La protezione giurisdizionale dei soggetti deboli

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1 La protezione giurisdizionale dei soggetti deboli I soggetti deboli Se sono molte le situazioni di debolezza in cui si possono trovare le persone, la legge prevede interventi a favore di chi si trova in condizioni di debolezza per motivi naturali, fisici o psicologici. Nel caso dei minorenni, la legge attribuisce ai loro genitori l obbligo di provvedere ai loro bisogni; se costoro sono inadeguati, sempre la legge attribuisce il compito di aiutare e sostenere i minori a persone disponibili a ciò (in base all indicazione dell autorità pubblica) o a organizzazioni assistenziali di tipo familiare sotto l egida dei servizi sociali professionali (sono gli strumenti dell affidamento e dell adozione). Nel caso dei maggiorenni, è sempre la legge a determinare il modo in cui le persone scelte dalla pubblica autorità per aiutare e sostenere i soggetti in condizione di debolezza (preferibilmente si tratta di familiari o, comunque, di persone vicine, diversamente che si affida a organizzazioni assistenziali) sono chiamate a svolgere il loro compito, comunque sotto il controllo dell autorità giudiziaria e con l eventuale collaborazione dei servizi sociali territoriali gestiti dai comuni. Qui si parlerà soprattutto degli strumenti giudiziari che servono a difendere i minorenni, in maggiorenni incapaci d intendere di voler oppure non del tutto in grado di badare a se stessi. A questo proposito, occorre richiamare brevemente la distinzione tra tre diversi concetti giuridici: La capacità giuridica è di idoneità di una persona ad essere titolare di diritti e di doveri; si acquista automaticamente con la nascita; la capacità di agire è invece la possibilità di compiere validamente degli atti giuridici, dunque di operare nel mondo del diritto e acquistare (o cedere) diritti e obblighi; la legge attribuisce tale capacità con il compimento della maggiore età (attualmente raggiunta al 18º anno), ma sempre la legge prevede che essa sia tolta mediante una sentenza di interdizione, nel caso la persona in questione sia stabilmente in condizioni di grave incapacità di intendere e di volere; la capacità di intendere e di volere, in sé, consiste nella coscienza dei propri pensieri e delle proprie azioni e, di conseguenza, si traduce nella capacità di badare ai propri interessi. A differenza delle due condizioni precedenti, la capacità di intendere è di volere è un dato naturale e psicologico, che nulla ha a che vedere con le leggi. L amministrazione di sostegno La legge 6/2004 ha affiancato agli strumenti tradizionali di tutela dei soggetti deboli (interdizione e inabilitazione) la cosiddetta amministrazione di sostegno, pensata per chi è in una qualunque situazione di debolezza, a prescindere dal suo essere o meno capace di intendere e di volere (condizione che invece era richiesta dagli altri due strumenti). Si tratta di un cambiamento sensibile nella politica di protezione: se l interdizione e inabilitazione erano sostanzialmente strumenti per limitare la capacità di agire del soggetto, per proteggere il patrimonio suo e dei familiari da eventuali atti dannosi da lui stesso compiuti, l amministrazione di sostegno punta invece ad aiutare il soggetto debole nelle sue relazioni sociali e giuridiche, attraverso un altra persona che lo sostiene e che ha poteri e doveri determinati dal giudice a seconda delle esigenze del singolo soggetto in condizioni di bisogno. L amministrazione di sostegno si può attivare un provvedimento giudiziario quando una persona «per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale temporanea, di provvedere ai propri interessi»: ciò significa che si può avere l amministrazione di sostegno anche se il beneficiario è capace di intendere e di volere (si pensi ad esempio a un pensionato molto debole). A fare la richiesta può essere il soggetto debole stesso (anche se è interdetto o inabilitato), il pubblico ministero o alcuni familiari (coniuge, convivente stabile, parenti e affini stretti). 1

