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1 LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO NEL PORTAFOGLIO DEL PRIVATE EQUITY Ipotesi per un modello di Private Equity Risk Rating π VALTER CONCA Professore associato di Economia e Gestione delle Imprese, docente SDA Bocconi, direttore Laboratorio Private Equity e LBO, direttore Master EMCFB valter.conca@sdabocconi.it π VITTORIO RICCARDI Partner di Accord Management vittorio.riccardi@accordmanagement.it Questo studio analizza il mercato del private equity in Italia sotto varie angolazioni. L attenzione è posta sulle caratteristiche del portafoglio delle partecipate, da tempo sotto i riflettori a seguito della crisi di liquidità del luglio L obiettivo è valutarne lo stato di salute e la tendenza evolutiva, analizzando il rischio complessivo del portafoglio mediante un modello di rating (PERR) che distingue le partecipazioni sane da quelle a rischio. L ipotesi alla base del modello è che il rischio del portafoglio dipenda dalla liquidabilità dell asset e dalla presenza di scarse performance economico-finanziarie. L analisi, condotta sul database del Laboratorio Private Equity e LBO della SDA Bocconi, che comprende 720 società al 31/12/2008, è svolta applicando in modo congiunto ai bilanci delle partecipate l Interest Coverage Ratio di Damodaran e lo Zeta score di Altman nella recente versione europea, parametri considerati come sensori proxy di un rischio finanziario. La letteratura è ricca di studi e ricerche empiriche sul livello dei risultati raggiunti, ma non di contributi finalizzati a valutare le performance implicite. L analisi del rischio sistemico intende dimostrare come sia possibile rispondere agli obiettivi di trasparenza e di controllo all interno dei sistemi finanziari. π e&m

2 V. Conca, V. Riccardi PRIVATE EQUITY PORTFOLIO AND RISK EVALUATION Hypothesis for a Private Equity Risk Rating model This article examines the Italian private equity market with particular emphasis on the characters of the participations portfolio, which are under the spotlight from some time now following the liquidity crisis of July The aim is to check its health and its evolutive trend, analyzing overall portfolio risk by means of a rating model (PERR) which distinguishes sound from at risk participations. The model hypothesis is that portfolio risk depends on liquidability of the asset and on poor economic and financial performance. The analysis is performed on the SDA Bocconi Laboratorio Private Equity e LBO database, which covers 720 companies up to 12/31/2008, jointly applying to the participated companies balance sheets the Damoradan Interest Covered Ratio and the Altman Zeta Score in its recent European version, both considered proxies of a financial risk. π π PREMESSA La crisi di liquidità del sistema finanziario, la caduta dei prezzi di mercato, le difficoltà dell economia reale e le sue conseguenze sulle performance delle imprese sono le principali cause che hanno determinato l attuale situazione di stallo del private equity. Ferve la discussione su quali siano le ipotesi di lavoro per un attività che comunque ha rappresentato un insostituibile strumento di crescita per le imprese, e pertanto diventa fondamentale capire quali possono essere le linee di tendenza da cui si dovrà ripartire. 1 Vari sono i cantieri aperti : i rapporti tra gestori (General Partners) e investitori (Limited Partners), le strategie di investimento, le mutate relazioni con il management delle società target, le modalità di intervento delle banche finanziatrici, le possibili ristrutturazioni della parte del portafoglio critico. Tra i vari temi affrontabili si è ritenuto utile concentrare l attenzione sullo stato di salute delle partecipate. Il lavoro si articola in due parti: una iniziale nella quale si rivisitano i dati di mercato, necessari per fotografare il portafoglio delle partecipate, e una seconda parte nella quale si introduce una valutazione del rischio complessivo del portafoglio, applicato mediante un modello di rating che consente di distinguere le partecipazioni sane da quelle a rischio. Il modello Private Equity Risk Rating (PERR) intende coprire una lacuna informativa tipica di questo mercato, non tanto nel rapporto tra investitore e gestore quanto nel suo quadro d insieme, poiché è finalizzato a valutare il rischio sistemico implicito nel portafoglio di private equity. La letteratura al riguardo, infatti, è ricca di studi e ricerche sul livello dei risultati raggiunti dai fondi (Phalippou, Gottschalg 2005), 1. Il lavoro presenta i risultati di una ricerca in corso nell ambito del Laboratorio Private Equity e LBO della Divisione Ricerche della SDA Bocconi, svolta in collaborazione con Alvarez&Marsal, Barclays Private Equity, Di Tanno e Associati, Iniziativa Advisor, Korn Ferry International, Marena Castorino D Angelo & Fagotto. I primi risultati sono stati discussi durante il convegno Gli effetti della crisi sul portafoglio di partecipazioni del private equity. Uno studio sul mercato italiano tenutosi presso l Università Bocconi il 7 luglio e&m

