Il fascino discreto del mini-idroelettrico. Impatti e rischi derivanti dalla proliferazione eccessiva di energie pulite sui fiumi alpini
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- Battistina Stella
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1 Il fascino discreto del mini-idroelettrico. Impatti e rischi derivanti dalla proliferazione eccessiva di energie pulite sui fiumi alpini Abstract di Eriberto Eulisse Direttore Civiltà dell Acqua Onlus Nei prossimi anni è prevista la costruzione di nuovi impianti mini-idroelettrici per la produzione di energia verde in tutto l arco alpino. In molti casi la loro costruzione porterà al definitivo degrado di ecosistemi acquatici di pregio. In una fase storica in cui le politiche energetiche comunitarie tendono a promuovere energie pulite, i fiumi alpini rischiano di pagare un prezzo eccessivo sull altare dello sviluppo a ogni costo. Nella costruzione di scenari postsviluppisti, le strategie della decrescita devono sviluppare rigorose analisi economico-ambientali per valutare, caso per caso, l impatto cumulativo di questi impianti sugli ecosistemi acquatici di valore, senza trascurare l importanza di promuovere nuove politiche atte a riconvertire le grandi centrali idroelettriche già esistenti. Energia veramente pulita? La nuova retorica dello sviluppo a ogni costo Le Alpi sono universalmente note per la loro intrinseca, rara bellezza legata a laghi, fiumi e corsi d'acqua. Eppure oggi anche le Dolomiti, iscritte nella Lista del Patrimonio Mondiale dell'unesco per il loro ambiente naturale unico e fragile, rischiano di perdere sempre più una componente importante di questa bellezza: l'acqua. In un contesto euforico generale per lo sviluppo di energie rinnovabili e, in particolare, dell'ultima generazione di impianti per la produzione di energia idroelettrica, il cosiddetto mini-idroelettrico, l'acqua sta diventando una risorsa sempre più scarsa e contesa nelle Alpi. Dopo anni di utilizzo di energie inquinanti come petrolio e carbone, è certo un bene per il nostro pianeta che oggi vengano proposte in modo sempre più convinto le energie rinnovabili come mitigazione di un ormai conclamato cambiamento climatico. Pochi sanno, tuttavia, quali pesanti ripercussioni possono avere certe energie pulite su ambienti particolarmente delicati, quali fiumi ed ecosistemi acquatici alpini. Nelle Alpi italiane, i tratti fluviali con una buona/elevata naturalità sono sempre più rari: il rischio oggi è che investimenti sempre più consistenti sul mini-idroelettrico interessino proprio queste zone sensibili. Con questo contributo, si intende sottolineare come anche le tecnologie più innovative e potenzialmente meno impattanti per l'ambiente rappresentano una categoria ambigua dello sviluppo se non vengono guidate da principi improntati a una sostenibilità integrata. È sintomatico che oggi, a sbandierare gli slogan più efficaci sui vantaggi (a senso unico) delle energie pulite in contesto alpino non siano i soliti gruppi ambientalisti, bensì alcune associazioni di piccoli industriali volte a promuovere la costruzione di mini-impianti idroelettrici di nuova generazione. Con abili strategie di comunicazione, la European Small Hydropower Association (ESHA, l ente europeo che raggruppa i principali costruttori di mini-idroelettrico) enfatizza tutti i pregi di queste nuove tecnologie, senza considerare la fragilità cui è ridotta buona parte dei corsi d acqua, in particolare sul versante meridionale delle Alpi. Due importanti Direttive Europee vanno considerate per comprendere quali interessi si muovano dietro alle crescenti domande di energia e alla contestuale urgenza di proteggere la qualità di tuttee le acque. Galvanizzati da prospettive di facili guadagni resi possibili dalla Direttiva Europea sulle Energie Rinnovabili (2009/28), oggi in Italia sono ben rari gli enti pubblici e le amministrazioni che
