film, come sanno coloro ai quali è capitato di innamorarsi, talvolta fino allo sfinimento e oltre, di film culto come 2001, Odissea nello spazio, Guerre stellari, Star Trek, e si sono ritrovati a familiarizzare con concetti e termini non proprio usuali come curvatura spazio temporale, salto nell iperspazio, buchi neri ; a fare i conti con ciò che è inusuale, curioso, talvolta persino incredibile; a prendere coscienza del fatto che la fantascienza suggerisce idee che gli scienziati possono includere nelle loro teorie, ma a volte la scienza scopre nozioni più strane

5 di qualsiasi invenzione della fantascienza. [ ] La fantascienza di oggi è spesso la scienza di domani. (5). Accade altre volte grazie a una riflessione, un aneddoto, un esperienza, un momento nel quale ci sentiamo come Isaac Newton alle prese con la più famosa mela di tutti i tempi dopo quella di Adamo ed Eva. A chi scrive è capitato un estate di tanti anni fa, in una splendida località di nome Casperia, pochi abitanti e tanta magia in provincia di Rieti. La quiete del luogo, le piacevoli passeggiate, la mancanza della televisione, aiutavano a trascorrere le lunghe serate chiacchierando, giocando a carte, impegnandosi in interminabili giochi di società, più di rado parlando di libri e di scienza. Si poteva insomma scegliere tra numerose opzioni, a patto di non escludere nessun componente della nostra piccola comunità formata di norma da 4 o 5 adulti e 8 o 9 ragazzi di diversa età (all epoca la più piccola aveva circa 5 anni, il più grande poco più di 12). Quella sera fu ancora una volta galeotto un libro e chi lo scrisse (6), cosicché la discussione scivolò, in maniera in fondo piana e regolare, sul fatto che la stella più vicina a noi dista 4 anni luce. Qualcuno spiegò che in pratica ciò vuol dire che, per arrivare al nostro occhio, l immagine della stella in questione impiega 4 anni. Per fare un esempio aggiunse - si potrebbe dire che se stasera una stella fosse inghiottita da un buco nero, continueremmo a vederla ancora per 4 anni, mentre se al contrario una nuova stella si formasse in questo stesso momento, non la potremmo vedere per i primi 4 anni della sua esistenza. Dopo di che, mentre i più piccoli si avviavano a letto tra le proteste (perché toccava sempre a loro andare a dormire per primi e perché quella sera non si erano proprio divertiti), qualcun altro concluse, finendo col confondere anche i più grandi, che per certi versi la stessa cosa avviene quando si osservano delle particelle in movimento in un acceleratore nucleare, dato che non è possibile stabilire dove esse si trovino esattamente in un determinato momento. La cosa sarebbe finita lì, come ogni altra volta, se pochi giorni dopo Irene non avesse disegnato una stella con un grande cannocchiale puntato sulla finestra della camera da pranzo dove la bisnonna, Giacinta, giocava a carte con la figlia, nonna Gina, al tempo in cui era bambina; e se Valeria, all epoca una delle più piccine, non avesse aggiunto, a commento del disegno, che le cose sono vere non quando si possono vedere o toccare, ma quando si possono pensare. Cos era accaduto? Che le intrepidi ragazzine avevano rielaborato a modo loro questioni, in teoria abbastanza complicate, come il rapporto tra spazio e tempo e tra verità e realtà. E così facendo non solo avevano avuto, naturalmente senza saperlo, il loro primo incontro ravvicinato con il pensiero di Einstein e di Aristotele, ma, ed è l aspetto di certo più interessante, avevano nella sostanza ridefinito il sistema di credenze con il quale erano solite guardare a sé stesse e alle cose del mondo. Qualcosa di molto analogo avviene, come abbiamo sottolineato a più riprese, ogni qualvolta tecnologie radicalmente innovative invadono le nostre società e le nostre vite come acqua di rubinetti che gocciolano nel buio, e così facendo le permeano e le trasformano con intensità diversa a seconda delle reali possibilità di accesso che determinano, delle persone, dei ceti o delle classi sociali che coinvolgono, delle abilità e delle competenze con le quali vengono, di volta in volta, usate. Accade quando c è un salto di fase, un mutamento di paradigma. O quando si determinano cambiamenti destinati a produrre conseguenze profonde sulle nostre vite e sulle società nelle quali viviamo. E accaduto nel gennaio del 1975, quando, con la pubblicazione su Popular Electronics, di Altair 8800, il primo personal computer prodotto negli USA e dunque nel mondo, ha avuto inizio anche simbolicamente la contraddittoria ed esaltante avventura chiamata rivoluzione digitale. E accaduto quando la locomotiva ha avuto definitivamente la meglio sul bufalo e ha permesso al popolo a stelle e strisce di spostarsi e di sviluppare attività, commerci, affari da una parte all altra degli Stati Uniti. (7) E accaduto quando l automobile ha avuto la meglio su carrozze e cavalli; quando anche gli operai hanno potuto acquistarla; quando l aereo è

6 diventato un mezzo di trasporto accessibile a qualunque comune mortale che abbia avuto la ventura di nascere nella parte ricca del mondo. E lo stesso avviene quando i nostri modi di vivere e di lavorare vengono sconvolti dai cambiamenti che intervengono sul terreno dell organizzazione sociale e del lavoro, come è successo in seguito all avvento del taylorismo e del fordismo, del toyotismo e della produzione just in time. O ancora quando ci ritroviamo a fare i conti con fenomeni come il commercio elettronico o il telelavoro che, a circa due secoli e mezzo dalla rivoluzione industriale e dal conseguente passaggio dall economia della casa all economia del luogo, ci danno la possibilità, grazie al computer e a internet, di tornare a lavorare e procurarci tutto ciò che ci serve per vivere senza muoverci da casa. In definitiva, la mappa delle nostre identità e delle nostre relazioni muta perché avvengono nuove scoperte scientifiche, ci spostiamo sempre più frequentemente, migriamo da un continente all altro, mettiamo su famiglia con persone di cultura, razza, religione diversa da quelle alle quali apparteniamo (8), scopriamo le potenzialità delle reti digitali, della comunicazione, dello studio e del lavoro a distanza e in questo e in mille altri modi modifichiamo il nostro modo di guardare a noi stessi, alle cose che abbiamo intorno, a quelle in cui crediamo. Conseguentemente, si fa meno stabile la partizione tra ciò che è per noi certo e ciò che è invece non lo è, diventa più difficile comprendere cosa accade, chi siamo, che cosa per noi è davvero importante. E ciò naturalmente incide, produce a propria volta effetti, determina cambiamenti sulle nostre vite e sugli orizzonti che ci si parano davanti. Cambia la società, e con essa cambia il ruolo della politica, la sua portata, l importanza che a essa siamo soliti attribuire. E ciò rende semplicemente più cogenti le ragioni per le quali, al tempo della modernità liquida, della crisi dello stato nazione, del conflitto identitario, è importante modellare istituzioni che si propongano di sostenere i cittadini, a partire da quelli più svantaggiati, nei loro sforzi tendenti a partecipare con pari dignità alla discussione democratica nell ambito dello spazio pubblico. E in fondo a questo che ci riferiamo quando affermiamo che ridiventa urgente adeguare alla nuova situazione l idea dello spazio pubblico comune, definire il ruolo che a ciascuno di noi tocca ricoprire nell ambito dello spazio pubblico così ridisegnato, individuare i percorsi concreti attraverso i quali anche le nostre verità possano trovare spazio sulla scena pubblica. La questione è evidentemente centrale. Anche se la pluralità delle fonti non è di per sé, come sappiamo, una garanzia contro la perdita di autonomia e di capacità critica da parte dei cittadini, essa rappresenta in ogni caso la premessa indispensabile perché si possa legittimamente parlare di spazio pubblico. E utile insistere ancora su questo aspetto. Noi oggi sappiamo che l uso pubblico della ragione è la principale risorsa, la migliore premessa, che una democrazia pluralista ha a propria disposizione per deliberare in maniera saggia e giusta. Che il rifiuto dell idea che ci sia monopolio sulla verità nasce, in chiave antidispotica, proprio come tutela dell individuo a fronte di possibili arbitrii da parte di chi detiene l autorità. Che fino a quando è il Sovrano ad assegnare quote e diritti nella società, ad avere il monopolio della verità, ad essere il solo legittimato a decidere che cosa è vero, ciò di cui si può parlare in pubblico, non c è di fatto spazio pubblico. Che il merito fondamentale della teoria liberale classica è stato proprio quello di revocare il monopolio della verità al Sovrano e di sostenere il diritto, da parte della società, di esprimere e di comunicare in pubblico verità differenti senza per questo essere alla mercè di chi detiene il potere. Che, per questa via, essa ha di fatto reso possibile la costituzione della sfera pubblica, disegnato i confini all interno dei quali a ciascuno è riconosciuta per definizione un eguale capacità di giudizio intorno ai temi della discussione pubblica. In definitiva, la silhouette del modello liberale classico ci dice che non può essere uno solo, che ha potere su tutto e rispetto al quale non c è possibilità alternativa, a formare preferenze; che per costruire una sfera pubblica occorre che si costituisca almeno una comunità di condivisione e di comunicazione alternativa a quella data; che il diritto a