3 Il modello PERR 2. La ricerca in questione, discussa durante il convegno Il mercato del Private Equity e degli LBO. Gli effetti del credit crunch sulle leveraged acquisitions, tenutosi presso l Università Bocconi il 17 luglio 2008, ha analizzato i risultati di un sondaggio strutturato con un questionario inviato a 81 soggetti operanti nel mercato del private equity a cui sono state poste 23 domande riguardanti il trend di mercato e la soglia dimensionale critica di debito, le eventuali modificazioni della struttura tecnica del debito, le relative caratteristiche contrattuali. Le preoccupazioni principali riguardavano la difficoltà di superare la soglia critica dimensionale di debito (pari a 250 ml di euro), l incremento degli spread delle varie forme tecniche di finanziamento, l inasprimento delle condizioni contrattuali (covenants e clausole particolari). sul rischio nei ritorni (Ljunggvist, Richardson 2003; Weiding, Mathonet 2004), sui metodi di misurazione del rischio di performance (Woodward 2004), ma non di contributi finalizzati a valutare le performance implicite (non ancora realizzate) di tale industria. Il tema trattato prosegue un filone di ricerca avviato nell ambito del Laboratorio Private Equity e LBO della SDA Bocconi. Già nel luglio 2008 i primi risultati dell indagine sull impatto del credit crunch (Conca, Riccardi 2008) 2 davano evidenti segnali di preoccupazione, sottolineando non pochi punti critici per le nuove operazioni a debito. π IL MERCATO DEL PRIVATE EQUITY DOPO IL CREDIT CRUNCH Il mercato del private equity e degli LBO in Italia non ha sorprendentemente subito un forte impatto negativo nel 2008, contrariamente a quanto accaduto in altri paesi dove la contrazione è stata nettissima. La ricerca empirica evidenzia come il totale delle nuove società acquisite nel 2008 sia cresciuto del 27,2% rispetto al 2007, a fronte di un tasso di uscita sul portafoglio complessivo variante dal 10% al 13% annuo (tabella 1). Sul fronte del valore degli investimenti, nel 2008 le sole operazioni di LBO in Italia sono aumentate del 40% rispetto al 2007, raggiungendo un valore (enterprise value) di 14,682 miliardi di euro. Più in dettaglio, le operazioni senza utilizzo di leva sono cresciute più di tre volte in termini di equity investito, raggiungendo un totale di 2,644 miliardi di euro. I dati sono particolarmente positivi se confrontati con quelli dei principali mercati europei (Inghilterra, Germania, Francia, Spagna), che nel 2008 hanno registrato un calo del 19% nel numero di operazioni e del 60% nei valori investiti in operazioni di LBO. Purtroppo, anche se in ritardo, il mercato domestico ha seguito il trend negativo generale dei paesi industrializzati: la crisi si è manifestata in tutti i suoi nefandi aspetti nel 2009, come dimostrano le stime sulle operazioni in acquisto e in vendita chiuse nell anno. Tabella 1 Il private equity in Italia: flussi in-out. Fonte: Laboratorio Private Equity e LBO Research Update (2010) Mercato italiano (stime) Società acquisite Operazioni di add-on nd nd nd nd nd nd nd N. disinvestimenti Ω partecipazioni detenute 0,0% 14,3% 5,0% 14,0% 17,6% 34,4% 33,3% 34,6% 31,3% 48,5% da oltre 4 anni Ω partecipazioni detenute 0,0% 0,0% 0,0% 2,0% 2,0% 6,6% 7,7% 12,3% 9,0% 27,8% da oltre 6 anni Durata media way-out 1,4 2,4 2,4 2,8 3,1 3,7 3,7 3,9 3,6 4,8 (anni) N. partecipazioni in portafoglio Ω da oltre 4 anni nd nd nd nd nd nd 27,1% 29,5% 29,0% 31,9% Ω da oltre 6 anni nd nd nd nd nd nd 9,2% 16,7% 19,9% 22,4% Variazione partecipazioni 26,0% 17,2% 12,3% 10,5% 9,7% 11,6% 8,5% 14,6% 3,8% in portafoglio e&m

4 V. Conca, V. Riccardi Le tabelle successive evidenziano il valore complessivo di mercato e le tipologie degli investimenti effettuati dagli operatori nazionali e internazionali, 3 dando conto di una struttura del mercato sino al 2008 caratterizzata da: Ω un preponderante peso degli LBO nei vari anni, più marcato se misurato a valore rispetto al numero di operazioni effettuate; Ω un modesto contributo delle altre tipologie, tranne che per le operazioni di expansion, incrementate non poco nel 2008 rispetto al passato. Come emerge dai dati esposti, la struttura del mercato conferma la necessità di focalizzare l attenzione del lavoro proprio nel segmento dominante delle operazioni a leva. Particolarmente utile è l individuazione del valore delle operazioni per fasce di mercato, secondo la classificazione normalmente adottata dagli operatori (small, mid e big market), che basano le strategie di posizionamento sul mercato in funzione delle dimensioni dell enterprise value del singolo deal. Come si può osservare (tabella 3), il mercato si è polarizzato nel 2008 nelle fasce estreme, lasciando un vuoto significativo nella fascia delle imprese medio-grandi (upper mid market). Se, infatti, il segmento delle imprese medio-piccole (lower mid market) ha visto quasi