Il razzismo negato. Enzo Collotti

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1 Il razzismo negato Enzo Collotti L autore esamina il modo in cui dopo la liberazione è stata elaborata l esperienza della persecuzione contro gli ebrei avviata dal regime fascista con la legislazione del Essa indaga sia le manifestazioni della memoria ebraica che assecondarono la tendenza a minimizzare la realtà della persecuzione anteriormente all 8 settembre del 1943, sia i ritardi e le reticenze con i quali la storiografia ha affrontato la complessa problematica. L autore confuta la linea interpretativa che tende a scaricare unicamente sulla Germania nazista la responsabilità della persecuzione: prima dell 8 settembre 1943, in quanto le leggi razziste sarebbero il frutto delle pressioni tedesche; dopo l occupazione tedesca dell Italia, per l evidenza della deportazione effettuata dai tedeschi. Contro ogni tendenza storiografica assolutoria, la relazione ribadisce il carattere autoctono della persecuzione (nel quadro della più generale politica della razza inaugurata dal regime fascista con la proclamazione dell impero) e le corresponsabilità del collaborazionismo della Rsi per la stessa deportazione degli ebrei dall Italia verso i campi di sterminio. In tal modo è riletta criticamente anche la pretesa estraneità alla soluzione finale dell Italia, le cui responsabilità attendono ancora in buona parte di essere problematizzate. This paper examines how the experience o f the persecution o f the Jews, set up by the Fascist regime with the racial laws of 1938, was elaborated after the Liberation, both within the expressions o f the Hebrew memory, which seconded the tendency to play down the realities o f the persecution prior to the 8th September 1943, and the tardiness and reticence with which the Italian historians tackled this complex issue. The A. questions the efforts aimed to lay the whole responsibility on Nazi Germany, as if the Fascist laws were to be considered but a result of Nazi pressure, and the deportation after September 1943 an operation carried out entirely by German troops and personnel. Against every absolutory suggestion the A. insists on the autonomous character o f the persecution (within the framework o f the more general racist policy launched by the Fascist regime with the proclamation o f the Empire) and on the co-responsibility of the Said collaborationists in the deportation of the Italian Jews towards the extermination camps. The supposed extraneoushess o f Fascist Italy to the final solution is thus critically dealt with in view o f the reconsideration o f an issue still lacking an exhaustive historical explanation. Italia contemporanea, settembre 1998, n. 212

2 578 Enzo Collotti Il problema della persecuzione contro gli ebrei nell Italia fascista è stato a lungo sottovalutato dalla storiografia italiana, che per troppo tempo lo ha considerato un tema marginale, secondario, come se si trattasse di un argomento estraneo alla storia della società italiana e si dovesse considerare unicamente il risultato di una imposizione della Germania nazista, nel quadro dei rapporti tra le potenze dell Asse1. Un simile atteggiamento ha una lunga tradizione. È stato appannaggio della pubblicistica e della memorialistica ebraica nel decennio posteriore alla liberazione come pure della storiografia e della pubblicistica di non ebrei. Sin dal 1946, Eucardio Momigliano, nella sua Storia tragica e grottesca del razzismo fascista2, affermava con decisione che la persecuzione degli ebrei in Italia fu più spregevole perché insincera : essa infatti fu imposta dalla Germania e applicata soltanto per una specie di conformismo o mimetismo che sta a dimostrare quanto in basso fosse giunto, nel periodo fascista, il nostro Paese, tanto in basso da poter rinnegare una sua tradizione e da poter venire meno a vincoli di sangue e di amicizia per cui gli ebrei si erano venuti confondendo con gli italiani e in taluni campi ne costituivano la miglior parte 3. Il discorso di Momigliano aveva comunque implicazioni più complesse perché non si accontentava di interpretare nel modo citato la persecuzione, il cui ricordo era ancora assai vicino soprattutto negli esiti tragici scaturiti dall occupazione tedesca e dalle complicità della Repubblica sociale dopo l 8 settembre 1943; esso implicava anche una valutazione storica ( L Italia ha sempre ignorato l antisemitismo 4) che sembrava chiudere ogni problematicità al nesso tra identità ebraica e assimilazione, che è viceversa uno dei nodi cruciali dell esperienza vissuta dall ebraismo italiano dopo l unificazione del regno5 e che esprimeva una sorta di soddisfatto autoappagamento che sembrava fatto apposta per cancellare ogni conflittualità e ogni tensione. Una linea, quella introdotta da Eucardio Momigliano, tutt altro che estranea ad altri autori della pubblicistica di parte ebraica. Ancora nel 1963, dando alle stampe la sua per altri versi fondamentale Storia degli ebrei in Italia, Attilio Milano tendeva a sottolineare come le leggi fasciste fossero estranee alla società italiana e fossero state mutuate per imitazione dall esperienza tedesca e ribadiva il rifiuto quasi unanime del popolo italiano di dare il proprio consenso alle manifestazioni del razzismo fascista6. Se dagli studi passassimo a considerare la memorialistica ebraica, non sarebbe difficile pervenire a una constatazione analoga. Soprattutto la memorialistica del primo decennio posteriore alla liberazione, quando il ricordo degli orrori della deportazione e dei campi di sterminio era assolutamente predominante e ancora incombente, nel ricordo di testimoni e protagonisti si poteva leggere una cesura molto netta tra ciò che era accaduto prima dell 8 settembre del 1943 e il periodo posteriore all armistizio. Anche in chi era stato costretto a lasciare il lavoro, o peggio an- Relazione presentata al convegno Fascismo e antifascismo: rimozioni, revisioni, negazioni. La storia d Italia dal fascismo alla Repubblica nel contesto europeo (Roma, aprile 1998), organizzato dalla Fondazione Corpo volontari della libertà con la collaborazione scientifica dell Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia e della Fondazione Luigi Micheletti. 1Ho accennato alle ricadute di questo tipo di interpretazione anche nella storiografia tedesca nel mio contributo Die Historiker und die Rassengesetze in Italien, nel volume Christof Dipper, Rainer Hudemann, Jens Petersen (a cura di), Faschismus und Faschismen im Vergleich. Wolfgang Schieder zum 60. Geburtstag, Köln, SH-Verlag, 1998, pp Eucardio Momigliano, Storia tragica e grottesca del razzismo fascista, Milano, Mondadori, 1946, p E. Momigliano, Storia tragica e grottesca del razzismo fascista, cit., p E. Momigliano, Storia tragica e grottesca del razzismo fascista, cit., p Si tratta della problematica variamente trattata fra l altro nei convegni i cui atti sono raccolti a cura di Francesco Sofia e Mario Toscano, Stato nazionale ed emancipazione ebraica, Roma, Bonacci, 1992, e di M. Toscano, Integrazione e identità. L esperienza ebraica in Germania e Italia dall' Illuminismo al fascismo, Milano, Angeli, Tralasciamo per brevità altre citazioni che dimostrerebbero come questa problematica sia ormai acquisita da tutti i migliori studi dell ultimo decennio. 6 Attilio Milano, Storia degli ebrei in Italia, Torino, Einaudi, 1963, p. 398.