7 informare il pubblico è il diritto - proprio di una pluralità di agenzie, attori, compagnie - a formare preferenze. Naturalmente, per evitare la torre di Babele degli interessi e dei bisogni, delle pretese e delle aspettative, occorre che siano rispettate alcune condizioni. Come si usa dire in questi casi, è data una determinata serie di criteri etici soddisfatti e di valori politici fondamentali condivisi da parte dei cittadini, a ciascuno dei quali è per definizione riconosciuta eguale capacità di giudizio, che interessi e bisogni, pretese e aspettative, sono legittimate ad essere oggetto di discussione nell ambito della polis. Definito l ambito nel quale è riconosciuto il diritto, rimane aperta la questione almeno altrettanto rilevante relativa alle modalità che permettono di esercitarlo, che lo rendono esigibile. E la questione, propria del modello democratico, che definisce i caratteri del diritto all accesso da parte del pubblico. Ad essa ci riferiremo, ancora una volta, da un particolare punto di vista, con lo sguardo di chi ritiene che, un idea, finché resta un idea, è soltanto un astrazione ; (9) di chi considera determinante la possibilità di spostarsi dallo spazio delle idee a quello dei fatti; di chi è convinto che il ruolo delle persone, ciò che ciascuno fa, sia fondamentale nella definizione della gamma degli esiti possibili. A nostro avviso, essere cittadini richiede in questa fase maggiore responsabilità. Impegno. Continuità. Coerenza. Rispetto per le regole. E dunque diventa ancora una volta decisiva la possibilità - capacità di rendere ragionevole, percorribile, interessante, motivante, conveniente, la scelta di partecipare. E stato il mio amico Luigi Santoro, ex operaio della SNIA Viscosa di Napoli e allora segretario del sindacato dei chimici e mio capo, a insegnarmelo tanti anni fa. Regola numero 1: essere rispettosi con tutti e subalterni con nessuno. Anche se ti dovessi trovare a trattare con l Avvocato Agnelli si raccomandava - ricordati sempre che anche lui è un essere umano come te. Si lava i denti più o meno allo stesso modo, fa la doccia, deve discutere con la mogie e con i figli. Regola numero 2: il fatto che una cosa sia giusta non vuol dire per ciò stesso che sia possibile. Dipende da tante cose mi diceva -. Dalla convinzione e la consapevolezza con la quale i lavoratori ti seguono. Dalla voglia e dalla necessità che ha la controparte di trovare un accordo. Dai reali rapporti di forza tra sindacato e azienda a livello locale e a livello nazionale. L importante è non venire meno al proprio ruolo. Portare avanti con coerenza e pazienza le proprie rivendicazioni. Creare le condizioni affinché sia conveniente per tutti trovare un accordo. Questo della ricerca della convenienza, è a nostro avviso, un punto decisivo anche nella fase attuale, nella quale le caratteristiche del conflitto sono sempre meno di tipo distributivo e sempre più di tipo identitario. Vediamo perché. Com è noto, la risoluzione del conflitto presenta caratteristiche in fondo lineari quando i diversi agenti, non avendo questioni aperte in quanto alle loro identità, discutono, si confrontano, confliggono, tra loro, rispetto a interessi di tipo distributivo. La domanda alla quale rispondere è in questo caso chi deve avere cosa. La faccenda si presenta invece molto più complicata quando il conflitto si sposta sul terreno delle identità, quando, in altre parole, ad essere messi in discussione sono il bisogno, la pretesa o il diritto, di essere riconosciuti, nei confini dello spazio pubblico. In questo secondo caso, infatti, ciò che ci fa ritenere ragionevole partecipare è il riconoscimento delle nostre identità altrimenti escluse, cosicché la condivisione tanto dei valori politici fondamentali quanto dei criteri della discussione pubblica finisce con l essere non un presupposto bensì, nel migliore dei casi, un risultato conseguente al prendere parte, sulla base di autonomi punti di vista, alla discussione. Come se non bastasse, accade che nella mutata situazione che si è venuta a determinare con l attuale fase della modernità, il mancato riconoscimento delle identità non è più soltanto la conseguenza di processi di esclusione, ma anche e sempre di più l esito di fenomeni di defezione.

8 Detto in parole povere, cresce sempre di più il numero di coloro che ritengono che non valga la pena, che non sia conveniente, partecipare. E tra questi i più giovani sono di gran lunga la parte più consistente. Se si scarta per ovvie ragioni l idea che ciò accade perché siamo figli di un Dio sociale minore o vittime di un destino cinico e ineluttabile, rimane la necessità di delineare i confini di una politica capace di ridurre l ingiustizia dai mille volti, di attivare speranze ed attese positive, di suscitare passioni, di avere un anima, un senso. La nostra tesi è che la parola chiave intorno alla quale avviare un processo che abbia queste caratteristiche, è diritti. Non si tratta, naturalmente, di una parola magica. E però una parola importante. Perché siamo esseri che parliamo e agiamo e dunque siamo portati a stabilire nessi e connessioni tra gli usi che facciamo di un determinato termine e gli scopi, i fini, gli interessi, in base ai quali lo utilizziamo (10). Perché quello dei diritti è un tema che non conosce frontiere, che riguarda tanto i rapporti tra società e Paesi diversi quanto quelli all interno delle singole società e dei singoli Paesi. Afferisce tanto alla sfera dell uguaglianza quanto a quella delle libertà, e dunque rappresenta un terreno di incontro possibile per culture e tradizioni politiche diverse. Ha conseguenze e ripercussioni concrete sulle condizioni di vita e di lavoro di persone di ogni continente, generazione, ceto sociale, genere, sensibilità. Accompagna ciascuno di noi, qualunque sia il posto o le condizioni in cui vive, per tutta l esistenza. (11) E perché la scelta di dare priorità ai diritti nella definizione di strategie, iniziative, percorsi miranti a ridurre la sofferenza socialmente evitabile e dunque l umiliazione, l ingiustizia, la solitudine a cui ogni giorno sono costrette un numero incredibile di persone in ogni parte del mondo, ha ancora una volta effetti importanti non solo sulle attività di coloro che hanno responsabilità di governo ai diversi livelli, ma anche su ciascuno di noi, dato che, come abbiamo visto, il concetto di cittadinanza presuppone la capacità, o in ogni caso la disponibilità, ad assumere prospettive, punti di vista, comportamenti, nei quali ci sia posto per altri, tutti gli altri, come noi, detentori di diritti. Sulla strada dei diritti passa a nostro avviso una parte consistente delle effettive possibilità di arrestare il declino delle nostre democrazie, di ritrovare le ragioni dell impegno e della partecipazione, di dare un senso alle nostre vite di cittadini di un mondo straordinariamente bello e ricco di opportunità ma troppo spesso insopportabilmente ingiusto. Come sappiamo, parlare di diritti vuol dire parlare di tante cose, anche significativamente diverse tra loro e dunque utilizzeremo alcuni esempi per tentare di rendere il più possibile trasparente il senso del nostro ragionamento. I due esempi riguardano lo Stato sociale e il lavoro. Come ogni volta accade, anche questa scelta è naturalmente il frutto di un atto allo stesso tempo di responsabilità e di arbitrio. Altre scelte potevano essere fatte e sarebbero state di certo altrettanto significative. Avremmo ad esempio potuto parlare di nuovi diritti, come quelli di genere o quelli delle minoranze etniche e culturali, che da alcuni sono considerati essenzialmente come diritti individuali postwelfaristici, per molti versi autonomi rispetto ai precedenti, e da altri invece sono ritenuti come un estensione e un rafforzamento dei diritti individuali precedenti (12). Detto che la questione diritti può essere declinata in così tanti modi da occupare, da sola, interi volumi, possiamo aggiungere che in realtà ci sono almeno tre ulteriori ragioni che ci hanno portato a optare per il welfare e il lavoro. La prima, solo apparentemente più scontata, è data dal valore generale e dalla oggettiva rilevanza che tali questioni rivestono ancora al tempo della società dell informazione; la seconda, dall esigenza di non perdere di vista, anche nell affrontare due temi tanto universali, lo specifico contesto nel quale ci muoviamo, qui ed ora, dalle parti di una vecchia - nuova Europa che si trova a fare i conti con compiti e responsabilità senza precedenti; la terza, si deve al fatto che l uno e l altro tema hanno radici profonde, sono ancorati a valori, culture, storie, antiche, e sono allo stesso tempo attraversati, per taluni aspetti sconvolti, dalla tempesta del cambiamento. Detto in maniera sintetica, dalle nostre parti il welfare e il lavoro sono tra i temi che meglio