raddoppiare il valore delle operazioni, con ben 45 deal chiusi contro i 31 del 2006 Numero % sul Valore totale Tipologia operazioni numero ( ml) Buy-Out/Buy-In 63 46,7% 6.152,4 Secondary Buy-Out 18 13,3% 5.584,9 Totale LBO 81 60,0% ,3 Early Stage 8 5,9% 8,7 Expansion 32 23,7% 1.377,5 Replacement 7 5,2% 104,7 Turnaround 7 5,2% 137,5 Totale altre tipologie 54 40,0% 1.628,5 Totale operazioni ,0% Operazioni di add-on nd 2007 Numero % sul Valore totale Tipologia operazioni numero ( ml) Buy-Out/Buy-In 54 43,2% 3.739,9 Secondary Buy-Out 22 17,6% 6.711,1 Totale LBO 76 60,8% ,0 Early Stage 7 5,6% 14,1 Expansion 33 26,4% 327,0 Replacement 6 4,8% 138,5 Turnaround 3 2,4% 129,6 Totale altre tipologie 49 39,2% 609,2 Totale operazioni ,0% Operazioni di add-on Numero % sul Valore totale Tipologia operazioni numero ( ml) Buy-Out/Buy-In 65 40,9% ,9 Secondary Buy-Out 23 14,5% 4.677,3 Totale LBO 88 55,4% ,2 Early Stage 9 5,7% 133,9 Expansion 45 28,3% 2.209,8 Replacement 10 6,2% 228,0 Turnaround 7 4,4% 73,2 Totale altre tipologie 71 44,6% 2.644,9 Totale operazioni ,0% Operazioni di add-on Si rammenta che i valori di mercato sono stati calcolati a enterprise value per gli LBO e a equity investito per le restanti tipologie. Tabella 2 Trend del mercato italiano per tipologie Fonte: Laboratorio Private Equity e LBO Research Update (2009) 80 e&m

5 Il modello PERR Tabella 3 Analisi del mercato italiano degli LBO per segmento (market size) Fonte: Laboratorio Private Equity e LBO Research Update (2009) Market Size Totale 2007 % Totale 2008 % (Enterprise Value) ( ml) ( ml) Small market (<10 ml) 33,3 0,3% 33,1 0,2% Lower mid market (10-50 ml) 766,4 7,3% 1.270,0 8,6% Mid market ( ml) 2.943,2 28,2% 2.673,1 18,2% Upper mid market ( ml) 2.325,0 22,2% 1.275,0 8,7% Large market ( ml) 2.683,0 25,7% 5.322,6 36,3% Big market (>1000 ml) 1.700,0 16,3% 4.108,4 28,0% Totale ,0 100,0% ,2 100,0% 4. È evidente che in tali segmenti la chiusura di uno o pochi deal di elevate dimensioni faccia di per sé mercato. L effetto deleveraging e le minori risorse raccolte dai fondi determineranno la concentrazione degli investimenti nei segmenti più piccoli 2007, non meno eclatante è risultata la crescita delle grandi operazioni (large e big market), dove si è concentrato oltre il 60% del valore complessivo del mercato. 4 La crescita significativa nei due segmenti maggiori potrebbe essere dovuta non solo a un ritardo di percezione, ovvero alla non immediata consapevolezza di alcuni operatori dell intensità della crisi in corso, ma anche al fatto che alcune operazioni erano già state programmate e avviate da tempo. È probabile che nel biennio successivo la crisi di liquidità del sistema l effetto deleveraging e le minori risorse raccolte dai fondi determineranno una concentrazione degli investimenti nei segmenti più piccoli. Nell ambito dell offerta si registrano invece tendenze contrastanti: da un lato, non pochi segnali di attesa (se non di ritiro) di alcuni big del settore (ben 38 fondi operativi nel 2008 non hanno effettuato investimenti nel 2009), dall altro si stanno avviando molte iniziative di operatori boutique, caratterizzati da una struttura snella ed efficiente di professionisti molto specializzati con una conoscenza approfondita del mercato e con un network relazionale spendibile. Da un certo punto di vista, la crisi attuale può essere considerata salutare, nel senso che è logico attendersi la scomparsa degli operatori marginali, ovvero le istituzioni new entry che hanno beneficiato di un trend opportunistico di breve durata, mentre dovrebbero permanere solamente pochi e selezionati operatori di riconosciuta professionalità. Va da sé che questo trend di mercato andrà a scapito delle operazioni di maggiore dimensione di debito. Anche in presenza di leve inferiori, la prudenza degli operatori bancari nell apporto di acquisition financing non consentirà, salvo mutamenti di contesto imprevedibili, di chiudere un elevato numero di operazioni. π LA COMPETIZIONE SUI PREZZI Varie cause hanno aggravato l attuale crisi del settore. Se alcune sono state di carattere esogeno, e quindi difficilmente prevedibili (come, per esempio, la congiuntura di mercato), altre hanno mostrato una scarsa razionalità di comportamento: tra queste figura senza dubbio la competizione sui prezzi. Sull altra causa di crisi, individuata nell esagerato ricorso alla leva, si ritornerà più avanti. Per quanto concerne i prezzi pagati, si ricorda che negli anni di boom del private equity si è registrata un inversione di tendenza nella teoria che spiega il differenziale dei prezzi tra le acquisizioni di tipo industriale (core to core) e quelle finanziarie, tale per cui alle prime è normalmente riconosciuto un premium price conseguente e&m

