Dispensa di METODOLOGIA E LOGICA GIURIDICA a.a (SEDE DI ROVIGO) (PROF. ENRICO MAESTRI)

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1 Dispensa di METODOLOGIA E LOGICA GIURIDICA a.a (SEDE DI ROVIGO) (PROF. ENRICO MAESTRI) (avvertenza: la dispensa è riservata solo a coloro che hanno frequentato il corso) OGGETTO Ultima parte delle lezioni Questa dispensa si articola in quattro parti (a cui corrispondono quattro argomenti). Le prime due parti contengono delle chiarificazioni su due argomenti già affrontati a lezione. Il primo argomento riguarda la divisione tra letteralismo e anti-letteralismo e le loro rispettive ramificazioni. Il secondo argomento (anch esso già affrontato a lezione) riguarda la tesi dei diritti come ragioni. Il terzo argomento invece è nuovo e costituisce l oggetto dell ultima lezione, che non è stata tenuta nella data prefissata per indisposizione del docente. Questo tema riguarda l importanza e lo sviluppo contemporaneo del diritto internazionale (cap. VI Pastore). Il quarto e ultimo argomento riguarda una breve guida, per punti essenziali, al testo della sentenza Englaro (si specifica che gli argomenti elaborati dalla Corte nel testo della sentenza vanno studiati con attenzione; la guida che qui si propone serve solo ad aiutare a mettere a fuoco con più facilità gli argomenti adotti dalla Corte per l autorizzazione alla interruzione dei sostegni vitali artificiali sui quali dipendeva la vita di Eluana Englaro). Primo argomento prima specificazione su testo e contesti: Solitamente in letteratura si tende a distinguere in due grandi correnti i diversi approcci al testo giuridico: il letteralismo e l anti-letteralismo. Il letteralismo è quella corrente che ripone un atteggiamento linguisticamente fiducioso sulla lettera del testo. Il testo si può interpretare secondo il significato semantico della lettera attraverso cui è stato scritto. Il significato semantico del testo è chiaro. L anti-letteralismo nega questa posizione facendo leva sulle ben note caratteristiche semantiche che affliggono il linguaggio: la sua ambiguità e la sua indeterminatezza. Da questi due grandi correnti mainstream si sono sviluppate alcune ramificazioni, sia in continuità sia in forma critica con la loro matrice. Dal letteralismo si sviluppa il testualismo: la differenza consiste nell abbandonare la fiducia sull elemento semantico del testo per affidarsi all elemento sintattico del testo. Il testo infatti presenta due dimensioni logico-grammaticali: la dimensione semantica e la dimensione sintattica. Il testualismo è la corrente che 1

2 afferma che per interpretare un testo è necessario analizzare la sintassi attraverso la quale è stato espresso (non è sufficiente il solo elemento semantico). Dall anti-letteralismo si ramifica il contestualismo. Una corrente interpretativa secondo la quale il testo va interpretato secondo lo specifico contesto extralinguistico alla luce del quale la disposizione deve essere interpretata. Secondo taluni ermeneutici, il contesto extralinguistico è sociale: questa posizione, seppur sostenuta, però rischia di cadere nel sociologismo, con la conseguenza che un testo verrebbe adattato alla situazione sociale in cui deve essere applicato (al limite se di contesto sociale si vuole parlare, si potrebbe pensare al contesto valoriale, comprendente quello sociale). Appare più coerente la posizione di coloro che tra gli ermeneutici ritengono che con l espressione contesto extralinguistico si faccia riferimento al CON- TESTO cioè al riferimento di nuove situazioni che l ordinamento giuridico ha recepito e alla luce delle quali il testo deve essere interpretato. Il con-testo è qui propriamente ordinamentale. La norma va contestualizzata inserendola nell ordinamento e applicandola ai fatti concreti. Il contesto può essere definito anche in una terza e diversa accezione: contesto inteso come comunità interpretativa (Dworkin): la norma va contestualizzata secondo l evoluzione dell ordinamento e secondo la consolidata prassi interpretativa della comunità degli interpreti. Dal testualismo si ramifica l intenzionalismo. Spesso l intenzionalismo viene descritto come critica al letteralismo: questa tesi è esatta ma si deve tener conto che l intenzionalismo è pur sempre un formalismo interpretativo originario. Esso contesta coloro i quali si accontentano di reperire il significato solo dalla lettera del testo prodotto, mentre per l intenzionalismo sarebbe opportuno risalire alla lettera del testo preparatorio del documento giuridico. In questo senso, l intenzionalismo non ha nulla a che fare con il senso psicologico di colui o di coloro che hanno prodotto il documento giuridico, ma riguarda l intenzione dell autore in un senso oggettivo, cioè formalizzato nei lavori preparatori. Sull altro versante, dal contestualismo si ramifica una versione radicale, chiamata decostruttivismo (Derrida, Fish) secondo la quale qualsiasi testo, sia esso giuridico sia letterario, possiede un significato che non è dissociabile dalla ricezione (teoria della ricezione) e dalla attiva collaborazione costruttiva del ricevente (lettore, utente, interprete). Il testo non precede l interpretazione ma ne è la conseguenza. Non esiste un significato indipendente da quello attribuito dal ricevente (ecco perché si parla di una decostruzione del testo). Infine, a partire dagli anni 70/80 si è assistito in ambito americano ad una diatriba tra originalisti e non originalisti. L originalismo rientrerebbe nell alveo del letteralismo e dell intenzionalismo originario, in quanto predica che la costituzione americana debba essere interpretata secondo la lettera e le intenzioni dei padri costituenti. I principi fondamentali accettabili sono solo quelli che si ricavano dalla lettura originalista dei lavori dei padri costituenti. I non originalisti sono una ramificazione costituzionale dei contestualisti, in quanto affermano una interpretazione evolutiva della costituzione americana. L interpretazione del documento costituzionale evolve unitamente all evolvere delle situazioni, dei convincimenti e delle istituzioni. Nella polemica tra originalisti e non originalisti, Dworkin ha assunto un posizione intermedia, che pur ammettendo la rilevanza dell intenzione del diritto, riconduce l intenzione del documento costituzionale non tanto alle intenzioni dei padri costituenti, quanto alla tradizione interpretativa di una comunità, capace di esprimere una propria concezione coerente e di giustizia: si tratta della nota tesi del diritto come integrità (di cui abbiamo già parlato nelle lezioni precedenti) secondo la quale tra le tante interpretazioni è preferibile quella che presenta una sua congruenza interna che garantisce l integrità cioè una complessità coerente come valore inderogabile del sistema giuridico. 2

3 Se dunque è vero che il testo giuridico e il testo letterario sono accomunati dal requisito della narratività (si pensi al diritto come poema epico di Dworkin) è altresì vero che esistono delle differenze tra i due tipi di testo; queste differenze dimostrano che la teoria della ricezione di Fish non può essere applicata a qualsiasi tipo di testo. Le differenze tra testo giuridico e testo letterario sono: 1. Diversità dei ruoli ricoperti tra il giudice-ricevente e il critico letterario-ricevente: di fronte ad un conflitto interpretativo l ultima parola spetta al giudice, lo stesso non vale per i lettori o per i critici letterari; 2. Il diritto rispetto alla letteratura ha la funzione di stabilire dei punti fermi: il diritto si esprime sempre attraverso un linguaggio prescrittivo; 3. Il testo giuridico a differenza di quello letterario ha la funzione di orientare i comportamenti (funzione deontica); 4. nel testo giuridico e nel testo letterario le espressioni linguistiche e le forme del testo sono diverse ed incomparabili. Seguono canoni formali diversi. Secondo argomento seconda specificazione I diritti come ragioni. Abbiamo detto a lezione che la tesi dei diritti come ragioni è uno dei fattori che più di ogni altro ha contribuito a mutare il volto della gerarchia a piramide delle fonti a favore di una struttura a rete delle fonti. I diritti come ragioni stanno ad intendere argomenti capaci di pretendere qualcosa, pur in assenza di un quadro normativo di jus cogens che li riconosce e li definisce. In pratica la fonte, o meglio le fonti di questi diritti sono di natura morale, di natura linguistica e di natura giurisprudenziale. Di natura morale in quanto sono l esito di rivendicazioni, di bisogni, di aspettative positive che componenti o individui della società contemporanea pluralista rivendicano (si pensi alla rivendicazione del matrimonio omosessuale, alla rivendicazione dell adozione anche per i single, si pensi alla richiesta al nome neutro né maschile né femminile, si pensi alla richiesta di accesso alla fecondazione assistita da parte di chiunque lo desideri, ecc. ecc.). In ambito anglosassone questi diritti vengono chiamati moral rights (in contrapposizione ai legal rights ). Di natura linguistica in quanto il linguaggio dei diritti pervade in ogni suo ambito la giuridicità contemporanea, non solo nei documenti di hard law ma e soprattutto nei documenti internazionali e transnazionali di soft law. Il linguaggio dei diritti diventa, secondo questo approccio, il linguaggio del diritto globale. Di natura giurisprudenziale in quanto spesso questi diritti gemmano attraverso una attività giurisprudenziale di tipo creativo (si pensi paradigmaticamente all attività della Corte di giustizia dell Unione europea). Le conseguenze di questa impostazione sono: 1. diritti che hanno funzione normogenetica (essi precedono le norme che li dovrebbero riconoscere); 2. diritti superiori alle sovranità nazionali seppur democratiche, rompendo il tradizionale link di co-originarietà tra sovranità democratica e diritti; 3. diritti globali, cioè essi aspirano ad avere una forza geopolitica spaziale, non più solo territoriale, che si impone in ogni angolo del pianeta. A questo approccio, complementare a quello che ritiene possibile una forma di cosmopolitismo giuridico che salta a pié pari la rigidità e le ingiustizie degli Stati nazionali sovrani, si possono muovere numerose critiche. Qui ne espongo solo alcune: i diritti come ragioni sono diritti universali? Pare proprio di no, ad esempio i diritti politici spettano solo ai cittadini; 2. I diritti come ragioni sono pensabili come rivendicazioni a 3