9 si adattano a rappresentare la complessità e le contraddizioni del rapporto tra memoria e futuro, tra ciò che cambia e ciò che permane. E con ciò possiamo finalmente affrontare la prima questione. Per cominciare, è bene sottolineare come oggi i sistemi di welfare siano messi in discussione non soltanto in conseguenza delle crescenti difficoltà a reperire le risorse necessarie a sostenerli, ma anche dal versante dei principi che li ispirano; come tutto questo semplicemente confermi che la questione sociale di questo inizio millennio è una questione globale; come ciò assegni di fatto ai paesi economicamente più avanzati delle responsabilità importanti. Per quanto riguarda l Unione Europea, appare ad esempio evidente come, dal momento che sono già 25 i Paesi che vi aderiscono e dunque sono impegnati a rispettarne le regole e i vincoli, sostenere l esigenza di ridisegnare lo stato sociale sia un argomento a favore della necessità di ridefinire i caratteri e i confini di diritti e tutele nell ottica del modellamento di un welfare europeo. E come porsi in questa prospettiva voglia dire assumere fino in fondo le conseguenze teoriche e pratiche che essa comporta, a partire dalla necessità di omogeneizzare progressivamente i quattro modelli classici (13) affermatisi in Europa, così come le politiche fiscali dei diversi Paesi membri. Si può poi continuare ricordando che anche nel mutato scenario il modellamento dello Stato sociale è in vario modo dipendente dall esito di negoziati tra chi, ai diversi livelli, detiene l autorità per operare le relative scelte istituzionali, politiche o economiche, e chi invece rappresenta i bisogni e i diritti di volta in volta insorgenti. Che esso è nella sostanza una sorta di classificazione di bisogni che chiedono di essere rappresentati, un principio di assicurazione finanziato con il contributo di tutti per tutelare chiunque nel momento in cui, senza propria responsabilità, si trovi ad essere svantaggiato, rischi di vedere minata la propria capacità di funzionare al meglio come persona, di diventare un perdente sociale. Il nostro essere persone che in una variegata molteplicità di circostanze competono, non solo insomma non esclude, ma rende semplicemente necessaria la definizione di politiche di sostegno che non ci lascino indifesi di fronte ai rischi della lotteria sociale. La storia dei sistemi di welfare è sostanzialmente una storia di questo tipo, fatta di lotte, di clamorose conquiste e pericolosi arretramenti, di patteggiamenti, di riforme. Non a caso, la questione relativa al come ridisegnare, rimodellare, riformare gli stati sociali in un contesto più ampio di quello nazionale, in ogni caso disancorato dalla concezione aggregata del lavoro e della forza lavoro, che ha caratterizzato il modello cosiddetto fordista, è oggi una delle questioni più rilevanti presenti nelle agenda dei paesi maggiormente industrializzati. Questo fa sì che istituzioni e parti sociali dei diversi paesi siano alle prese con una doppia controversa necessità: la prima prescrive di mantenere la lealtà alle ragioni dello stato sociale e dunque di non venir meno alla promessa di liberare dal bisogno chiunque sia incluso a vario titolo entro la cittadinanza; la seconda, di ridefinire i caratteri e le forme del rischio sociale alla luce dei profondi cambiamenti che hanno caratterizzato le nostre società dall insorgenza dello Stato sociale ad oggi. Da questo specifico punto di vista, a nostro avviso non è sufficiente prendere atto che ci troviamo di fronte ad un vero e proprio ribaltamento rispetto alla fase precedente, che la questione non è più tanto quella di difendere i cittadini dall ingerenza eccessiva e totalizzante delle istituzioni e della politica nella loro vita, quanto quella di difendere la sfera pubblica dall invasione del privato, e di conquistare per questa via nuovi spazi di libertà individuale. Né basta immaginare, come fa ad esempio Zygmunt Bauman, (14) che il mantenimento dei sistemi di welfare assume sempre più i caratteri di un problema morale, diventa sostanzialmente una questione di responsabilità etica. Perché ancora oggi, per decine di milioni di persone di ogni parte avanzata del mondo, la difesa dello Stato Sociale continua ad essere una faccenda non solo di principi e di valori ma anche di condizioni materiali da difendere concretamente per essere e sentirsi più protetti e sicuri in un mondo in continua trasformazione. In un numero significativo di paesi cosiddetti avanzati non basta aver lavorato anni per poter godere di una pensione davvero decorosa a meno di non aver avuto la possibilità,

10 e la previdenza, di aderire ad un fondo pensione integrativo, magari destinando a questo scopo i soldi accantonati per il trattamento di fine rapporto. E lo stesso comportamento prudenziale suggerisce, se ad esempio si intende garantire un assistenza sanitaria appena un po più decente a sé stessi e alla propria famiglia, di integrare la copertura assicurata dal sistema pubblico con una polizza privata. Dato questo sfondo, la nostra idea è a chi si chiede se in una società volta in maniera così radicale ad assumere il punto di vista individuale come unico punto di vista possibile, così fortemente orientata a pensare, e risolvere, individualmente i problemi e le difficoltà sociali, abbia ancora senso parlare di welfare, occorra rispondere decisamente si. Perché proprio la velocità con la quale siamo esposti al cambiamento, la quantità e la varietà di questioni che vengono messi in gioco, rendono oggi più che mai indispensabile un moderno sistema di tutela sociale in grado di essere in molti modi abilitante ed inclusivo, capace di sostenere chi vuole avere più chance e opportunità e vuole realizzarle con determinazione e creatività piuttosto che dispensando assistenza a buon mercato. In molti modi però tutto questo ci riporta ancora una volta al tema riforma. In definitiva, il fatto che le domande rimangano nella sostanza quelle canoniche - che fare per evitare di assegnare troppo poco a chi ha davvero bisogno e troppo a chi potrebbe invece non avvalersi della rete di protezione; come evitare che tutto questo produca i noti effetti distorti non soltanto dal versante dell efficienza, ma anche da quello dell equità non significa che nel catalogo dei rischi debbano esserci sempre le stesse priorità, né che il criterio sulla base del quale viene definito chi deve avere cosa debba continuare ad essere la capacità di minaccia piuttosto che gli effettivi bisogni, come nel caso delle liste di disoccupati napoletani di cui abbiamo detto nel capitolo precedente. E per questo che ha senso delineare i caratteri di uno Stato Sociale che piuttosto che risarcire e assistere sostenga con politiche attive, in questa fase dello sviluppo economico sociale dominata dal concetto di competitività, i percorsi di crescita culturale, sociale ed economica di tutti i cittadini, a partire da coloro che per variegate cause e circostanze, indipendenti dalla loro volontà, si ritrovano ad essere svantaggiati. Un importante terreno di verifica e di sperimentazione dell utilità di questo approccio è proprio quello che si riferisce al lavoro. Il nostro è oggi un mondo nel quale parlare di lavoro significa parlare di molte cose diverse. Il fatto che nella letteratura corrente si usi di norma il termine al plurale, lavori, dice qualcosa di significativo a questo proposito, così come i cambiamenti sempre più frequenti che lo caratterizzano e l aumento vertiginoso dell incertezza associata al lavoro su cui ci siamo già diffusamente soffermati. Oggi per la prima volta, una stessa generazione si ritrova ad aver avuto padri che hanno trascorso 35, spesso 40 anni, di lavoro, nella stessa fabbrica, ufficio, cantiere, impegnati in un attività lavorativa legata a un idea di stabilità, di fiducia, di miglioramento delle proprie condizioni, e ad avere figli che nello stesso intervallo di tempo sono destinati a cambiare decine di lavori, e che si ritroveranno più volte, tra un lavoro e l altro, alle prese con periodi di non lavoro, di apprendimento o anche, nei casi più fortunati, di svago. Nel futuro prossimo venturo non ci saranno più né Gennaro Scognamiglio, nato e vissuto a Bagnoli, Napoli, dove ha lavorato per tutta la vita all Italsider, né Ambrogio Pelegatti, nato e vissuto a Sesto San Giovanni, Milano, dove ha lavorato per tutta la vita alla Magneti Marelli. Sarà sempre più raro trovare posti di lavoro, in primo luogo nell industria, che permettano di lavorare da dipendente per tutta la vita, con tutto ciò che ne consegue in termini di contrazione dell autostima, aumento dell incertezza, minori garanzie di reddito per sé e per i propri familiari. Il lavoro è naturalmente un attività necessaria per soddisfare i propri bisogni e quelli delle proprie famiglie, e dunque un aspetto dolente ma quanto mai ineludibile della questione rimane quello relativo al lavoro che non basta, nell accezione canonica di una offerta che, in particolar modo in alcune aree del nostro Paese e dell Europa, è non solo stabilmente ma anche patologicamente al di sotto della domanda. Ancora in quanto attività volta alla soddisfazione dei bisogni materiali, il lavoro è anche