6 V. Conca, V. Riccardi alla possibilità di sfruttare sinergie ed economie di scala. 5 Al contrario, negli anni 2006 e 2007 molte operazioni concluse da fondi di private equity sono state chiuse con prezzi di mercato pressoché allineati (talvolta anche superiori) ai moltiplicatori tipici delle omologhe acquisizioni a carattere industriale. Ciò ha provocato due precisi effetti: Ω una limitata selettività delle opportunità di investimento da parte del compratore; Ω attese fuori mercato dei venditori, ancora oggi non completamente rimosse. 6 La politica di alti prezzi ha altresì influenzato il livello di debito, notoriamente sensibile nelle operazioni a leva. In non pochi casi, errori di sopravvalutazione del capitale economico della target, basati su ottimistiche previsioni di mercato, sulla necessità di chiudere comunque un acquisizione o sulla partecipazione ad aste al rialzo hanno condotto a prezzi pagati del tutto irragionevoli. 7 Il significativo aumento del numero di partecipazioni in portafoglio da oltre quattro anni (tabella 1), il trend di crescita dei write-off (cresciuti nel 2009 da 37 a 56 come numero e da 155 ml a 1548 ml come valore), i casi di riacquisto a sconto da parte dei vecchi soci sono una dimostrazione palese di errori di sopravalutazione del capitale economico. Il trend dei prezzi ha manifestato un momento di rottura a partire dal 2007 con evidenti effetti di caduta nel Come si può osservare dalla figura 1, nel 2008 la prima correzione al ribasso dei prezzi EV/EBITDA è del 10% circa, mentre il 2009 registra una diminuzione più che raddoppiata (circa 20%). Per l immediato futuro gli operatori si attendono un ulteriore tendenza alla diminuzione. 5. Conca (2001, p. 136). Per ulteriori approfondimenti sul tema del premium price per le sinergie raggiungibili si veda Rau (2000, pp ). 6. Dimostrabile dal numero di write-off e dalle partecipazioni attualmente in difficoltà; sulle attese di prezzo molti imprenditori si sono dichiarati disponibili a cedere sulla base di prezzi del 30-40% superiori ai multipli medi di mercato. 7. Come si evidenzia nella tabella 9 e nella figura 10, i prezzi pagati per acquisizioni a leva nel (multipli dell EBITDA superiori a dieci volte), hanno costretto a una consistente rinegoziazione del debito. EV/EBITDA 10.0x 8.0x 6.0x 6,8x 6,7x 8,1x 7,7x 7,0x 5,6x Figura 1 Trend dei prezzi nel mercato del private equity (multiplo medio EV/EBITDA) Fonte: Laboratorio Private Equity e LBO Research Update (2009) 4.0x 2.0x I semestre 2009 (stima) π LA RELAZIONE PREZZO/DIMENSIONE L analisi dei prezzi pagati offre preziose informazioni se posta in relazione alle dimensioni aziendali della target: in generale, i multipli crescono all aumento delle dimensioni del deal. Infatti, è indubbio che di fronte ad asset di maggiori dimensioni l investitore percepisca un minore rischio: management più professionale, sistemi di controllo più sofisticati, maggiore stabilità della posizione di mercato sono elementi di solidità che giustificano prezzi più elevati. Al contrario, target di piccola-media dimensione non vengono presi in considerazione dai grandi operatori, vuoi per le difficoltà di procedere ad analisi competitive molto strutturate, vuoi per l investimento time consuming tipico degli interventi nello small market che mal si addice alle strutture snelle dei fondi. Questi fattori spiegano i motivi alla base della relazione direttamente proporzionale tra prezzo e dimensioni. 82 e&m

7 Il modello PERR I dati esposti nella figura 2 danno evidenza di tale correlazione. Salvo che per il segmento dello small market, all aumento dell enterprise value si accompagna una decisa e chiara crescita dei prezzi riconosciuti dal mercato per ogni fascia considerata. Lo small market presenta infatti caratteristiche peculiari: i multipli più elevati sono giustificati vuoi da maggiori possibilità di crescita, vuoi da valori assoluti relativamente contenuti. Il trend di crescita dei prezzi trova un limite evidente nel big market, dove la scarsa numerosità del cluster non offre interpretazioni statisticamente significative. Figura 2 Distribuzione del multiplo medio per fasce di mercato Fonte: Laboratorio Private Equity e LBO Research Update (2009) EV/EBITDA 16.0x 14.0x 12.0x 10.0x 8.0x 6.0x 4.0x Ent. Value ml/campione 7,2x 8,3x 6,5x Small market (<10) 7,5x 6,3x 5,8x Lower mid market (10-50) 8,2x 6,7x Mid market (50-250) Upper mid market( ) Large market ( ) Big market (>1000) ,3x 9,8x 8,6x 11,7x 11,2x 14,4x 9,6x 6,9x Figura 3 Correlazione prezzi/dimensione negli LBO Fonte: Laboratorio Private Equity e LBO Research Update (2009) EV/EBITDA Con Enterprise Value > 100 ml 10.0x 8,1x 9,8x 8,1x 11,2x 9,7x 9,0x 8,7x 8.0x 9,0x 8,7x 7,7x 7,1x 7,6x 6.0x 6,4x 4.0x 2.0x 0.0x Campione Buy-out / Buy-in Secondary Buy-out Una conferma ulteriore della relazione prezzi/dimensioni proviene da un analisi ottenuta sul cluster di LBO (buy-out e buy-in; secondary buy-out) con enterprise value superiore ai 100 milioni di euro (figura 3). I dati segnalano un significativo premio di dimensione per le operazioni di maggiore valore, nell ordine del 26% per i buy-out / buy-in del 2008 e del 18% per i secondary; tale premio, peraltro, si manifesta in modo costante anche negli anni precedenti. È interessante notare che, al di là del premio di dimensione, esiste una sostanziale differenza di prezzi tra le prime operazioni di LBO e i secondary buy-out che non dipende dalle dimensioni, come dimostra la figura 3. Il differenziale di prezzi si cole&m

