Lavoratore disabile e trasferimento della sede lavorativa

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1 Il caso del mese Lavoratore disabile e trasferimento della sede lavorativa a cura di Edoardo Frigerio Avvocato in Como Il tema del trasferimento della sede lavorativa del lavoratore disabile, questione tradizionalmente legata al trasferimento individuale disciplinato dall art.2103 c.c., è destinato ad avere riflessi, nell attuale e persistente situazione economica, anche nelle diffuse vicende circolatorie dell azienda o di ramo di essa, come regolate dall art.2112 c.c.. Il trasferimento della sede di lavoro in base all art.2103 c.c. e diritti del lavoratore disabile Come a tutti noto, la legge protegge i soggetti affetti da disabilità favorendone, con la L. n.68/99, l inserimento e l integrazione nel mondo del lavoro. Altre normative, in particolare la L. n.104/92 e il D.Lgs. n.151/01, prevedono permessi e congedi per lavoratori parenti di persone disabili. Tra le diverse tutele apprestate al lavoratore disabile e ai lavoratori che lo assistono, la L. n.104/92 stabilisce, all art.33, co.6, che la persona portatrice di handicap ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferita in altra sede, senza il suo consenso. Lo stesso articolo, al co.5, dispone come il parente lavoratore che assiste il disabile abbia diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non possa essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede. La tutela della disabilità, derivante dai generali principi di rango costituzionale di cui agli artt.32 e 38 della Costituzione, e in particolare il sopra richiamato divieto di trasferimento, si sono, in numerosi casi, posti in contrapposizione con l altrettanto generale principio di libertà economica e d impresa sancito dall art.41 della Costituzione, sfociando in alcune pronunzie giudiziali che hanno cercato di risolvere tali situazioni di contrasto. TRASFERIMENTO E LIEVE INABILITÀ L ultima decisione nota in ordine di tempo è la sentenza n della sezione lavoro della Cassazione dello scorso 3 maggio 2013 che, in un caso riguardante un lavoratore affetto da lieve disabilità, ne ha stabilito la legittimità del trasferimento, precisando come l inamovibilità del lavoratore sia connessa alla gravità dell handicap e si giustifichi per la particolare gravosità che lo spostamento imposto potrebbe generare in un lavoratore proprio a causa della grave incidenza della sua disabilità. La Suprema Corte ha confermato quindi una sentenza della Corte d Appello di Torino che, statuendo in relazione a un impugnazione di trasferimento operata da un lavoratore (che, a causa di un infortunio sul lavoro, aveva subito la perdita di gran parte delle dita della mano destra e il riconoscimento del 40% di invalidità), aveva stabilito che, pur essendo il lavoratore avviato al lavoro come invalido, lo stesso non rientrava nella situazione di gravità dell handicap che, a norma dell art.33 della L. n.104/92, non consente al datore di lavoro di trasferire il dipendente senza il suo consenso. La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 27

2 Aggiungeva la corte territoriale che la L. n.104/92 riconosce la sussistenza di handicap rilevante ai fini dell applicazione della legge stessa non a qualsiasi invalidità, ma solo a quelle che comportano una difficoltà fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che sia causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione. Da ciò consegue, secondo i giudici torinesi, che lo stato di invalidità che giustifica l avviamento al lavoro non è necessariamente equiparabile alla definizione di handicap della L. n.104/92, la quale prevede, tra l altro, una specifica procedura per il suo accertamento affidata a commissioni mediche costituite presso le unità sanitarie locali. SCELTA DELLA SEDE DEL FAMILIARE DELL INVALIDO Altra sentenza della Cassazione - la n.8436/ ha trattato del diritto, sempre previsto dall art.33 della L. n.104/92, del genitore o familiare lavoratore (con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o affine entro il terzo grado, disabile), di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e del divieto di essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede. In