11 quella cosa che cambia con sempre maggiore intensità, ieri in seguito all abbandono delle botteghe artigiane e delle campagne a favore delle grandi fabbriche, oggi in seguito al mutamento profondo dei modelli di produzione della ricchezza nella fase post industriale (le mansioni richieste sono più spesso di contenuto intellettuale, autonomo, professionale e sempre meno di pura esecuzione di ordini). Dal versante delle opportunità, si vanno moltiplicando le occasioni di lavoro autonomo, soprattutto sotto le forme delle collaborazioni occasionali o a progetto, ma anche nel campo del lavoro dipendente ci sono molte offerte che si possono definire non tradizionali, dal lavoro interinale al telelavoro, alle nuove forme di apprendistato e così via discorrendo. Mutamenti significativi si stanno registrando anche dal versante della normativa. Nel nostro Paese si sta passando, con un percorso che si può far partire dal cosiddetto pacchetto Treu (15) e far approdare alla Legge 30, più comunemente definitiva Legge Biagi, da un sistema in cui il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, regolato e tutelato sindacalmente era la norma, a un sistema più frammentato, variegato, sicuramente più flessibile, talvolta insopportabilmente più incerto e precario. Com è ovvio, le dinamiche sociali, i sistemi di potere, le strutture organizzative, i rapporti di forza, che caratterizzano ciascuna determinata formazione economico sociale, hanno avuto e hanno un peso rilevante nel determinare questo stato di cose. Ciò detto, è bene non perdere di vista il fatto che il lavoro è anche un valore, un bisogno in sé, uno strumento importante per organizzare la propria vita in un sistema di valori riconosciuto e per soddisfare le proprie aspettative di futuro, un occasione per sentirsi attivamente partecipi del processo di creazione della ricchezza dal versante non solo economico ma anche sociale. Attraverso il lavoro costruiamo il nostro futuro e ciò ci porta ad assegnare ad esso un importanza e un utilità che va al di là della pura produzione di beni materiali; non a caso la mancanza di lavoro, e ancora di più la sua perdita, produce profonde frustrazioni ed è fattore di esclusione, di emarginazione, di sfiducia, nei casi peggiori di perdita della dignità delle persone. Ma chi sono coloro che corrono più rischi da questo punto di vista? Detto che il quadro d assieme si presenta molto variegato, possiamo aggiungere, in maniera necessariamente schematica, che le dinamiche in atto favoriscono coloro che aspirano a posizioni lavorative di alta qualità e coloro che sono disposti a fare i lavori più duri e impegnativi dal punto di vista fisico e meno considerati dal versante sociale, quelli che nei paesi anglosassoni sono chiamati bad jobs (si tratta soprattutto di extracomunitari e, in misura minore, di giovani a basso tasso di scolarizzazione) mentre sono fortemente penalizzati, indeboliti, tutti coloro che hanno o mirano ad avere un occupazione nell ambito della fascia intermedia del mercato del lavoro. Lo scenario che così si viene a determinare tiene assieme disoccupazione di massa da un lato e opportunità rilevanti di impiego per i lavoratori di fascia più alta e più bassa dall altro, fermo restando che anche questi ultimi sono condannati a convivere con la precarietà connessa ai continui cambiamenti dei processi produttivi e organizzativi. Più specificatamente, coloro che accettano i bad jobs hanno di solito una limitata capacità di adattamento e sono soggetti a flussi continui di entrata e uscita che i processi migratori di massa a livello internazionale contribuiscono oggettivamente a esasperare. Per quanto riguarda i lavori di qualità elevata, ad adattarsi di più e meglio, a ricercare un ruolo propositivo, sono ancora una volta coloro che hanno un adeguata base culturale e questo ci segnala per l ennesima volta l importanza del tema formazione scolastica e professionale, la necessità di dedicare la giusta attenzione ai suoi contenuti e al suo rapporto con il lavoro. Altrettanto significativi appaiono i mutamenti se ci spostiamo dall ambito del lavoro dipendente, al quale in buona sostanza ci siamo fin qui riferiti, a quello del lavoro autonomo. Anche grazie alla rivoluzione tecnologica ritorna infatti in auge proprio questa tipologia di lavoro già importante nel passato e che era stata invece drasticamente ridimensionata nella seconda fase dello sviluppo industriale, quella legata all affermazione

12 della grande impresa. Ma cosa si intende precisamente per lavoro autonomo? In maniera meno banale di quanto non appaia a prima vista, possiamo dire che si intende qualsiasi prestazione compiuta senza subordinazione dato che il lavoratore autonomo è in definitiva chi si trova o si crea un lavoro, e dunque una fonte di reddito, senza essere dipendente. Nel nostro Paese, ci si può mettere in proprio nell ambito di due grandi insiemi. Il primo è quello definito dall art del Codice Civile; il secondo è quello costituito invece dalla figura dell imprenditore, che tecnicamente è colui che esercita professionalmente un attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi, come specificano l art del Codice Civile e l art. 51 del Testo Unico sulle Imposte Dirette (naturalmente ciascuna di queste categorie comprende numerose sotto categorie, ma questo aspetto è poco rilevante nel contesto del nostro racconto). Le ragioni per le quali il lavoro autonomo ritorna in auge sono diverse, a partire dal fatto che esso è per definizione più dinamico e flessibile e ciò lo rende particolarmente adatto ad una fase, come quella attuale, così fortemente condizionata dal cambiamento. Altro aspetto importante della questione è che nella società dell informazione le caratteristiche del lavoro autonomo sono molto più innovative di quelle delle fasi precedenti, si ampliano ulteriormente i fattori di autonomia e si riducono quelli di dipendenza. Con lo sviluppo della società digitale si determina, almeno in parte, il superamento della concezione del lavoro autonomo come corpo decentrato, e in fondo debole, dell industria, e si opera una saldatura con la fase in cui l artigiano era sostanzialmente colui che lavorava la materia, innovava, creava l opera d arte, riusciva a rendere redditiva la propria creatività. Ma c è di più, dato che oltre a riconquistare in misura consistente la propria capacità creativa, di lavoro capace di profonde innovazioni (16), il lavoro autonomo scopre una propria capacità di realizzare economie di scala ed economie di scopo che producono vantaggi in termini di costo che normalmente nella seconda fase della rivoluzione industriale erano collegati alla produzione di massa. In particolare nell ambito dell economia digitale le barriere d entrata sono assai meno consistenti di quelle che condizionano i settori più tradizionali, le idee e i contenuti contano di più che nella fase precedente. Naturalmente, ciò accade più facilmente se chi lavora autonomamente è a più livelli integrato in reti di soggetti e di aziende che, come lui, hanno voglia di scommettere sulla possibilità che le relazioni, la creatività, la tecnologia, le connessioni siano gli arnesi che consentiranno ad un numero sempre maggiore di aziende e di utenti di individuare nuovi ambiti ed utilizzare nuovi spazi per realizzare le proprie idee. La scommessa in definitiva è quella di tenere insieme visibilità, immagine, identità e dunque futuro, dato che anche in questo contesto avere più identità vuol dire appunto avere più futuro. Tutto questo ci porta ad affrontare un ulteriore importante aspetto del pianeta lavoro, quello che si riferisce al rapporto esistente tra lo sviluppo e la rapidità delle comunicazioni, l interazione e integrazione tra persone e strutture sociali da un lato, e la massa consistente di bisogni che il sistema produttivo, in particolare quello che si riferisce ai normali meccanismi di mercato, non riesce a soddisfare, dall altro. Gli esempi possibili sono, anche in questo caso, tanti. Dai bisogni connessi alla salute a quelli connessi all istruzione o all uso compatibile delle risorse naturali. Si tratta di un fabbisogno che per ovvie ragioni non è soddisfatto nella sua totalità e dunque c è un canale aperto di potenzialità, di impiego delle risorse umane che merita attenzione. E un ambito nel quale lo stesso lavoro di cura può essere visto come un lavoro che non è al di fuori del mercato, che non ha soltanto un valore d uso, ma anche un valore di scambio, nel senso che comporta uno scambio finalizzato alla partecipazione attiva al sistema economico sociale. Da più punti di vista, proprio questo suo carattere di partecipazione alla realtà sociale può legare strettamente, fare interagire, il lavoro di cura con il lavoro per il mercato. Le banche del tempo sono un esempio possibile di cosa si intende affermare. Ma lo scambio avviene

