Trib. Taranto Sez. II, Sent., SENTENZA LIBERO CONTUMACE

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1 Trib. Taranto Sez. II, Sent., SENTENZA Nel processo penale a carico di D.M.C. LIBERO CONTUMACE IMPUTATO Del reato di cui: D.M.C. unitamente a C.V. e D. (per i quali si è proceduto separatamente).art.589 c.p. perché nelle rispettive qualità di medici ed infermieri presso la casa di cura Bernardini, per colpa generica e specifica cagionavano la morte di F.R., sottoposta ad intervento chirurgico per l'inserimento di una protesi al ginocchio sinistro, e successivamente deceduta a causa di arresto respiratorio e cardiaco causati dalla diffusione intratecale di anestetico (Bupivacaina) somministrato in dosi eccessive in corso di blocco del plesso lombare per l'intervento subito ed a seguito della trasposione nello spazio intratecale del catetere posto in sede paravertebrale nel corso dell'intervento chirurgico. ELEMENTI DELLA COLPA - D.M.C., presente all'atto chirurgico quale medico anestesista, prescriveva alla paziente una terapia antalgica postoperatoria consistente nella somministrazione in sede extramidollare di dose rilevante di anestetico, inadeguata per il rischio di dislocazione del catetere, mancando di fare ricorso all'applicazione della ed. pompa antalgica ad infusione che l'avrebbe evitata, in luogo della somministrazione diretta ed istantanea del farmaco; - - D.A., nella qualità di infermiera addetta all'assistenza post- operatoria della F.R., le somministrava secondo prescrizione medica, 30 mi di marcaina ma senza prima effettuare una manovra di aspirazione e senza somministrare una dose test di anestetico, pratiche che entrambe avrebbero potuto evidenziare l'avvenuta dislocazione del catetere - Impiantato in corso di intervento dallo spazio paravertebrale a quello intratecale; Taranto C.V. e D.M.C., nelle rispettive qualità di medico di guardia ed anestesista intervenuti nella situazione di emergenza realizzatasi a seguito della diffusione intratecale di anestetico, omettevano di applicare i protocolli di emergenza respiratoria con intubazione oro- tracheale e adeguata terapia medica.- Svolgimento del processo - Motivi della decisione Tratto a giudizio in stato di libertà per rispondere di quanto in epigrafe ascritto, D.M.C. compariva a dibattimento. Dichiarato aperto il dibattimento e data lettura del capo di imputazione il rappresentante dell'ufficio del pubblico ministero, nel riportarsi alle contestazioni di cui all'editto accusatorio, precisava che il 3 ottobre 2006, alle prime ore del mattino, veniva a mancare presso la clinica Bernardini di Taranto R.F., lì ricoverata per un interventodi artoprotesi al ginocchio sinistro, a causa dell' arresto respiratorio e cardiaco conseguente alla diffusione intratecale di dosi eccessive di Bupi- vacaina, somministrata in corso di blocco del plesso lombare per l' intervento subito, conseguente alla trasposizione nello spazio intratecale del catetere posto in sede paravertebrale nel corso del predetto intervento; più in