4 pretendere qualcosa. Qui però nasce un problema sia di giustiziabilità sia di capacità di rivendicare qualcosa poiché rivendicarli significa che già qualcuno non te li riconosce (ma allora quale è la loro fonte giuridica?) e conseguentemente si rischia di avere a che fare con diritti di carta non giustiziabili, non solo per mancanza di una specifica struttura normativa giurisdizionale competente a fare giustizia ma anche perché si lascia l onere della rivendicazione a carico del soggetto debole che ha subito il non riconoscimento del suo diritto. Non si capisce alla fin fine quale sia la struttura deontica dei diritti come ragioni: come si possono fondare dei diritti sulla capacità di rivendicarli???; 3. Il rischio è che a tanti, tantissimi, diritti innominati (impliciti) non corrisponda alcun dovere attivo, con la conseguenza di lasciare soli gli individui che si sentono lesi nelle loro aspettative; 4. I diritti come ragioni sono funzionali al sistema graduato di soft law delle fonti in quanto si dimostrano non tanto ragioni per rivendicare qualcosa quanto piuttosto ragioni per addomesticare le persone a restare sole con le proprie capacità di poter rivendicare qualcosa. TERZO ARGOMENTO COMUNITA INTERNAZIONALE, SPAZIO GLOBALE, ISTITUZIONI GIUDIZIARIE Solo con il graduale mutamento del paradigma dominante nel diritto internazionale il Modello di Westfalia avvenuto a partire dal secondo dopoguerra con la carta delle Nazioni Unite può aprirsi la possibilità per una internazionalizzazione dei diritti umani. Infatti secondo il Modello di Westfalia (dalla Pace di Westfalia 1648 che pose fine alla Guerra dei Trent anni) i soggetti del diritto internazionale sarebbero esclusivamente gli Stati. Nel modello della Carta delle Nazioni Unite del 1945 invece lo status di soggetto di diritto internazionale non spetta solo gli stati sovrani, ma anche alle organizzazioni internazionali, ai popoli e agli individui. La progressiva affermazione dei diritti umani a livello internazionale è a sua volta un fattore propulsivo per il cambiamento del diritto internazionale stesso. Si sono sviluppate varie posizioni teoriche rispetto alla natura delle norme emergenti nella sfera internazionale. Una prima posizione, realista, è quella che nega la natura propriamente giuridica delle norme internazionali ed è disposta a riconoscere in tali norme al massimo delle autolimitazioni degli Stati derivanti e dipendenti del consenso statale. La seconda posizione è quella degli idealisti che difendono la giuridicità del diritto internazionale e per i quali questa deriverebbe della natura intimamente universale dei principi da esso espressi: tale posizione emerge nelle riflessioni di Pastore sul diritto internazionale. La terza posizione è quella dei riformisti che sottolineano i passi ancora da compiere per il diritto internazionale verso la piena realizzazione al suo interno del principio di legalità. Infine la quarta posizione che spetta ai critici che riconoscono alle norme internazionale natura giuridica ma ne denunciano il potenziale discriminatorio in varie direzioni ad esempio nei confronti delle donne e dei popoli. Sotto il profilo teorico giuridico il diritto internazionale è concepito come un insieme di norme primarie (di condotta) frutto della volontà degli Stati che ad esso affidano la regolazione di materie residuali rispetto alla sfera di esercizio della sovranità interna. Le norme del diritto internazionale non costituiscono un ordinamento in senso proprio nella misura in cui rinviano ad un elemento esterno, cioè alla volontà statuale per il reperimento del loro fondamento di validità. Agisce qui come del resto accade anche per il livello politico la premessa metodologica della cosiddetta analogia domestica. Si muove cioè dal presupposto che la Società internazionale dovrebbe riproporre una 4

5 struttura analoga a quella dello Stato. Facendo riferimento alla prospettiva elaborata da Hart, potremmo dire che in tale prospettiva diritto interno e diritto internazionale presentano delle analogie quanto funzione e contenuto ma non nella struttura presentandosi l'ordinamento internazionale di un livello normativo decisamente privo di quelle norme che conferiscono poteri (norme secondarie). Ne consegue che le norme internazionali non costituiscono autonomamente un ordinamento giuridico in senso proprio ma risultano strutturali come ordinamento solo a partire dalla loro connessioni con gli ordinamenti interni e in definitiva con la volontà statale. Una lettura del diritto internazionale interna al giuspositivismo eppure fortemente innovativa è quella introdotta da Kelsen. Pur aderendo alla visione positivista del diritto internazionale, Kelsen mira a riformulare la qualificazione giuridica dell'ordinamento internazionale. L impegno di Kelsen si spinge sino (1) alla difesa della prospettiva monistica circa i rapporti tra ordinamenti interni e ordinamento internazionale in base alla quale i primi sarebbero da intendersi come parte del secondo ad esso subordinate; (2) alla difesa della giurisdizione internazionale rispetto alla quale si propone di introdurre il principio della obbligatorietà come fulcro per il rafforzamento del diritto internazionale e per la creazione di un sistema di rapporti inter-statali improntato la pace. Tuttavia il presupposto dell'analogia domestica non risulta assente neppure nella prospettiva di Kelsen. Sia Hart sia Kelsen convergono infatti nel ritenere che l'ordinamento internazionale si trova in uno stato di evoluzione meno avanzato (cioè primitivo) rispetto a quelli interni e se Hart non esclude che ci potrà essere un avanzamento capace di rendere l ordine internazionale del tutto analogo nella struttura al diritto interno, Kelsen appare convinto del futuro verificarsi tale evento. A ben vedere però né la lettura hartiana né la lettura kelseniana appaiono completamente adeguate per dare conto della reale struttura internazionale oggi. Quest'ultimo infatti oggi è l'insieme delle regole giuridiche dei rapporti tra gli stati e le organizzazioni internazionali nonché tra gli Stati e gli individui intesi come destinatari diretti di norme internazionali soprattutto in materia di tutela dei diritti umani. Il diritto internazionale risulta attraversato da processi di segno diverso sintetizzabili come: 1. processo di deformalizzazione relativamente ai criteri di identificazione del diritto stesso e delle fonti; 2. processo di frammentazione; 3. processo di costituzionalizzazione. Quanto alla deformalizzazione possiamo fare riferimento al fenomeno di diffusione della funzione di produzione normativa, all'accrescimento di importanza del soft law e dell'autoregolazione, alla moltiplicazione delle fonti nonché al complessificarsi dei loro rapporti reciproci. Esempio paradigmatico di questo processo di deformalizzazione è la nuova Lex Mercatoria. Quanto alla cosiddetta frammentazione del diritto internazionale costituisce a sua volta un fenomeno estremamente complesso ed articolato che comprende alcuni esiti potenzialmente negativi e disgreganti causati dall'assenza di centralizzazione produttiva, dalla crescente specializzazione del diritto internazionale, dall esistenza di regolazione parallela e concorrente in diversi regimi. Esempio paradigmatico è l entità dei fenomeni di forum shopping. Infine un approccio interessante è quello che vede il costituzionalismo come un'architettura mirante ad elaborare una lettura del diritto internazionale tendenzialmente opposta a quella caratterizzata da un'enfasi posta sull'accordo, sulla differenziazione e sulla deformalizzazione derivane dal crescente ruolo svolto dagli attori non statali (corporations, law firms, ONGs, RSI, ecc). Il costituzionalismo conferisce alle norme internazionali la capacità di assegnare carattere e significato universali alle esperienze. In conclusione dobbiamo tenere conto che nel diritto internazionale contemporaneo si presentano elementi di novità: 1. Il ruolo crescente degli attori non statali: i fenomeni della legalità dispersa e dell'autorità diffusa. Il ruolo crescente degli attori non statali rispetto alla produzione e all enforcement del diritto 5