13 anche ogni qualvolta ci capita, partecipando ad esempio a un convegno, di imparare delle cose e dare in cambio il capitale umano e professionale accumulato attraverso la nostra attività di formazione e di ricerca. In quest ultimo caso il rapporto di scambio non è un rapporto monetario, ma è pur sempre un rapporto di scambio e quindi ha un suo significato dal punto di vista del mercato in senso lato. In ogni caso è anche a questi aspetti che ci si riferisce quando si sostiene che è necessario determinare una nuova e più forte attenzione verso tutte le forme vecchie e nuove di lavoro. Come sempre non è semplice. In un mondo nel quale la ricerca della competitività si traduce sempre più spesso in un aumento dell insicurezza e della precarietà del posto di lavoro e in un abbassamento delle prospettive di carriera, la best way of life non è certo quella che punta sul lavoro (secondo un indagine realizzata a cadenza semestrale da Right Management Consultants su 9 mila imprese in 18 paesi di cui 12 europei, nel 2005 in Italia l indice che misura il livello di sicurezza dei lavoratori sulle prospettive di carriera era, su una scala che va da 1 a 100, di 47,1 punti a fronte di una media dei 12 paesi europei di 52,4 punti). In realtà, anche al tempo della società dell informazione a prevalere è il modello che considera la ricchezza come il fondamentale simbolo di successo. Lo dimostrano i titoli e le cover story dei principali settimanali e tabloid. I contenuti di alcuni dei format televisivi di maggiore ascolto in diversi paesi. Il fatto che piuttosto che avere un lavoro o un impiego, svolgere una professione, scrivere un libro, dipingere un quadro, persino avviare un attività imprenditoriale, per fare soldi è considerato molto meglio indovinare il numero di fagioli o di lenticchie contenuti in un vasetto o avere la fortuna di scegliere il pacco giusto e riuscire a difenderlo fino alla fine. In un mondo nel quale vale prima di tutto essere ricchi, in forma, belli (secondo un sondaggio realizzato dalla BBC in occasione delle elezioni del maggio 2005 in Gran Bretagna, il 60 per cento degli elettori considera il look il requisito principale del candidato), si rischia che per intere generazioni il lavoro diventi sempre più una sorta di condanna senza valore, della quale, potendo, si farebbe volentieri a meno, con tutto quello che questo significa in termini di perdita di consapevolezza di sé e senso di autorealizzazione. Una società meno ingiusta e più inclusiva non può fare a meno di assegnare al lavoro un punteggio elevato non solo nei confini che più classicamente si è soliti considerare, come ad esempio il salario, la professionalità, l orario, ma anche sulla scala di valori come la dignità, il prestigio, la considerazione sociale di cui gode chi lavora, indipendentemente dalle mansioni che svolge e dal modello di automobile che può permettersi. Difficile? Sicuramente. Ma, come sappiamo, difficile non vuol dire impossibile e, in ogni caso, è almeno altrettanto difficile sperare di cavarsela inseguendo sul terreno della produttività selvaggia e dei bassi salari i lavoratori cinesi o coreani. Forse ci vuole più coraggio. Quello che hanno avuto uomini come Henry Ford quando decise di ridurre da nove a otto ore la giornata lavorativa e di aumentare la retribuzione media dei suoi operai anche per fare in modo che comprassero, e avessero più tempo e voglia di usare, le sue automobili; come Adriano Olivetti, quando pensò che nelle sue fabbriche, nei suoi negozi, nelle sue macchine da scrivere, dovevano essere racchiuse allo stesso tempo tutta la tecnologia e tutta la bellezza possibile; come Enzo Ferrari, quando intuì che intorno alle auto da corsa si poteva costruire il mito che avrebbe fatto affermare il brand Ferarri come sinonimo di qualità, classe, successo, in ogni angolo del mondo. Ci vuole più coraggio per fare del lavoro un attività sempre meno passiva e sempre più partecipata, che richiede voglia di imparare e saldo possesso, anche ai livelli più bassi, di competenze cosiddette trasversali, quelle che consentono di esprimersi utilizzando un vocabolario più ricco, di scrivere meglio, di collaborare con gli altri in maniera più efficace, di prendere decisioni in minor tempo. Ci vuole più coraggio per considerare le persone il fattore chiave per fare la differenza. Ci vuole più coraggio affinché una politica dell inclusione e del sostegno alla partecipazione cominci ad assumere caratteri e contorni meno sfumati. E con questo possiamo introdurre un ulteriore aspetto della questione, quello che si riferisce

14 ai luoghi della partecipazione democratica e alla loro rilevanza nella definizione di qualsivoglia ipotesi o percorso che punti a restituire senso alla politica. L idea in questo caso è che oggi più che mai esiste una connessione forte tra la scarsità di luoghi nei quali cittadini di ogni età, ceto sociale, cultura - che non intendono rinunciare all ideale di una società più giusta o soltanto meno ingiusta - possano ritrovarsi, e riconoscersi, in quanto partecipanti alla costruzione del discorso pubblico, e lo stato di salute delle nostre declinanti democrazie. Quando persone diverse si incontrano per seguire, discutere, condividere, contrapporre, realizzare, confrontare le proprie idee, i propri convincimenti, i propri progetti, accade un fatto politico. Ed è precisamente questo fatto politico a essere messo in discussione dalla scarsità di strutture e spazi di partecipazione democratica a disposizione dei cittadini. Come in qualunque altro dominio, dallo sport alle arti, dalla cultura al divertimento, anche in quello della politica dove incontrarsi è importante quanto perché incontrarsi, e per fare cosa. Lo scopriamo ogni qualvolta ci ritroviamo in un posto dove giocare, ballare, suonare e sentire musica di ogni genere e per ogni età; fare sport e seguire eventi sportivi; navigare in Internet, utilizzare i linguaggi e gli strumenti multimediali; leggere, consultare libri, studiare; fare teatro e organizzare cineforum; essere informati sulle iniziative politiche, culturali, sociali, ricreative, di svago che si svolgono nella città e nel territorio. O, se abbiamo ancora la ventura di essere giovani, quando siamo in cerca di luoghi dove ci possano aiutare a orientarci nelle scelte che riguardano lo studio o il lavoro, a imparare come si fa un curriculum o anche come si apre una partita IVA e quali sono le agevolazioni o i finanziamenti ai quali possiamo accedere se stiamo pensando di avviare un attività in proprio. O ancora, se abbiamo anni ed esperienze alle spalle e pensiamo che le nostre rughe ce le siamo guadagnate, quando scopriamo la voglia di conoscere meglio inglese e informatica (come nel caso dei pensionati impegnati nel progetto Adesso SPI), o intendiamo trasmettere ai più giovani mestieri, abilità e tradizioni che si stanno perdendo, o decidiamo di impegnarci in attività di volontariato. Come appare evidente, la faccenda travalica da molti e consistenti punti di vista i confini di ciò che siamo soliti definire con la categoria del politico. Ha a che fare da vicino con un mondo nel quale troppo spesso, come ci ha raccontato con straordinaria efficacia Marc Augé si nasce in clinica e si muore in ospedale, in cui si moltiplicano, con modalità lussuose o inumane, i punti di transito e le occupazioni provvisorie (le catene alberghiere e le occupazioni abusive, i club di vacanze, i campi profughi, le bidonville destinate al crollo o ad una perennità putrefatta) ; un mondo [ ] in cui grandi magazzini, distributori automatici e carte di credito riannodano i gesti di un commercio muto ; un mondo inesorabilmente promesso all individualità solitaria, al passaggio, al provvisorio e all effimero [ ]. (17) Ma tutto questo non fa che dare ancora maggiore forza alla necessità di valorizzare i luoghi della socializzazione e della comunicazione; di favorire, sostenere, rivendicare la loro diffusione; di costruire le reti dei luoghi della partecipazione. Il bisogno di luoghi nei quali incontrare altri come noi, e altri diversi da noi, per confrontare, condividere, contrapporre, paure, aspettative, speranze, delusioni, gioie, amori, passioni, rappresenta per molti versi l essenza stessi del nostro essere umani. Dato questo sfondo, appaiono forse più evidenti le ragioni per le quali anche i luoghi della politica, quelli dove più specificatamente si partecipa alla costruzione del discorso pubblico, vanno pensati, collocati, in un ambito che travalica i confini canonici di istituzioni e partiti. Può aiutarci la consapevolezza che esiste su questo terreno in Europa, con una forza particolare in alcuni paesi, e tra questi l Italia, una tradizione nobile, antica, nella quale hanno trovato posto, già dalla fine del XIX secolo, le società di mutuo soccorso, e, più avanti, le organizzazioni sindacali, le case del popolo, il mondo delle associazioni, il movimento cooperativo, le scuole e le università. E la tradizione dalla quale siamo partiti, ancora recentemente, quando abbiamo prospettato che la Casa dei Diritti (1 potesse essere un nodo di reti larghe di iniziativa democratica