2 perseguono gli obiettivi fissati da Bruxelles per tutelare l integrità (il buono stato ecologico ) dei nostri corsi d'acqua alpini. Di fronte ai profitti offerti dal business dell'energia, viene troppo spesso e immancabilmente trascurata un'altra normativa europea, la Direttiva Acque 2000/60 che, contrariamente a quanto promuove la 2009/28 sulle Rinnovabili, impone una maggiore attenzione per la qualità non solo chimica, ma anche biologica e idromorfologica dei corsi d'acqua. Come rendere la Direttiva 2000/60 compatibile con energie rinnovabili che, in realtà, non sono sempre così pulite e rispettose dell'ambiente come si tenderebbe a credere? È certamente un argomento scottante da trattare per gli enormi interessi economici e industriali in gioco, nonché terreno scivoloso su cui a Bruxelles si confrontano (e si scontrano) due Direttive europee con tanto di rispettive Direzioni Generali. Ma per capire quali possibili soluzioni esistono a queste potenziali guerre dell acqua è bene confrontarsi con l opinione degli esperti. I temi affrontati nell'ambito di due recenti convegni sull'argomento consentono di approfondire la questione. Gli eco-finanziamenti per il mini-idroelettrico e i rischi per l ambiente La III Conferenza Internazionale sull Acqua nelle Alpi, organizzata dal Ministero dell Ambiente e dalla Convenzione delle Alpi ha riunito a Venezia, nel novembre 2010, studiosi, enti e portatori d'interesse di tutto l arco alpino. Durante il convegno gli obiettivi della Direttiva Acque 2000/60 (con il raggiungimento del buono stato ecologico dei corpi idrici) sono stati considerati in relazione a quelli quelli della Direttiva 2009/28 sulle Energie Rinnovabili. L energia idroelettrica rappresenta senza dubbio il denominatore comune di queste due direttive. Diversi interventi hanno evidenziato come l'idroelettrico sia un settore decisamente promettente nell ottica del raggiungimento degli obiettivi comunitari sulla produzione di energie rinnovabili. L Italia, grazie agli incentivi economici stanziati è, non a caso, il paese in cui sono previsti i più consistenti investimenti di settore (secondo le stime di ESHA). Le domande per realizzare tali impianti sono letteralmente esplose, nelle regioni alpine italiane (con la sola eccezione della Provincia Autonoma di Trento) anche grazie agli eco-incentivi statali. Vale dunque la pena di soffermarsi e approfondire questo caso. Il nostro paese, nel giugno 2010, ha pubblicato il Piano d azione nazionale sulle energie rinnovabili. Nel piano è previsto che nei prossimi anni la produzione del mini-idroelettrico segnerà un netto aumento; al contrario, il grande idroelettrico diminuirà proporzionalmente, così da mantenere inalterata, rispetto ai valori odierni, la produzione idroelettrica nazionale complessiva. Queste variazioni previste nel settore energetico non possono ignorare, tuttavia, una politica delle acque più complessiva, così come definita nei Piani di gestione dei distretti idrografici (redatti sempre nel 2010). Tali Piani si occupano di tutela quali-quantitativa della risorsa acqua, sia per il raggiungimento del bilancio idrico sia per i rilasci del deflusso minimo vitale in ogni corso d acqua/bacino idrografico. A fronte di questi Piani nazionali, non sempre conciliabili tra loro, c'è il rischio che gli obiettivi ambientali della 2000/60 vengano messi decisamente in secondo piano rispetto a un altro importante traguardo, quello sancito dalla 2009/28, per cui l energia prodotta in Italia dovrà derivare sempre più da fonti rinnovabili (almeno il 17% entro il 2020). Non sorprende in quest'ottica che un gruppo di economisti della Bocconi, tra cui Andrea Massarutto e Alessandro de Carli, rilevi come la minaccia di una proliferazione eccessiva di tali impianti possa essere dovuta proprio agli effetti perversi degli eco-incentivi: con la creazione di un mercato drogato oggi è possibile (e addirittura conveniente) realizzare il mini-idroelettrico anche laddove in passato non si sarebbe mai lontanamente ipotizzato (senza ecoincentivi). Ne discende che, in un ambiente fragile e delicato quale il contesto alpino, il calcolo del costo effettivo di certi impianti non può prescindere da una considerazione di più componenti: ovvero,