2 particolare la condotta contestata al D.M. è quella di avere effettuato un errore nella scelta della terapia antalgica della paziente obesa, mancando di fare ricorso alla somministrazione del farmaco antidolorifico con pompa elastomerica (o antalgica), idonea - attraverso la infusione di dosi di anestetico in quantitativo inferiore a quella diversamente iniettata - ad evitare la morte della paziente. Faceva, inoltre, presente in pubblico ministero che per la morte della F. erano stati indagati, fra gli altri, il medico di guardia, nei cui confronti era stata pronunciata sentenza di proscioglimento, e l' infermiera professionale D., che ebbe ad effettuare, con manovra imperita, l'iniezione fatale e che ha definito la propria posizione con richiesta di applicazione della pena. Tali circostanze, il pubblico ministero, chiedeva di provare a mezzo dell'esame della documentazione clinica, dei testi di lista e dell'imputato consenziente. La difesa dell'imputato, infine, nel rappresentare una diversa versione dei fatti in via istruttoria chiedeva l'esame del proprio consulente tecnico ed il controesame dei testi d'accusa. Somministrazione della terapia analgesica da parte del D.M. fu errata per imperizia, imprudenza o comunque contrarietà alla buona pratica sanitaria; una seconda è quella di accertare se effettivamente il modo di somministrazione della terapia analgesica scelto dal D.M. sia stato effettivamente il più agevole e più rischioso per la F. o meno; una terza è quella di verificare la reale causa della dislocazione del catetere e, se attribuibile alla imperizia della infermiera professionale, se tale imperita somministrazione ha i caratteri della eccezionalità ed imprevedibilità, tali da interrompere o meno il rapporto di causalità materiale e psicologico fra la condotta dell'anestesista e l'evento lesivo. Ciò posto, si osserva che dall'esame autoptico eseguito sul cadavere della F. dai dott. C. e Z. (escussi come testi all'udienza del ) emerge che il catetere per la infusione dell'anestetico da parte del D.M. è stata addirittura definita "brillante". Il catetere, dunque, fu inserito in maniera corretta, non solo perchè in corso di autopsia venne ritrovato correttamente posizionato nel plesso lombare e non entro il canale vertebrale, ma anche perché subito dopo il suo collocamento e l'infusione dell'anestetico da parte del dott. D.M. non vi furono complicanze di alcun genere. E' da escludere, dunque, l'imperizia dell' anestesista in questa delicata fase del suo operato (e d'altra parte non vi è stata contestazione di imperizia sotto tale profilo). Resta da vedere se la scelta del blocco continuo del plesso lombare effettuata dal D.M. per il trattamento analgesico post operatorio sia stata più agevole rispetto alla applicazione della pompa elastomerica (c.d. pompa antalgica). Dalla relazione della dottoressa B., consulente della difesa, particolarmente esperta e qualificata, in quanto dirigente di una unità complessa di medicina, anestesia e terapia del dolore, è emerso che "la tecnica di blocco del plesso lombare (praticata dal D.M. sulla F.) è stata eseguita secondo la buona norma corrente con la tecnica di elettroneurostimolazione ed è stato anche posizionato un catetere stimolante che ha confermato la esatta posizione con il mantenimento del twich anche dopo la rimozione dell'ago... Il primo bolo è stato effettuato tramite il catetere e non si sono manifestate complicanze immediate, come è dimostrato dalla stabilità emodinamica avuta dalla paziente... Evidentemente il dislocamento è avvenuto in un secondo momento... e questa è una complicanza effettivamente mai descritta fino ad oggi ed assolutamente imprevedibile." Nel corso della sua testimonianza, poi, all'udienza del 18 giugno 2013, la B.

3 ha precisato che "le complicanze in letteratura sono rare e, soprattutto, non è stata mai descritta ad oggi una complicanza di iniezione da catetere. Questa sarebbe la prima volta che avviene, per quel che riguarda la letteratura". La pompa elastomerica, di cui la clinica Bernardini era comunque rifornita (per averlo ammesso lo stesso D.M.), è un dispositivo monouso per l'infusione continua di farmaci in soluzione, a velocità di flusso costante preimpostata: è costituita da un palloncino- serbatoio in materiale elastico (elastomero) che esercita, sul fluido in esso contenuto, una pressione costante, così da spingerlo lungo una linea d'infusione direttamente in vena, sottocute, intorno ad un plesso, in un'articolazione o in peridurale. Se il ricorso alla pompa elastomerica ha il vantaggio di favorire la somministrazione costante dell'analgesico in piccole quantità, ma pur sempre attraverso lo stesso catetere utilizzato (vedi teste Z.) per la introduzione dell'analgesico in una unica soluzione (ciò che evidentemente rende irrilevante - in questo contesto - sia la circostanza della applicazione al paziente obeso, che quella della maggiore o minore difficoltà applicativa), presenta anche lo svantaggio, riferito dal dott. D.M. nel corso del suo esame (e non smentito da alcuno), di richiedere un controllo continuo della paziente da parte del personale sanitario, al fine di prevenire il rischio, conseguente al dislocamento del catetere, di una improvvisa caduta della pressione sanguigna (una ipotensione legata all'uso degli oppioidi impiegati nella sedazione). Nel caso di specie, dunque, l'applicazione della pompa antalgica - a dire del D.M. - avrebbe richiesto una osservazione continua da parte del personale sanitario, per far fronte, durante il sonno della paziente, al rischio ipotensivo predetto. Va da sé che una simile scelta presuppone l'esistenza di una organizzazione della struttura sanitaria tale da assicurare quella costante osservazione, carente - invece - nel turno di notte della Clinica Bernardini. In proposito, su espressa domanda del p.m. in sede di controesame, la consulente tecnica del D.M. parlando delle ragioni che portano i vari anestesisti alla scelta di una tecnica piuttosto che di un'altra ed in particolare quella della pompa infusionale ha chiarito che "ci sono alcuni che non utilizzano le pompe infusionali perché non hanno del personale sufficiente per controllare i pazienti". Dovendo - dunque - affrontare la fase post- operatoria in assenza di una organizzazione del turno di notte tale da assicurare il monitoraggio continuo della paziente, la scelta della somministrazione diretta ed istantanea del farmaco da parte del personale infermieristico professionale solo a seguito dell'insorgere di manifestazioni dolorose appariva, ed appare anche a questo giudice, la soluzione terapeutica più adeguata. Ciò chiarito va dato atto che dall'indagine compiuta è emerso che la morte della F. fu la conseguenza della manovra imperita dell' infermiera D., che, dovendo somministrare 30 ml di marcaina al bisogno della paziente, non effettuò, come avrebbe dovuto, la manovra di aspirazione, nè somministrò la dose test, che avrebbero consentito di accertare la dislocazione del catetere e di adottare le misure conseguenti (quanto meno quella di richiedere l'intervento del medico di guardia ed eventualmente un consulto con l'anestesista).