tale pronuncia la Suprema Corte ha precisato che tale diritto che trova la sua ratio nell esigenza di evitare l interruzione dell effettiva ed attuale convivenza, che potrebbe avere negative ricadute sullo stato fisico e psichico dell handicappato, non risulta però illimitato. Ed invero, come è dimostrato dall inciso ove possibile, di cui al citato quinto comma dell art. 33, il diritto alla effettiva tutela dell handicappato, al cui perseguimento devono partecipare anche lo Stato, gli enti locali e le Regioni, nel quadro dei principi posti dalla legge e secondo le modalità ed i limiti necessari ad assicurare l effettiva soddisfazione dell interesse comune non può essere fatto valere, alla stregua del generale principio del bilanciamento degli interessi, allorquando l esercizio del diritto stesso venga a ledere in misura consistente le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro. DIRITTO DI SCELTA DELLA SEDE NEL CORSO DEL RAPPORTO Un ulteriore controversia, all esame della Suprema Corte, ha dato interessanti indicazioni circa la possibilità di richiedere il trasferimento a sede più idonea da parte del portatore di handicap in situazione di gravità. In tale caso un lavoratore, addetto a compiti di recapito di una grande azienda con varie filiali sul territorio, aveva chiesto di poter tornare in servizio nella filiale laddove originariamente aveva lavorato, più vicina al proprio domicilio, ove si era liberata una posizione impiegatizia, ciò in base all art.33, co.6 della L. n.104/92. I giudici di merito avevano accolto la domanda, sulla base del fatto pacifico di situazione di handicappato grave del dipendente e accertando che in corso di giudizio si era resa disponibile presso la filiale indicata dal lavoratore una posizione di impiegato alla quale il dipendente era idoneo sia professionalmente che dal punto di vista delle condizioni di salute, accertate dalle competenti commissioni mediche. Al riguardo la Cassazione, con sentenza n.3896/09, confermando le pronunce di merito, ha precisato che la norma sul diritto di scelta della sede di lavoro del disabile in situazione di gravità debba essere interpretata nel senso che tale diritto di scelta possa essere esercitato (al ricorrere delle condizioni di legge), oltre che in sede di assunzione, anche successivamente: ciò sia quando la situazione di handicap grave intervenga in corso di 32 Cass. sent. n.8436/03; conforme Cass. sent. n.12692/02. La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 28

3 rapporto sia quando essa preesista, ma l interessato, per ragioni apprezzabili, intenda mutare la propria residenza. Bisogna ribadire che, secondo tali pronunce, il diritto in questione non è attribuito al disabile in maniera incondizionata: ciò in base all espressione ove possibile inserita nella disposizione di legge, che implica la ricerca di una ragionevole composizione tra l interesse del lavoratore disabile e quello, di analogo rilievo, del datore di lavoro che con esso eventualmente contrasti, rappresentato da esigenze economiche e organizzative di impresa che il concreto esercizio del diritto di scelta sia in grado di ledere in maniera consistente. Anche il Tribunale di Milano, con la sentenza n.5371/11 33, ha fatto proprie le argomentazioni della Suprema Corte sul punto, evidenziando che l espressione scegliere la sede più vicina può ricomprendere anche la possibilità, da parte del disabile o del familiare che lo assiste, di una scelta da operarsi nel corso del rapporto, quando la disabilità o la necessità dell assistenza sorga successivamente all instaurazione del rapporto di lavoro. Disabile e trasferimento d azienda ex art.2112 c.c. Ulteriormente problematica può essere la situazione che attiene alla posizione di un disabile quando lo stesso non sia oggetto di un trasferimento individuale in base all art.2103 c.c. (applicandosi le regole più sopra individuate), quando sia implicato in un trasferimento d azienda o ramo di essa secondo quanto disposto dall art.2112 c.c.. Come noto, le recenti dinamiche dell organizzazione del lavoro, i processi di esternalizzazione di grandi e medie aziende, la crisi economica, hanno comportato una larga diffusione del fenomeno del trasferimento (soprattutto per vendita