8 V. Conca, V. Riccardi loca nei tre anni analizzati in un intervallo tra il 17% e il 22%. Tra i principali motivi che giustificano tale differenziale appare preponderante il minor rischio percepito dal secondo compratore di fronte ai positivi risultati raggiunti nel primo ciclo di investimento e di fronte alla lunghezza intrinseca del ciclo di crescita. N. operatori attivi π Fondi domestici π Fondi internazionali Figura 4 Distribuzione degli operatori attivi per numero di deal Fonte: Laboratorio Private Equity e LBO Research Update (2009) >5 N. operazioni effettuate >5 N. operazioni effettuate >5 N. operazioni effettuate 2008 Anche la nazionalità dei fondi tende a influenzare il livello dei prezzi pagati, se si considera che, in genere, i fondi internazionali sono dotati di capitali più consistenti rispetto ai fondi domestici. Proprio l entità del fund raising si riflette direttamente sulla tipologia dimensionale della target: i fondi di maggiori dimensioni si concentrano su pochi grandi deal, generando ulteriore price competition. Ne deriva, come diretta conseguenza, una significativa differenziazione nel taglio medio degli investimenti effettuati nel 2008, come appare dalla tabella 4. 1 operazione Da 2 a 5 operazioni Più di 5 operazioni Fondi domestici 26 ml 33 ml 6 ml Fondi internazionali 178 ml 132 ml Tabella 4 Taglio medio degli investimenti nel 2008 Fonte: Laboratorio Private Equity e LBO Research Update (2009) π GLI EFFETTI DEL DELEVERAGING L attuale contesto di crisi congiunturale sta evidenziando proprio la fragilità di un sistema basato sull utilizzo massiccio del debito e della leva finanziaria, 8 trascinandosi come logica conseguenza il fenomeno del deleveraging, ovvero la riduzione del livello di indebitamento, anche se tale percorso non sembra immune da rischi per l economia nel suo insieme. 9 L andamento dei tassi evidenzia chiaramente che il problema non sta tanto nel costo del debito (peraltro contenuto), quanto nella indisponibilità dell offerta a finanziare progetti a elevata leva. ESTRATTO DALLA LETTERA DI TPG AI LIMITED PARTNERS (settembre 2009) il leveraged buy-out è una struttura utile in alcuni momenti del ciclo economico ma non in altre: quando il debito ha un costo basso e non adeguato al livello di rischio, come è stato prima del 2008, ha senso sostituire il capitale di rischio con il debito e da qui la grande abbondanza di LBO. Adesso ha senso sostituire il debito con il capitale di rischio. 8. Debt and leverage cause fragility; they leave less room for errors as the economic system loses its ability to with stand extreme variations in the prices of securities and goods. Equity by contrast is robust: the collapse of the technology bubble in 2000 did not have significant consequences because internet companies while able to raise large amounts of equity had no access to credit market. (Taleb, Spitznage 2009). 9. Si veda al riguardo il rapporto Debt and deleveraging: The global credit bubble and its economic consequences, McKinsey & Company, Research Topic Capital Markets, January e&m

9 Il modello PERR 10. Lettera di TPG ai Limited Partners, Financial Times, 5/9/2009. A ben vedere, la sostituzione del debito con il capitale di rischio non è dovuta al costo del debito (dato l attuale livello minimo dei tassi), quanto alla indisponibilità a finanziare eccessivi ammontari di debito. 11. Per sindacazione si intendono le operazioni di successiva ricollocazione sul mercato del debito iniziale assunto dall arranger verso altri istituti (mercato secondario). Tale consapevolezza si è acquisita anche all interno del mondo del private equity. Interessante è la recente comunicazione del General Partner di TPG ai suoi Limited Partners circa la strategia da seguire nell immediato futuro. 10 A questa tendenza si accompagna anche la necessità di gestire le attuali posizioni di sofferenza o di prossimità al default, che impongono interventi immediati di ristrutturazione del debito. Gli effetti del deleveraging si manifestano pertanto in due direzioni: la riduzione del grado di leva delle nuove operazioni e la ristrutturazione del debito per le aziende in sofferenza all interno del portafoglio dei fondi. Analizzando il campione italiano delle operazioni a leva (circa il 40% dei buy-out per numero e l 80-90% a valore) si evidenzia un flusso totale di debito leveraged di circa 36 miliardi di euro dal 2004 al 2008 (figura 5). Il campione riflette le principali operazioni di debito leveraged sindacate in Italia; 11 una stima a livello complessivo porta tale dato a circa 40 miliardi di euro. Figura 5 Debito emesso in Italia per le maggiori operazioni di LBO Fonte: Dealogic Debito totale ( ml) π Totale