3 Il razzismo negato 579 cora a lasciare il territorio nazionale e ad emigrare dalle leggi razziali, era subentrata una sorta di silenzio sulle ragioni di un così radicale mutamento di vita, quasi a sottolineare una forma di tacita gratitudine per essere stato sottratto agli orrori della deportazione. Soltanto in una memorialistica più recente e quindi legata ad una rivitalizzazione della sensibilità rispetto agli eventi del 1938 alla luce del dibattito storiografico degli ultimi anni, e soprattutto del risveglio di identità che lo stesso ebraismo italiano ha vissuto via via che la consapevolezza di ciò che ha significato la Shoah è diventata connotato culturale fondamentale non solo per l ebraismo mondiale ma anche per la storiografia a livello internazionale, i fatti del 1938 sono stati rivissuti per lo spessore che ebbe la ferita inferta al principio dell eguaglianza dei cittadini indipendentemente dalla valutazione di ciò che sarebbe successo dopo l armistizio del Perfino in testimoni stranieri, come nel caso dello storico israeliano Menachem Shelah che, catturato come cittadino jugoslavo dalle forze d occupazione italiane, fu rinchiuso in campi di concentramento in Italia, prevale un atteggiamento totalmente assolutorio nei confronti dell Italia, al di là della situazione oggettivamente ambivalente nella quale gli ebrei vennero a trovarsi: essi furono bensì sottratti dalle truppe italiane alla deportazione da parte dei tedeschi o degli ustasa ma furono a loro volta rinchiusi in campo di concentramento in Italia. In questo caso Menachem Shelah non si pone il problema se il fatto che egli avesse potuto salvarsi dopo il trasporto nel campo di Ferramonti fosse un felice esito del caso ma 10 attribuisce senz altro all iniziativa degli italiani, senza riflettere che a privarlo comunque della sua libertà e ad esporlo al rischio di essere catturato dai tedeschi erano stati per l appunto gli italiani. Invece di valutare l esito della vicenda il risultato di una felice concatenazione di eventi (il fatto di essere stato trasferito dal Nord Italia a Ferramonti dove arrivarono gli inglesi mentre i tedeschi erano in fuga), egli identifica senz altro 11 comportamento degli italiani con la volontà dell Italia di non collaborare alla soluzione finale 8. Al di là della discussione della problematica relativa al comportamento delle forze italiane nei territori da esse occupati in Francia e nella penisola balcanica, di per sé più complessa di quanto non abbia visto Steinberg nella sua contrapposizione netta tra comportamento dei tedeschi e comportamento degli italiani nei confronti degli ebrei9 se non altro perché l atteggiamento italiano va visto non in rapporto unicamente al trattamento degli ebrei ma nel contesto di un contenzioso più generale tra italiani e tedeschi, anche il caso Menachem Shelah richiama l attenzione sulla disinvoltura con la quale si tende ad obliterare ogni responsabilità dell Italia per la persecuzione contro gli ebrei e a farsi scudo della volontà distruttiva dei tedeschi10. Già queste annotazioni introduttive possono indurci ad una prima riflessione. Ora, se è comprensibile, da parte di chi fu vittima della persecuzione, che nei primi anni dopo la liberazione prevalesse la tendenza più che a dimenticare a 7 Tra gli esempi più recenti nel senso richiamato nel testo citiamo Aldo Zargani, Per violino solo. La mia infanzia nell Aldiqua , Bologna, Il Mulino, 1995; Guido Fubini, Lungo viaggio attraverso il pregiudizio, presentazione di Marina Jarre, Torino, Rosenberg & Sellier, 1996; Mario Tagliacozzo, Metà della vita. Ricordi della campagna razziale , Milano, Baldini & Castoldi, Cfr. Menachem Shelah, Un debito di gratitudine. Storia dei rapporti tra l'esercito Italiano e gli Ebrei in Dalmazia ( ), Roma, Ufficio storico dello Stato maggiore dell esercito, Nello stesso senso Shelah si pronunciò al convegno della Fondazione Ferramonti del settembre 1993 per il cinquantenario della liberazione di quel campo, i cui atti purtroppo non sono stati pubblicati. 9 L allusione è al libro di Jonathan Steinberg, All ornothing. The Axis and thè Holocaust , Londra, Routledge, 1990, nel frattempo tradotto anche in italiano (Milano, Mursia, 1997); in maniera drastica la tesi del libro si ritrova nel sottotitolo dell edizione tedesca: Der italienische Widerstand gegen den Holocaust (Gottingen, 1992). 10 Tra gli esempi più clamorosi in questo senso valga Nicola Caracciolo, Gli ebrei e l Italia durante la guerra , Roma, Bonacci, 1986.