15 nella singole persone o gruppi di cittadini, così come associazioni, movimenti, enti culturali o artistici, gruppi di iniziativa sociale, si potessero ritrovare e riconoscere a partire dalla condivisione di almeno tre idee guida: la prima è quella che prescrive di non rinunciare a esercitare la propria responsabilità, a spendersi in prima persona; a trovare per questa via le ragioni e le motivazioni che giustificano i propri comportamenti; a fare le cose per bene semplicemente perché è così che si fa; la seconda è quella che ci chiede di guardare all altro, a chiunque altro, da qualunque parte sia, qualunque sia la sua specifica storia o identità, come a una persona che, come noi, è titolare di diritti; la terza è quella che ci ricorda che viviamo una fase nella quale è importante prima di tutto partecipare, essere soggetti attivi nella promozione di occasioni di confronto pubblico intorno ai grandi temi etici, sociali, politici, sul tappeto, indipendentemente dagli specifici convincimenti e dalla vasta gamma di preferenze che in una pluralità di ambiti caratterizzano ciascuno di noi. E utile soffermarsi ulteriormente su questo ultimo aspetto. La discussione pubblica, in tema ad esempio di guerra e pace, di fecondazione artificiale, di diritti delle persone, di qualità delle istituzioni che ci governano, di scuola, di immigrazione, di violenza urbana, di ricerca scientifica e tutela dell embrione, è il principale strumento a nostra disposizione per non finire preda dell autismo sociale, per sottrarci all ipnotico e condizionante potere di vecchi e nuovi media, per evitare di essere o sentirci cittadini in affitto, come quando siamo chiamati a decidere su questioni importanti senza avere né le conoscenze né il tempo di costruire un autonomo, meditato, argomentato punto di vista. E utile ribadire con forza che l alternativa al leaderismo esasperato e al partito azienda berlusconiano non può essere l episodico e talvolta strumentale ricorso alla partecipazione democratica. L esempio delle primarie per definire la leadership dello schieramento di centrosinistra è da questo punto di vista, assolutamente emblematico. E del tutto probabile, oltre che auspicabile, che quando a inizio ottobre 2005 ci saranno le cosiddette primarie si realizzerà di fatto un grande processo di partecipazione, con i maggiori media pronti a fare la conta, valorizzare, evidenziare, sottostimare, a seconda del punto di vista o dell interesse, l evento. Ciò non toglie però che chi si era già preparato a partecipare a queste primarie ha letto sul giornale o sentito in tv che forse saltava tutto perché i candidati erano due invece che uno (non dovrebbe essere meglio?); che passata qualche settimana ancora dai giornali e dalle TV ha appreso che i risultati delle regionali (che c entra?) rendono superflua la consultazione; che dopo qualche settimana rispunta la possibilità di tornare a votare per le primarie perché la Margherita ha deciso di presentare proprie liste per la quota proporzionale alle elezioni politiche del 2006 (ancora una volta, che c entra?) e proprio le primarie sono la mediazione per evitare la crisi dell Unione e la scissione tra i seguaci di Prodi e quelli di Rutelli, Marini, De Mita. Detto che quelle che avete letto tra parentesi sono alcune delle domande che immaginiamo persone normali si saranno fatte, si può aggiungere che la politica che non sa rinunciare a servirsi delle persone piuttosto che essere al loro servizio, è una politica che non ha futuro. Come insegna la storia degli Stati Uniti, le primarie sono una cosa seria. Che richiedono regole precise e non manipolabili di volta in volta. In quali occasioni si vota? Quali sono i requisiti per essere candidabili? Chi ha diritto di proposta? Chi partecipa al voto? Non ci si può accontentare di decidere ogni volta in maniera diversa. Occorre educare alla partecipazione. Cosa significa? Tante cose. Ad esempio promuovere occasioni di dibattito pubblico, con la consapevolezza che ogni scuola, università, azienda, istituzione, associazione, condominio è il posto giusto per contribuire alla ripresa del discorso pubblico. Per affermare la cultura della regole e del loro rispetto. Non è facile pensare e agire in questi termini, in particolar modo nel nostro Paese.

16 Perché in Italia c è sempre un appuntamento decisivo dietro l angolo, non è mai il momento giusto per discutere fino in fondo, si fa sempre in tempo ad essere accusati di fare il gioco del nemico. Perché siamo un paese a scarso senso civico e con culture politiche che anche se in maniera e per ragioni diverse, (si doveva salvare il Paese dai comunisti, si doveva salvare il mondo dai capitalisti) hanno tollerato e coltivato l idea che il fine giustifica i mezzi, che le questioni di metodo sono le questioni di chi non ha argomenti, che le regole sono importanti, ma ciò che conta davvero è la politica. A nostro avviso tutto questo rende semplicemente più impellente il bisogno di non rinunciare a giocare la partita. Di avere rispetto per le posizioni di tutti e voglia di cimentarsi in prima persona. In ogni posto e in ogni momento ci sia la possibilità concreta di farlo. Per molti aspetti, è quanto i protagonisti delle storie che vi abbiamo raccontato stanno cercando di fare. Al di là delle ovvie e naturali differenze, ciò che unisce le diverse esperienze tra loro e con le tante altre che per fortuna ogni giorno vedono la luce, è proprio la sensibilità verso il bene pubblico e i diritti delle persone; la disponibilità ad assumersi responsabilità; l impegno teso a incrementare il capitale sociale, a rendere più forti e stabili le reti umane, sociali, tecnologiche, istituzionali che hanno messo in piedi o di cui comunque si sentono parte attiva; la capacità di fare, nel senso letterale del termine; la voglia di misurare l impatto, l incidenza, la congruenza, delle proprie idee. Con un omaggio al genio di Ludwig Wittgenstein e all intuizione della piccola Valeria, potremmo dire che il loro discorso acquista il suo senso dalle loro azioni, che per ciascuno di loro una cosa è vera quando la possono pensare e, con altri, realizzare. E innanzitutto per questo che le loro imprese sono in vario modo in grado di fare letteratura, possono diventare vere e proprie buone pratiche, com è d uso definire, con linguaggio specialistico, i comportamenti meritevoli di essere segnalati, diffusi, replicati. (19) Bisogna però non lasciarli soli. Come? Allargando l area dell impegno. Promuovendo la discussione pubblica. Diffondendo e collegando tra loro le esperienze. Facendo rete. Definendo metodologie e pratiche di governo fondate sulla responsabilità e la partecipazione. Evitando che a prevalere sia il lato oscuro della forza. Essendo fino in fondo consapevoli che ogni tentativo di assicurare stabilità, continuità, efficacia, alle iniziative che si reggono su reti di solidarietà, intorno a fini e obiettivi nobili, mostra una capacità di consolidarsi, di sopravvivere, di durare, di norma molto inferiore a quella che caratterizza le iniziative che invece si reggono su reti di interesse, più o meno legittimi che siano. Perseguire e soddisfare il proprio personale interesse è la molla fondamentale che determina i nostri modi di essere e di fare, i nostri comportamenti sul terreno individuale e sociale. Il fatto è che troppo spesso non riusciamo ad alzare lo sguardo nella misura necessaria, non sappiamo darci una prospettiva capace di andare oltre la contingenza. Non si spiegherebbe altrimenti la fatica con la quale ogni volta rinunciamo, in fondo per poche ore, a un bene individuale come l automobile, per tutelare un bene collettivo, nel caso specifico la qualità dell aria che respiriamo, mentre invece siamo molto meno turbati dalla necessità di andare in giro con i bus o la metro perché in centro non troveremmo un posto dove parcheggiare. Come si vede, la questione non è che il male che gli uomini compiono si prolunga oltre la loro vita, mentre il bene viene spesso sepolto insieme alle loro ossa (20). Si tratta piuttosto della vecchia storia, particolarmente cara ad Adam Smith, che ci dice che non è certo la generosità o la benevolenza del macellaio o del fornaio che ci consente di ottenere il nostro pranzo quotidiano, ma la valutazione che essi fanno dei propri interessi (21). E utile non perderla di vista questa vecchia storia, perché essa ci può aiutare a comprendere le ragioni per le quali spesso le esperienze che hanno per protagonisti i buoni, gli eroi senza macchia e senza paura, non crescono, non si diffondono, non sopravvivono ai loro ideatori, vittime essi stessi di una sorta di leaderismo, o peggio ancora di idolismo, involontario, una patologia che nel caso specifico possiamo definire come l oggettiva sovrapposizione, al limite dell identificazione, tra le diverse esperienze e coloro