debito N. operazioni N. di operazioni Figura 6 Struttura finanziaria delle leveraged acquisition: un confronto internazionale Fonte: Elaborazioni su dati Standard & Poor s LCD e Laboratorio Private Equity SDA Bocconi 12,0x 10,0x 8,0x 6,0x 4,0x 2,0x 0,0x 9,7x 8,3x 0,1x 8,5x 0,1x 8,2x 3,3x 2,9x 3,2x 2,9x 6,3x 5,3x 4,3x 5,3x 5,3x 4,9x EU IT EU IT π Debito Senior/EBITDA π Debito/EBITDA π Equity/EBITDA π Altro/EBITDA 9,7x 0,1x 4,4x 5,2x 4,1x EU ,0x 3,6x 4,4x 3,7x IT È bene rammentare che il mercato del debito è da sempre caratterizzato da una forte polarizzazione sulle operazioni di grande dimensione, con un taglio medio per operazione di oltre quattro volte rispetto al cluster inferiore. Il 63% del totale del debito erogato negli ultimi cinque anni in Italia ha infatti riguardato 23 operazioni con debito superiore a 500 milioni. Più in dettaglio, nel cluster di debito compreso tra 500 milioni e un miliardo di euro si contano quattordici operazioni con un totale di dee&m

10 V. Conca, V. Riccardi bito erogato pari a 9 miliardi di euro, che rappresenta il 23% del totale. Nel cluster di debito superiore a un miliardo si contano nove operazioni, con un totale di debito erogato pari a circa 16 miliardi (circa il 40% del totale). La leva finanziaria calcolata sul campione delle operazioni sindacate in Italia si è attestata su un valore superiore a 5x Debito/EBITDA, con punte talvolta superiori a otto volte; ciò si confronta con il dato delle operazioni europee, mediamente più elevato. In ambedue i mercati a partire dal 2007 si manifesta una tendenza alla diminuzione sia nei prezzi pagati sia nei rispettivi rapporti di leva, ulteriormente enfatizzata nel mercato domestico nei primi mesi del Si può ragionevolmente ritenere che per strutturare con successo un operazione di LBO oggi in Italia si debba ragionare su un livello di equity contribution pari almeno al 50%. Giugno 2007 Giugno 2008 Giugno 2009 (stime) Spread Ω Term loan A 210 bp 300 bp 330 bp Ω Term loan B 260 bp 350 bp 390 bp Ω Term loan C 310 bp 425 bp 460 bp Arrangement fees 1,90% 3,00% 3,30% Debt structure Ω Term loan A 20% min. 50% 60-70% Ω Term loan B 40% 25% 30% Ω Term loan C 40% 25% 0-10% Tabella 5 L evoluzione della struttura del debito negli LBO in Italia Fonte: Indagine svolta dal Laboratorio PE e LBO presso le principali istituzioni finanziarie operanti sul mercato Total Senior Debt 4,5x 5,5x EBITDA 3,0x 4,0x EBITDA 3x EBITDA Mezzanine 1,0x 1,5x EBITDA ca. 0,5x EBITDA ca. 0,5x EBITDA Total Debt 5,5x 7,0x EBITDA 3,5x 4,5x EBITDA 3,5x EBITDA Equity/Quasi Equity 20 25% of Total Sources min. 40% of Total Sources min. 50% of Total Sources EV/EBITDA ca. 8,0x 9,0x ca. 6,5x 8,0x ca. 5,5x 6,0x Come già sottolineato, le conseguenze del deleveraging si manifestano nella riduzione del grado di leva delle nuove operazioni e nella ristrutturazione del debito per le aziende in sofferenza. I primi segnali sono già visibili nel cambiamento avvenuto nella strutturazione delle operazioni dal 2007 al 2009 (tabella 5) che riguardano: Ω la riduzione del rapporto Debito/EBITDA da una media di 5-7 volte nel 2007 a 3,5-3 volte per le prime operazioni chiuse nel 2009; Ω l aumento degli spread e scomparsa delle tranche di debito con ripagamento bullet; Ω incremento della percentuale di equity sul totale dei mezzi investiti da una media del 30-35% del 2007 a una di oltre il 50% nel 2009; Ω la revisione di alcuni elementi contrattuali con particolare riferimento ai covenant e ai meccanismi di sindacazione. π UN IPOTESI DI VALUTAZIONE DEL RISCHIO SUL PORTAFOGLIO DELLE PARTECIPATE: IL MODELLO PRIVATE EQUITY RISK RATING (PERR) Ai fini del presente lavoro è bene chiarire che il rischio del modello proposto è inteso come probabilità di mancato realizzo di un profitto dalla cessione della partecipazione. Il problema della gestione del rischio di portafoglio risponde all esigenza sentita dal sistema finanziario di adottare comportamenti e regole per aumentare la capacità di percezione del rischio e per ottimizzare la risk allocation (Walker 2007) Già nel luglio 2007 il Rapporto Walker Disclosure and Transparency in Private Equity, richiesto dalla British Venture Capital Association, metteva in luce l esigenza di valutare l impatto finanziario del settore sul sistema economico nel suo complesso. In dettaglio, le raccomandazioni sottolineavano la necessità di una comunicazione formale e sistematica sulle politiche attuate dai fondi chiusi con un enfasi particolare sull analisi del livello del debito e sulle performance delle operazioni. 86 e&m