4 580 Enzo Collotti non voler ricordare; e se anche si può constatare che nel meccanismo della memoria i fatti ben più orrendi accaduti dopo 1 8 settembre del 1943 concorressero a far rimuovere o addirittura a cancellare i fatti gravi ma meno rilevanti accaduti prima, stabilendo una gerarchia non solo tra ciò che doveva essere ricordato, ma anche nella considerazione dei due ordini di eventi, certamente diversa deve essere la valutazione per quanto riguarda la pubblicistica e la storiografia posteriori alla liberazione. Altre circostanze ancora possono concorrere a farci capire come nella memoria degli ebrei italiani abbia tardato a farsi strada la consapevolezza del processo che dall interno della società italiana si era scatenato a loro danno. Tra queste va ricordato il carattere improvviso, imprevisto o come tale percepito della persecuzione avviata dal regime fascista. Indipendentemente dalla veridicità storica o meno di questo carattere d improvvisazione, il fatto che esso fosse percepito come tale è una importante spia, tra l altro, di quanto fosse stato profondo il processo d integrazione e di assimilazione degli ebrei nella società italiana: per questo il sentirsi colpiti da un atto persecutorio in maniera così imprevista e proditoria equivaleva a non volere credere alla abnormità della scomunica che si stava abbattendo sugli ebrei, che di fatto equivaleva alla revoca dell emancipazione. Unificando ricordo personale e giudizio storiografico ha scritto in anni recenti Piero Treves: Gli ebrei, nondimeno, sia per il conformismo sia per l assimilazione, o addirittura l integrazione, non credettero, nel 1938, alla persecuzione antisemitica fatti posteriori all 8 settembre rafforzarono questo tipo di reazione e concorsero ad edulcorare tutta la fase iniziale, dal 1938 al 1943, della persecuzione fascista. Credo, infine, che si debba prendere in considerazione un ultima circostanza che contribuì a rafforzare negli ebrei la convinzione che la persecuzione avviata dal fascismo non solo fosse superficiale (come se non avesse costretto a cambiare 1 esistenza di tanti anche se non incise immediatamente sulla vita fisica) ma fosse soltanto un atto di compiacenza nei confronti della Germania nazista o il risultato di una imposizione della stessa. Intendo il fatto che dopo l 8 settembre, dinanzi alla minaccia portata direttamente all esistenza fisica degli ebrei, questi poterono contare su una larga (ma certamente non totale, è bene ribadirlo) solidarietà da parte del resto della popolazione italiana e del clero cattolico. Questo fatto, con il ricordo delle paure vissute e dei pericoli corsi durante l occupazione tedesca, è stato certo uno dei più potenti elementi per ricacciare indietro nella memoria 1 offesa subita ad opera del fascismo, alla stessa stregua in cui contribuì almeno in una parte della memoria antifascista o meglio postfascista a generare un senso di autocompiacimento per il comportamento degli italiani e a insinuare la convinzione che le leggi fasciste non avessero rappresentato una cesura di civiltà, una linea di rottura nella società italiana e che comunque l Italia si era agevolmente riscattata da quella eventuale macchia. Una traccia di questa interpretazione largamente assolutoria è certamente rimasta e si è protratta a lungo nel tempo nella relativa superficialità o nello scarso o nullo rilievo con i quali i primi approcci pubblicistici e i primi studi sul fascismo sorvolarono su questo capitolo della politica del regime, vuoi per l eccesso di sovraccarico ideologico che si esprimeva tutto nella contrapposizione fascismo-antifascismo, vuoi per la preminenza assoluta data ad altri aspetti della sua politica. Ma un simile comportamento era anche la conclusione logica di forme molteplici di continuità di istituzioni e di persone. Basterebbe citare il caso dei molti pubblicisti, e non solo nomi ignoti, che avevano preso parte alla campagna di stampa contro gli ebrei e le cui firme dopo il 1945 ricomparvero su quotati organi di stampa: una realtà che via via che si arricchiscono gli studi sulle situazioni locali fornisce sempre nuovi particolari e apparenti scoperte. 11 Dalla prefazione di Piero Treves a Alberto Cavaglion, Gian Paolo Romagnani, Le interdizioni del Duce. A cinquant'anni dalle leggi razziali in Italia ( ), Torino, A. Meynier, 1988, p. 8.