6 internazionale è uno dei fattori di trasformazione centrale del diritto internazionale contemporaneo. 2. La complessità della nozione di comunità internazionale. In primo luogo considerando i valori in gioco, quando tale nozione viene invocata, si può sostenere che la comunità internazionale coincide sia con una comunità di Stati sia con una comunità di individui e gruppi. In secondo luogo, essa si configura secondo una struttura multilivello attraverso mutevoli intersezioni tra comunità e individui che deliberano a differenti livelli (nazionale, transnazionale, internazionale, sopranazionale) coinvolgendo di volta in volta i soggetti interessati. In questo senso vi è chi afferma che il concetto di comunità internazionale è strutturalmente inclusivo nei confronti degli attori non statali. 3. Teoria delle fonti e concezione del diritto internazionale. L'emersione della categoria di attori del diritto internazionale, la complessità propria della nozione di comunità internazionale e i mutamenti nelle competenze e nel ruolo svolto dal diritto internazionale dovrebbero retroagire anche sulla comprensione della natura del diritto internazionale e delle sue fonti, soprattutto nel senso di evidenziarne le potenzialità inclusive. Il diritto internazionale presenta le caratteristiche di un sistema aperto che si va attuando e che vive una lenta ma progressiva evoluzione entro una realtà che vede la comunità internazionale passare al livello di una semplice coesistenza tra Stati, nel rigoroso rispetto della loro reciproca sovrana tendenza, alla fase di una cooperazione attiva a carattere istituzionale, imposta dall'emergere gli orientamenti di carattere universalistico che spingono verso un ordine giuridico mondiale, i cui soggetti non sono più solo gli Stati, ma anche le varie organizzazioni internazionali, gli individui e popoli. L'inizio di questa fase è sanzionato dalla carta dell'onu del '45, che subordina la sovranità statale a due norme fondamentali: il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale e la tutela dei diritti umani. Fine è questo un processo che ha visto svolgere un ruolo rilevante a quell'istituzione cioè alla corte internazionale di giustizia definita come il principale organo giurisdizionale delle nazioni unite, il cui operato ha risposto puntualmente ad un mutamento di struttura della comunità mondiale. Alla corte internazionale di giustizia si sono andati aggiungendo in questi decenni numerosi tribunali istituiti per risolvere controversie sorte in ambiti definiti o in settori specialistici dell'ordinamento internazionale. Tra gli altri si annoverano la corte di giustizia delle comunità europee, la corte europea dei diritti dell'uomo, la corte interamericana dei diritti dell'uomo, il tribunale internazionale per il diritto del mare, il sistema dei panels GATT/WTO e il similare sistema del NAFTA, i tribunali amministrativi delle nazioni unite e la corte penale internazionale. Fine in questa prospettiva se come afferma Kelsen il diritto internazionale è un diritto primitivo in quanto caratterizzato dalla tecnica della autotutela e dalla mancanza di organi particolari incaricati dell'applicazione delle norme giuridiche ad un caso concreto, allora guardando all'attuale pluralità de vitalità dei tribunali internazionali bisogna riconoscere che tale diritto primitivo non è. L'odierno diritto internazionale pone in evidenza il ruolo dei giudici e della dottrina. In questo senso è possibile parlare della presenza significativa di un momento giurisprudenziale del diritto internazionale. La moltiplicazione delle istituzioni di tipo giudiziario è avvenuta anche in relazione all'ampliamento degli attori presenti sulla scena mondiale. La positivizzazione giuridica infatti dipende sempre più da una pluralità di soggetti che entrano in gioco. Si tratta di soggetti pubblici ma anche di soggetti privati che concorrono a configurare una situazione di significativi cambiamenti nella sera della sovranità internazionale. Si va disegnando un ordine giuridico transnazionale fluido poroso elastico e pluralistico. Ciò produce aspetti di indeterminatezza e di elevata variabilità. Ma tale ordine si mostra disponibile a recepire il contributo di nuovi soggetti. Viene radicalmente messa in discussione in tal modo la tesi giuspositivistica dello Stato centrismo. Il diritto internazionale svolge la funzione di governare le relazioni internazionali in un contesto articolato altamente pluralistico. Esso comunque è caratterizzato da una dimensione fondamentalmente 6

7 convenzionale cioè pattizia ed ha bisogno di un quadro giuridico sottratto alla disponibilità dei soggetti, di un tessuto connettivo, di un complesso di regole nazionali generalmente riconosciute. In questa direzione lo sviluppo di un diritto convenzionale su base multilaterale e universale si colloca all'interno del processo di crescente istituzionalizzazione della società internazionale. Le istituzioni giudiziarie si candidano a essere elementi centrali rispetto alle attuali dinamiche della società internazionale. Il diritto giurisprudenziale si pone come espressione di un diritto che nasce non tanto come regola imperativa posta dall'alto quanto come regola che viene elaborato dalle corti. Le istituzioni giudiziarie nel contempo risolvendo in modo imparziale controversie svolgono un ruolo rilevante nel determinare forme di legittimità e di equità nell'ordinamento internazionale. Ciò è testimoniato dalla creazione della corte penale internazionale la cui giurisdizione riguarda i crimini contro l'umanità, il genocidio, i crimini di guerra, l'aggressione. La nascita di tale corte segna una parte importante nel processo di crescita della comunità internazionale nel segno della legalità e della giustizia. Le dinamiche interne all'attuale contesto internazionale caratterizzate in buona misura dai processi di globalizzazione e di frammentazione mettono in crisi la configurazione della sovranità affermatasi storicamente con l'evoluzione della forma organizzativa dello Stato moderno. La giuridicità fuoriesce dai binari statali e si articola variamente riguardando l'autorità di soggetti ufficiali e non ufficiali, pubblici e privati. Il nuovo assetto giuridico internazionale quale si è venuto evolvendo a partire dal dall'adozione della carta delle nazioni unite cerca di attenuare gli effetti del vecchio sistema (modello di Westfalia jus inter pares ) attraverso la creazione di organizzazioni a vocazione universale, il divieto dell'uso della forza, la riduzione del decentramento delle funzioni giuridiche e l'affermarsi di meccanismi idonei a facilitarne l'operatività, la concessione di un ruolo sulla scena mondiale agli individui con il riconoscimento dei loro diritti nell'ottica del costituzionalismo. L esistenza di una controversia si pone come condizione indispensabile per l attività giurisdizionale. Ma la dimensione volontaristica e pattizia dell ordinamento internazionale incide notevolmente sull esercizio giurisdizionale. La competenza di un tribunale internazionale a risolvere controversie mediante sentenze sussiste soltanto nei confronti dei soggetti che lo istituiscono e soltanto in ordine alle controversie per le quali è istituito. Il fondamento della giurisdizione rimane comunque sempre la volontà degli Stati. Un giudice internazionale non potrà mai giudicare se la sua competenza non è stata preventivamente accetta dagli stati parti di una controversia. Tale caratteristica ha indotto molti studiosi ad equiparare la figura del giudice internazionale con quella dell arbitro. Questa tesi è da rifiutare per una diversità funzionale tra arbitrato e giurisdizione internazionale. Se pure è vero che in diritto internazionale la soluzione della controversia presuppone il consenso degli stati, va evidenziato che l organismo giurisdizionale è dotato (diversamente dall arbitrato) di un proprio ordinamento procedurale, che risulta particolarmente idoneo a svolgere i compiti di risoluzione delle controversie attraverso giudizi obiettivi e imparziali. L istituzionalizzazione del processo in ambito internazionale ha una lunga vicenda che si conclude con la nascita della Corte internazionale di giustizia, come organo delle Nazioni Unite. Essa costituisce un corpo permanente di giudici indipendenti eletti dall assemblea generale e dal consiglio di sicurezza tra persone di alta levatura morale, che posseggano i requisiti richiesti nei loro rispettivi paesi per la nomina alle alte cariche giudiziarie. La corte opera sulla base di precise e complesse regole di procedura inderogabili delle parti. Svolge le funzioni di decidere le controversie che gli stati intendano sottoporle, di esprimere pareri su qualsiasi questione giuridica a richiesta di istituzioni specializzate dell ONU. La corte decide le controversie che le sono sottoposte in base al diritto internazionale ai sensi dell art.38 dello statuto applicando: le convenzioni internazionali, la consuetudine internazionale, i principi generali riconosciuti, le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più qualificati delle varie nazioni. È da sottolineare che l art. 38 dello statuto della corte internazionale fotografa il quadro delle fonti del diritto internazionale, dimostrando una notevole varietà dei modi di produzione giuridica, che risulta affrancata dal dogma della volontà statale come esclusivo fondamento normativo. Tale articolo inoltre non stabilisce alcun ordine di priorità, alcuna gerarchia 7

8 tra le fonti: è attraverso la prassi interpretativa libera della Corte che vengono individuati i criteri di validità e di identità dell ordinamento. Questa complessa attività ermeneutica rende di fatto la giurisprudenza della corte un decisivo fattore di positivizzazione del diritto. In questa direzione è da sottolineare il contributo dato dalla corte al rispetto degli obblighi erga omnes in materia di diritti umani. I processi di globalizzazione giuridica che caratterizzano l epoca odierna complicano ulteriormente il quadro delle fonti e dei materiali normativi caratterizzanti il diritto internazionale. Si intravede un passaggio dal diritto internazionale ad una forma di diritto transnazionale o di diritto globale: quest ultimo sarebbe caratterizzato da una incontrollabile moltiplicazione di regolamenti, accordi, normative interne alle organizzazioni internazionali, sistemi di regolazione, soluzioni di contenziosi. Il diritto globale sussiste in modo frammentato, costituito da sfere parziali di tipo reticolare e dalla compresenza di attori sociali diversi. Ne consegue una deformalizzazione del diritto: si è cioè in presenza di un pluralismo degli ordinamenti e di una rete complessa di istituzioni, enti, sistemi articolata a più livelli. Il diritto globale, così, non è più riconducibile al diritto internazionale, ma rinvia ad una pluralità di rapporti riguardanti il nuovo assetto mondiale libero da confini. Si sviluppa una emergente giurisprudenza globale, una mondializzazione della giustizia, una ubiquità giudiziaria, una proliferazione delle corti in ambito sovranazionale che allenta definitivamente il rapporto tra giurisdizione, sovranità e territorio, posto che le parti, l oggetto della controversia, il diritto applicabile non sono più nazionali. Si prefigura una comunicazione trans-giudiziale dove i giudici si impegnano in un dialogo. Le corti parlano e ascoltano. Sono al contempo autori e destinatari di norme. Interagiscono secondo modalità discorsive. Si riconoscono a vicenda perché fanno riferimento agli sessi metodi interpretativi e rispettano le stesse regole procedurali (fenomeno che viene chiamato di fertilizzazione tra le norme convenzionali interne e le altre fonti di diritto internazionale). QUARTO ARGOMENTO Sentenza Corte di Cass. n /2007 (Caso Englaro) Una guida Il 18 gennio 1992, Eluana all età di 22 anni ebbe un gravissimo trauma cranio-cerebrale, in conseguenza di un incidente: si rilevarono due fratture, al cranio e alla colonna cervicale. C'erano raccolte di sangue in uno degli emisferi e sofferenze nel talamo. Era entrata in coma, era senza riflessi e respirava, non in maniera sufficiente. Era paralizzata nei 4 arti e fu intubata (durante la c.d. golden hour). Entrò in uno stato cosiddetto vegetativo persistente. Però, ad un accertamento approfondito risultò che il ritmo sonno-veglia continuava ad agire. Sembra non esserci alcun segnale di consapevolezza di sé e dell'ambiente, né sussiste alcuna capacità di interazione con l'altro. In realtà, pur se in remissione e con le reti neurali inattive, il campo coscienziale e tutti i processi funzionali sono perfettamente funzionanti. La persona che si trova in quello stato sembra non comprendere il linguaggio verbale altrui, ma in realtà può comprendere ogni significatosignificante: il fatto che il ritmo sonno-veglia continui a manifestarsi è un indicatore sensibile di questa possibilità. Ad Eluana, il trauma ha provocato un'emorragia nell'emisfero sinistro e un danno diffuso alle fibre nervose della sostanza bianca degli emisferi (diffuse axonal injury). Non ci sono collegamenti fra corteccia cerebrale e centri nervosi sottostanti. Accade che il campo coscienziale non possa più stimolare e attivare la corteccia cerebrale, attraverso cui si specializza in processi cognitivi e non può comandare i muscoli del corpo. Dove il campo coscienziale non trova elementi lesionati esso attiva le funzionalità corrispondenti. Nel caso di Eluana, ha determinato la ripresa della respirazione spontanea e dell'alternanza sonno-veglia. Da questo quadro è stato diagnosticato lo stato vegetativo persistente, senza possibilità di recupero delle funzioni cognitive. Sembra essere uno stato stabile e, quindi, il campo coscienziale trova nel corpo lesionato di Eluana 8