11 Il modello PERR Infatti, se l industria del private equity è sempre stata attenta a comunicare i risultati degli investimenti andati a buon fine attraverso l IRR e il money multiple, poco si è preoccupata di dare visibilità alle situazioni più problematiche all interno dei singoli portafogli, impedendo di conseguenza anche la percezione del rischio sistemico (Onado 2009; Tabellini 2009; Sironi 2009). Si pensi all importanza di questo monitoraggio per il sistema bancario e per gli organi di vigilanza della banca centrale. Tale aspetto sta assumendo ancor più rilevanza nell attuale situazione, in cui si è interrotto il ciclo favorevole di ritorno degli investimenti. Il modello PERR qui proposto vuole essere una prima risposta a questa carenza informativa. La figura 7 illustra sinteticamente lo schema logico del modello. Figura 7 Il modello Private Equity Risk Rating (PERR) Liquidabilità dell asset Performance economico-finanziaria RISCHIO DI PORTAFOGLIO L ipotesi alla base del modello è che il rischio di un operazione di private equity sommi due componenti: Ω la liquidabilità dell asset, ovvero la capacità di vendere con profitto la partecipazione in tempi ragionevoli; Ω la possibilità di una scarsa performance economico-finanziaria della partecipazione. 13. Il parametro ICR rappresenta una proxy della capacità di fronteggiare i debiti finanziari poiché essendo calcolato come rapporto tra EBIT e oneri finanziari non tiene conto degli effettivi flussi di cassa. Si rammenta inoltre che ambedue gli indicatori soffrono il limite di basarsi su dati di bilancio. Lo Zeta score, concepito per la valutazione del merito creditizio e considerato come una proxy del default risk, trova in questo caso specifico un limite di tipo applicativo, poiché non si può escludere che società con uno scoring negativo non siano di per sé vendibili. La prima componente è desumibile dall anzianità del portafoglio, misurata dal numero di anni di permanenza della partecipazione nel portafoglio a una certa data. L ipotesi assunta nel modello è che un holding period molto lungo (superiore a otto anni) sia di per sé un indicatore di scarsa liquidabilità di una partecipazione e quindi incrementi in modo significativo il rischio di un portafoglio. La seconda componente, definita come rischio di performance, comprende sia un rischio potenziale sia uno stato reale di insolvenza conclamata. Il rischio potenziale viene valutato sulla base di parametri economico-finanziari (il rating sul debito e un altro indicatore sul merito creditizio) che misurano il rischio di default. Il rating sul debito è determinato in via sintetica dall applicazione dell Interest Coverage Ratio (ICR), dato dal rapporto tra EBIT e oneri finanziari, mutuata dal lavoro statistico di Damodaran (2002, pp. 209 e ss.). L ipotesi è che l ICR sia una proxy della capacità di fronteggiare il debito. Il merito creditizio è invece desunto dallo Zeta score di Altman (2006). La scelta dell ICR e dello Zeta score, anche se non esente da critiche o da limiti intrinseci, 13 rappresenta una possibile soluzione e un buon compromesso per analizzare una serie numerosa e complessa di dati di bilancio. Oltre alla facilità di utilizzo, i parametri rispondono a criteri di riconosciuta scientificità a livello internazionale. Pur con le limitazioni esposte, il modello prevede che i due parametri siano utilizzati in modo congiunto per la misurazione del rischio di portafoglio, obiettivo centrale della ricerca. e&m

12 V. Conca, V. Riccardi Al rischio potenziale si somma poi l insolvenza conclamata, desumibile dall analisi di due parametri rappresentati, dal numero di società in portafoglio in liquidazione e dallo stock di debito ristrutturato/rinegoziato. π L APPLICAZIONE DEL MODELLO PERR Il modello PERR non ha finalità predittiva, ma si propone di dare una valutazione della situazione del portafoglio alla data del 31/12/2008. Oggetto dell analisi sono state le 720 società in portafoglio al 31/12/2008 che rappresentano il campione di riferimento. Il portafoglio è stato segmentato sulla base dell holding period, considerando che l eccessiva permanenza nel portafoglio sia di per sé un fattore di stress, in coerenza con le linee guida di EVCA. 14 Sulla base delle informazioni tratte dal database del Laboratorio PE e LBO, si sono identificati tre cluster temporali: Ω 48 società con closing ante 2000; Ω 273 società con closing dal 2000 al 2005; Ω 399 società con closing dal 2006 al Il campione finale oggetto di analisi risulta composto dalle 48 società del primo cluster, da 137 società del secondo, da 25 società del terzo per un totale di 210 società pari al 21,8% del campione di riferimento. 15 Nel secondo cluster ( ) sono comprese nove società partecipate in corso di liquidazione e sono state escluse le operazioni di turnaround. Il primo cluster è stato considerato al 100% rischioso, avendo ormai da tempo superato il normale periodo di permanenza nel portafoglio, che nella prassi viene identificato in un orizzonte temporale compreso fra tre e cinque anni. L ipotesi utilizzata appare realistica, anche se potrebbe portare a sovrastimare il rischio di portafoglio, in quanto dà per scontato la non vendibilità delle società in essere da oltre otto anni. Per le operazioni chiuse dal 2000 al 2005 si è assunta l ipotesi che dopo almeno tre anni dal closing la società partecipata debba aver realizzato il suo piano e ripagato almeno in gran parte il proprio debito. Per il terzo cluster, la valutazione della rischiosità è stata determinata in via diretta dalla percentuale di default del debito, ottenuta esaminando i database bancari che indicano gli interventi di rinegoziazione/ristrutturazione in atto nei primi nove mesi del A tale riguardo EVCA propone un incremento del fattore di sconto del multiplo applicato per la valorizzazione delle partecipazioni in funzione della longevità della partecipazione stessa. 