5 Il razzismo negato 581 Per quanto riguarda la storiografia, tra le eccezioni va ricordato comunque un testo oggi considerato per molti aspetti superato, certamente dal punto di vista documentario, e forse ingiustamente ignorato come quello di Luigi Salvatorelli e Giovanni Mira, ossia di due autori assai sensibili alla qualità del processo costituzionale di allontanamento del fascismo dagli istituti liberali e di libertà, per i quali quindi il razzismo fascista non veniva considerato nei soli risvolti ideologici ma anche per quello che in concreto aveva rappresentato come lesione di diritti civili e umani inalienabili12. Soltanto stabilendo la continuità tra razzismo coloniale e razzismo antiebraico è possibile capire l assuefazione della maggioranza della popolazione al discorso razzista e al tempo stesso sottrarre l interpretazione dell antisemitismo fascista all unica ipoteca dell influenza tedesca. Questa, come hanno dimostrato i più attenti commentatori delle relazioni tra Italia e Germania sotto questo specifico rilievo, a cominciare dallo storico israeliano Michaelis per concludere con lo stesso De Felice13, non può in alcun modo documentare la filiazione diretta della campagna razziale in Italia da ordini e pressioni della Germania. Questo fatto, naturalmente, non elimina né liquida il problema dell influenza della Germania, ma contribuisce a orientarlo verso la sua giusta impostazione. L influenza del razzismo nazista fu più mediata che immediata, fu la cornice europea entro la quale venne a collocarsi la persecuzione in Italia, non per semplice opportunismo del regime, che voleva dimostrare di non essere neppure in questo campo secondo a nessuno, ma per consapevole scelta politica. Ciò per allinearsi ad una realtà europea (evidenziata oltre che dal Terzo Reich dagli sviluppi di antisemitismo e di normative antiebraiche in Ungheria, Romania e Polonia) in cui nella lotta contro le democrazie plutocratiche, prima ancora che contro il bolscevismo, la lotta contro gli ebrei, con il carico di significati simbolici che la caratterizzava, non era soltanto un espediente propagandistico ma la componente organica di un programma politico. La prospettiva intemazionale si saldava alle origini tutte interne della campagna contro gli ebrei, che si collocava così al crocevia tra l inserimento in un motivo tipico del pensiero eversivo e antiegualitario della destra fascista e filofascista e la ricerca di una identità forte dell italiano nuovo tipica della fase di costruzione del- 1 impero. La costruzione dell italiano nuovo comportava l omogeneizzazione di una mentalità collettiva, la collettivizzazione di un modello fascista applicato agli individui e alla società, e l irrigidimento di questo comportamento in un modello razzista. L appello al razzismo coloniale non sembrò sufficiente per realizzare la mobilitazione razzista di cui il regime aveva bisogno per rilanciare laspinta volontaristae rafforzare il consenso intorno a sé. La possibilità di utilizzare direttamente la mobilitazione all interno della stessa società italiana offerta dal fatto di additare l ebreo come il nemico fra noi fu la ragione ultima della riesumazione e addirittura dell invenzione di un pericolo ebraico nella fase di preparazione psicologica in vista della guerra. In anni recenti Renzo De Felice, il cui studio nel 1961 aveva avuto il merito di aprire la strada alle ricerche sull antisemitismo fascista e sulle leggi razziali, ha tenuto a sottolineare l estraneità dei provvedimenti fascisti ad un ottica razzista: secondo De Felice la legislazione fascista, considerata più blanda di quella nazista, sarebbe servita a Mussolini come gesto di indipendenza da Hitler, ossia per dimostrare che era possibile differenziarsi anche in questo campo dal nazismo, adottando una politica per così dire più umana14. Si tratta di una tesi a mio avviso insostenibile; essa non si può spiegare con la natura della politica razzista del fascismo, ma con l evoluzione dell interpretazione del fasci 12 Luigi Salvatorelli, Giovanni Mira, Storia ( 'Italia nel perìodo fascista, Torino, Einaudi, Cfr. Meir Michaelis, Mussolini e la questione ebraica. Le relazioni italo-tedesche e la politica razziale in Italia, Milano, Comunità, 1982 [ed. or. 1978]; R. De Felice, Storia degli ebrei sotto il fascismo, Torino, Einaudi, R. De Felice, Storia degli ebrei, cit., ed. tascabile 1993, in particolare l introduzione.

6 582 Enzo Collotti smo sviluppata nel corso di un trentennio da De Felice e sfociata nel proposito di attenuare in ogni modo i caratteri totalitari del regime e di accentuare viceversa al limite del paradosso la distanza tra regime fascista e regime nazista, per negare fra l altro la possibilità di elaborare e di usare un concetto generale del fascismo15, ma soprattutto per arrivare a sostenere l estraneità dell Italia al cono d ombra dell Olocausto secondo una espressione icastica dello stesso De Felice16. Mussolini perseguì la politica antiebraica come politica razzista pur essendo consapevole delle conseguenze drammatiche cui avrebbe potuto condurre. Non tutto sappiamo ancora dei rapporti effettivi che intercorsero tra gli organismi statali di Italia e Germania e degli scambi di informazione che ebbero luogo a diversi livelli sui problemi della politica razziale. Ma alcune cose sono sicure: secondo la testimonianza di Ciano, dopo la Kristallnacht del 9 novembre 1938, Mussolini, che stava per fare pubblicare i Provvedimenti per la difesa della razza italiana del 17 novembre, approva incondizionatamente le misure di reazione adottate dai nazisti. Dice che in posizione analoga farebbe ancora dippiù 17. Nel dicembre del 1938, uno dei funzionari dirigenti dell apparato antiebraico, Guido Landra, allora direttore dell Ufficio studi sulla razza del ministero della Cultura popolare, visitò il campo di concentramento di Sachsenhausen, nel quadro di una presa di contatto per la politica della razza con esponenti del regime nazista. Del resto, sin dal luglio Mussolini aveva confidato a Ciano di voler inasprire la politica repressiva all interno, con la creazione anche dei campi di concentramento, parallelamente allo sviluppo della campagna contro gli ebrei18. I campi di concentramento furono aperti per gli ebrei stranieri all entrata in guerra dell Italia nel giugno del Ma sin dal 1938 era stata decretata la loro espulsione dall Italia: per gli ebrei che vi si erano rifugiati per sfuggire alle persecuzioni in Germania, in Austria e in altri paesi dell Europa centro-orientale infestati dall antisemitismo, l Italia si rivelò allora un rifugio precario, per adoperare la felice espressione con la quale Klaus Voigt ha sintetizzato la sua imponente ricerca20, tradotta bensì in italiano ma largamente ignorata dalla critica, così come sottovalutata è stata la mostra da lui allestita su intellettuali e artisti rifugiati in Italia con l ausilio dell Accademia delle arti di Berlino, che in Italia ha trovato ospitalità soltanto nella città di Milano21. Al di là dell internamento degli ebrei stranieri, con l inizio della guerra ebbe inizio anche l invio in campo di concentramento di molti ebrei italiani considerati antifascisti e comunque pericolosi22. Un censimento completo dei campi di concentramento in Italia, a lungo rimossi dalla memoria collettiva e spesso ancor oggi ignorati dalle popolazioni delle località in cui furono installati, non è ancora disponibile; essi furono probabilmente più di una cinquantina; molti studi sono in corso per il loro recupero come oggetto di ricerca nel quadro della ricostruzione di un sistema concentrazionario 15 Introduzione dell autore, in R. De Felice, Storia degli ebrei, cit., ed. ampliata Cfr. la nota intervista al Corriere della sera, 27 dicembre Galeazzo Ciano, Diario , a cura di R. De Felice, Milano, Rizzoli, 1980, 12 novembre G. Ciano, Diario, cit., 10 luglio Si veda la documentazione in Simonetta Carolini (a cura di), "Pericolosi nelle contingenze belliche. Gli internati dal 1940 al 1943, Roma, Annpia, 1987 e Carlo Spartaco Capogreco, I campi di internamento fasciti per gli ebrei ( ), Storia contemporanea, 1991, pp Klaus Voigt, Il rifugio precario. Gli esuli in Italia dal 1933 al 1945, Firenze, La Nuova Italia, , 2 voi. 21 Di essa si veda il catalogo bilingue a cura della Akademie der Künste di Berlino, Rifugio precario-zuflucht auf Widerruf. Artisti e intellettuali tedeschi in Italia , Milano, Mazzotta, II numero degli ebrei italiani internati è ancora controverso; al di là delle prime indicazioni che si rinvengono in studi diversi (De Felice, Carolini), una ricerca al riguardo ha in corso Mario Toscano, come ha comunicato al convegno svoltosi presso l Università di Teramo il marzo del 1988 sui campi di concentramento in Italia.