9 una possibilità di esprimersi e di tenerla in vita, nell'accezione comune, il che può potenzialmente continuare per decenni. Il suo soma produce funzioni viscerali (quelle non lesionate). Infatti, ad esempio, il suo tubo digerente assimila cibo (anche se questo viene introdotto attraverso un sondino nasogastrico), il suo intestino produce feci (anche se devono essere estratte attraverso clisteri), il rene elimina le scorie, producendo urina, anche se si deve utilizzare un catetere. Respira senza ausili esterni. Dopo l interruzione dell alimentazione e della idratazione artificiali, a seguito di asportazione del sondino naso-gastrico, Eluana muore il 9 febbraio La Corte di Cassazione con sentenza n /2007 individua due criteri che consentono al tutore di un paziente in stato vegetativo permanente [rectius: persistente; l aggettivo permanente è stato bandito nel Congresso mondiale di neurologia nel 1997] (SVP) di ottenere dal giudice, in contraddittorio con il curatore speciale, l autorizzazione a sospendere i trattamenti di idratazione e alimentazione artificiali che tengono in vita l incapace. Tali condizioni, che devono essere cumulativamente sussistenti, sono: 1. l irreversibilità accertata dello SVP (vedi punto 8 della sentenza) 2. la riconduzione dell istanza di sospensione alla volontà del paziente, desunta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dal suo complessivo sistema di vita ( semprechè tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l idea stessa di dignità della persona ). (vedi punto 8 della sentenza) In 1) e in 2) sono presenti due questioni di capitale importanza per la risoluzione del caso Englaro. In 1) si parla di irreversibilità dello stato vegetativo persistente. In questo modo si equipara lo stato vegetativo al coma profondo irreversibile; tuttavia a differenza del secondo è discutibile predicare l irreversibilità dello stato vegetativo persistente essendo una condizione basata su un mero giudizio prognostico-statistico, visto che lo stato vegetativo non esclude una attività cerebrale che permette di far funzionare gli organi vitali. In 2) si afferma che la decisione di sospendere i trattamenti di nutrizione e idratazione tramite sondino nasogastrico deriva dalla volontà della paziente. In che modo? Si sono verificati i requisiti previsti dalla legislazione costituzionale (artt. 2, 13, 32 cost.) e ordinaria (l. 833/1978) e dalla giurisprudenza consolidata (vedi punto 6 della sentenza) sul consenso informato? Scelta e informazione sono stati deliberati effettivamente e chiaramente da Eluana? È stato rispettato il requisito dell attendibilità (forma scritta, data certa, ecc.)? E stato rispettato il requisito dell attualità (here and now), per cui la volontà è stata espressa in termini prossimi, possibili di revisione, e si è verificato se tale volontà è persistita nel tempo? E in particolare con riguardo al secondo requisito che si possono individuare i punti di contatto/di discontinuità con casi analoghi avvenuti all estero e ai quali la Corte, per avvalorare la sua tesi, si richiama esplicitamente (vedi punto 7.4 della sentenza). Caso Quinlan (1976) USA Breve Storia del caso Karen Ann Quinlan, morta nel 1985 in una clinica del New Jersey dopo dieci anni di coma irreversibile e dove l anno successivo all incidente, dietro richiesta disperata dei genitori, le venne tolto il respiratore artificiale a seguito dell intervento della Corte Suprema di Morristown (N.J.). Si noti che dopo che le fu rimosso il respiratore, Karen visse respirando autonomamente per 10 anni ancora. 9

10 In sostanza, la Corte, con sentenza del 31 marzo 1976, affermò, in una evolutiva interpretazione del diritto costituzionale alla privacy, che l interesse della ragazza alla rimozione del respiratore artificiale era superiore all interesse dello Stato alla conservazione della vita, quando i medici avessero stabilito che non ci sarebbe stata alcuna ragionevole probabilità che il paziente potesse ritornare a vita normale, escludendo qualsivoglia responsabilità penale o civile per chi avesse staccato la spina. La sentenza rappresentò un importante innovazione anche perché, tramite il riconoscimento del diritto alla privacy, si accolse l istituto del «consenso presunto», attraverso il quale vi è la possibilità di decidere in luogo del paziente colpito da un male profondo e irreversibile, allorché si possa ragionevolmente presumere che l avente diritto avrebbe consentito alla interruzione delle cure se avesse potuto, assegnando tale potere decisorio («surrogate decision-making») a coloro che sono legati al paziente da un rapporto particolarmente vicino. Viene, dunque, accolta la distinzione fra l uccisione dolosa e la sospensione di cure con mezzi artificiali quale espressione del diritto di autodeterminazione. Il diritto alla privacy e il substituted judgement Il diritto alla privacy è definito come il diritto del singolo di essere libero da ingiustificate intrusioni statali in materia riguardante la persona. La Corte Suprema nell occasione affermò che tale diritto è costituzionalmente garantito dal V emendamento della Costituzione Americana ed è da considerarsi prevalente rispetto ai potenziali interessi dello Stato al prolungamento della vita nel momento in cui il livello di degrado fisico combattuto dal trattamento medico in discussione aumenta e svanisce la prospettiva di un ritorno ad uno stato di coscienza. L affermazione di questo diritto conduce al substituted judgement (giudizio sostitutivo): poiché Ann Karen era incapace di esercitare il suo diritto, la Corte fece ricorso al concetto in base al quale il sostituto, qualora i desideri dell incapace non fossero stati chiaramente espressi, adotta come linea di orientamento il sistema di valori del paziente. Nel far questo il sostituto, o decisore surrogato (surrogate decision maker), considera le precedenti manifestazioni del paziente, anche estemporanee, in merito a trattamenti simili e casi analoghi occorsi ad altre persone, le sue reazioni di fronte ai problemi medici, ed ancora tutti gli aspetti della personalità del paziente noti al sostituto, con riguardo particolare ai valori di ordine filosofico, etico e religioso. Relativamente alla questione sul chi debba essere individuato come sostituto, la Corte ritiene che, data l intima conoscenza che la comunanza di vita consente, i membri della famiglia siano le persone più idonee a prendere una decisione medica in luogo e nell interesse del paziente. Relativamente alla questione su come il sostituto debba decidere, la sentenza Quinlan è estremamente chiara: la Corte ammette che la effettiva volontà della giovane non può essere desunta da quello che viene riconosciuto come un quadro probatorio insufficiente (che contemplava la testimonianza di precedenti colloqui con gli amici), tuttavia ritiene che la mancanza di prove chiare e convincenti non sia di ostacolo a che si individui comunque una persona (substitute) in grado di prendere la decisione finale, basandosi sul complessivo stile di vita del paziente. Il motivo per cui si può e si deve giungere sempre a tale investitura risiede nel fatto che il diritto al rifiuto delle cure sopravvive allo stato di incapacità in cui cade l individuo e nella necessità che ne sia comunque garantito l esercizio, pena una irragionevole discriminazione nei confronti del paziente cosciente. I rischi di questa interpretazione Santosuosso sottolinea criticamente come fuori dei casi in cui il paziente abbia formulato dettagliate direttive in un documento scritto ( ora per allora come un living will) oppure vi sia una prova certa della sua volontà, sia scorretto analizzare le decisioni sui trattamenti in termini di «diritto del paziente di decidere» quando ci si basi soltanto su precedenti dichiarazioni informali o su convinzioni religiose. Queste, infatti, per 10

