LA RESPONSABILITA DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETA DI CAPITALI

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1 LA RESPONSABILITA DEGLI AMMINISTRATORI DI SOCIETA DI CAPITALI Dott. Andrea Petteruti giudice civile presso il Tribunale di Cassino PREMESSA La presente relazione ha ad oggetto questioni poco note o molto dibattute con riferimento al dovere di diligenza degli amministratori ed alla loro responsabilità, nonché alla galassia delle azioni di responsabilità. Con la premessa che, per esigenze di coerenza sistematica, si tratterà della responsabilità degli amministratori di S.p.A. (salve le ipotesi in cui vi sia una netta divergenza normativa), avendo a mente che i medesimi principi sono applicabili, con i dovuti accorgimenti (ossia con il limite della compatibilità), con riferimento a tutte le società di capitali. LA RESPONSABILITÀ E L OBBLIGO DI DILIGENZA (ART. 2392) C.C. Il punto da cui partire è, ovviamente, l obbligo di diligenza che grava sull amministratore. 2. LA DILIGENZA DELL AMMINISTRATORE E L OBBLIGO DI AGIRE INFORMATI. Con riguardo agli amministratori di società per azioni, è noto che l obbligo di gestire diligentemente la società rileva in tutte le fattispecie di responsabilità previste dagli artt c.c. Non si fa più riferimento alla diligenza del mandatario, ma alla diligenza richiesta dalla natura dell incarico e dalle loro specifiche competenze. 1

2 Va immediatamente chiarito come sia oramai assolutamente pacifico che, nell ambito delle società di capitali, il rapporto di amministrazione, in ragione dei poteri riconnessi a tale carica per legge, ha natura sua propria, non essendo riconducibile al mandato. Anche in passato, in verità, si riteneva che la diligenza dell amministratore fosse quella professionale e tipica delle funzioni gestorie al medesimo affidate, ma oggi si è affermato un principio ulteriore: dette funzioni esigono una elevata specializzazione. Insomma, amministrare una società per azioni (o una società di capitali in generale) è un mestiere che richiede un tipo ed un grado di diligenza specifici per tale ruolo, che sono diversi da quelli comuni del buon padre di famiglia di cui all art. 1176, comma 1, c.c. In definitiva, in ragione dell alterità dell interesse curato dall amministratore di società, viene in rilievo la diligenza tipica del gestore professionale di impresa altrui ed un attività caratterizzata pure dalla perizia, quale prudenza ed avvedutezza richiesta per il compimento delle attività tipiche gestorie, ed anche dal controllo sull agire di terzi (ossia degli altri amministratori). La diligenza richiesta dalla natura dell incarico si riferisce, appunto, alla descritta situazione, propria del gestore di un impresa altrui. La novità è, invece, nell aggiunta della locuzione e dalle loro specifiche competenze, la cui esegesi induce oggi a ritenere che i doveri imposti dalla legge in capo all amministratore vadano da questi adempiuti non soltanto con la diligenza propria del buon gestore professionale, ma anche con la diligenza esigibile dalla specifica competenza di quel singolo amministratore (ad esempio, perché esperto legale o tributario, oppure perché avente esperienza in un certo settore industriale o finanziario). La specificazione, dunque, non toglie, ma aggiunge altri contenuti al generale requisito della diligenza richiesta all amministratore professionale. In conclusione, la diligenza esigibile dall amministratore è quella tipica del gestore di impresa altrui, avente altresì le caratteristiche soggettive professionali dell agente concreto. Nondimeno, l adempimento dell obbligo, inserito nell art. 2381, ultimo comma, c.c., di agire in modo informato, quale espressione specifica dell obbligo generale di diligenza, implicitamente richiede anche un quid pluris, ossia che l amministratore provveda ad accettare la carica soltanto se reputi di essere competente e di poter dedicare alle conseguenti attività il tempo e l attenzione necessari. Infine, l esigibilità della competenza gestoria non implica anche il divieto di integrarla, ove ritenuto opportuno, con la richiesta di pareri ad esperti, fermo restando che il ricorso ad essi non rende affatto l amministratore di per sé immune da colpa per le scelte operate, occorrendo verificare in concreto la ragionevolezza dell affidamento riposto nel terzo. 2. IL GENERALE DOVERE DI AGIRE CON CORRETTEZZA (FAIR AND TRUE ACTION) E GLI ASSETTI AEGUATI. Correttezza dell amministrazione sociale e adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili paiono oggi costituire due delle più rilevanti clausole generali del moderno diritto societario. All indomani della riforma del diritto societario, si era affermato che il catalogo degli obblighi degli amministratori si fosse consistentemente ampliato, almeno quello riguardante gli obblighi di carattere generale: si pensi al dovere di agire in modo informato, al dovere di riservatezza ed ai doveri di comunicazione, astensione e motivazione. A tali dati normativi occorreva, tuttavia, aggiungerne un altro, collocato in un diverso contesto, ma che riguardava anche l organo amministrativo: ossia l art c.c. in tema di 2