e affitto) dell azienda o del ramo di essa, ossia di una sua articolazione dotata di organicità operativa. Tale trasferimento è regolato, sotto il profilo dei rapporti di lavoro, dal suddetto art.2112 c.c.. Come noto, alcuni degli effetti più rilevanti di tale norma attengono al fatto che in caso di trasferimento d azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario non costituendo il trasferimento d azienda, di per sé, motivo di licenziamento; inoltre il lavoratore trasferito, le cui condizioni di lavoro subiscano una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d azienda, può rassegnare le dimissioni per giusta causa. Si pone al riguardo la questione se il lavoratore con handicap grave, facente parte di un azienda (o ramo di essa) oggetto di trasferimento ex art.2112 c.c., debba sottostare agli effetti di tale norma o possa opporsi al trasferimento in base all art.33 della L. n.104/92. Ciò, ovviamente, nel caso il trasferimento d azienda comporti anche un cambiamento della sede di lavoro del disabile. IL CASO Tale questione è stata affrontata dalla giurisprudenza che, nell unico provvedimento in tema noto 34, ha stabilito (all esito di un procedimento d urgenza ex art.700) che l art.33, co.6, L. n.104/92 a norma del quale, come già evidenziato, la persona disabile maggiorenne in condizione di gravità ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferita in altra sede senza il proprio consenso pone un presidio di tutela del lavoratore disabile invocabile in ogni caso di spostamento e, quindi, sia nel caso di trasferimento individuale ai sensi dell art.2103 sia nelle altre ipotesi nelle quali tale spostamento sia frutto di diverse 33 Trib. Milano sez. lav., sent. 10 novembre 2011, n Trib. Roma sez. lav., ordinanza 11 luglio La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 29

4 operazioni negoziali, quali la cessione del ramo d azienda. Conviene, al riguardo, ripercorrere il percorso logico argomentativo della sentenza del giudice romano nella controversia posta al suo vaglio: il Tribunale di Roma ha evidenziato che è infatti pacifico ed incontroverso che il ricorrente sia invalido al 100% in quanto affetto da atrofia muscolare spinale distale e che non sia autonomamente deambulante; non può quindi dubitarsi che egli si trovi in una condizione di grave handicap ai sensi della legge 104/92 in quanto tale minorazione rende necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sua sfera individuale e relazionale (art. 3 comma 3); ai sensi dell art. 33 comma 6 della legge citata, la persona handicappata maggiorenne in condizione di gravità ha diritto di scegliere ove possibile la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferita in altra sede senza il suo consenso; tale norma attua quella funzione di garanzia della dignità umana e di tutela dei diritti di libertà ed autonomia della persona handicappata, al fine di promuoverne la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società, che la legge stessa sancisce all art. 1 come finalità primaria; questa finalità induce a leggere anche l art. 33 comma 6 citato non in chiave formale ma sostanziale, nel senso che il divieto di trasferimento del lavoratore gravemente handicappato senza il suo consenso deve ritenersi operante quale che sia lo strumento giuridico mediante il quale il trasferimento stesso viene attuato. Il Tribunale capitolino, in tale pronuncia, è arrivato quindi a stabilire che la circostanza che la società cedente il ramo d azienda non avesse più uffici nella sede originaria laddove il disabile era stato ricollocato era irrilevante, in quanto ciò non poteva determinare la violazione di un diritto individuale sancito dalla legge e rispondente a un alta esigenza di tutela delle persone meno fortunate. Tale ardita pronuncia cadeva però sotto la scure dell impugnazione proposta al Tribunale di Roma 35 in funzione collegiale, che accoglieva il reclamo della società cessionaria precisando che, una volta che la cessione del ramo d azienda sia stata ritenuta valida ed efficace e che il lavoratore sia passato alle dipendenze della cessionaria, la quale non dispone di sedi di lavoro laddove il disabile prestava servizio, il diritto di quest ultimo al mantenimento della sede