11 quanto importanti, non integrano gli estremi di una vera e propria decisione sui trattamenti medici. In linea con queste considerazioni è certa dottrina americana e parte della giurisprudenza che scorgono nel giudizio sostitutivo un operazione che sfrutta una serie di finzioni giuridiche: la sopravvivenza del diritto di scelta alla perdita di capacità, l appello alla volontà presunta del paziente, il convincimento che l irreversibilità dello SVP porti necessariamente al risolversi per la sospensione dei trattamenti. Il rischio è cioè che la volontà sia manifestata in toto da parte del sostituto, che si trasforma non in un portavoce della volontà del paziente, ma la costruisca ex novo. In questo quadro ciò che conta è che la volontà appaia riferibile e non effettivamente riferita al paziente. In pratica, è legittimo nel nostro ordinamento fare riferimento all istituto del consenso presunto? Si può dire che Eluana Englaro, in base ai criteri previsti dal nostro ordinamento (consenso espresso, attuale, consapevole, informato, ecc.), espresse il proprio consenso informato alla sospensione di trattamenti medici al verificarsi ipotetico di specifici stati morbosi (coma, SVP, Alzheimer, tumore terminale e incurabile)? Caso Cruzan (1990) USA Breve Storia del caso Una giovane donna, Nancy Cruzan, dal 1983 si trovava in SVP, a seguito di un incidente d auto, respirava spontaneamente senza bisogno di respiratore e veniva alimentata artificialmente, attraverso un tube feeding e le sue capacità cognitive erano irrimediabilmente compromesse. In questo stato l individuo è secondo gli standard medici e le definizioni legali, tuttora vivente: l individuo non può dirsi difatti prossimo al decesso o in condizione terminale. I genitori chiesero alla struttura sanitaria dove Nancy era ricoverata (a spese dello Stato del Missouri) di sospendere l alimentazione artificiale, sulla base delle presunte volontà della paziente, la quale in una conversazione piuttosto seria avrebbe espresso la scelta di non continuare a vivere se si fosse trovata in condizioni come quelle. A seguito del diniego dell ospedale, una prima sentenza del tribunale (Trial Court) del Missouri, nel 1988, considerò la testimonianza dei genitori sufficiente, e ordinò la sospensione delle terapie, richiamandosi al rispetto del diritto di privacy. La Corte Suprema del Missouri, in data 16 novembre 1988, ribaltò la decisione. Secondo quella Corte la corretta soluzione del caso andava inquadrata nella dottrina dell informed consent che esige prove consistenti che un soggetto non avrebbe voluto essere curato in certe condizioni, e non del diritto di privacy; la semplice dichiarazione fatta ad un familiare di non voler sopravvivere come un vegetale non bastava a determinare la reale intenzione del paziente. I genitori della Cruzan chiamano la Corte Suprema del Missouri davanti alla Corte Suprema degli Stati Uniti. La Corte Suprema accoglie la decisione del giudice del Missouri, ridimensionando notevolmente la portata del concetto di privacy. Slippery slope La Corte Suprema sostiene che, se da una parte, uno Stato può correttamente astenersi da valutazioni sulla «qualità della vita» di un paziente, dall altra, esso riconosce un unqualified interest nel tutelare a tutti i costi la vita umana. Non viene messo in discussione il tradizionale principio secondo cui «una persona cosciente può rifiutare legittimamente il trattamento medico vitale», ma attraverso tale provvedimento si ribadisce ancora più autorevolmente che, in mancanza di una volontà effettiva e cosciente del paziente, non è sostenibile il ricorso ad alcun giudizio sostitutivo quando è circondato da dubbi, esigendo comunque e sempre «la prova chiara e convincente» che così facendo si rispettano o si avrebbe il rispetto dei desideri di un paziente attualmente incosciente. 11

12 La sentenza può essere letta come un tentativo di correggere il tiro preso dalla precedente giurisprudenza e di arginare i rischi di questo scivolamento del giudizio sostitutivo lungo la china del c.d. slippery slope il quale, partendo dalla decisione del paziente, giunge a una decisione del sostituto. La clear evidence della volontà del paziente Il percorso argomentativo compiuto dalla Corte, che fa leva sulla necessità del raggiungimento della prova della volontà del paziente, è il seguente: dopo avere riconosciuto il diritto di rifiuto delle cure (anche salvavita) in capo ai soggetti capaci sulla base non della privacy (come nel caso Quinlan), ma del 14mo emendamento della costituzione americana (che protegge il liberty interest dell individuo escludendo che una persona possa essere privata della vita e della libertà senza un due process of law), definisce la decisione di interruzione del sostegno artificiale come deeply personal e ritiene legittimo che ogni Stato, di fronte all eventuale intervento di surrogate decision makers e per prevenire potenziali abusi, salvaguardi la personalità della scelta imponendo elevati standars di prova della volontà del paziente. La Corte si preoccupa, dunque, di riportare il diritto al rifiuto delle cure nel solco della effettiva volontà del paziente e, nel rigettare la richiesta dei genitori di Nancy Cruzan di essere considerati, in quanto familiari stretti, portatori di un substituted judgement in mancanza di una prova della rispondenza alla volontà effettiva della figlia incapace, afferma che il potere di disposizione in materia di scelte terapeutiche non può che spettare al paziente stesso: nell assenza di direttive anticipate di trattamento sanitario, si può sì far ricorso a procedure di esercizio del potere sostitutivo, ma a patto che garantiscano il rispetto della effettiva volontà del paziente. Tale rispetto può essere assicurato solo da un quadro probatorio che sia quanto più possibile chiaro e completo. Nel legittimare le leggi statali che richiedano una prova rigorosa dei desideri dell incapace, la Corte riprende quanto elaborato dalla Corte suprema del New Jersey nel caso Conroy (1985), in cui, relativamente ai pazienti in stato vegetativo completo che non avessero espresso in precedenza la loro volontà sulle cure, si vincola il rifiuto dei trattamenti salva-vita a un test soggettivo, fondato sull applicazione del generale principio di self-determination, dal quale risulti rigorosamente provato che il paziente avrebbe rifiutato il sostegno artificiale se avesse potuto prevedere lo SVP. In Conroy si esplicita che le prove sono chiare e convincenti quando producono nell animo del giudicante una ferma determinazione e convinzione, senza esitazioni, quanto alla verità delle allegazioni. Il valore delle precedenti dichiarazioni del paziente, addotte per dimostrare la sua propensione o la contrarietà verso determinati trattamenti, dipende dalla loro specificità, dalla loro lontananza nel tempo, dalla loro frequenza, dalla circostanza di essere più o meno frutto di una autentica riflessione e dalla maturità della persona al tempo in cui le ha esternate. In Cruzan, dunque, la volontà del paziente cessa di essere un espediente nelle mani del sostituto e viene necessariamente ricollegata ad una manifestazione effettiva, e quindi provata o documentabile, delle opzioni del paziente sulle cure. Nel caso Schiavo (2005) la Corte d appello federale per l undicesimo distretto conferma la decisione resa dal giudice della Florida che aveva ritenuta raggiunta una clear clear and convincing evidence che la paziente in SVP Terri Schiavo avrebbe desiderato l interruzione del sostegno artificiale, e perciò aveva consentito al marito e tutore della stessa, nonostante la ferma opposizione dei genitori, di ottenere la sospensione di alimentazione e idratazione artificiali. Caso Bland (1993) UK Breve Storia del caso Nel caso Bland (tifoso del Liverpool, schiacciato dalla massa e ridotto in SVP) la Camera dei Lord ha deciso che l interruzione del trattamento medico (idratazione e alimentazione artificiale) in un paziente in stato di 12

13 incoscienza, certamente senza speranze di recupero, e che inoltre non avesse espresso in precedenza un proprio punto di vista impegnativo, sia da ritenersi del tutto legittimo. Va dato osservare le condizioni particolarmente gravi in cui versava Bland: alimentato con cibi liquidi mediante una pompa che, attraverso la gola e il torace giungeva fino allo stomaco; allo svuotamento della vescica si provvedeva mediante catetere, con relativo trattamento di antibiotici; movimenti riflessi della gola gli provocavano vomito e bava; le braccia erano saldamente strette sul petto e le gambe apparivano contorte in modo innaturale. Best interest Si riporta una dichiarazione di Lord Keith of Kinkel: dal momento che vivere in uno stato vegetativo persistente non è di nessun beneficio per il paziente, occorre chiedere se il principio della sacralità della vita, il cui mantenimento è nell interesse dello Stato e della magistratura in quanto espressione dello Stato, imponga a questa camera di dichiarare scorretto il giudizio della Corte d appello. Secondo me le cose non stanno così. Quello della sacralità della vita non è un principio assoluto. La Corte ha cioè basato la sua argomentazione sul best interest, o migliore interesse del paziente, da individuare secondo la più accreditata valutazione medica. Si tratta di una argomentazione di chiaro stampo utilitaristico: la vita umana conta solo se permette di vivere una vita degna di essere vissuta in termini di interessi, piaceri, esperienze, sensazioni, ecc. Come afferma Santosuosso, la decisione del caso Bland è perfettamente in linea con quella Cruzan nel riconoscere esplicitamente il diritto di ogni individuo di rifiutare trattamenti sulla propria persona, anche quando siano life-saving, e nel considerare l alimentazione e l idratazione di un paziente in stato vegetativo permanente come trattamenti medici che possono essere valutati come tali, nondimeno essa diverge invece radicalmente nel criterio cardine che adotta: i giudici americani centrando la decisione sulla volontà del diretto interessato ( ); quelli inglesi ( ) attribuiscono grande importanza alla valutazione dei medici. Come riconosciuto dagli stessi Lords inglesi, il criterio del best interest costituisce una deroga al diritto all autodeterminazione del paziente, ma ha il pregio di non avvalersi della finzione giuridica in cui si sostanzia il substituted judgement americano. Il Caso Englaro: substituted judgement o best interest? La sentenza Englaro si pone, per molti versi, in una posizione di continuità con la linea adottata nel caso Cruzan. Il criterio soggettivo cui la Cassazione ancòra il principio di diritto formulato, risulta per molti versi corrispondente al test soggettivo elaborato nel caso Conroy (1985) e poi utilizzato nel caso Cruzan (1990). Al punto 7.5 la sentenza afferma: Per altro verso, la ricerca della presunta volontà della persona in stato di incoscienza ricostruita, alla stregua di chiari, univoci e convincenti elementi di prova, non solo alla luce dei precedenti desideri e dichiarazioni dell interessato, ma anche sulla base dello stile e del carattere della sua vita, del suo senso dell integrità e dei suoi interessi critici e di esperienza assicura che la scelta in questione non sia espressione del giudizio sulla qualità della vita proprio del rappresentante, ancorché appartenente alla stessa cerchia familiare del rappresentato, e che non sia in alcun modo condizionata dalla particolare gravosità della situazione, ma sia rivolta, esclusivamente, a dare sostanza e coerenza all identità complessiva del paziente e al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l idea stessa di dignità della persona. Il tutore ha quindi il compito di completare questa identità complessiva della vita del paziente, ricostruendo la decisione ipotetica che egli avrebbe assunto ove fosse stato capace; e, in questo compito, umano prima che giuridico, non deve ignorare il passato dello stesso malato, onde far emergere e rappresentare al giudice la sua autentica e più genuina voce. 13