2 Salvi i casi in cui è il soggetto debole stesso a designare in anticipo, con un atto autenticato revocabile, l eventuale futuro amministratore (e il giudice potrà designare una persona diversa solo per gravi motivi), la scelta dell amministratore di sostegno spetta al giudice tutelare; la designazione ha come unico criterio la migliore rispondenza alle esigenze di cura della persona e del patrimonio del soggetto debole; in ogni caso, deve essere scelto di preferenza un familiare stretto. La scelta viene formalizzata con un decreto del giudice (un provvedimento meno imperativo della sentenza) e all interno si stabilisce la durata dell incarico (eventualmente anche a tempo indeterminato) e, soprattutto, le regole sulle condizioni di vita del beneficiario e su come l amministratore sarà chiamato a rendere conto della sua attività; nello stesso documento vengono indicati gli atti che possono essere compiuti solo dall amministratore, in nome e per conto del beneficiario, nonché quelli per cui il beneficiario deve essere assistito dall amministratore e i limiti di spesa dell amministratore, quando utilizza denaro del beneficiario nell interesse di quest ultimo. Questo comporta che gli atti non elencati nelle due categorie appena viste e, comunque, gli atti «necessario soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana» possono essere compiuti validamente dal beneficiario senza l intervento dell amministratore; per contro, gli atti compiuti dal beneficiario o dall amministratore in violazione delle regole stabilite dal giudice sono annullabili. In ogni caso, gli atti di maggiore importanza (come l accettazione o rinuncia di eredità, la stipulazione di contratti di locazione oltre i nove anni, la costituzione di pegni o ipoteche) possono essere compiuti solo con l autorizzazione del giudice tutelare. Perché i soggetti che entrano in contatto con il beneficiario siano a conoscenza del suo particolare stato, occorre che il decreto che fa sorgere l amministrazione di sostegno sia annotato nei registri dello stato civile; nulla vieta, peraltro, che il decreto sia modificato o addirittura revocato, se apparisse opportuno. Interdizione e inabilitazione Lo strumento dell interdizione serve per "proteggere" una persona maggiorenne (nonché il patrimonio suo e della famiglia) attraverso lo "scudo" della completa incapacità di agire. In particolare, possono essere interdetti coloro che «si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi» (art. 414 c.c.). Sulla richiesta di interdizione (che può provenire dagli stessi soggetti legittimati a chiedere l amministrazione di sostegno) il tribunale decide con sentenza. Nel provvedimento si ha la nomina del tutore, la cui scelta avviene secondo gli stessi criteri stabiliti per l amministratore di sostegno, nonché del protutore, il quale sostituirà il tutore nel caso questi si trovi in conflitto di interessi con l interdetto; ovviamente la sentenza di interdizione deve essere annotata sui registri dello stato civile. Lo scudo di protezione, in questo caso, è totale: qualunque atto giuridico compiuto personalmente dall interdetto è annullabile, anche se non gli ha prodotto alcun danno e anche se la persona che ha stipulato il contratto con l interdetto ha creduto in buona fede di avere a che fare con un soggetto capace di intendere e di volere; l interdetto non può compiere nemmeno gli atti giuridici personalissimi (matrimonio, riconoscimento del figlio naturale, testamento), che però non rientrano nemmeno in ciò che può fare il tutore. Il tutore si configura come legale rappresentante dell interdetto e lo sostituisce il compimento di ogni atto giuridico che lo riguardi (che si tratti di un contratto o, al limite, anche del consenso a un operazione chirurgica o un trattamento sanitario generale). I doveri del tutore si identificano con la cura della persona e l amministrazione del patrimonio dell interdetto; l attività del tutore è soggetta al controllo costante del giudice tutelare, il quale verificherà il rispetto dei doveri e l effettivo perseguimento degli interessi dell interdetto. Tra le varie regole previste dal codice civile, vanno ricordati alcuni punti: per prima cosa il tutore deve compiere l inventario dei beni dell interdetto; deve seguire scrupolosamente quanto stabilito dalla sentenza a proposito della cura della persona dell amministrazione del patrimonio dell interdetto e, nella stessa ottica, le compiere tutti gli atti giuridici che appaiono opportuni nell interesse dell interdetto (ma per gli atti di maggiore importanza occorre, anche qui, l autorizzazione del giudice tutelare del tribunale); da ultimo 2

3 l amministratore è chiamato a rendere conto del proprio operato al giudice tutelare sia con cadenza annuale, sia alla fine della tutela con presentazione di un rendiconto finale. Il tutore è chiamato ad esercitare le sue funzioni con diligenza e se, violando i propri doveri, produce dei danni all interdetto, è chiamato a risponderne. L altro strumento tradizionale di tutela, l inabilitazione, ormai ha poco spazio, essendo stato sostituito quasi per intero dall amministrazione di sostegno. Gli inabilitazione può essere decisa in presenza di una infermità mentale abituale di una certa gravità (ma non così grave da suggerire l interdizione), l uso abituale di alcol o droghe, nonché la prodigalità (cioè lo sperpero del proprio denaro), se queste ultime due situazioni espongono la