3 oltre alla rendita economica più immediata, anche quella legata a impatti e costi socio-ambientali. E considerato che il cambiamento climatico e il fenomeno della scarsità d acqua oggi colpiscono soprattutto il versante meridionale delle Alpi (quello italiano), è più che mai opportuno fare una pianificazione attenta di simili interventi. Un altro convegno internazionale, realizzato a Trento nel gennaio 2011 dall Agenzia Provinciale per la Protezione dell Ambiente in collaborazione con il Centro Internazionale Civiltà dell Acqua, ha sollevato una serie di questioni importanti in relazione ai problemi del potenziale impatto ambientale di queste nuove tecnologie nel contesto alpino. I temi affrontati da diversi relatori hanno messo in evidenza una serie di questioni problematiche e tuttora irrisolte ( Se fra i costi del mini-idroelettrico si includono anche quelli ambientali, in quali casi risulta economicamente davvero conveniente realizzare certi interventi su un corso d'acqua? I servizi ecosistemici resi dal fiume (potere autodepurativo delle acque, produzione di beni e servizi, pesca, turismo, etc) possono competere, in altre parole, con la rendita economica di un miniidroelettrico? Quando è lecito realizzare tali impianti intervenendo su tratti di fiume che presentano i più elevati indici di naturalità e biodiversità? E quali strumenti di certificazione esistono oggi per garantire ai consumatori che vogliono utilizzare energia veramente pulita, in alternativa a un idroelettrico verde solo di facciata? Il convegno di Trento si è dunque focalizzato sulla cause dell attuale proliferazione del miniidroelettrico in tante regioni alpine. Le ragioni alla base dell'attuale esplosione di domande per il mini-idroelettrico sono legate, in Italia più che altrove, alla disperata ricerca di soldi da parte dei Comuni montani, ormai sempre più in crisi per le esigue finanze a disposizione e dunque sempre meno attenti a preservare il proprio ambiente naturale. Quale esempio eloquente dei tempi che corrono, un caso su tutti è degno di nota. La proposta di realizzare un mini-idroelettrico per sfruttare l'acqua residua anche sulla diga del Vajont la diga che nel 1963 fu teatro dell immensa tragedia costata la vita a oltre 2000 persone è un segnale tristemente significativo di dove possa portare, ancora una volta, un'euforia dello sviluppo spinta all'eccesso. Si tratta, in realtà, di un progetto poco rispettoso nei confronti delle famiglie delle vittime di una delle più grandi catastrofi nella storia dell'idroelettrico. Una lezione che a soli 50 anni di distanza è già stata dimenticata? Eppure, a ben vedere, il caso del Vajont insegna proprio come certe valutazioni errate nella scelta dei luoghi ove costruire simili impianti, anche se suffragate dai modelli ingegneristici più ambiziosi, possono rivelarsi immensamente tragiche e devastanti. Secondo le previsioni della già citata ESHA, nei prossimi anni è prevista la costruzione di circa nuovi micro-impianti in tutto l'arco alpino; la maggior parte di questi si concentrerà in Italia. Ma quale sarà il contributo effettivo di centinaia di nuove mini-centraline nel raggiungimento di un potenziale produttivo significativo? È opportuno sottolineare come, in termini percentuali, il contributo che potenzialmente può generare il mini-idroelettrico per raggiungere l obiettivo europeo del 17% di rinnovabili (entro il 2017) non sia affatto significativo. Basta infatti considerare che oggi il 90% degli impianti idroelettrici nelle Alpi produce solo il 10% dell'energia idroelettrica totale... In altre parole, la quasi totalità della produzione di energia idroelettrica (90% del totale circa) è realizzata da pochi impianti (il 10% del totale: dunque dagli impianti più grandi). Il contributo del mini-idroelettrico risulterebbe in definitiva decisamente residuale, anche aumentandone considerevolmente il numero, in quanto si tratta di impianti strutturalmente limitati per capacità produttiva. Gli impatti sull ambiente, di converso, sarebbero considerevoli. Dunque, se l impatto ambientale sarà senza dubbio pesante per tanti corsi d'acqua ed ecosistemi acquatici sotto stress a causa dei già consistenti prelievi quantitativi a scopo energetico e irriguo,