14 Alla lettera (b) punto 8 (della sentenza) del principio di diritto formulato la Corte ribadisce questo concetto, infatti si legge : (b) sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, concordanti e convincenti, della voce del rappresentato, tratta dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l idea stessa di dignità della persona. Nessuno si può arrogare il diritto di giudicare la qualità della vita di un altro; ognuno ha invece il diritto di autodeterminarsi e quindi di scegliere se accettare o meno un trattamento medico. Si parla di elementi di prova chiari, univoci e convincenti della volontà del paziente, che come concetto si pone perfettamente in asse con la clear evidence della giurisprudenza americana. Si ricollega pertanto il giudizio sostitutivo alla necessità di un sufficiente quadro probatorio della volontà del paziente in SVP. Inoltre, come nel caso Cruzan (ed in discontinuità con in re Quinlan) il padre di Eluana è considerato legittimato a decidere per la figlia non in quanto tale, ma in quanto rappresentante legale della stessa. Non viene cioè assegnata ai familiari una generale idoneità alla sostituzione del paziente, come se questi in quanto tali potessero assumere ex se il potere decisionale sul soggetto incapace. La volontà che si cerca di ricostruire è del paziente, non del sostituto; egli si trasforma in portavoce di volontà chiare che siano state enunciate da parte dello stesso paziente quando era in grado di farlo che si pongano, fra l altro, in una linea di continuità con lo stile di vita della persona. Sotto questo profilo si può quindi affermare che la sentenza Englaro accolga il substituted judgement. Di avviso contrario Busnelli che invece sostiene che la Cassazione abbia piuttosto adottato la tecnica del best interest di cui al caso Bland. Sottolinea che nella ricerca del best interest, il rappresentante legale deve decidere non al posto dell incapace né per l incapace ma con l incapace, fermo restando che la scelta del tutore debba essere a garanzia del soggetto incapace, e quindi rivolta, oggettivamente, a preservare e tutelarne la vita. Certo, la Cassazione ha enfatizzato molto il concetto in base al quale la decisione sia da attribuire all incapace (diritto di autodeterminazione sulla propria qualità di vita), senza ricorrere a quei rischiosi artifici che condussero la giurisprudenza americana a correggere la rotta dopo il caso Quinlan. Ma va anche ricordato che nel caso Bland, la ricerca del best interest sposta il raggio di attenzione più che sulla volontà del diretto interessato, sulla valutazione dei medici (la vita degli altri viene valutata socialmente secondo criteri qualitativi in mancanza dei quali la vita umana non è degna di essere vissuta). La Cassazione sembra invece non aver considerato questo fattore (utilitaristico), se non al momento del giudizio medico circa l irreversibilità dello stato di malattia. Tanto è vero che se i ricorsi delle parti sembrano seguire un approccio alla Bland, lamentando l accanimento terapeutico, la Cassazione esclude che l alimentazione e l idratazione artificiali costituiscano oggettivamente una forma di accanimento terapeutico (vedi punto 8 della decisione). <> Ancora su Englaro: La lunga ed articolata sentenza della Corte di Cassazione inizia ricostruendo la storia giudiziaria delle precedenti sentenze sul caso Englaro 1) Il Tribunale di Lecco con decreto 2/2/2006 ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da Beppino Englaro, con il quale, il padre chiedeva per la figlia Eluana l emanazione di un ordine di interruzione dell alimentazione forzata mediante sondino nasogastrico. Il tribunale lo negò apportando i seguenti motivi: - né il tutore né il curatore speciale possono chiedere l interruzione dell alimentazione, perché tale domanda rientra nei diritti personalissimi, per i quali il nostro ordinamento giuridico non ammette la rappresentanza; 14

15 - anche se il tutore e il curatore potessero farlo, la domanda dovrebbe essere rigettata, perché contrasta con i principi espressi dalla Costituzione (art. 2: doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale; art. 32: la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell individuo e interesse della collettività). In base agli art. 13 e 32 della Costituzione ogni persona capace di intendere e volere può rifiutare qualsiasi trattamento terapeutico e nutrizionale fortemente invasivo, anche se necessario alla sua sopravvivenza. Ma se la persona, così come nel caso di Eluana Englaro, non è capace di intendere e volere, il conflitto tra diritto di libertà e di autodeterminazione da un lato e diritto alla vita dall altro è solo ipotetico e deve risolversi a favore di quest ultimo. Infatti, non potendo la persona esprimere alcuna volontà, non vi è alcun profilo di autodeterminazione o di libertà da tutelare. 2) Contro tale decreto Beppino Englaro ha proposto reclamo alla Corte d appello di Milano, chiedendo l interruzione dell alimentazione forzata, considerato come trattamento invasivo della sfera personale, perpetrato contro la dignità umana. 3) La Corte d appello con decreto 16/12/2006 ha dichiarato ammissibile il ricorso e lo ha rigettato nel merito per i seguenti motivi: - Ammissibile, perché nel potere di cura della persona, conferito al rappresentante legale dell incapace, deve essere compreso il diritto-dovere di esprimere il consenso informato alla terapia medica. Data la totale incapacità di Eluana e le gravi conseguenze dell interruzione, il tutore o il curatore deve rivolgersi al giudice per ottenere l interruzione. - Rigettato, perché le dichiarazioni di Eluana riportate dai testimoni non possono avere il valore di una dichiarazione personale, consapevole ed attuale determinazione volitiva, maturata con assoluta cognizione di causa. La Corte d Appello sembra dunque non condividere la tesi del tutore che di fronte ad un trattamento medico forzato, in questo caso l alimentazione e l idratazione, solo l accertamento di una precisa volontà, espressa da Eluana quando era cosciente e favorevole alla prosecuzione della vita ad ogni costo, potrebbe indurre a valutare come non degradante e non contrario alla dignità umana il trattamento, che oggi le viene imposto. Inoltre, secondo quanto affermato dai giudici di questa corte, l interruzione dell alimentazione equivarrebbe ad una forma di eutanasia indiretta omissiva. Secondo i giudici, non si possono accettare distinzioni tra vite degne e non degne di essere vissute, dovendosi far riferimento unicamente al bene vita costituzionalmente garantito, indipendentemente dalla qualità della vita stessa e dalle percezioni soggettive che di questa qualità si possono avere. Inoltre, va tenuto presente che Eluana è sottoposta ad un trattamento di nutrizione che, indipendentemente dalle modalità invasive con cui viene eseguito, è sicuramente indispensabile e che, se sospeso, la farebbe morire; il giudice, quindi, deve tener conto delle irreversibili conseguenze della sospensione di questo trattamento sanitario, cioè la morte dell incapace, e deve necessariamente operare un bilanciamento tra i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione ossia quello alla autodeterminazione e dignità della persona e quello alla vita. Questo bilanciamento tra principi costituzionali, hanno detto i giudici della corte, non può che risolversi a favore del diritto alla vita, se si osserva la collocazione dello stesso art.2, privilegiata rispetto agli art. 13 e 32, all interno della Costituzione. Tanto più che, alla luce di disposizioni normative interne e convenzionali, la vita è un bene supremo, non essendo configurabile l esistenza di un diritto a morire. La tesi proposta da questa corte chiarisce che un trattamento medico che prolunga la vita di Eluana, può essere valutato non degradante e non contrario alla dignità umana, solo se l incapace, quando era cosciente, ha espresso una precisa volontà per il proseguimento della vita ad ogni costo, perché ammette che un trattamento mirante al prolungamento della vita possa essere oggettivamente considerato degradante. Conseguentemente, in mancanza di una chiara 15