17 che ne sono i principali ispiratori, promotori, protagonisti. Non ci si salva per diritto acquisito, per buona fede, per volontà. L impegno individuale non basta ad assicurare l immunità, come sanno bene Don Antonio Loffredo, Paolo Esposito, Osvaldo Cammarota, le stesse combattive componenti dell Associazione DonneSuDonne che, in quanto donne, si sono ritrovate a dare più forza al bisogno di coltivare la loro sensibilità verso il lavoro cooperativo, l impegno collettivo, la solidarietà tra le persone. Non a caso ciascuno di loro, indipendentemente dall ambito nel quale si trova ad operare, spende una parte significativa delle proprie energie proprio per radicare tra la gente e sul territorio le diverse esperienze, per dare loro forza autonoma, per renderle indipendenti da sé e da ogni altro, per collegarle ad altre esperienze. Senza legami forti tra solidarietà, responsabilità e soddisfacimento degli interessi, le reti si dimostrano inesorabilmente deboli, e con esse le interazioni, le relazioni, i flussi di comunicazione tra coloro che ne fanno parte e dunque la possibilità di ottenere risultati stabili, che permangono nella durata. La crisi della politica, le oggettive difficoltà che incontrano le prospettive di rilancio del processo deliberativo nell ambito dello spazio pubblico, sono strettamente correlate alla scarsa fiducia che i cittadini nutrono verso la possibilità di poter davvero incidere, con le proprie idee, i propri progetti, le proprie azioni, su ciò che accade intorno a loro, sulla realtà che li circonda. E di fatto tale sfiducia diventa tanto più razionale e motivata quanto più ci si sposta verso i piani alti della decisione politica, fino a raggiungere i livelli più elevati quando ci si trova al cospetto di scelte, avvenimenti, eventi, che hanno una dimensione sovranazionale, quando cioè il potere mostra tutta la sua forza proprio perché non è identificabile, localizzabile, raggiungibile, e le cose della Storia sembrano procedere con una forza propria, autonoma, indipendente dalle singole volontà dei diversi protagonisti. Sono le fasi in cui l evento, o perlomeno la forza e le conseguenze con le quali si manifesta, giunge inaspettato, si dimostra capace di travolgere tutto quanto fino a quel momento appariva consolidato, inattaccabile, inamovibile, e lo sforzo di partecipare appare troppo oneroso e sostanzialmente inutile anche agli occhi del più motivato dei cittadini. Per essere razionale, e stabile nel tempo, la scelta di partecipare alla discussione nell ambito dello spazio pubblico, di promuovere o di contribuire in maniera coerente e responsabile allo sviluppo di reti sociali, di cittadinanza, di solidarietà, deve necessariamente produrre, o comunque lasciare intravedere la possibilità che si producano, circuiti virtuosi, risultati verificabili, risposte concrete. E, oggettivamente, con la caduta degli dei delle ideologie, con la scomparsa dei miti legati all avvento della società nuova, di un futuro migliore a prescindere, tutto ciò è diventato straordinariamente più difficile. Cosicché mentre puliamo spiagge, facciamo girotondi, partecipiamo a scioperi e manifestazioni, e in questo modo sicuramente viviamo una vita più degna di essere vissuta, contribuiamo a migliorare tante piccole, meno piccole, talvolta grandi cose che in ogni caso sono importanti per noi, i nostri figli, i nostri amici, i nostri vicini, ecc., non riusciamo a liberarci della sensazione di non riuscire ad incidere sulle scelte vere, quelle grandi, importanti, e ci sentiamo come annichiliti dalla consapevolezza più o meno manifesta del baratro esistente tra le energie, le risorse, l impegno, il tempo, che spendiamo, e la scarsità dei risultati che riusciamo a conseguire. Quante guerre scoppiano, vengono dichiarate, si consumano, mentre siamo impegnati a manifestare la nostra sacrosanta indignazione contro quella che i media, più ancora che la nostra coscienza, ci mettono davanti agli occhi ogni giorno? Quante persone muoiono di fame mentre siamo alle prese con la drammatica necessità di aggiornare il software del nostro telefonino? Cosa possiamo realisticamente fare, in quanto singoli cittadini o in quanto componenti di associazioni, movimenti, organizzazioni no profit, partiti, e così via discorrendo, per invertire questa tendenza? Eccoci ancora una volta al cospetto della domanda fondamentale e impossibile, quella che ci fa chiedere se esiste un modo per incidere su quelli che ci appaiono come veri e propri Tsunami sociali, politici, economici, militari, su eventi di cui sappiamo che possiamo fare esperienza, ma che non riusciamo a comprendere pienamente. Ancora una volta, la domanda fondamentale e impossibile ci chiede di guardare non solo ai fatti che accadono, ma anche alle parole e ai concetti che usiamo per nominarli. Ancora una volta, le forme e i

18 modi attraverso i quali ciascuno di noi pensa, sceglie, decide o meno di partecipare, di provare ad avere un ruolo da protagonista, sono strettamente, verrebbe da dire indissolubilmente, legati alla possibilità di mettere a valore le reti di persone e di strutture esistenti, di partire da qui per conseguire risultati concreti, di ridare senso al bisogno di partecipazione. La nostra tesi è che non serve passare da un assunto che si è dimostrato dichiaratamente falso, quello per il quale la politica poteva fare praticamente tutto, ad un altro altrettanto falso come quello che sostiene che, dopo il crollo dei miti e delle ideologie del secolo breve, la politica non serve a niente. In realtà, anche se non può o non riesce a determinare, di per sé, il mutamento, la politica può mantenere la promessa democratica di interpretarlo affinché il gioco delle differenze, dei vantaggi e degli svantaggi che esso genera incessantemente possa regolarsi in un conflitto aperto ma pacifico, senza che una babele di linguaggi e di interessi degeneri nella guerra di tutti contro tutti. La nostra idea è insomma che il futuro della partecipazione politica sia legato in primo luogo proprio alla possibilità - capacità di tenere assieme domande e risposte di livello locale e globale. Con l aiuto di una straordinaria intuizione che dobbiamo al genio di Massimo Troisi, si potrebbe sostenere che, per prospettare percorsi credibili di partecipazione consapevole, di cittadinanza attiva, bisogna tenere assieme o miracolo, il piccolo, in fondo prevedibile, accadimento di ogni giorno, e O Miracolo (22), lo sconvolgimento in grado di determinare cambiamenti, soluzioni, effetti, risolutivi. La nostra è in definitiva una tesi a favore della possibilità che si realizzi la prospettiva di chi, costretto per una pluralità di ragioni e dalla contingenza del caso a vivere in un mondo disincantato, dove anche i punti di riferimento stabili non sono fissati una volta e per tutte, intravede comunque la possibilità di contribuire ad affermare una visione del politico fondata sulla moltiplicazione delle forme, dei luoghi, dei protagonismi, dei centri di forza vitali. Di chi pensa che una rete diffusa di cittadini che scelgono di vivere da protagonisti il loro ruolo nell agorà pubblica, una bella piazza, una consapevole classe dirigente, possa valere molto di più di un leader. Di chi è convinto che questa volta non si può semplicemente aspettare che passi la nottata. Perché la società è in preda ad un inarrestabile trasformazione e le teorie democratiche fanno fatica a reggere il peso dei cambiamenti. Perché comunque si evolvano regole e modi di governo, la partecipazione dei cittadini è necessaria, così come è dovuto il loro giudizio sull agire politico dei suoi rappresentanti e sulla loro coerenza. Nelle nostre società puzzle diventa insomma sempre più importante ciò che ciascuno di noi fa. Di fronte a una politica che talvolta delude e sempre più raramente attrae non resta, nel mutato paesaggio sociale e tecnologico, che continuare a parlare e agire, là dove siamo, nel momento in cui siamo. Provando a perseguire, responsabilmente, il modellamento di istituzioni che funzionino come arbitraggio dei discorsi di tutti i partecipanti; che si dimostrino capaci di ridurre, per quanto è possibile, le ineguaglianze che rendono, agli occhi di coloro che si ritrovano ad essere, senza averne colpa, svantaggiati, semplicemente incomprensibile l antica promessa democratica di poter essere, nell ambito dello spazio pubblico, partner di pari dignità. Tutto questo riporta al centro della nostra riflessione quella teoria della interdipendenza con la quale noi, fortunati abitanti della piccola parte ricca del mondo, abbiamo un rapporto da sempre problematico. Siamo noi a consumare la grande maggioranza delle risorse disponibili mentre gli altri, la maggior parte degli abitanti del pianeta, vivono in condizioni estremamente difficili. Soprattutto siamo noi che ci possiamo permettere i modelli e i livelli di consumo ai quali siamo abituati proprio in quanto e perché agli altri manca anche il minimo indispensabile. Dato questo sfondo, forse il dilemma non è più se arruolarsi o, peggio, ritrovarsi arruolati nelle schiere dei realisti o degli utopisti ; se ingrossare le schiere dei supporter dell idea che la politica è l arte del possibile o dei romantici innamorati di I have a dream ; e nemmeno basta prendere atto che nel mentre viviamo in città sempre meno sicure e più