7 Il razzismo negato 583 nell Italia fascista23. Un aspetto importante della politica del fascismo in cui la storia delle istituzioni repressive si incrocia e si fonde con la storia della politica razziale. La politica persecutoria del regime fascista continuò anche nel corso della guerra, quando esso aveva già, se non totale, tuttavia sufficiente conoscenza della sorte che era riservata agli ebrei nei territori occupati e nel Reich. A metà di otto b re del 1942, H im m ler in persona informò Mussolini di quanto stava accadendo agli ebrei tedeschi e nell Europa occupata: un racconto che comprendeva lacune, reticenze e falsità, ma che comunque era già di per sé abbastanza fosco per aprire gli occhi e le orecchie a chi avesse voluto vedere e non soltanto assentire24. Del resto, attraverso canali diplomatici (compresi quelli vaticani) e giornalistici, per non parlare di molti canali privati e delle testimonianze degli stessi soldati italiani che venivano a contatto con i tedeschi, pervenivano a Roma notizie che tuttavia non distolsero il regime dalla sua politica per ragioni di demagogia interna. La precettazione degli ebrei per il lavoro obbligatorio nel corso del 1942 fu un fatto meramente demagogico e per loro ulteriormente punitivo. Essa va interpretata infatti unicamente come un nuovo gesto per denunciare gli ebrei come profittatori della nazione nel momento del pericolo, per fame il classico capro espiatorio delle difficoltà della popolazione in guerra25. Si sono volute attenuare le corresponsabilità dell Italia per la sorte degli ebrei in Europa ricordando il comportamento delle truppe italiane nei territori occupati, dalla Francia ai Balcani, in cui comandi militari e diplomatici si opposero alla consegna degli ebrei ai tedeschi che procedevano alla loro sistematica deportazione26. Ma questa realtà non annulla il fatto che non vi fu da parte del governo fascista alcuna forma di dissociazione dalla politica nazista. Gli studi più recenti, come quelli condotti dal gruppo di ricerca del Centro Furio Jesi di Bologna, hanno mostrato che ancora alla vigilia del 25 luglio 1943 il governo Mussolini aveva predisposto la creazione di nuovi campi di concentramento per procedere all internamento sistematico anche degli ebrei italiani come forza lavoro coatta (e non solo di quelli fra essi definiti come pericolosi )27. Del pari, I documenti diplomatici italiani confermano che anche per i territori occupati, nel caso specifico la Croazia, Mussolini aveva finito per dare il suo consenso alla consegna ai tedeschi degli ebrei che si erano rifugiati nell area tenuta dall Italia28. Di recente, infine, Michele Sarfatti ha documentato che anche nel caso della Francia occupata dall Italia alla vigilia del colpo di stato contro Mussolini, il 15 luglio 1943 le autorità italiane diedero l autorizzazione a consegnare ai na- 23 Tra gli studi sui principali campi di concentramento in Italia vanno citati almeno quelli di C.S. Capogreco, Ferramonti. La vita e gli uomini del più grande campo di internamento fascita ( ), Firenze, Giuntina, 1987; Francesco Terzulli, Una stella fra i trulli. Gli ebrei durante e dopo le leggi razziali, Bari, M. Adda, 1996, sui campi nelle Puglie; altre ricerche sono in corso per altre aree regionali (Abruzzi, Toscana), al di là delle ricerche già esistenti o in corso sui campi per internati politici o sui campi di concentramento (Gonars e Arbe in primo luogo) per gli slavi. 24 Una versione italiana del resoconto della visita di Himmler a Mussolini dall 11 al 14 ottobre 1942 è stata pubblicata in Il Movimento di liberazione in Italia, 1957, n. 47. L originale del documento è ora nella raccolta Akten zur Deutschen Auswärtigen Politik, serie E, voi. IV, n Si vedano in proposito le considerazioni da noi svolte in E. Collotti, Lutz Klinkhammer, Il fascismo e l'italia in guerra. Una conversazione fra storia e storiografia, Roma, Ediesse, 1996, pp Oltre alle opere già citate in questa sede di J. Steinberg e di M. Shelah, altri studi si potrebbero citare sia per i Balcani (Daniel Carpi) che per la Francia (Leon Poliakov e Jacques Sabille). Tuttavia, ciò che ancora manca nella nostra storiografia è una valutazione complessiva del comportamento dell Italia di fronte alla soluzione finale, e non soltanto a proposito degli ebrei cittadini italiani nei territori occupati dai nazisti, anche in rapporto alle informazioni di cui il governo fascista era entrato in possesso. 27 Centro Furio Jesi (a cura di), La menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell antisemitismo fascista, Bologna, Grafis, 1994, appendice Cfr. I documenti diplomatici italiani, nona serie, voi. IX, n. 52.