di lavoro che occupava presso la cedente è destinato a cedere di fronte alla materiale impossibilità di evitare il trasferimento del disabile. Nella fattispecie all esame del Tribunale capitolino si pongono quindi in contrasto da una parte il diritto del lavoratore disabile a mantenere la propria sede lavorativa, dall altra l effetto automatico della prosecuzione del rapporto di lavoro in capo al datore di lavoro cessionario. È opportuno ricordare che, in caso di trasferimento d azienda, il rapporto di lavoro prosegue con il cessionario senza soluzione di continuità e il dipendente conserva tutti i diritti connessi al proprio rapporto di lavoro; inoltre il trasferimento d azienda in sé non può costituire motivo di licenziamento, con la conseguente invalidità del recesso motivato dall intervenuto trasferimento d azienda. Questi sono alcuni degli effetti più importanti a favore del lavoratore, determinati dall art.2112 c.c., rubricato non a caso mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d azienda. Da quanto sopra deriva che, in caso di trasferimento d azienda, l effetto automatico di trasferimento del rapporto di lavoro del dipendente disabile, effetto imposto dalla legge, possa ritenersi prevalente rispetto al diritto dello stesso di non essere trasferito in altra sede lavorativa senza il suo consenso (come previsto dall art.33, L. n.104/92). Ciò ovviamente nelle situazioni in cui vi sia un legittimo trasferimento ex art.2112 c.c., ovvero 35 Trib. Roma, ordinanza 11 agosto La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 30

5 quando il disabile faccia parte di azienda o del ramo di essa. Al riguardo è opportuno ricordare come esista un rilevante contenzioso sulla corretta identificazione di ramo d azienda trasferibile ex art.2112 c.c. e che si possa attualmente ritenere che nel trasferimento il ramo aziendale debba conservare la propria identità, non potendo esservi dubbio che detto ramo debba esistere al momento dell operazione contrattuale, con la conseguenza che seppur identificata al momento della cessione in base alla facoltà concessa dall art.2112 c.c. l articolazione aziendale deve avere una propria autonomia e compiutezza funzionale già per come individuata in seno alla cedente, e così trasferirsi presso il cessionario. Diversamente, si giungerebbe ad ammettere come possibile la cessione di un complesso di beni e lavoratori privi di qualsivoglia connessione organizzativa e funzionale e aggregati occasionalmente solo ai fini della cessione, consentendo così ai datori di lavoro di poter operare una selezione soggettiva della forza lavoro da trasferire; viceversa non è possibile, anche con l attuale formulazione del quinto comma dell art.2112 c.c., che oggetto del trasferimento siano gruppi di lavoratori dotati di singole professionalità eterogenee e disunite, dovendosi sempre configurare, ai fini della legittimità della cessione, un articolazione funzionalmente autonoma di un attività economica organizzata 36.È evidente, pertanto, che il lavoratore disabile, qualora il ramo d azienda non abbia le caratteristiche sopra individuate, possa legittimamente opporsi al trasferimento ex art.2112 che abbia modificato anche la sua sede lavorativa. Qualora, viceversa, il ramo d azienda individuato sia genuino e il trasferimento del lavoratore disabile sia stato posto in essere ex art.2112 c.c., si può ritenere che il trasferimento della sede lavorativa operi automaticamente senza possibilità di invocare l inamovibilità stabilita dalla L. n.104/92. È pensabile, comunque, che il disabile possa sempre scegliere, anche nella nuova compagine aziendale, la sede più vicina al proprio domicilio, in base al disposto dell art.33 della predetta legge. Ciò, però, applicando il principio, più sopra ricordato e costante in giurisprudenza, secondo cui il diritto all effettiva tutela del lavoratore disabile, anche in tema di trasferimento e scelta della sede lavorativa, non possa essere fatto valere quando il relativo esercizio venga a ledere in misura consistente le esigenze economiche e organizzative del datore di lavoro. 36 Trib. Milano, sez. lav., sent. 16 luglio 2010, n La Circolare di Lavoro e Previdenza, pag. 31

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