16 espressione della volontà del paziente, il trattamento non deve essere interrotto; ed è chiaro che tale decisione del paziente deve essere del tutto soggettiva e personalissima. 4) Beppino Englaro presenta a questo punto un ricorso alla Corte di Cassazione, chiedendo di affermare come principio di diritto, il divieto di accanimento terapeutico, e cioè che nessuno debba subire trattamenti invasivi anche se finalizzati al prolungamento artificiale della vita, senza che ne sia concretamente ed effettivamente verificata l utilità e il beneficio. Secondo i legali della famiglia Englaro, la Corte d appello aveva frainteso e travisato il significato della indisponibilità ed irrinunciabilità del diritto alla vita. Tale indisponibilità ed irrinunciabilità sono garantite per evitare che altri si arroghino arbitrariamente il diritto di interrompere la vita altrui; conseguentemente, è sbagliato intendere l indisponibilità della vita come di un interesse altrui, pubblico o collettivo, sopraordinato e distinto rispetto a quello della persona che vive, così come nel caso di Eluana. Del resto l art.13 della Costituzione chiarisce come ogni persona possa disporre del proprio corpo. La giurisprudenza della Corte di Cassazione sul consenso informato ha chiarito che l intervento del medico è di per sé legittimo solo se basato sul consenso libero ed informato del paziente. Perciò il diritto alla vita, proprio perché irrinunciabile ed indisponibile spetta solo al suo titolare e non può essere trasferito ad altri, che eventualmente lo costringano a vivere. Quindi per il caso di Eluana non vi è una questione di diritto alla vita, ma soltanto della legittimità delle decisioni di un uomo, solitamente il medico, di intervenire sul corpo di una persona per prolungarne la vita. Infatti, per le persone incapaci di autodeterminarsi, si prevede che il trattamento invasivo della persona, sia disposto solo attraverso un diretto controllo dell autorità giudiziaria, perché rientra nell ambito dell art.13 della Costituzione. La Cassazione infatti ha stabilito che la Corte d Appello, che aveva precedentemente sentenziato il caso, aveva svolto, sotto quest aspetto, un ragionamento contraddittorio. Aveva infatti dichiarato ammissibile il ricorso del tutore, il sig. Beppino Englaro, e quindi aveva ammesso che il trattamento invasivo di Eluana era sottoposto al controllo dell autorità giudiziaria, ma poi aveva rifiutato di ammettere un limite all intervento dell atto medico, quando il trattamento sanitario incideva in maniera preponderante sul diritto alla vita. Questa contraddizione nasce da un errata impostazione di fondo, perché l autolegittimazione del medico ad intervenire sul corpo di un malato, anche per trattamenti necessari alla sua sopravvivenza, deve arrestarsi quando questi trattamenti si configurino come accanimento terapeutico. Quando il trattamento è quindi del tutto sproporzionato, inutile, futile e non serve più a tutelare la salute del paziente ma solo a mantenerlo biologicamente in vita, esso esula dal concetto di cura e il medico non dovrebbe più praticarlo. La stessa Corte spiegherà la tesi secondo cui la conservazione della vita non sempre è un bene ed il trattamento sanitario volto a tale scopo si dovrebbe configurare come accanimento terapeutico. Per Eluana, la vita era protratta solo artificialmente, in quanto mero prodotto dell azione che una macchina compie nella sfera individuale di un individuo. Il medico deve, quindi, astenersi da quei trattamenti che, pur suscettibili di prolungare la vita del paziente, non recano alcun beneficio ed utilità al paziente stesso, e servono solo a sottrarlo all esito naturale e fatale dello stato in cui si trova e nel forzarlo a mantenere talune funzioni vitali. Certamente non si deve distinguere fra vite degne e non degne di essere vissute, ma non è la vita in sé suscettibile di essere indegna, lo è solo il protrarre artificialmente la vita, oltre quello che altrimenti avverrebbe, grazie all intervento di altri. Lo SVP è uno stato unico e differente da qualunque altra malattia degenerativa, non accostabile in alcun modo a stati di handicap o di minorità, oppure a stati di eclissi della coscienza e volontà in potenza reversibili, come ad esempio il coma. Nello SVP, a differenza di altri, può darsi che, effettivamente, il problema del riscontro di un qualunque beneficio o una qualunque utilità tangibile dei trattamenti o delle cure, siano solo finalizzate a posporre la morte sotto l angolo visuale biologico. Il commento della sentenza della Cassazione, parte da due importantissime argomentazioni ossia l accanimento terapeutico ed il Consenso informato, atto necessario affinché un trattamento medico sia legittimo. L accanimento terapeutico, infatti, è stato riconosciuto non lecito sia dalla dottrina mediche che da quella giuridica; quindi dovrebbe immediatamente 16

17 cessare e dovrebbe essere interrotto ogni trattamento medico qualora venga ritenuto sproporzionato e futile. Il consenso informato, invece, poiché è il fondamento che legittima l attività di cura da parte del medico, è indispensabile per ogni tipo di trattamento sanitario, sia esso futile o necessario per la sopravvivenza del paziente e non può venire meno se il rifiuto del trattamento pone in pericolo la sopravvivenza o ha come conseguenza la morte del paziente. Infatti, l indisponibilità della vita e quindi il diritto alla vita, ha precisato la Corte, hanno lo scopo di difendere ognuno dall altrui aggressione sul proprio corpo, per cui, nessuno può togliere la vita ad un altro, in quanto esiste il dovere fondamentale di non uccidere, ma allo stesso tempo il soggetto ha il diritto di esercitare la sua libertà di autodeterminazione, potendo scegliere di suicidarsi. La sentenza della Corte di Cassazione, diversamente dal decreto del Tribunale di Lecco stabilisce che qualora il paziente sia incapace e quindi non possa esprimere il suo consenso informato, viene riconosciuto al tutore il diritto-dovere di esprimere il consenso per l incapace, avendo egli la cura della sua persona. In particolar modo, riguardo alla tesi sull accanimento terapeutico, argomento sul quale i legali della famiglia Englaro hanno insistito, postula sulla concezione della qualità della vita, che divide nettamente la vita biologica da quella che viene definita come biografica. Le funzioni vitali, necessarie appunto per vivere, sono conservate nel paziente in SVP; ciò che ha perso, è la coscienza di sé e del mondo esterno, coscienza, che non recupererà più, soprattutto quando giace in tale condizione da molti anni. La sentenza della Cassazione inizia affermando che sono da tenere in considerazione tutte le dichiarazioni ricostruibili tramite prove scritte e testimonianze fatte da Eluana, quando era in grado di intendere e volere e considerare se esse corrispondano, in generale, ai suoi convincimenti sul significato della dignità della persona. La Corte collega questi convincimenti al tema del consenso informato. Infatti, il consenso informato, costituisce di norma la legittimazione ed il fondamento del trattamento sanitario. Il principio del consenso informato ha un fondamento nelle norme della Costituzione, agli art.2 e art. 13, che enunciano l inviolabilità della libertà personale. Rifiutare o interrompere le terapie mediche non obbligatorie è conforme al principio personalistico che anima la nostra Costituzione. Deve escludersi che il diritto all autodeterminazione terapeutica del paziente incontri un limite se comporta il sacrificio del bene vita. Il Collegio, infatti, ritiene che la salute dell individuo non possa essere oggetto di imposizione autoritativo-coattiva da parte dello Stato. Il diritto del singolo alla salute implica, come tutti i diritti di libertà, la tutela del suo risvolto negativo: il diritto di perdere la salute, di non curarsi di lasciarsi morire. L obbligo giuridico del medico di praticare e continuare la terapia cessa quando tale obbligo venga meno, e l obbligo, fondandosi sul consenso del malato, cessa quando il consenso viene meno e al suo posto s impone il dovere giuridico del medico di rispettare la volontà del paziente contrario alle cure. Il diritto di rifiutare i trattamenti sanitari non si basa su un diritto generale ed astratto che permette solo di accelerare il momento della morte, ma sul diritto all integrità del corpo e al non subire interventi invasivi indesiderati. Nel caso dell incapace, una volta superata l urgenza dell intervento medico derivante dallo stato di necessità, deve imporsi l istanza personalistica alla base del principio del consenso informato ed il principio di parità di trattamento fra gli individui, a prescindere dal loro stato di capacità. Si deve perciò ricreare il dualismo dei soggetti nel processo di elaborazione delle decisioni mediche: tra medico che deve informare e paziente, che attraverso il legale rappresentante, debba accettare o rifiutare i trattamenti prospettati. La Corte di Cassazione, infatti, ha ritenuto che il tutore debba prendersi cura anche della salute dell incapace e quindi dare il consenso ai vari trattamenti. Ma l intervento del rappresentante legale è sottoposto a limiti giuridici, connaturati nel fatto che la salute è un diritto personalissimo e che la libertà di rifiutare le cure presuppone il ricorso a valutazioni della vita e della morte, che trovano il loro fondamento in concezioni di natura etica o religiosa, e comunque extragiuridiche, quindi squisitamente soggettive. Sulle fonti relative ai poteri del rappresentante legale in ordine alle cure e ai trattamenti sanitari, la Corte cita al punto 7.2 della sentenza varie disposizioni giuridiche. 17

18 Ma in particolare la Corte fa riferimento ad un atto si soft law non avente effetti giuridici rilevanti: Ora, è noto che, sebbene il Parlamento ne abbia autorizzato la ratifica con la legge 28 marzo 2001, n. 145, la Convenzione di Oviedo non è stata a tutt oggi ratificata dallo Stato italiano. Ma da ciò non consegue che la Convenzione sia priva di alcun effetto nel nostro ordinamento. Difatti, all accordo valido sul piano internazionale, ma non ancora eseguito all interno dello Stato, può assegnarsi tanto più dopo la legge parlamentare di autorizzazione alla ratifica una funzione ausiliaria sul piano interpretativo: esso dovrà cedere di fronte a norme interne contrarie, ma può e deve essere utilizzato nell interpretazione di norme interne al fine di dare a queste una lettura il più possibile ad esso conforme. Del resto, la Corte costituzionale, nell ammettere le richieste di referendum su alcune norme della legge 19 febbraio 2004, n. 40, concernente la procreazione medicalmente assistita, ha precisato che l eventuale vuoto conseguente al referendum non si sarebbe posto in alcun modo in contrasto con i principi posti dalla Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997, recepiti nel nostro ordinamento con la legge 28 marzo 2001, n. 145 (Corte cost., sentenze n. 46, 47, 48 e 49 del 2005): con ciò implicitamente confermando che i principi da essa posti fanno già oggi parte del sistema e che da essi non si può prescindere. Perciò, precisa la Corte, il tutore è sottoposto a due vincoli: da un lato deve agire nell esclusivo interesse dell incapace (best interest) e nella ricerca del best interest deve decidere con/per l incapace che non è in grado di farlo da solo. Senza dubbio qualunque scelta del tutore deve essere a garanzia dell incapace, e quindi rivolta oggettivamente a preservarne e tutelarne la vita. Il tutore non può nemmeno trascurare l idea di dignità della persona manifestata dall incapace dinanzi ai problemi della morte. Questa attenzione alle peculiari circostanze del caso concreto e soprattutto ai convincimenti espressi dal diretto interessato quando era capace, è presente nelle diverse decisioni adottate in altri ordinamenti sulle controversie riguardanti la sospensione delle cure per malati in SVP, in assenza di testamento biologico. A questo punto, la Cassazione cita il caso Quinlan negli USA (1976), quando fu adottato il principio del substituted judgement test, per cui la Corte permise ai genitori di Karen la sospensione della ventilazione forzata alla figlia in SVP. Il caso Cruzan (1990), invece, è quello che più assomiglia alla situazione in cui si trovava Eluana; anche in questo caso la Corte degli Stati Uniti permise l interruzione dell alimentazione e N. Cruzan morì. Con riferimento al Caso Bland (1993), la Corte di Cassazione italiana, dice che l House of Lords, nel Regno Unito, ha utilizzato una diversa tecnica del best interest, per arrivare alla conclusione secondo cui, in assenza di trattamenti autenticamente curativi e data l impossibilità di recupero della coscienza, è contrario al miglior interesse del paziente protrarre l alimentazione e idratazione artificiali, ritenuti trattamenti invasivi ingiustificati della sua sfera corporea. La Corte di Cassazione, tuttavia, mette in evidenza le sostanziali differenze tra questa sentenza rispetto a quelle di N. Cruzan o T. Schiavo che erano fondate sull espressione di volontà delle due pazienti, ricostruite tramite testimonianze, giudicate valide e sufficienti dai giudici; infatti, la sentenza su T. Bland non si basò sulla volontà del ragazzo, di cui non c era nessuna testimonianza, ma sul fatto che l interruzione del trattamento sanitario era nel miglior interesse del paziente. Ci si basa, cioè, sulla base di quella che è comunemente considerata qualità della vita. Il filosofo Peter Singer esalta questa sentenza come il primo passo verso un capovolgimento di valori, per cui la sacralità, e quindi l intangibilità della vita umana, non viene più riconosciuta a qualsiasi essere umano, ma solo a quelli che rientrano nella definizione di persona. La Corte di Cassazione subito dopo afferma: Chi versa in SVP è, a tutti gli effetti, persona in senso pieno, che deve essere rispettata e tutelata nei suoi diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita e dal diritto alle prestazioni sanitarie, a maggior ragione perché in condizione di estrema debolezza e non in grado di provvedervi autonomamente (vedi punto 7.5 della sentenza). Poi continua a sottolineare che il malato in SVP, la cui dignità di essere umano non è affatto diminuita, non deve essere abbandonato, ma ha diritto di pretendere cure e sostegno solidali fino alla sua morte, a prescindere da quanto la vita sia precaria 18