8 584 Enzo Collotti zisti gli ebrei tedeschi che si erano colà rifugiati29. Se ciò fu impedito fu solo per il sopraggiungere dell armistizio italiano. Nonostante il libro di De Felice fosse comparso nel 1961, si è dovuta aspettare la seconda metà degli anni ottanta perché si sviluppasse una nuova serie di studi significativi sulla situazione degli ebrei sotto le leggi fasciste, dopo il primo pionieristico studio sulle vicende della popolazione ebraica in una grande area urbana, quello di Silvia Bon su Trieste pubblicato nel Nel 1978, in occasione dei quarant anni delle leggi di Mussolini, la pubblicazione più rilevante fu il numero speciale della rivista fiorentina Il Ponte, che già in passato aveva dimostrato particolare sensibilità per il problema dell antisemitismo fascista31. Tuttavia, soltanto il cinquantenario delle leggi razziali ha aperto una nuova stagione di studi. Il convegno promosso dalla Camera dei deputati in questa occasione ha rappresentato un momento periodizzante dello sviluppo degli studi, come attestano gli atti dei suoi lavori32. Per la prima volta la necessità di rileggere questa pagina nera della storia dell Italia contemporanea è stata fatta propria dai più alti vertici istituzionali. Parallelamente, anche il Senato della repubblica dava un contributo serio alla questione pubblicando ad opera di Mario Toscano uno studio accurato dell iter dell abrogazione delle leggi razziali antiebraiche dopo la caduta del fascismo: uno studio molto istruttivo sia della profondità con la quale la legislazione e l amministrazione sono state invase dai principi razzisti, sia delle resistenze che furono opposte, soprattutto ma non solo da parte della burocrazia ministeriale, all abolizione incondizionata delle norme contro gli ebrei33. Il convegno promesso dalla Camera dei deputati affrontava per la prima volta le caratteristiche della legislazione italiana in una prospettiva di comparazione a livello europeo; avviava analisi settoriali, con riferim ento alle conseguenze della segregazione degli ebrei dalla società italiana, in particolare sulle istituzioni scientifico-culturali e sulla vita universitaria; affrontava l analisi critica dell atteggiamento della chiesa cattolica nei confronti della legislazione fascista condotta da Giovanni Miccoli, già autore di un importante studio su Pio XII e il Terzo Reich34. Altrettanto importante fu, sempre in occasione del cinquantenario delle leggi razziali, che stimolò anche una serie di ricerche locali, sulle quali qui non è possibile soffermarsi, la pubblicazione in un fascicolo speciale di La Rassegna mensile di Israel a cura di Michele Sarfatti della raccolta delle leggi contro gli ebrei e soprattutto di una ricca silloge dei molti provvedimenti amministrativi (circolari, decreti) di carattere applicativo delle leggi, che furono certamente una delle caratteristiche dell intervento fascista35. L analisi di questo materiale dimostra che il regime non considerò l espulsione degli ebrei dall amministrazione e dalle attività economiche e professionali come un fatto meramente propagandistico: essa agì in profondità, compenetrò tutti i settori dell amministrazione, impegnò un esercito di burocrati nell inventare vessazioni a danno degli ebrei, sviluppò una mentalità persecutoria tipica da stato di polizia cumulando vec- 29 Documentato su L'Unità", 27 aprile Silvia Bon Gherardi, La persecuzione antiebraica a Trieste ( ), prefazione di E. Collotti, Udine, Del Bianco, 1972 (Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione in Friuli-Venezia Giulia). 31 Cfr. Il Ponte, 1978, n , dedicato a La difesa della razza, a cura di Ugo Caff. 32 Cfr. Camera dei deputati. La legislazione antiebraica in Italia e in Europa (Atti del convegno nel cinquantenario delle leggi razziali, Roma, ottobre 1988), Roma, Camera dei deputati, Senato della repubblica, L abrogazione delle leggi razziali in Italia ( ). Reintegrazione dei diritti dei cittadini e ritorno ai valori del Risorgimento, prefazione di Giovanni Spadolini, a cura e con introduzione di M. Toscano, Roma, Una redazione più ampia della relazione presentata al citato convegno della Camera dei deputati è offerta da Giovanni Miccoli, Santa Sede e Chiesa italiana di fronte alle leggi antiebraiche del 1938, Studi sorici, 1988, pp Cfr. La Rassegna mensile di Israel, Le leggi contro gli ebrei, a cura di Michele Sarfatti, 1988, n. 1-2, volume edito in collaborazione con il Centro di documentazione ebraica contemporanea.