3 compiti del collegio sindacale, ove si stabiliva che i sindaci dovessero vigilare, oltre che sull osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione. Sembrerebbe, dunque, sussistere un principio generale di corretta amministrazione, il quale non può che riguardare gli amministratori. Detto principio, poi, troverebbe una sua specifica declinazione negli obblighi concernenti la creazione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili. Quel che più conta è che la corretta amministrazione rappresenterebbe il contenuto della prestazione principale richiesta ai gestori dell impresa, dovendosi ritenere che il principio della diligenza funga da strumento di misurazione del grado di adempimento dell obbligo di amministrare correttamente. Ora, la centralità, nel sistema complessivo degli obblighi degli amministratori, del dovere di corretta amministrazione e della sua declinazione (ovvero gli assetti) registra certamente consistenti voci favorevoli, tanto che si è giunti ad affermare che i principi di corretta amministrazione hanno il ruolo di clausola generale, alla quale gli amministratori debbono improntare la loro attività. Si sarebbe, dunque, dinanzi a criteri idonei a descrivere e tipizzare il contenuto della prestazione e l osservanza delle regole, anche tecniche e non esclusivamente giuridiche, in cui si sostanzia la correttezza, i quali divengono, allora, il punto di riferimento fondamentale in rapporto a cui valutare l operato e, quindi, la responsabilità dell organo amministrativo. Rispetto a tali conclusioni, tuttavia, è possibile registrare molte posizioni dissonanti. In primis, vi è una parte della dottrina che sul tema non prende affatto posizione: anche a seguito della riforma, si continua a sostenere che i doveri degli amministratori possono distinguersi in generici (gestire diligentemente l impresa perseguendo l interesse sociale) e specifici (tenere la contabilità, provvedere a iscrizioni e depositi di legge, ecc.). Altra dottrina, invece, ritiene che i principi di corretta amministrazione siano sostanzialmente un espressione della categoria civilistica della diligenza professionale richiesta dall art c.c. e non siano in grado, in quanto tali, di fornire apporti significativi ai temi concernenti gli obblighi degli amministratori. Un terzo filone critico muove dall osservazione secondo cui il dovere di corretta amministrazione e, in particolare, la sua esplicitazione legislativa concernente gli assetti adeguati, deve considerarsi un dovere implicito nella funzione di amministrare una società. In merito occorre spendere qualche ulteriore riflessione. Prima della riforma, a fronte di una palese carenza di esplicitazione degli obblighi generali degli amministratori, la giurisprudenza (come si è visto) riteneva, come fa ancora oggi, che l aver agito con diligenza richiesta al gestore di imprese altrui escludesse la sussistenza dell inadempimento e facesse venir meno lo stesso presupposto del giudizio di responsabilità sancito dall art c.c., ossia l inesattezza della prestazione. La riforma del diritto societario offrirebbe oggi un nuovo contributo. Il legislatore, infatti, sancirebbe, indirettamente, ma in modo assolutamente espresso e chiaro, quale sia l obbligo per eccellenza degli amministratori: rispettare i principi di corretta amministrazione. Ciò, si afferma, consentirebbe alla diligenza di tornare ad essere un criterio di valutazione dell operato dell amministratore nell adempimento delle prestazioni a cui è tenuto. In altre parole, il nuovo sistema potrebbe essere in grado di ristabilire il principio secondo cui la diligenza non può mai costituire oggetto di un obbligo o (peggio) il contenuto della prestazione dedotta nell obbligazione, bensì soltanto il modo di adempiere esattamente all obbligazione. 3

4 Ragionando unicamente in termini di diligenza, infatti, quest ultima diviene il dovere generico degli amministratori, con la conseguenza che essa stessa diviene un obbligazione in cui la prestazione che ne costituisce l oggetto si esaurisce nella diligenza medesima e, quindi, in una regola di condotta e non già un dover fare o non fare qualche cosa. L obbligo di corretta amministrazione potrebbe incidere anche con riguardo al profilo dinamico della gestione sociale e, dunque, rispetto all attività d impresa: se la corretta amministrazione gioca un ruolo di primo piano, le scelte discrezionali dell impresa potranno considerarsi insindacabili (con l applicazione della business judgement rule) quando le medesime rispondano ai generali criteri di razionalità economica posti dalla scienza aziendale e siano congruenti e compatibili con le risorse ed il patrimonio di cui la società dispone. Insomma, gli amministratori, rispetto al compimento di operazioni di gestione, devono avere acquisito adeguate informazioni, posto in essere le necessarie cautele ed operato le opportune verifiche di carattere preventivo; occorre, infine, che i processi decisionali, nei suoi elementi costitutivi, siano rispettati. I principi di corretta amministrazione, dunque, applicati alle scelte di gestione, consentono di offrire una soluzione equilibrata con riguardo al tema dell insindacabilità delle scelte di gestione, senza necessità fare sempre ricorso al criterio della diligenza che, ancora oggi, viene, viceversa, invocato. L obbligo di corretta amministrazione troverebbe nei cc.dd. assetti adeguati la sua principale esplicitazione. Quando si parla di assetti societari, si fa riferimento: agli atti di organizzazione della società (cfr. art c.c.); alla gestione dell impresa in corso d esercizio, e cioè allo svolgimento delle attività programmate nell oggetto sociale per conseguire un incremento della redditività e del valore dell impresa; alla conservazione del patrimonio sociale allorquando si sia verificata una causa di scioglimento (cfr. art c.c.). L obbligo di assetti adeguati segnalerebbe, dunque, innanzitutto il consistente rilievo che, sul piano giuridico, hanno i profili concernenti l organizzazione interna della società: si parla così di governance interna con riguardo alle modalità organizzative del sistema di amministrazione e controllo e di governance esterna con riferimento alla struttura proprietaria, al controllo, al ruolo del debito e del capitale. Derivando la nozione di assetto adeguato da acquisizioni consolidate delle scienze economico-aziendali, per il giurista la formula assetti organizzativi, amministrativi e contabili appare priva di una propria capacità di rappresentazione. Proprio per questo è prioritario interrogarsi sul contenuto degli assetti. È ineccepibile che gli assetti amministrativi e contabili debbano essere adeguati, ma il problema che si pone è quello di stabilire come si possa stabilire se lo siano o no. In tale direzione, è possibile prendere le mosse dal più recente contributo in materia, ovvero dalle Norme di comportamento del collegio sindacale. Secondo tale documento, per assettò organizzativo, si intende il complesso delle direttive e delle procedure stabilite per garantire che il potere decisionale sia assegnato ed effettivamente esercitato ad un appropriato livello di competenza e responsabilità. Più nel dettaglio, occorre considerare i seguenti elementi: separazione e contrapposizione di responsabilità nei compiti e nelle funzioni; chiara definizione delle deleghe o dei poteri di ciascuna funzione; 4