4 qual è l'effettivo beneficio comune (o pubblico) che può generare quest'energia rinnovabile di ultima generazione? Per tutti questi motivi alcuni relatori hanno sottolineato come può risultare decisamente più rilevante e strategico investire sul rinnovamento, sulla manutenzione e sulla certificazione dei grandi, vecchi impianti, ovvero quelli già esistenti, rispetto alle micro-centraline. Impianti che oggi fanno registrare per lo più una produttività bassissima a causa delle grandi quantità di detriti che si sono accumulati nei bacini di accumulo nel corso di decenni, nonché della scarsa manutenzione che ne viene fatta. I certificati verdi e il calcolo degli impatti cumulativi La certificazione dei grandi impianti idroelettrici (quelli di vecchia generazione) costituisce un aspetto fondamentale per pianificare una diffusione più sostenibile ed equilibrata del miniidroelettrico. A sostenerlo è Bruno Boz del CIRF (Centro Italiano Riqualificazione Fluviale), con il progetto europeo CH2OICE (Certification for Hydro: Improving Clean Energy, cfr. Tale progetto si propone di testare nuovi metodi di certificazione verde per il grande idroelettrico, onde adeguare questi impianti ai nuovi criteri di impatto ambientale e soddisfare al contempo i clienti più esigenti in fatto di rispetto dei fiumi e dei corsi d'acqua. In Svizzera, ad esempio, è attivo da anni un sistema di certificazione che, pur a fronte di un costo maggiore dell'energia (acquistata da una fascia crescente di consumatori attenti), garantisce un minore impatto ambientale sui corsi d'acqua alpini. Il concetto di impatto cumulativo illustra assai bene un altro aspetto chiave delle particolari condizioni di vulnerabilità di tanti fiumi alpini a fronte dell'ormai imminente proliferazione indiscriminata del mini-idroelettrico. Come infatti mette in luce questa metodologia, anche laddove l impatto ambientale di un singolo micro-impianto è limitato, onde valutare l'entità effettiva dei rischi per l'ambiente risulta di fondamentale importanza considerare la somma di tutti gli impianti di produzione, ovvero di tutti gli impatti antropici, che ricadono su un corso d'acqua / bacino idrografico. La questione è tutt altro che irrilevante, considerato che in Italia non esiste ancora uno strumento normativo che obblighi l'autorità concedente le autorizzazioni a ragionare in ottica di bacino idrografico (dalla fonte alla foce di un fiume, come prescrive la 2000/60), anziché su singoli segmenti fluviali. Mancano ancora, al contempo, dei criteri definiti e trasparenti tali da descrivere con quali priorità viene data autorizzazione a un impianto piuttosto che a un altro (a seconda ad esempio, del relativo impatto ambientale). Ancor oggi, di fatto, non v'è purtroppo chiarezza su quali criteri vengano considerati come prioritari per la concessione di nuove autorizzazioni (in Italia esistono differenze notevoli fra regione e regione). D'altra parte, soluzioni interessanti e innovativi alla spinosa questione del dove realizzare tali impianti, come ha sottolineato Andrea Mammoliti Mochet (ARPA Val d Aosta), possono essere fornite grazie a rigorosi esercizi di mappatura dei corsi d acqua, con l indicazione dei luoghi più idonei per tali impianti: quelli in cui, ad esempio, a una maggiore resa energetica si abbina un minore impatto ambientale. È questo l obiettivo del progetto europeo SHARE (Sustainable Hydropower in Alpine Rivers Ecosystems, cfr. di cui ARPA Val d Aosta è capofila. Il progetto SHARE offre una base scientificamente valida e rigorosa, in linea con la Direttiva Acque 2000/60, per negoziare e mediare fra interessi molteplici e spesso contrastanti. Approccio tecnocratico o partecipazione pubblica? La questione dell'opportunità di realizzare impianti mini-idroelettrici in alcuni parchi nazionali (Dolomiti, Appennini) è stata sollevata, non a torto, da alcuni comitati di cittadini e movimenti ambientalisti: è lecito che questi impianti ottengano la massima certificazione di energia pulita