9 Il razzismo negato 585 chie prassi repressive e una nuova violenza razzista. L apparato burocratico a tutti i livelli fu coinvolto in questa operazione in misura molto larga, smentendo l isolamento del regime e facendo riaffiorare in un ceto d ordine per definizione sentimenti antisemiti più diffusi di quanto si è soliti pensare, che ricevevano ora la possibilità di esprimersi a pieno titolo. Si aggiunga anche che le molte possibilità di ottenere pratiche di esonero dalla qualifica di ebreo e dalle conseguenze dell applicazione delle leggi, che è una delle caratteristiche e insieme una delle contraddizioni della legislazione razziale italiana, creò sicuramente spazi di tolleranza e offrì numerose scappatoie per evadere le leggi, ma produsse anche non pochi casi di corruzione, che come sempre finirono per penalizzare coloro che avevano minori possibilità finanziarie e che per condizione sociale non erano in grado di coltivare relazioni con ambienti e con personalità influenti. Il ritardo con il quale gli studi italiani hanno avvertito l esigenza di rileggere la storia del razzismo fascista ha impedito anche che la cultura italiana si confrontasse tempestivamente con la discussione a livello intemazionale e che inserisse la vicenda degli ebrei italiani nel quadro più generale della soluzione finale. Un esempio di questa affermazione è offerto dal ritardo con il quale é arrivata in Italia un opera fondamentale come la storia di Hilberg, la cui traduzione è apparsa soltanto alla fine del , sebbene proprio la parte dedicata all Italia non sia tra le più riuscite e ripeta il luogo comune del carattere blando delle leggi fasciste. Ma un altro esempio anche più recente è offerta dall infelice sortita di un pubblicista di grande notorietà come Sergio Romano, il cui fastidio per l insistente riproposizione della memoria della Shoah esprime l ambivalenza di un filosemitismo quasi obbligato dopo l Olocausto, ma anche i sedimenti antichi di un antisemitismo non sappiamo quanto inconscio37. Nella produzione storiografica dell ultimo decennio, posteriore al convegno della Camera dei deputati, si è prodotto un curioso paradosso: lo studio delle conseguenze dei provvedimenti razziali del fascismo, nella direzione di accentuarne le responsabilità e le caratteristiche totalitarie, si è sviluppato parallelamente all opera di revisione in senso largamente opposto che del fascismo e della figura di Mussolini veniva realizzando Renzo De Felice. Nel quadro di un generale ripensamento dell esperienza del fascismo anche in aperta polemica con l Italia repubblicana e con l esperienza della Resistenza, sino alla rivalutazione del patriottismo del fascismo e financo della Repubblica sociale italiana, l antisemitismo fascista ha finito per diventare un fenomeno sempre più marginale e al limite incomprensibile proprio nell opera di colui che nel 1961 ne era stato il primo interprete e storico di rilievo. Non si può non ricordare come le ristampe più recenti del libro di De Felice rechino impegnative prefazioni che tendono a ridimensionare la portata dell oggetto stesso della ricerca sull antisemitismo fascista. L esclusione, già nella nuova edizione del 1988, della prefazione che all edizione del 1961 aveva premesso una delle più autorevoli personalità della storiografia italiana, Delio Cantimori, rappresentò un importante segno di novità. Personalità non sospetta, passato anch egli attraverso l esperienza fascista, Cantimori in quella prefazione, più che muovere garbate critiche al libro di De Felice, suggeriva di allargare lo sguardo più indietro nella storia d Italia e di approfondire ben più diffusi sedimenti e pregiudizi contro gli ebrei anche nella cultura italiana; comunque, anche dal punto di vista metodologico invitava a evitare il rischio di ridurre 36 Raul Hilberg, La distruzione degli Ebrei d Europa, a cura di Frediano Sessi, Torino, Einaudi, 1995, 2 voi. In proposito, cfr. E. Collotti, La distruzione degli ebrei d Europa (con un'intervista a Raul Hilberg), Passato e presente, gennaio-aprile 1997, pp riferimento è a Sergio Romano, Lettera a un amico ebreo, Milano, Longanesi, 1997.

10 586 Enzo Collotti l antisemitismo italiano a fenomeno provinciale o di folclore fascista, richiamando lo choc, la scossa morale, che con la discriminazione del 1938 aveva colpito la cultura e il senso di civiltà del popolo italiano. Invitava cioè a ripensare con una profondità nuova e con una proiezione temporale più comprensiva la rottura del 1938, che di fatto significava anche per l Italia la revoca dell emancipazione38. Già nella prefazione alla ristampa del 1988 De Felice tendeva ad allontanare dal fascismo il sospetto del razzismo per potere segnare una forte linea di demarcazione rispetto al nazismo tedesco, polemizzando fra l altro con le considerazioni di Wolfgang Schieder sul carattere razzista della politica coloniale antislava del fascismo39. Infine, nell edizione del 1993, De Felice, sottovalutando l importanza della sua stessa opera, perveniva alla sorprendente affermazione che il fascismo come non fu razzista non fu nemmeno antisemita, ponendo ai lettori l insolubile enigma di comprendere quale ragione avesse ispirato l opera sugli ebrei sotto il fascismo del 1961 e la ricostruzione della legislazione antiebraica del fascismo. In realtà, la gravità delle leggi razziali del 1938, anche sotto il profilo del senso così forte di appartenenza alla nazione italiana degli ebrei, che ne venivano esclusi, è tornata nella discussione sulle conseguenze dell armistizio del 1943 e sui caratteri della Resistenza come momento di divisione della nazione e punto di partenza di una guerra civile. Michele Sarfatti si è domandato infatti se la divisione tra gli ebrei italiani non vada retrodatata proprio alle leggi del 1938, che decretavano l espulsione dalla comunità nazionale della componente ebraica40. Questa si configurava come un vero e proprio atto di ostilità, come la rottura definitiva del principio di uguaglianza che era già stato violato dalla repressione contro gli avversari del fascismo, con l aggravante che gli ebrei non venivano colpiti per avere compiuto atti di ostilità verso il regime, non quindi per fatti imputabili alla responsabilità dei singoli, ma come collettività, per il fatto stesso dell appartenenza a una categoria di individui accomunati da una propria identità culturale. Al nome di Sarfatti sono legati gli studi di carattere generale più rilevanti che tendono ad una reimpostazione generale dell analisi delle leggi razziali del fascismo e delle loro conseguenze. Già nel volume Mussolini contro gli ebrei41, Sarfatti forniva, con una accuratissima e filologica ricostruzione della elaborazione delle leggi del 1938, una risposta implicita ad ogni tentativo di attenuare il carattere razzista della legislazione italiana e soprattutto di presentare Mussolini come vittima di pressioni tedesche o di un estremismo razzista al quale egli sarebbe rimasto estraneo, secondo, si direbbe, la versione del Mussolini razzista riluttante, che si rinviene ad esempio nella ristampa riveduta dei pionieristici articoli che Antonio Spinosa scrisse all inizio degli anni cinquanta per la rivista Il Ponte 42. Sarfatti metteva in luce fra l altro la partecipazione diretta di Mussolini alla elaborazione dei provvedimenti razzisti, oltre al rigore delle leggi fasciste che anche al confronto con quelle naziste non meritano certo l appellativo di più miti. E infine come, al di là delle affermazioni verbali di un presunto razzismo spirituale secondo le vuote parole dei propagandisti fascisti e di un modesto pensatore come Julius Evola, anche il razzismo ita- 38 Delio Cantimori, Prefazione, in R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, cit., [la ed.], pp. I-XX1I. 39 Lo storico tedesco è fra l altro l autore di uno dei saggi critici più pertinenti nei confronti dell opera di De Felice: cfr. Wolfgang Schieder, Faschismus als Vergangenheit. Der Streit der Historiker in Italien und Deutschland, in Walter H. Pehle (a cura di), Der historische Ort des Nationalsozialismus, Frankfurt a.m., Fischer, 1990, pp Michele Sarfatti, 1938, quando Mussolini uccise la patria, L Unità 2, 29 maggio M. Sarfatti, Mussolini contro gli ebrei. Cronaca dell elaborazione delle leggi del 1938, Torino, Zamorani, Antonio Spinosa, Mussolini razzista riluttante, prefazione di Francesco Perfetti, Roma, Bonacci, Gli articoli ripubblicati nel libro con significativi ritocchi erano apparsi nei numeri 7, 8 e 11 del 1952 e 7 del In una premessa alla ristampa dei testi l autore dà conto, dal suo punto di vista, delle rettifiche apportate alla pubblicazione originaria.