5 verifica costante, da parte di ogni responsabile, sul lavoro svolto dai collaboratori; coerenza tra la struttura decisionale aziendale e le deleghe depositate presso il registro imprese. Gli assetti amministrativi e contabili debbono, in definitiva, consentire: la completa, tempestiva ed attendibile rilevazione contabile e rappresentazione dei fatti di gestione; la produzione di informazioni valide ed utili per le scelte di gestione e la salvaguardia del patrimonio aziendale; la produzione di dati attendibili per la formazione del bilancio d esercizio. Impiegando la terminologia economico-aziendale, si può ritenere che gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili richiedano sia la completezza che la correttezza dei dati economico-finanziari, sia una adeguata organizzazione interna in grado di fornirli. Traendo le conclusioni del discorso, a chi scrive pare che l enucleazione del generale principio della correttezza gestionale costituisca senza dubbio un passo avanti nell individuazione del contenuto dell obbligo di amministrare una società di capitali. Sostenere, tuttavia, che questo sia il (l unico) principio cardine e che l art c.c. costituisca semplicemente il criterio per valutare il modo di adempiere la prestazione sembra eccessivo. Eccessivo per una serie di motivi. Il primo è che questo principio, del tutto incoerentemente (già sotto il profilo sistematico), è dettato da una norma (l art c.c.) che è riferita solo indirettamente agli amministratori, avendo come destinatario l organo di controllo. Il secondo è che la correttezza gestionale è concetto troppo vago e pure privo di validi riferimenti normativi codicistici. Il terzo è che, al contrario di quanto si ritiene, l art c.c. non è solo norma che indica come valutare l adempimento, ma che ben esplicita qual è il contenuto specifico della prestazione richiesta agli amministratori: si richiede, infatti, di gestire un impresa altrui (questo è l obbligo) con la diligenza di un soggetto competente, perito ed avveduto ed avente altresì le caratteristiche soggettive professionali dell agente concreto (questo è il criterio per valutare l adempimento). L agire correttamente completa quest obbligo, anzi lo specifica, ma non ne esplicita affatto l intero contenuto: si tratta, dunque, come è stato molto autorevolmente sostenuto, di un dovere implicito nella funzione di amministrare una società, funzione cui fa da corollario l obbligo di assetti adeguati. Tale ultimo obbligo, dunque, non è affatto collegato al dovere di gestire correttamente, ma, molto più coerentemente, all obbligo di gestire un impresa altrui con i criteri di cui all art c.c. Pure fuorviante appare, infine, l opinione secondo cui (solo) l obbligo di corretta amministrazione potrebbe incidere anche con riguardo al profilo dinamico della gestione sociale e, dunque, rispetto all attività d impresa. Già da tempo, infatti, la giurisprudenza di merito è concorde nel ritenere che le scelte discrezionali dell impresa devono considerarsi insindacabili quando, con l applicazione congiunta della business judgement rule e del principio di diligenza, le medesime rispondano ai generali criteri di razionalità economica posti dalla scienza aziendale e siano congruenti e compatibili con le risorse ed il patrimonio di cui la società dispone. 3. LA RESPONSABILITÀ VERSO LA SOCIETÀ PER LA VIOLAZIONE DEI DOVERI GESTORI. 5

6 3.1. Il controllo giudiziale. Si deve immediatamente chiarire che, se è vero (come usualmente si legge negli scritti difensivi di amministratori convenuti in giudizi di responsabilità) che il giudice non ha il controllo di merito sulle scelte gestorie, è di lapalissiana evidenza che l agire amministrativo è discrezionale e non libero: il giudice, dunque, non controlla l opportunità della scelta, ma il percorso decisionale seguito dagli amministratori, la completezza degli accertamenti di fatto preventivi da essi espletati e le cautele poste in essere, al fine di accertarne la correttezza nella situazione di fatto La condotta. La condotta, attiva od omissiva, in violazione dei doveri legali o statutari comporta, in generale, la responsabilità dell amministratore per i danni da ciò derivati, la quale è solidale fra tutti gli amministratori che abbiano contribuito a cagionare il danno. Essa, tuttavia, è solidale anche con gli altri soggetti, quando sia ravvisabile il loro concorso nell evento (si pensi al terzo in mala fede nel caso dell art c.c., o al consulente della società che abbia suggerito una condotta illecita). Le condotte inadempienti degli amministratori derivano dalla violazione del dovere generale di diligenza professionale di cui si è discusso (il quale è idoneo a ricomprendere tutte le misure necessarie ad assolvere l incarico nel caso concreto), oppure dalla violazione degli obblighi specifici ad essi imposti, i quali sono previsti in molte norme di legge o direttamente dalle norme statutarie. Non è questa la sede per menzionare le numerose disposizioni che prevedono specifici obblighi in capo agli amministratori di società per azioni, non soltanto quelle più note nell ambito del codice civile (fra le altre: artt. 2390, 2391, , 2423 ss. c.c.), ma anche quelle che pongono obblighi tributari, penali, antinfortunistici e così via La sussistenza di una causa di scioglimento. Un cenno merita senza dubbio l ipotesi in cui si verifica una causa di scioglimento della società. È opportuno evidenziare la novità contenuta nel nuovo art c.c., per il rilievo particolare che assume nella pratica con riguardo al tema in discorso. L art c.c. (facente parte dell attuale Capo VIII sullo scioglimento e liquidazione delle società di capitali, sotto la rubrica Poteri degli amministratori ) prevede che gli amministratori conservano il potere di gestire la società ai soli fini della conservazione dell integrità e del valore del patrimonio sociale e che, quindi, se violano tale regola, essi sono personalmente e solidalmente responsabili dei danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi, per gli atti od omissioni compiuti in violazione del precedente comma. La nuova disposizione dell art. 2486, comma 2, c.c., è del tutto superflua nella parte in cui postula la responsabilità per i danni cagionati dagli amministratori quando questi non si limitino ad una gestione conservativa, ma proseguano nell ordinario programma imprenditoriale della società. Ciò perché la responsabilità degli amministratori per i danni cagionati è già contemplata negli artt ss. c.c., per cui sarebbe stato sufficiente dettare l art. 2486, comma 1, c.c. Vero è che, come da tempo si osservava, che l azione di cui al vecchio art. 2449, comma 1, c.c. (il quale prevedeva il generale divieto di nuove operazioni ed un generico ed ampio obbligo risarcitorio solidale connesso agli affari intrapresi ) finiva per creare disuguaglianza fra i creditori pre e post insorgenza della causa di scioglimento, dato che gli ultimi erano avvantaggiati rispetto ai primi, potendo fruire della responsabilità diretta degli 6