persona o la sua famiglia a gravi pregiudizi economici; anche qui, i soggetti legittimati a chiedere l inabilitazione sono gli stessi previsti per l amministrazione di sostegno. È di nuovo una sentenza del tribunale a decidere sull inabilitazione: in essa (ovviamente da annotare sui registri dello stato civile) viene nominato il curatore, scelto secondo gli stessi criteri dell amministratore di sostegno. Questa figura non è legale rappresentante dell inabilitato: deve solo collaborare con lui (integrando la volontà del soggetto debole con la propria) perché egli possa prendere le decisioni di maggiore importanza economica, in particolare gli atti giuridici di carattere patrimoniale e di straordinaria amministrazione, diversamente sono annullabili; gli atti giuridici patrimoniali di ordinaria amministrazione e quelli personalissimi, invece, possono essere compiuti personalmente dall inabilitato. Può peraltro succedere che un soggetto sia temporaneamente incapace di intendere e di volere (anche solo per un ubriacatura o come conseguenza di un infortunio), oppure sia stabilmente in quelle condizioni, ma nessuno abbia chiesto l interdizione (soprattutto quando nessuno si prende cura di quei soggetti): in questi casi manca lo scudo protettivo dell incapacità di agire, dunque potenzialmente il soggetto potrebbe compiere qualunque atto, anche nocivo per sé. La legge prevede che un atto giuridico compiuto dall incapace di intendere e di volere, nel caso gli procuri un danno, sia annullabile su richiesta del soggetto stesso; se però l atto in questione è un contratto, per annullare l atto è necessario dimostrare che l altro contraente ha agito in malafede. La minore età Essendo per legge incapace di agire, il minorenne non può compiere atti giuridici e ad agire in nome e per conto del minore sono i genitori (o l unico genitore che esercita la potestà), in qualità di legali rappresentanti: questo significa che gli atti giuridici compiuti dai minorenni possono essere annullati dal giudice con una sentenza, anche se non producono danni per il minorenne. Va peraltro segnalato che l incapacità di agire non è completa, né rigida. La legge, innanzitutto, prevede che alcune categorie di atti possano essere svolte autonomamente dal minore, a partire dai diritti e dalle a- zioni legate al contratto di lavoro (oggi per lavorare occorre avere almeno 15 anni) e da alcuni atti di diritto di famiglia, una volta superati i 16 anni (matrimonio previa autorizzazione, riconoscimento di figlio naturale, consenso a essere riconosciuto figlio naturale); sempre a 16 anni, il minorenne dev essere ascoltato dal giudice in tutti i procedimenti giudiziari che lo riguardano. All atto pratico, peraltro, è all ordine del giorno che il minorenne si comporti come se fosse capace di agire e chi si trova a trattare con loro (pur sapendo di trovarsi di fronte a un minore) ritengono che gli atti compiuti siano perfettamente validi. Si usa dunque dire che, in caso di piccoli atti giuridici legati alla vita quotidiana (essenzialmente piccoli acquisti), si presume che i minori siano stati incaricati dai genitori, mentre la stessa presunzione non vale se l operazione non rientra nella normale vita del minore (in particolare, acquisti di alto prezzo). Se un minorenne (compiuti i 16 anni) viene autorizzato a contrarre matrimonio, acquista lo stato di minore emancipato e, con esso, una capacità di agire limitata agli atti di ordinaria amministrazione, mentre per gli atti di straordinaria amministrazione occorre che la volontà del minore sia integrata da quella di un curatore. 3

4 Può capitare che i minori, già in una condizione di debolezza, si ritrovino in condizioni di abbandono, pericolo, insalubrità o vivano con persone incapaci di provvedere a loro: in questi casi l autorità pubblica è chiamata ad intervenire d urgenza attraverso gli organi di protezione dell infanzia, collocando temporaneamente il minore in un luogo sicuro. Nel caso, infine, entrambi i genitori siano morti o decaduti dalla potestà, il giudice tutelare nomina un tutore, con funzione di legale rappresentante del minore, nonché di cura della persona e del patrimonio; occorre che sia nominato anche un protutore, pronto a sostituire il tutore se questi ha interessi in conflitto con quelli del minore. L affidamento Se il minore si trova in una situazione di abbandono temporaneo (in caso di abbandono definitivo, invece, si dovrebbe procedere con una dichiarazione di adottabilità), è possibile disporre l affidamento familiare per un periodo massimo di 24 mesi (può essere prorogato solo per gravi ragioni e comunque su decisione del tribunale per i minori): se i genitori sono consenzienti, l affidamento è deciso dai servizi sociali professionali (con successivo