5 proprio perché realizzati in un parco naturale protetto (con il rischio di trasformare queste aree di pregio naturalistico in vere e proprie centrali di produzione di energia verde )? A fronte di simili realizzazioni oggi risulta più che mai necessario, in linea con quanto auspicato dalla Direttiva Europea Acque sulla partecipazione pubblica, promuovere un processo partecipato in cui possano sedere a uno stesso tavolo consumatori, comunità montane e rivierasche, produttori ed enti locali. Vale la pena di citare in quest'ottica un caso paradigmatico di genuina partecipazione della società civile. Conclusione significativa del già citato convegno di Trento è stato il conferimento del IV Premio Internazionale Civiltà dell Acqua ai Comuni di Craveggia (Verbania) e Onsernone (Ticino, Svizzera), nonché al movimento della società civile L Isorno fiume minacciato Le tormentate acque dei Bagni di Craveggia ( Tali comunità hanno combattuto per anni sul confine italo-svizzero contro la costruzione di una centrale idroelettrica, progettata in corrispondenza della storica sorgente termale dei Bagni di Craveggia. Il Premio ha posto in evidenza un esperienza esemplare di presa di consapevolezza da parte di alcune comunità rivierasche del proprio patrimonio ambientale e della propria identità. Con la costruzione della nuova struttura, lo sfregio arrecato al fiume e al paese stesso sarebbe stato non solo irreversibile, ma anche sproporzionato rispetto alla mitigazione offerta dai costruttori (circa /anno per ciascun comune). Forse questo caso dell'isorno farà storia per aver rilanciato, in una fase storica affamata di energia, l importanza di una nuova cultura del fiume. Verso una produzione idroelettrica durevole e sostenibile Considerando il caso italiano, l'attuale proliferazione del mini-idroelettrico sui versanti alpini solleva diverse questioni irrisolte vis à vis la necessità di costruire nuove strategie energetiche postsviluppiste. Sulla base di quali criteri di valutazione gli enti preposti alla concessione di nuove autorizzazioni si esprimono pro o contro un determinato impianto mini-idroelettrico, considerandone lo specifico impatto ambientale piuttosto che quello di un altro progetto in concorrenza, e non solo il massimo profitto economico? In quanti casi viene effettivamente svolta una rigorosa valutazione di impatto ambientale cumulativo? Quali strumenti pianificatori vengono attuati a livello istituzionale? Oggi risulta certamente difficile comprendere sulla base di quali criteri di valutazione vengano approvati certi impianti mini-idroelettrici piuttosto che altri, ovvero come venga calcolato il rischio di un'eccessiva proliferazione di queste tecnologie, con la conseguenza di sovraccarichi insostenibili sull'ambiente. Eppure, tale trasparenza è fondamentale per evitare di lasciare in balia delle dinamiche di mercato decisioni di grande importanza che riguardano beni d'indiscutibile interesse comune. La necessità di una maggiore coerenza tra i vari livelli di pianificazione, la definizione di bilanci energetici e idrici a livello di bacino fluviale (anziché considerare singoli tratti di fiume), l'avvio di nuovi processi di certificazione di energie pulite che valorizzino il ruolo del consumatore, la valutazione degli impatti cumulativi (e non solo del singolo impianto), l'obbligo di una maggiore tutela del paesaggio e di una più mirata valorizzazione delle aree fluviali integre (anche grazie alle possibili compensazioni ambientali derivanti dalle grandi produzioni), rappresentano insomma le grandi sfide su cui orientare gli sforzi per costruire nuove strategie di decrescita e per garantire una produzione idroelettrica sostenibile, tale da considerare cioè aspetti sia economici che ambientali e naturalistici. Per tutti questi motivi, una pianificazione strategica sulla produzione da energie rinnovabili è più che mai necessaria e deve considerare anche altre fonti, quali ad esempio il solare che a tutt'oggi, secondo gli esperti, è l'energia rinnovabile più sostenibile anche in un contesto come quello alpino.
6 In una società sempre più globale e globalizzante la sfida del futuro è dunque quella di coniugare la gestione della qualità e quantità delle acque con i principi della sostenibilità integrata, considerando cioè aspetti non solo economici ma anche ambientali, sociali ed etici. Tale approccio va distinto dall emergente Green Economy - che in molti casi non è altro che un mero Green Washing di facciata. Oggi è necessario anzitutto un cambiamento di comportamenti e mentalità, oltre che di regole pianificatorie: è più che mai urgente affermare un nuovo modo di pensare la gestione dei fiumi e dell ambiente, senza escludere diritti e legittime aspettative delle generazioni a venire.
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