7 amministratori e conservando altresì l azione anche in caso di fallimento della società, come era giurisprudenza del tutto costante. Se la riforma ha eliminato la responsabilità generale e diretta degli amministratori in caso di generiche nuove operazioni dopo lo scioglimento della società per la riduzione del capitale sociale sotto il limite legale (artt e 2482 ter c.c.), essa, tuttavia, nemmeno ha introdotto la responsabilità diretta, generale ed immediata (per tutti i debiti sociali) degli amministratori per il caso di prosecuzione dell attività quando non sussista più il presupposto della continuità aziendale ed il collegato obbligo dei sindaci e dei revisori contabili di verificarne la permanenza. L espressione è inusuale nel codice civile (si veda, peraltro, l art bis n. 1, c.c.), ma è frequente nella materia contabile, che l ha mutuata dalla prassi anglosassone (ora anche italiana, a seguito dell emanazione del D.Lgs. n. 32/07) del principio del going concern, il quale impone agli amministratori di fornire, nella relazione al bilancio, una visione prospettica dell evoluzione dell attività sociale riferita ad un arco temporale di almeno dodici mesi, con attestazione che, almeno per detto periodo (decorrente dalla chiusura del bilancio), la società è in grado di operare regolarmente. Peraltro, quello degli amministratori di intervenire appena riscontrino il venir meno del presupposto della continuità aziendale è obbligo che, sia pure non menzionato espressamente, va ricondotto nell ambito del generale dovere di diligenza di cui all art c.c. Solo che, a differenza di altri ordinamenti, la conseguenza della sua violazione è soltanto la responsabilità ai sensi degli artt ss. c.c., e non la responsabilità per tutti i debiti sociali sorti dopo il venir meno del presupposto in esame. Invero, una volta eliminata la responsabilità degli amministratori ai sensi dell art. 2449, comma 1, c.c., sarebbe stato contraddittorio prevedere la responsabilità diretta e generale addirittura allorché il capitale non sia ancora perduto, ma venga soltanto meno il presupposto della continuità aziendale. Sempre in tema di scioglimento e liquidazione della società, si ricorda ancora che, in forza del nuovo art c.c., gli amministratori hanno altresì l obbligo di convocare l assemblea per la nomina dei liquidatori, per cui, se il consiglio di amministrazione non convoca l assemblea o questa non provvede, il singolo amministratore deve adire immediatamente il tribunale perché adotti le decisioni ivi previste. Si tratta di un vero e proprio obbligo, specificamente imposto all amministratore, il cui inadempimento può essere fonte di responsabilità (si pensi all aggravamento del dissesto che porta al fallimento) La responsabilità per omessa vigilanza ed intervento sui delegati. L ultima parte del comma 1 dell art c.c. (secondo cui gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall inosservanza di tali doveri, a meno che si tratti di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori ), va letta in connessione con il comma 2 (secondo cui gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell articolo 2381, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose ), mirando entrambi a disciplinare la responsabilità dell amministratore per concorso attivo od omissivo con la condotta altrui nella produzione del danno. In particolare, viene regolata qui la responsabilità dell amministratore per i danni cagionati dalla condotta di un organo delegato, sia esso il comitato esecutivo o uno o più 7

8 amministratori, ai quali l amministratore (ivi compreso quello a sua volta delegato) abbia concorso con un comportamento proprio. Nemmeno in passato questa responsabilità è mai stata concepita come una responsabilità per fatto altrui (senza, cioè, il nesso di causalità diretta con la condotta del delegante) od oggettiva (perché priva dell elemento psicologico e ricollegata alla mera accettazione della carica), ma è sempre stata intesa, almeno di principio, come una responsabilità per fatto proprio, sia esso colposo o doloso. Il codice del 1942 escludeva la responsabilità quando si trattasse di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di uno o più amministratori e sempre che all amministratore delegante non potesse rimproverarsi: di non avere adeguatamente vigilato sul generale andamento della gestione ; di non avere impedito il compimento degli atti pregiudizievoli conosciuti o di non aver agito per eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose. La formula era stata criticata come foriera di interpretazioni estensive della responsabilità del gestore al fatto altrui. Il nuovo testo dell art. 2392, comma 1, c.c. è stato, in parte, mutato, dato che la responsabilità resta ora esclusa in caso di attribuzioni proprie del comitato esecutivo o di funzioni in concreto attribuite ad uno o più amministratori. La nuova dizione è, però, alquanto imprecisa. Infatti, da una parte menziona il conferimento di poteri gestori al comitato esecutivo, dall altra il conferimento di poteri gestori in concreto ad uno o più amministratori, locuzione quest ultima in cui si accomunano deleghe formali e deleghe di fatto. Ciò in quanto la legge si riferisce senza dubbio ai poteri attribuiti agli organi delegati (sulla base della previsione dello statuto o della deliberazione assembleare) con la deliberazione consiliare di conferimento, ma l espressione usata ( in concreto ) si riferisce all evidenza anche alle c.d. deleghe di fatto (o interne, o atipiche), ossia a quelle deleghe che i singoli consiglieri sogliono distribuirsi per la migliore organizzazione del lavoro all interno del consiglio, sia pure senza previsione della possibile attribuzione nello statuto o nella deliberazione assembleare. L intento del legislatore è stato quello di contrastare un orientamento rigoroso di dottrina e di giurisprudenza, secondo cui le deleghe di fatto non esoneravano da responsabilità e ciò per il solo fatto che l organo amministrativo non si fosse avvalso del sistema formale delle deleghe previsto dall art c.c. mediante una propria deliberazione. Che le deleghe di fatto, così come quelle formali, possano di per sé esonerare da responsabilità gli altri consiglieri, a ben vedere, non è tuttavia sostenibile nemmeno in base al nuovo testo della norma: vige, infatti, comunque il disposto dell art. 2392, comma 2, c.c. Se è vero, infatti, che l art. 2392, comma 2, c.c., è stato modificato mediante l eliminazione dell esplicito riferimento alla vigilanza sul generale andamento della gestione, è del pari vero che il potere-dovere di controllo sull altrui agire continua ad essere un obbligo degli amministratori deleganti (sia in modo formale, sia di fatto) in base all art. 2381, comma 3, c.c., laddove riserva alla competenza esclusiva del consiglio di amministrazione il compito di impartire direttive agli organi delegati, di avocare a sé operazioni rientranti nella delega e di valutare il generale andamento della gestione. In altri termini, se il consiglio di amministrazione ha la possibilità di dare istruzioni ai delegati e di compiere direttamente le attività attribuite alla loro competenza ed il singolo consigliere quella di valutare l intera gestione societaria, ciò significa che l esercizio di tali poteri 8