19 caotiche e siamo alle prese con la riduzione del potere di acquisto di salari e stipendi, è del tutto irrealistico immaginare una politica capace di attrarre perché parla d altro, indipendentemente da quanto questo altro possa riferirsi a tragici e nobili problemi, argomenti, questioni, come la fame e la sete di milioni di bambini o la catastrofe provocata dallo tsunami. Anche questi sono semplicemente dei dati di fatto. Che ci ricordano che una politica in qualunque modo de-contestualizzata è sostanzialmente un non senso, come sanno tutti coloro che almeno una volta nella vita hanno rimproverato i propri figli perché non mangiavano le verdure mentre tanti altri bambini muoiono di fame, con il solo risultato di vederli sputare l insalata e agguantare felici i biscotti preparati dalla mamma o dalla nonna. Eppure tutto ciò semplicemente non ci autorizza a rinchiuderci nei nostri confini, a rassegnarci ad una prospettiva monocentrica o, peggio ancora, egocentrica. La politica per la quale vale la pena impegnarsi è una politica capace di non perdere di vista il fatto che i confini del mondo non coincidono con quelli dei paesi che partecipano alle riunioni del G7, che sa pensare e prospettare risposte possibili ai problemi che, qui e ora, ci ritroviamo ad affrontare con una prospettiva larga, un punto di vista generale. Ecco che il tema ritorna ad essere allora il modellamento di istituzioni internazionali in grado di dare credibilità e senso alle aspirazioni, all utopia, di una politica mondo che in qualche modo interpreti e rappresenti la necessità di pensare il nostro futuro in una logica di interdipendenza che rispetti, risparmi, valorizzi le diverse risorse presenti sul nostro pianeta. Si tratta di questioni che nelle agenda politiche dei diversi Stati hanno da tempo nomi precisi, a partire dalla riforma del ruolo dell Organizzazione delle Nazioni Unite. Si tratta come sappiamo di processi per loro natura lunghi e complessi, ma quel che è certo è che non può essere un solo Paese, al tempo attuale gli USA, a definire le strategie e le priorità politiche a livello mondiale. Dal punto di vista economico la globalizzazione si sta caratterizzando per l aumento piuttosto che per la riduzione degli squilibri a livello mondiale e ciò nel medio periodo corre il rischio di produrre conseguenze disastrose. Il modellamento di istituzioni transnazionali in grado di governare e bilanciare questi squilibri, in grado di affermare una concezione del globale, o se si preferisce del mondiale, come sintesi possibile e intelligente di ciò che accade a livello locale, delle singole nazioni, dei diversi continenti, dovrebbe essere vista semplicemente come una necessità da parte dei paesi dominanti, a partire dagli stessi Stati Uniti d America. Così come sarà naturalmente molto importante ciò che su questo terreno saprà dire, e fare, l Unione Europea. E verificare se in particolare le nazioni più forti sapranno mettersi definitivamente alle spalle una storia fatta di ricorrenti quanto in fondo inutili tentativi di preservare o conquistare spazi di supremazia per i singoli paesi. Per quanto possa oggi apparire improbabile, la politica mondo è il solo rimedio possibile all economia globalizzata e ineguale. Per quanto possa oggi apparire incredibile, la politica democratica mondiale ha un qualche futuro solo se cambia qualcosa di profondo nella testa e nell agire politico delle pubbliche opinioni dei paesi più ricchi. Oggi che la democrazia non ha di fatto alternative è più che mai necessaria, per il bene della democrazia, una svolta radicale, una vera e propria rivoluzione culturale fondata sull etica e sulla pratica della partecipazione. Come ricorda un antico detto popolare, nessuna noce riesce a fare rumore se resta da sola nel sacco, e dunque è decisiva la capacità di costruire reti stabili di cittadinanza. Esse non possono però essere rette sulla base della buona volontà, e neanche soltanto sulla base di nobili valori o buoni sentimenti: occorre tenere assieme valori, interessi, responsabilità. Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, ogni qualvolta questo legame è debole, o è assente, si indebolisce in maniera decisiva la possibilità di determinare azioni sociali in grado di produrre risultati. E la lunga tradizione che ci fa essere consapevoli che non c è battaglia, per quanto nobile, che possa reggere a lungo e produrre risultati se è vissuta e condotta soltanto sul terreno delle idee e dei valori, se non si salda con il terreno degli interessi e della responsabilità.

20 Come ci ricorda Vincenzo Cuoco nella sua impietosa, straordinaria cronaca dell esperienza vissuta dai napoletani in un glorioso 1799, non c è rivoluzione che possa essere vissuta ed essere vincente per altrui dono e non desiderata e conseguita dalla nazione intera per suo bisogno (23). Se dunque è necessario che ci siano tante noci nel sacco perché facciano rumore, ecco che ritorna attuale la necessità di essere protagonisti, di riuscire a mettere in circolo le diverse forze, di rinsaldare e sviluppare le reti sociali, di valorizzare tutte le risorse disponibili a cooperare e interagire. E nell ambito di questo processo che ci piace pensare che i vecchi, quelli che sanno guardare il passato e il futuro, insieme, e capire cosa è meglio per tutti (24), possano essere degli esploratori, i nodi intelligenti di una rete di cultura civica diffusa sul territorio. Si tratta a nostro avviso di un processo dalle enormi potenzialità, che non solo non nega, ma da più versanti sostiene e incentiva le capacità e il protagonismo delle giovani generazioni. Detto in altri termini, il fatto che la politica ha futuro se sa in primo luogo dare voce, rappresentanza, risposte, ai diritti di cittadinanza delle giovani generazioni è, e rimane, semplicemente un fatto, che sarebbe davvero complicato mettere in discussione. In un mondo che si trasforma ad un ritmo sempre più incessante, riuscire a dare ai più giovani, così uguali e così diversi, le ragioni e gli strumenti - dalla definizione di nuovi status alla possibilità di ripensare e rinegoziare i diritti di cittadinanza (formazione, lavoro, produzione culturale, ambiente, ecc.) - per pensarsi ed agire nella società da protagonisti, è assolutamente indispensabile. Ma proprio per questo non ci si può accontentare di leggere e interpretare i rapporti tra le generazioni esclusivamente dal versante anagrafico, o, ancora peggio, economico, come se tutto potesse essere ridotto ad una faccenda di contributi previdenziali e assistenziali versati o da versare. C è altro, molto altro, da considerare. Ad esempio che parole, concetti e valori come libertà, democrazia, diritti, uguaglianza, tutela della proprietà, moralizzazione dell interesse, hanno tutte un età veneranda. Che in vecchiaia, man mano che i fattori psicologici e culturali temprano e addirittura sopraffanno l eredità genetica e il suo fine della propagazione, svolgono un ruolo sempre maggiore i sentimenti di altruismo e di benevolenza nei confronti degli estranei. [ ] Ci si sofferma maggiormente sui valori, e qualità come la decenza e la gratitudine diventano più preziose dell accuratezza e dell efficienza. [ ] (25). Che la vita media si allunga e i vecchi crescono in numero assoluto e in percentuale, in particolare nella parte di mondo economicamente più sviluppata. Che nel mondo occidentale esiste una tradizione importante e nobile che vede le persone più anziane in prima fila nelle battaglie sociali, per la difesa della democrazia e delle libertà. E la tradizione alla quale si è riferito tra gli altri Robert D. Putnam raccontando di quella che ha definito la lunga generazione civica. (26) E quella stessa tradizione che fa sì che in Europa, con alcuni tratti specifici particolarmente interessanti nel nostro Paese, milioni di pensionati militino nel sindacato, si impegnino nel volontariato, siano in prima fila nelle lotte per la pace, i diritti, il lavoro, la solidarietà. La nostra idea è che tale tradizione possa essere ulteriormente rinvigorita, essere vissuta in maniera più attiva e consapevole, rappresentare uno straordinario background cui fare riferimento, dal quale attingere, nel quale far crescere e consolidare, a partire dalle generazioni più giovani, un più vasto e diffuso senso civico, una più ampia consapevolezza dell importanza della partecipazione nell ambito dello spazio pubblico. Si tratta ancora una volta di un idea impegnativa. Di una scommessa difficile. Gli armadi polverosi della storia traboccano di grandi valori e opportunità sprecate o anche solo mai colte. Saper guardare avanti e indietro può non bastare. Così come non basta la voglia di lasciarsi alle spalle l insinuante sensazione di spreco, la perdita di senso, che permea le nostre giornate e le nostre vite. In questa nostra società frantumata, frullata, individualizzata, appare sempre più difficile

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