controllo di legittimità del giudice tutelare), mentre in caso di dissenso è il tribunale per i minorenni a decidere. Possono essere affidatarie tanto famiglie (preferibilmente con figli minori) quanto persone singole (cui invece è preclusa l adozione, al pari delle coppie di fatto); se queste soluzioni non sono possibili, l affidamento è fatto a comunità di tipo familiare o comunità alloggio, gestite dai servizi sociali comunali o (più spesso) dal privato sociale; dal 2006 non è più prevista l ipotesi del collocamento in un istituto di assistenza. Alla base dell affidamento (su cui vigilano i servizi sociali professionali) ci sono un progetto educativo per il minore e un progetto di intervento sociale a sostegno della sua famiglia, entrambi elaborati dai servizi sociali con le famiglie affidatarie (o i gestori privati delle comunità). L affidatario ha i doveri tipici dei genitori («mantenere, istruire ed educare» il minore), da esercitare secondo le indicazioni dei servizi sociali professionali e sotto il loro controllo; tocca invece ai servizi tenere il collegamento (tutto meno che semplice) tra minore, affidatari e famiglia d origine, dal momento che lo scopo finale è sempre il reinserimento del minore nella sua famiglia legittima. L ente locale da cui dipendono i servizi finanzia gli affidamenti: le famiglie affidatarie possono ricevere un contributo per le spese, mentre le comunità ricevono una retta che dovrebbe coprire tutte le spese. La volontaria giurisdizione Si è visto fin qui che il giudice ha il compito di intervenire più volte, come autorità chiamata a pronunciare l interdizione e l abilitazione, a nominare il tutore o il curatore (e autorizzare alla straordinaria amministrazione il tutore), a sorvegliare la tutela; spetta sempre al giudice, tra l altro, valutare la maturità di un minorenne che voglia sposarsi (e la gravità dei motivi alla base della scelta), nonché stabilire se le condizioni in cui un minore vive sono adeguate per una crescita armonica e, in caso contrario, è chiamato ad agire per salvaguardare i suoi interessi (limitazione o decadenza dalla potestà, affidamento, a- dozione). Tutte questi casi hanno un particolare comune rilevante: se normalmente il giudice (civile) è chiamato a risolvere (come autorità terza e indipendente rispetto alle parti) le controversie tra le persone che vantano pretese in contrasto tra loro (si parla tecnicamente di giurisdizione contenziosa, con un attore che agisce in giudizio e ha l onere di dimostrare le sue pretese e un convenuto che viene chiamato in giudizio e ha l onere di difendersi), qui si è in un regime di volontaria giurisdizione. Si tratta di una funzione piuttosto di carattere amministrativo, in cui il giudice ha il dovere di curare e promuovere gli interessi del soggetto debole, sostanzialmente tutelandolo: non ci sono di solito parti litiganti, ma una persona che ha bisogno di aiuto e che a favore della quale il giudice può prendere un provvedimento di protezione, una volta sentito il pubblico ministero. I provvedimenti di volontaria giurisdizione, poi, sono sempre modificabili, in base a come cambiano e si evolvono le circostanze di fatto, in modo che le decisioni siano le più opportune per il soggetto che 4

5 dev essere tutelato (mentre i provvedimenti di giurisdizione contenziosa, in particolare le sentenze, hanno di norma il carattere della definitività). Tra i vari giudici che hanno competenze di volontaria giurisdizione occorre ricordare: il giudice tutelare (presso il tribunale civile): tocca a lui nominare l amministratore di sostegno (stabilendone i poteri e controllando l attività), controllare l operato dei tutori, verificare la legittimità degli affidamenti familiari decisi dai servizi sociali, autorizzare molti atti patrimoniali sui beni di un minore o di un interdetto; il tribunale per i minorenni: prende tutti i provvedimenti opportuni nell interesse di un minore in situazione di grave difficoltà familiare (maltrattamenti, abbandono, ), dal divieto di determinati comportamenti per i genitori, all allontanamento dalla casa familiare del bambino o dell adulto che lo maltratta; il provvedimento più pesante è la decadenza dalla potestà genitoriale; il tribunale ordinario (civile): spetta a lui pronunciare l interdizione, nonché autorizzare il compimento di alcuni atti patrimoniali sui beni di un minore o di un interdetto. Contro i provvedimenti di volontaria autorizzazione è ammesso il ricorso alla Corte d appello (giudice di secondo grado); il ricorso alla Corte di Cassazione, invece, è ammesso solo se indicato espressamente dalla legge e nei casi di provvedimenti lesivi della libertà personale (come da art. 111 Cost.). 5

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