9 costituisce, nel contempo, un obbligo quando sia necessario per evitare il compimento di atti dannosi per la società da parte degli organi delegati. Il componente del consiglio di amministrazione privo di delega, dunque, risponde, in caso di conferimento di deleghe formali o di fatto, ogni volta che dal medesimo sia esigibile il compimento di un atto impeditivo o riduttivo del danno. Anzi, la stessa circostanza che sia stata consentita da uno o più consiglieri la concentrazione di fatto del potere gestorio in capo ad un soggetto al di fuori della delega formale, così abdicando all espletamento pieno delle proprie funzioni, può comportare ammissione dell inadempimento ai propri doveri inerenti lo svolgimento dell incarico. Questi principi sono stati molto di recente ribaditi dalla Cassazione, la quale ha affermato che, in presenza di violazioni evidenti o macroscopiche degli amministratori esecutivi, la responsabilità dell intero consiglio di amministrazione non viene meno neanche nell ipotesi in cui la delega sia riferita ad un intero ramo di attività e nemmeno ove gli amministratori privi di delega siano rimasti in carica per breve tempo, essendo comunque onere degli amministratori non executive quello di attivarsi per impedire il compimento dell atto dannoso e l aggravarsi o il prodursi delle conseguenze dannose (Cass. Civ., n. 9384/11). La circostanza che sia ora previsto non l obbligo di vigilare, ma quello di valutare il generale andamento della gestione, peraltro, sottolinea la circostanza che il controllo espletato dal singolo amministratore non può essere approfondito e tecnico su tutti gli atti compiuti dall organo delegato, ma è, per così dire, sintetico, volto, cioè, ad una valutazione, ad un giudizio complessivo sull attività di gestione da questo svolta, fermo restando che la rilevanza di singole operazioni può esigere un controllo più rigoroso e completo. Strumentale all adempimento di detto obbligo è la trasmissione delle informazioni periodiche (da parte degli organi delegati) al consiglio con la frequenza fissata dallo statuto ed almeno ogni sei mesi (periodo inderogabile), ai sensi dell art. 2381, penultimo comma, c.c., trasmissione che deve avvenire secondo uno strumento pratico continuativo. Sarà opportuno che, accanto alla relazione discorsiva sulle attività compiute, gli organi delegati illustrino l andamento della gestione attraverso gli indici comuni di analisi della situazione aziendale. La seconda formula contenuta nell art. 2392, comma 2, c.c. è, invece, rimasta immutata, salvo l adeguamento lessicale dalla locuzione atti pregiudizievoli a quella omnicomprensiva di fatti pregiudizievoli. Secondo le ordinarie regole della condotta colposa ed alla stregua della interpretazione del precedente testo, alla conoscenza di tali fatti va equiparata la conoscibilità con la diligenza propria della carica ricoperta. Resta fermo, in definitiva, che il compimento dell atto dannoso da parte dell organo delegato può essere imputato anche al delegante esclusivamente nel caso in cui esista un qualsiasi concorso di questi all evento mediante la sua condotta individuale: per avere attivamente partecipato all atto; per avere omesso di impedirlo allorché egli potesse utilmente attivarsi; per avere omesso, ove possibile, di ridurre o eliminare le conseguenze dannose. Strumentale all adempimento dei doveri di diligenza, di vigilanza e di intervento previsti dall art c.c., è quello di informazione, di cui all art. 2381, ultimo comma, c.c., previsto in capo a ciascun amministratore anche come potere individuale: pure da ciò trae conferma, dunque, la tesi che l adempimento dei doveri predetti è dovuto da parte di ciascun amministratore Gli amministratori di fatto. 9

10 Altra questione delicata è quella degli obblighi gravanti sugli amministratori di fatto. Va innanzitutto ricordato che ormai da tempo anche la Corte di legittimità ha aderito all orientamento dottrinale, secondo il quale l assunzione della qualifica di amministratore di società di capitali prescinde da una formale investitura da parte dell assemblea dei soci, sia pure consacrata in una deliberazione irregolare od implicita, e si basa esclusivamente sulla ingerenza di fatto nella gestione sociale, in considerazione del contenuto delle funzioni concretamente esercitate. Secondo la Suprema Corte, infatti, in tali casi si instaura un rapporto di natura obbligatoria anche se la fattispecie negoziale cui lo stesso è ricollegato non si sia realizzata o non sia pienamente conforme al modello legale tipico. Tali situazioni danno luogo ad una serie di rapporti contrattuali di fatto che assumono rilevanza giuridica a prescindere dall esistenza della corrispondente fattispecie negoziale: detti rapporti, invero, danno luogo a relazioni di contatto sociale particolarmente significative, tali da giustificare per il nostro ordinamento il sorgere di vincoli obbligatori che vanno al di là del semplice dovere di rispetto dei diritti altrui e ciò indipendentemente dall esistenza di un conforme intento negoziale delle parti interessate. Anche l assunzione della gestione degli affari altrui nella consapevolezza della loro alienità può essere assimilata a tali rapporti contrattuali di fatto. Dagli artt e ss. c.c. si desume, infatti, che l ingerenza non autorizzata nella sfera giuridica altrui non è considerata illegittima dalla legge, ma, all inverso, risponde ad un interesse meritevole di tutela e, in quanto tale, è idonea a determinare la nascita delle obbligazioni che deriverebbero dal mandato (art. 2030, comma 1, c.c.). Nel caso di volontaria ingerenza di fatto nella gestione sociale, pertanto, si è in presenza di uno di quei fatti giuridici che, pur non avendo natura negoziale, sono considerati dalla legge tra le fonti delle obbligazioni (art c.c.). Pertanto, anche in difetto di un atto di nomina, sia pure irrituale, dell amministratore da parte dell assemblea, l attività del gestore di fatto non solo è rilevante sul piano della responsabilità da fatto illecito (art c.c.), ma è pure idonea a far sorgere in capo al gestore la responsabilità contrattuale tipica di colui il quale abbia formalmente ricevuto l incarico gestorio. Il discrimine tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale non va, infatti, individuato nella fonte, bensì nella natura della situazione giuridica violata, per cui, qualora vengano violate obbligazioni, anche se non derivanti da un contratto, si ha responsabilità contrattuale, mentre qualora venga violato il solo precetto generale del naeminem ledere, si ha responsabilità extracontrattuale. Oggi, dunque, è pacifico che le norme che disciplinano l attività degli amministratori di società di capitali, essendo dettate al fine di consentire il corretto svolgimento dell amministrazione della società, sono applicabili non solo a coloro che sono stati immessi nelle forme stabilite dalla legge nelle funzioni di amministratore, ma anche a coloro che si siano di fatto ingeriti nella gestione della società in assenza di una qualsivoglia investitura da parte dell assemblea, sia pure irregolare o implicita. I responsabili della violazione di dette norme vanno, dunque, individuati, anche nell ambito del diritto privato (così come in quello del diritto penale ed amministrativo), non già sulla base della loro qualificazione formale, bensì con riguardo al contenuto delle funzioni concretamente esercitate (ex plurimis Cass. Civ., n. 1925/99) Il conflitto di interessi 10