11 Il razzismo negato 587 liano non potesse essere alla prova dei fatti biologico. Il percorso ricostruttivo e interpretativo di Sarfatti si è concluso per ora con l ampio contributo su Gli ebrei negli anni del fascismo per il secondo tomo degli Annali della Storia d Italia Einaudi, dedicati a Gli ebrei in Italia, un contributo che stabilisce in un certo senso non soltanto il bilancio più aggiornato degli studi, con riferimento fra l altro alle molte ricerche su realtà locali alle quali non è possibile accennare in questa sede, ma anche il punto di arrivo storiografico con il quale si dovranno misurare d ora in poi gli studi suh antisemitismo e il razzismo del fascismo43. Mi pare, fra l altro, che la periodizzazione e la tematizzazione che in rapporto ad essi viene suggerita da Sarfatti (con la tripartizione delle fasi della persecuzione : persecuzione della parità, dei diritti, della vita) diano una risposta definitiva anche ai tentativi di operare una separazione netta dell esperienza della Repubblica sociale dopo l armistizio del 1943, estrapolandola da ogni continuità con il regime fascista, con il duplice intento e risultato di assolvere il fascismo dalle conseguenze estreme della persecuzione e di negare ogni autonomia alla stessa Rsi ribaltando sull occupazione tedesca l intera responsabilità della deportazione44, quasi che la Rsi non fosse complice ma solo succube dell occupante. Mi pare superfluo, a conclusione di questo intervento, richiamare la necessità che la storiografia italiana recuperi il molto tempo perduto reintegrando in pieno la storia della persecuzione razziale nel quadro della storia del fascismo, come parte integrante della storia della società italiana e non come storia separata degli ebrei. È un debito che la storiografia non ha ancora sciolto nei confronti degli ebrei d Italia. Senza dimenticare neppure che all origine della nuova ondata di studi non è solo il recupero di identità ebraica cui già accennavo. Anche la riflessione su problematiche attualissime, le polemiche sull immigrazione e sui pericoli di un nuovo razzismo, evocano inevitabilmente i precedenti di questioni razziali in Italia. Come spesso accade, la storia si impone all attenzione pubblica attraverso il cortocircuito della politica. Il recupero della conoscenza storica si presenta così come uno dei fattori essenziali per la costruzione di una memoria pubblica contro luoghi comuni (Il mito del bravo italiano si intitola allusivamente un brillante saggio di David Bidussa45) che tendono a rimuovere o a dimenticare il passato razzista di questo paese, così per quanto riguarda l aspetto coloniale come per quanto concerne il razzismo specificamente antiebraico. Enzo Collotti 43 M. Sarfatti, Gli ebrei negli anni del fascismo: vicende, identità, persecuzione, in Storia d Italia, Annali, 11, Gli ebrei in Italia, a cura di Corrado Vivanti, t. 2, Dall emancipazione a oggi, Torino, Einaudi, Si tratta di un sottinteso comune a molti autori, anche se non esplicitato, e non soltanto a N. Caracciolo, Gli ebrei e l Italia, cit.; non approfondiamo qui il discorso perché ciò significherebbe aprire un diverso e più ampio capitolo sulle responsabilità della Rsi. 45 David Bidussa, Il mito del bravo italiano, Milano, il Saggiatore, Enzo Collotti è professore ordinario fr di Storia contemporanea presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell Università di Firenze. Membro del consiglio direttivo dell Insmli e del Comitato scientifico delle fondazioni Feltrinelli, Fossoli e Ferramonti. Condirettore di Passato e presente, collaboratore di numerose riviste storiche e di cultura. Tra le sue pubblicazioni recenti: Hitler e il nazismo, Firenze, Giunti, 1994; La soluzione finale, Roma, TEN, 1995; coautore con L. Klinkhammer, Il fascismo e l Italia in guerra, Roma, Ediesse, Ha collaborato inoltre a: Enzo Traverso (a cura di), Insegnare Auschwitz. Questioni etiche, storiografiche, educative della deportazione e dello sterminio, Torino, Irssae/Bollati Boringhieri, 1995; Tristano Matta (a cura di), Un percorso della memoria. Guida ai luoghi della violenza nazista e fascista, Milano, Isrml/Electa, 1996.

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