19 e da quanta speranza vi sia di recuperare le funzioni cognitive. Ma la Corte riconosce anche che vi siano persone che, legando indissolubilmente la propria dignità alla vita solo qualora si ha coscienza, ritengano assolutamente contrario ai propri convincimenti etici e filosofici sopravvivere indefinitivamente in una condizione di vita priva della percezione del mondo esterno. Ed è proprio grazie ai diritti costituzionali che garantiscono l autodeterminazione e la libertà di scelta di essere sottoposti o meno a cure mediche, lo Stato deve rispettare questi convincimenti e questa libertà di scelta. All individuo che, prima di trovarsi in una condizione di SVP, abbia manifestato in maniera chiara o anche attraverso i propri convincimenti, il proprio stile di vita ed i suoi valori di riferimento, l inaccettabilità per sé dell idea che un corpo è destinato a sopravvivere alla mente grazie a macchinari e a terapie mediche, l ordinamento dà la possibilità al malato di far sentire la propria voce in merito alla volontà di disattivare il trattamento attraverso il suo rappresentante legale. L importanza di questi elementi per ricostruire la volontà dell incapace, infatti, è tale, che la Corte li ripeterà spesso nel corso della sentenza, consapevole della novità che essi introducono nel nostro ordinamento, che, a causa di un vuoto legislativo, non riesce ancora a legalizzare le direttive anticipate di volontà nelle scelte di fine vita, in cui le decisioni sono messe per iscritto e firmate. La Corte affronta poi la problematica riguardante l idratazione e l alimentazione artificiali con sondino nasogastrico che mantenevano in vita Eluana Englaro da sedici anni; allineandosi al parere della maggioranza della comunità scientifica internazionale, la Corte li dichiara trattamenti sanitari, così come sono stati riconosciuti dalla giurisprudenza delle varie corti europee ed americane nei casi Cruzan, Bland e Schiavo. Successivamente, però, la Corte aggiunge che al giudice non può essere chiesto di ordinare il distacco del sondino nasogastrico: una pretesa di tal fatta non è configurabile di fronte ad un trattamento sanitario, come quello di specie, che, in sé, non costituisce oggettivamente una forma di accanimento terapeutico e che rappresenta piuttosto un presidio proporzionato rivolto al mantenimento del soffio vitale, salvo che nell imminenza della morte, l organismo non sia più in grado di assimilare le sostanze fornite o che sopraggiunga uno stato di intolleranza, clinicamente rilevabile, collegato alla particolare forma di alimentazione (vedi punto 7.6 della sentenza). Piuttosto l intervento del giudice esprime una forma di controllo della legittimità della scelta nell interesse dell incapace e, basandosi sulla ragionevolezza derivata dalle circostanze del caso concreto, si manifesta, autorizzando o meno la scelta che il tutore ha richiesto. Quindi la decisione del giudice, dato il coinvolgimento nella vicenda del diritto alla vita inteso come bene supremo, può essere autorizzata soltanto: a) quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre che la persona abbia la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno (vedi punto 8 della sentenza); b) sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, concordanti e convincenti, della voce del rappresentato, tratta dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato d incoscienza, l idea stessa di dignità della persona. Nel momento in cui, l una o l altra condizione vengano a mancare, il giudice deve negare l autorizzazione alla sospensione dei trattamenti sanitari, dovendo allora essere data incondizionata prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dal grado di salute, di autonomia e di capacità di intendere e di volere del soggetto interessato, dalla percezione che altri possano avere della qualità della vita stessa, nonché della logica utilitaristica dei costi e dei benefici. (vedi punto 8 della sentenza) In conclusione la Corte rileva e critica in un certo qual modo l operato dei giudici di appello che hanno omesso di accertare se la richiesta di interruzione del trattamento, presentata dal padre in veste di tutore, riflettesse gli orientamenti di vita della figlia. Si stabilisce quindi che tale accertamento deve essere effettuato dal giudice del rinvio. A questo punto, la causa viene rinviata ad una diversa sezione della Corte d appello di 19

20 Milano, che dovrà decidere adeguandosi alle predette indicazioni della Corte di Cassazione. Nelle osservazioni conclusive si riafferma, con forza e con gli adeguati riferimenti giuridici, che il consenso informato è il fondamento che legittima l intervento del medico sul paziente, e che l obbligo della cura da parte del medico viene meno se manca o se viene revocato il consenso informato. Questo principio è valido anche per il soggetto incapace, che, attraverso il suo rappresentante legale, può far valere la propria volontà, anche se non ha lasciato per iscritto disposizioni sui trattamenti che intende rifiutare qualora dovesse trovarsi nella condizione di non poterlo più fare. La sentenza, accetta la definizione dell alimentazione e idratazione artificiali quali trattamenti sanitari, che si possono interrompere se il paziente li rifiuta o se risultano, a parere concorde dei medici, futili; allo stesso tempo, la Corte nega che l alimentazione e idratazione artificiale possano essere considerati espressione di accanimento terapeutico nei riguardi di una persona in condizione di SVP, anche se tale condizione dura da molto tempo e appare quasi certamente irreversibile. Si ribadisce che la persona in SVP è persona a tutti gli effetti, che la sua vita non può essere considerata indegna di vivere e che la società ha il dovere di salvaguardarla e di prestarle tutte le cure necessarie fino alla morte naturale. Con questa presa di posizione sul caso Eluana Englaro, la Corte di Cassazione sembra non condivida le linee guida, che nel settembre 1992 la Appleton International Conference, integrata da specialisti provenienti da 9 paesi, inclusi gli USA e la Gran Bretagna, ha stilato per raccomandare di lasciar morire i pazienti in SVP: Il paziente con diagnosi affidabile di SVP non nutre interessi egoistici. Di conseguenza, a meno che non compaia la richiesta espressa in direttiva anticipata (testamento biologico o testamento di vita), non vi è un motivo attinente agli interessi del paziente affinché si prosegua con il trattamento che lo mantiene in vita, incluse l alimentazione e l idratazione artificiali. E crudele alimentare un ottimismo irrealistico ed è ingiusto permettere il consumo prolungato delle risorse sociali a sostegno di questi pazienti oltre un necessario periodo di educazione e adattamento per la famiglia. La sentenza, pone come condizione all autorizzazione di sospendere l alimentazione di Eluana che la condizione di SVP sia irreversibile e che non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza. La sentenza mostra chiaramente che i giudici hanno avvertito il conflitto dei principi costituzionali fra diritto alla vita e diritto all autodeterminazione terapeutica ed hanno cercato di venirne fuori, accettando il sacrificio del bene vita solo nel caso che Eluana si trovi esattamente e totalmente nella condizione di cui ha parlato. I giudici hanno ritenuto che gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale garantiscono l assoluta irreversibilità della condizione nella quale versa Eluana Englaro. In conclusione, la sentenza della Cassazione, che risolve definitivamente il doloroso caso di Eluana, mostra tuttavia quanto sia difficile conciliare il personalismo ed il principio di solidarietà sociale, che sono alla base della nostra Costituzione rispetto alla cultura che domina le Corti europee e statunitensi, tendenti ad enfatizzare la totale autodeterminazione del singolo e ad estendere il campo dei diritti fondamentali a sempre nuovi diritti individuali. Quando due principi offrono due soluzioni normative confliggenti per la risoluzione del medesimo caso concreto, allora uno dei due principi deve cedere di fronte all altro cioè deve essere sacrificato; nel caso della sentenza Englaro, la Cassazione ha sacrificato il principio dell obbligatorietà delle cure al principio di autodeterminazione del malato, ossia la possibilità, garantita dalla Costituzione all art.32, di non essere sottoposti a cure mediche contro la propria volontà. Questo non vuol dire che il principio soccombente deve essere dichiarato invalido; vuol dire, semplicemente introdurre una relazione di precedenza o una gerarchia assiologia tra due principi, che può essere sia condizionata che incondizionata. Se un giudice stabilisce che il principio che tutela la libertà di autodeterminarsi nella scelta di sottoporsi o meno a delle cure sanitarie, prevale, in assoluto, sul principio che tutela il dovere del medico di curare il paziente, ciò significa che non si ha nessun caso di conflitto tra i due principi dove il principio che tutela il diritto alla libertà di scelta prevale di fronte al principio che tutela la posizione del medico che deve operare secondo il suo 20

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