11 La riforma ha modificato alquanto l art c.c. sin dalla sua rubrica, che non si intitola più conflitto d interessi, ma (genericamente) interessi degli amministratori. Essa eleva a norma giuridica un precetto elementare di correttezza: si è, infatti, imposto espressamente all amministratore l obbligo di informare gli altri consiglieri ed il collegio sindacale di ogni interesse (ovviamente extrasociale) che egli abbia in una vicenda societaria. Scompare, dunque, la precisazione che debba trattarsi di un interesse in conflitto, dalla giurisprudenza costante inteso come l interesse incompatibile con quello sociale. L amministratore è tenuto a palesare qualsiasi interesse nell operazione, anche compatibile o persino concorrente con quello della società: la valutazione della compatibilità dell interesse privato con quello sociale è sottratta, pertanto, all amministratore. Il solo presupposto del sorgere dell obbligo informativo è, dunque, l esistenza di un (anche generico, incerto ed, al limite, compatibile) interesse in quell operazione. L interesse di cui l amministratore è portatore può essere per conto proprio o di terzi. Con la nozione di interesse per conto di terzi si intende la situazione in cui l amministratore, vuoi in virtù dell esistenza di un obbligo giuridico (di solito derivante da un mandato, da un contratto di lavoro subordinato od autonomo), vuoi in ragione di un legame derivante da rapporti societari od affettivi in senso lato, è sensibile anche ad un interesse extrasociale per conto di terzi. Infatti, la relazione fra l amministratore ed il terzo, che rende il primo portatore dell interesse del secondo, può essere la più diversa, non occorrendo la dimostrazione di un incarico giuridico in senso tecnico. Inoltre, la dizione ogni interesse legittima la tesi secondo cui esso può essere patrimoniale o non patrimoniale. La legge richiede che l interesse sussista in una determinata operazione : esso, dunque, diviene giuridicamente rilevante nel momento in cui la società compie, od abbia in programma di compiere, un operazione (intesa essa come atto, attività o mero fatto giuridico) individuata. L amministratore è obbligato ad indicare tutti gli elementi che consentano agli altri amministratori ed all organo di controllo di valutare la rilevanza dell interesse di cui è portatore: la legge, infatti, impone di dare notizia agli altri amministratori ed al collegio sindacale dell interesse extrasociale. Destinatari dell informazione sono tutti i componenti dell organo amministrativo e dell organo di controllo, ma a quest ultimo potrà pervenire in persona del suo presidente, come risulta dall indicazione normativa dell organo collegiale nel suo complesso. Non occorre che la notizia sia data durante la discussione svoltasi nel corso della riunione consiliare, in quanto essa può essere fornita con ogni mezzo ed anche data separatamente a ciascuno dei destinatari con modalità distinte, ma sarebbe ben strano che, in apertura della riunione destinata a discutere dell operazione sensibile, l informazione non venisse almeno rinnovata Ove l amministratore sia assente, l interesse extrasociale del quale è portatore dovrà essere stato anteriormente e con sufficiente anticipo comunicato perché l obbligo in esame possa dirsi assolto. Certamente, gli obblighi d informazione previsti dal primo comma (richiamati anche dal terzo comma, per escludere la legittimazione dell amministratore consenziente) dovranno ritenersi non adempiuti se anche uno soltanto dei destinatari sia stato privato della notizia. 11