4 Al di là della mancata esecuzione della manovra di aspirazione, che avrebbe pure potuto dare un falso positivo (teste C.), la circostanza fatale per la F. fu senz'altro la somministrazione della marcaina in un unico contesto, senza somministrazione di una dose test. A conferma delle prove testimoniali raccolte dall' accusa (T.G., B.M., F.L. ) la scheda infermieristica in sequestro registra drammaticamente la sequenza della morte della paziente: "ore 6.20 la p. presenta algia in sede chirurgica si somministra) terapia antalgica come da disposizioni) dell'anestesista 1/2 DICLOFENAL i.m cc di MARCAINA... attraverso cateterino appositamente posizionato dall'anestesista) - ore 6.25 la paziente presenta malessere generale e parestesia arti superiori). P.A. 100/60... Avvisato il medico di guardia - ore 6.30 la p. è priva di sensi. Vengono eseguite manovre rianimatorie." Dunque, fra la somministrazione del farmaco e la reazione della paziente trascorsero appena cinque minuti, un tempo inferiore a quello che la corretta pratica infermieristica richiede per la somministrazione di un bolo test. Quanto al fatto che la preventiva aspirazione per la verifica dell'assenza di liquor nel canale infusionale e la successiva infusione di una dose test facciano parte del patrimonio tecnico delle conoscenze di base dell'infermiere professionale lo si desume anche dalla testimonianza (riscontrata da quella delle altre infermiere professionali sentite come testi) di L.M., già caposala strumentista della clinica Bernardini, la quale ha riferito che il protocollo al quale deve attenersi l'infermiere nella somministrazione della terapia antalgica in questione prevede che ci si assicuri preliminarmente, mediante aspirazione, dell'assenza di liquor nella siringa e, solo dopo, che si proceda alla somministrazione del farmaco in maniera lenta, fermandosi ogni 3-4 cc per effettuare una nuova aspirazione e poi riprendere la somministrazione. Anche la particolare lentezza nella somministrazione del farmaco è un dato importante ai fini della decisione, poiché tutti i consulenti tecnici, sia del p.m. che della difesa, hanno chiarito che una delle possibili cause di dislocamento del catetere (poi ritornato nella sua posizione corretta) è rappresentata dall'aumento di pressione all'interno dello spazio del plesso lombare dovuto ad una somministrazione rapida della sostanza (la dott.ssa B. ha plasticamente descritto il fenomeno in questi termini: "il dislocamento è come un motore della barca, spingendolo crea una pressione in avanti e disloca il catetere all'indietro e poi, quando il liquido è riassorbito torna praticamente nella posizione precedente"). Una volta escluso, per le ragioni rappresentate dalla dr.ssa B., che a dislocare il catetere possa essere stata una manovra incongrua della paziente obesa (vedi sul punto l'apodittica affermazione dei dott.ri C. e Z.) ed accertato, al contrario, che proprio per il ritorno nella posizione corretta rilevata dai periti del P.M., il dislocamento del catetere fu causato dalla eccessiva pressione generata dalla rapida infusione del farmaco da parte dell'infermiera D., e considerato - altresì - che il blocco continuo del plesso lombare viene ormai correntemente utilizzato per l' analgesia postoperatoria della chirurgia del ginocchio (patologia maggiormente ricorrente fra le pazienti obese), deve escludersi la imperizia del dott. D.M. nella scelta della terapia antalgica. Quanto alla specifica colpa della infermiera professionale (definitivamente accertata, ancorché non in sede penale a causa della definizione anticipata del processo a suo carico) è evidente che essa resta ben al di fuori dell'ambito dei fattori di rischio prevedibili e dominabili da parte dell'anestesista, soprattutto ove si consideri la formazione professionale avanzata del

5 personale infermieristico assunto presso le strutture sanitarie italiane, riscontrata dalla eccezionalità dell'evento occorso alla F. nel contesto dei numerosi interventi di artoprotesi del ginocchio praticati presso la Casa di cura Bernardini di Taranto, trattati in fase post- operatoria con la medesima terapia antalgica e felicemente esitati. La morte della F., dunque, non è ascrivibile a condotte o scelte terapeutiche del dott. D.M.. P.Q.M. Visto l'articolo 530 c.p.p., assolve D.M.C. dal reato ascrittogli, per non aver commesso il fatto. Motivi riservati per giorni sessanta. Così deciso in Taranto, il 30 maggio Depositata in Cancelleria il 9 giugno 2014.

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