12 Sebbene la legge non imponga una forma solenne della dichiarazione o della comunicazione della notizia, né una forma a fini probatori, vi è l obbligo di utilizzare comunque una modalità espressiva tale da assicurare la completa informazione di tutti i destinatari; ciò, invero, rileva specialmente ai fini dell interpretazione e della prova del requisito della legittimazione di cui al terzo comma, seconda proposizione, dell art c.c. Vi possono essere particolari situazioni societarie nelle quali l amministratore si trova quasi quotidianamente ad essere portatore di un interesse extrasociale, spesso in conflitto con quello della società: in tal caso, l obbligo di diligenza e di correttezza gli impone di predisporre un meccanismo informativo di carattere generale (ad esempio all inizio di ogni anno o ogni semestre) per enunciare l interesse e le modalità che intende attuare, al fine di evitare qualsiasi danno alla società (ad es. che le operazioni con le società controllate saranno compiute alle condizioni di mercato). Una volta che l amministratore abbia dato notizia agli altri soggetti indicati dalla norma dell esistenza del suo interesse, sorge l obbligo del consiglio di amministrazione deliberante di motivare le ragioni e la convenienza per la società dell operazione. Deve ritenersi che, attesa l ampiezza ed il fondamento razionale della previsione, l obbligo sussista sempre e, quindi, sia nel caso in cui il consiglio di amministrazione decida di compiere l operazione, sia nel caso contrario, sebbene la lettera della norma potrebbe far sorgere dubbi con l espressione usata, che parrebbe contemplare solo l ipotesi positiva. La motivazione, oltre ad esistere, deve essere esauriente e sensata ( adeguatamente ), idonea quindi ad illuminare su tutti gli interessi in gioco, a chiarire la ragione che abbia indotto a compiere ugualmente l operazione, oppure no, i vantaggi per la società ed i motivi per i quali l interesse dell amministratore non abbia interferito con l assunzione della decisione e il consiglio abbia deciso, nonostante quell interesse, di adottare la decisione finale. La riforma ha eliminato l obbligo di astensione dal voto in capo all amministratore portatore di un interesse (confliggente o no) estraneo alla società amministrata. Il testo previgente poneva l obbligo di astensione dal voto come il principale precetto dell art c.c., tale, invero, da condurre, in caso di violazione ed esito positivo della prova di resistenza, al vizio di annullabilità della deliberazione consiliare, unica ipotesi ivi disciplinata. Secondo un orientamento più rigoroso, si reputava che l amministratore avrebbe dovuto anche abbandonare fisicamente la riunione e non partecipare alla discussione, perché: la sua sola presenza era parsa suscettibile di avere l effetto di condizionare le opinioni degli altri e di influenzare la decisione; altro è che l amministratore illustri la sua situazione di conflitto di interessi, altro è che egli dia il suo parere nel merito dell operazione. In modo ancora più severo, l art c.c. sanzionava penalmente la mancata astensione dal voto, prevedendo soltanto come aggravante il caso che dalla deliberazione derivasse un danno: dunque, la partecipazione al voto, anche in assenza di qualsiasi danno per la società o persino con suo vantaggio, costituiva reato di pericolo, la cui previsione era finalizzata a favorire la correttezza formale dell agire amministrativo. Oggi, invece, si afferma che proprio l adempimento del ribadito obbligo informativo può rendere necessaria la presenza dell amministratore alla riunione (sebbene egli possa senza dubbio assolverlo anche senza parteciparvi). 12

13 Una volta palesato l ulteriore interesse di cui sia portatore, l amministratore dovrebbe poter discutere ed esprimere il suo voto senza rischi per la società, essendo anzi chiamato ad illustrare in consiglio la situazione ed a rispondere alle domande che ivi gli vengano poste. Si è quindi ritenuto che l amministratore debba poter partecipare alla discussione, per tre motivi: perché, comunque, lo farebbe nei corridoi, onde la regola sarebbe, di fatto, agevolmente elusa; perché egli può così illustrare le ragioni per cui la sua scelta è conforme all interesse della società; perché in molti casi non è chiaro se il conflitto vi sia, oppure no, al fine di imporre l astensione. Pertanto, è stato eliminato l obbligo di astensione dalla votazione nell art c.c. Dunque, il conflitto d interessi esiste allorché l amministratore non sia portatore soltanto dell interesse sociale, ma anche di un altro interesse in contrasto con il primo; tuttavia, ciò è fatto in sé non illecito, sino a quando egli non voti od agisca comunque contro l interesse sociale. Come si è visto, l amministratore può votare. Però, se l amministratore vota, in modo favorevole o contrario, purché il suo voto abbia concorso all esito della deliberazione assunta, la deliberazione è annullabile tutte le volte che essa sia anche solo potenzialmente dannosa per la società e ciò che l operazione venga decisa, oppure no. Inoltre, l amministratore che non si astenga, ma voti in modo difforme dall interesse sociale è revocabile da parte dell assemblea dei soci ai sensi dell art c.c. e passibile della denuncia di cui all art c.c. Infine, la mancata astensione può costituire fonte di responsabilità civile, se da essa sia derivato un danno per la società (art c.c.), ed, altresì, di responsabilità penale, se sussistano, oltre al danno, gli altri elementi soggettivi della fattispecie di cui all art c.c. Pertanto, affinché (in caso di voto determinante) la deliberazione sia valida e (anche in caso di voto non determinante) al fine di sottrarsi alla revoca dalla carica per giusta causa, l amministratore deve esprimere il suo voto facendo prevalere l interesse sociale su quello privato, se configgenti. Quanto alla responsabilità per i danni dell amministratore che voti (di cui agli arti e 2392 ss. c.c.), essa ovviamente sussiste soltanto in presenza di un concreto pregiudizio per la società, come è proprio di tali fattispecie. Diversamente stanno le cose nella s.r.l., dove rileva in argomento l art ter c.c. La prima differenza risiede nella rubrica dell articolo, che prende in considerazione il conflitto di interessi dell amministratore e non la mera presenza di un interesse extrasociale, ancorché non in conflitto con quello sociale, come fa l art c.c. In secondo luogo, la norma non richiede, a differenza di quanto accade nella S.p.A., la previa comunicazione al consiglio di amministrazione dell interesse in conflitto di cui è portatore l amministratore interessato. A chi scrive, tuttavia, sembra che l obbligo di disclosure sia implicitamente richiesto dal canone generale di diligenza e correttezza. In terzo luogo, l art ter c.c. statuisce l annullabilità del contratto concluso da parte dell amministratore in conflitto, a patto che il conflitto fosse conosciuto o riconoscibile da parte del terzo. 13

14 L art ter c.c., al comma 2, facoltizza gli altri amministratori, il collegio sindacale (ora sindaco unico) e il revisore, all impugnazione delle decisioni adottate dal consiglio di amministrazione con il voto determinante di un amministratore in conflitto di interessi con la società, qualora siano fonte di un danno patrimoniale alla società. Anche in questa sede si rinviene un ulteriore differenza con l art c.c.: nelle S.p.A. assume rilievo anche la mera potenzialità di danno, mentre nel caso delle s.r.l. l art ter, comma 2, c.c. richiede espressamente, ai fini della impugnabilità, la sussistenza di un danno effettivo alla società Interessi degli amministratori e operazioni con parti correlate Una particolare ipotesi di interesse rilevante è quella che si genera in ipotesi di operazioni con parti correlate. Le operazioni con parti correlate hanno assunto un importanza fondamentale nel sistema societario italiano ed internazionale e la relativa normativa presenta punti di contatto non solo col tema del conflitto di interessi, ma anche con la materia dei conferimenti e delle operazioni di prestito e garanzia su azioni proprie. Si rende, quindi, necessario trattarne, seppur solo brevemente (attesa la vastità dell argomento) e solo limitatamente alle ipotesi degli interessi rilevanti. Il D.Lgs. n. 173/08, nel dare attuazione alla direttiva 2006/46/CE in tema di conti annuali di taluni tipi di società (consolidati, annuali e consolidati delle banche, degli altri istituti finanziari e delle imprese di assicurazione), ha aggiunto un nuovo punto, il 22 bis, all art. 2427, comma 1, c.c., dedicato all informativa di bilancio da riportare in nota integrativa. Il punto in questione richiede di esporre in nota integrativa una serie di informazioni circa le operazioni realizzate con parti correlate. La lettera b) del terzo comma dell articolo 98 T.U.I.R., considera, invece, parti correlate le società controllate ai sensi dell articolo 2359 c.c. e, se persone fisiche, anche i familiari di cui all articolo 5, comma 5, del T.U.I.R.. Detta nozione di parte correlata si differenzia da quelle fornite dalla CONSOB e dalla Banca d Italia le quali, allineandosi al principio contabile internazionale IAS 24, definiscono, molto più ampiamente, quali parti correlate: quelle che detengono un rapporto di controllo; quelle aventi un rapporto di collegamento; quelle che esercitano un influenza notevole ; gli aderenti a patti parasociali (se agli stessi è conferita una partecipazione di controllo); coloro ai quali sono attribuiti poteri e responsabilità in ordine all esercizio delle funzioni di amministrazione, direzione e controllo. La Banca d Italia, tuttavia, ha introdotto alcune novità rilevanti, in quanto: si mantengono nel cd. perimetro di consolidamento tutti i soggetti correlati, così da prevenire le elusioni normative che potrebbero essere perpetrate mediante operazioni di triangolazione; assume grande rilevanza il ruolo degli amministratori indipendenti: il loro eventuale voto negativo, infatti, comporta l ottenimento del parere dell organo di controllo e la relativa comunicazione all assemblea; vengono introdotte le definizioni di operazione ordinaria e di importo esiguo, specificando che tutte le altre sono sempre rilevanti; è esclusa la procedura di whitewash, che, pur in presenza del parere negativo di alcuni amministratori, facoltizza il compimento dell operazione purché la scelta di effettuare l operazione sia approvata dall assemblea; 14

15 contempla tutte le operazioni infragruppo. E immediatamente percepibile la portata che le operazioni con parti correlate hanno nell attuale contesto della governance societaria. Basti ricordare che l art c.c. impone di indicare nell informativa di bilancio da inserire in nota integrativa una vasta platea di soggetti (che esercitano la propria attività economica e non), tanto nella veste privata di società di capitali, quanto nella veste pubblica di Enti pubblici non economici. Il codice civile, prima della suddetta modifica, disciplinava le operazioni con parti correlate solo all art bis, articolo inserito dall art. 12 del D.Lgs. n. 310/04 e destinato alle sole società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. La disposizione prevede che gli organi di amministrazione adottano, secondo principi generali indicati dalla CONSOB, regole che assicurano la trasparenza e la correttezza sostanziale e procedurale delle operazioni con parti correlate e li rendono noti nella relazione sulla gestione; i principi si applicano alle operazioni realizzate direttamente o per il tramite di società controllate e disciplinano le operazioni stesse in termini di competenza decisionale, di motivazione e di documentazione. L organo di controllo vigila sull osservanza delle regole adottate ai sensi del primo comma e ne riferisce nella relazione all assemblea. Il Legislatore, dunque, non fornisce una nozione precisa di parte correlata, ma rinvia di netto alla definizione data dai principi contabili internazionali adottati all Unione Europea, in particolar modo allo I.A.S. 24, ossia quello dedicato all informativa di bilancio sulle operazioni con parti correlate. La lettura del principio contabile I.A.S. 24, però, è tutt altro che agevole e richiede l approfondimento di concetti ulteriori, sviluppati da altri principi contabili. In proposito, si pensi ai richiami allo I.A.S. 27 (Bilancio consolidato e separato), allo I.A.S. 28 (Partecipazioni in società collegate), allo I.A.S. 31 (Partecipazioni in joint ventures), allo I.A.S. 19 (Benefici per i dipendenti). Ciò che emerge dalla lettura sistematica dei suddetti principi è l affermarsi di un concetto, quello di parte correlata, che richiama un vasto e variegato sistema di legami societari, ma anche relazioni di altra natura. Limitandosi a richiamare il contenuto dello I.A.S. 24, possiamo così schematizzarne la nozione, affermando che la parte correlata ad un entità è: la parte che, direttamente o indirettamente, anche attraverso uno o più intermediari: a) controlla l entità; b) ne è controllata; c) è soggetta al controllo congiunto; d) detiene una partecipazione nell entità che le consente di esercitare su di essa un influenza notevole; e) controlla congiuntamente l entità; una società collegata dell entità; una joint venture in cui figura la parte correlata; uno dei dirigenti con responsabilità strategiche dell entità o la sua controllante; una società controllata, controllata congiuntamente o soggetta ad influenza notevole da uno dei dirigenti con responsabilità strategiche o dei suoi familiari; una società in cui detti soggetti detengono, direttamente o indirettamente, una quota significativa dei diritti di voto, anche a mezzo di patti parasociali; un fondo pensionistico per i dipendenti della società di una qualsiasi entità ad essa collegata; una società in cui gli aderenti a patti parasociali hanno una partecipazione di controllo. In particolare, è utile rammentare che: 15

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