15. Il diverso numero di società di ogni cluster temporale è dipeso dai differenti parametri di analisi utilizzati; nel primo cluster, per esempio, non sono stati utilizzati parametri di bilancio, nel secondo si è lavorato solo su dati di bilancio, nel terzo incrociando informazioni pubbliche con database di fonte bancaria. Il numero limitato delle operazioni dal 2000 al 2005 dipende dalla mancanza dei bilanci al 2008, in corso di caricamento sul database AIDA. π L ANALISI DEL CLUSTER MEDIANTE L ICR E LO ZETA SCORE Il secondo cluster è composto da 137 società di cui nove in corso di liquidazione. Le prime sono state oggetto di una specifica analisi, basata sulla determinazione dell ICR e dello Zeta score ai dati di bilancio del 2007 e del 2008; le seconde per definizione sono considerate rischiose. L ICR è uno dei dieci parametri utilizzati da Standard & Poor s per valutare il grado di rischio delle società quotate; tale rischio viene sintetizzato in un rating che va da un massimo di AAA a un minimo di D. Si definiscono speculative grade (società a rischio elevato) le società con rating inferiore o uguale a BB e investment grade (società sane) quelle con rating da BB ad AAA. Il lavoro statistico di Damodaran ha evidenziato come l ICR sia tra i dieci parametri del modello quello che maggiormente sintetizza il giudizio di rating. 88 e&m

13 Il modello PERR Lo Zeta score è uno strumento che determina un indice sintetico della probabilità di fallimento articolato su tre livelli: Ω Zeta" < 1,1: alta probabilità di fallimento; Ω Zeta" > 2,6: impresa sana; Ω Zeta" compreso tra 1,1 e 2,6: situazioni richiedenti ulteriori approfondimenti. Lo Zeta" score è stato scelto in quanto valuta quattro indicatori economici, patrimoniali e finanziari che insieme meglio rappresentano il livello delle performance, uno degli elementi più significativi di attrattività per il potenziale compratore. π I RISULTATI DELL APPLICAZIONE MEDIANTE L ICR AL CLUSTER L ICR è stato applicato alle 128 società venture backed dal 2000 al 2005 analizzando i bilanci 2007 e Il campione è stato ulteriormente segmentato per focalizzare l attenzione alle sole operazioni di LBO. Le società speculative grade al 2008 rappresentano oltre la metà del campione complessivo (tabella 6), mentre le società classificate investment grade coprono il restante 35,9% del campione. Tabella 6 Risultati del rating ICR del campione complessivo nel cluster Dati di bilancio 07 Dati di bilancio 08 EBIT/Oneri Rating N. società % N. società % finanziari partecipate partecipate > 8,50 AAA 23 18,0% 15 11,7% 6,50 8,50 AA 2 1,5% 3 2,3% 5,50 6,50 A+ 5 3,9% 7 5,5% 4,25 5,50 A 7 5,5% 6 4,7% 3,00 4,25 A ,2% 11 8,6% 2,50 3,00 BBB 9 7,0% 4 3,1% 2,00 2,50 BB 6 4,7% 6 4,7% 1,75 2,00 B+ 4 3,1% 4 3,1% 1,50 1,75 B 7 5,5% 5 3,9% 1,25-1,50 B- 5 3,9% 4 3,1% 0,80 1,25 CCC 6 4,7% 8 6,2% 0,65 0,80 CC 2 1,5% 4 3,1% 0,20 0,65 C 13 10,2% 9 7,0% < 0,20 D 25 19,5% 41 32,0% nd Nd 1 0,9% 1 0,9% Totale ,0% ,0% Investment grade (da AAA a BBB) 59 46,0% 46 35,9% Speculative grade (<=BB)* 68 53,1% 81 63,1% nd 1 0,9% 1 0,9% * di cui da CCC a D 46 35,9% 62 48,3% e&m

14 V. Conca, V. Riccardi I risultati evidenziano anche ben 62 società (pari al 48,3% del campione) con un rapporto ICR inferiore a 1,25, indicativo di un rating da CCC a D assai problematico. A livello di trend, i risultati dal 2007 al 2008 indicano che: Ω il 44,1% del campione (56 società) ha peggiorato l ICR performance; Ω circa un terzo è rimasto stabile; Ω il 21,3% del campione complessivo (27 società su 128) ha migliorato l ICR performance. L analisi sulla dinamica dell ICR performance merita qualche ulteriore considerazione. La figura 8 raggruppa le società in quattro quadranti che incrociano l anno di riferimento con il rating investment grade e speculative grade. Le società che si posizionano lungo la diagonale sono quelle che mantengono il medesimo rating nel 2007 e nel 2008; le altre mostrano una variazione positiva o negativa del rating. È interessante osservare non tanto lo spostamento assoluto tra i livelli di rating, quanto l eventuale salto di rating da società rischiose (rating da BB a D) a società sane (da BBB ad AAA) o viceversa. In questo caso, si nota che ben 23 società (tutte le società appartenenti al quadrante Q II) sono passate da investment grade a speculative grade nel 2008, e altre 23 società sono peggiorate nel rating ma rimaste all interno dello speculative grade (parte alta del quadrante Q IV). Nell area dei miglioramenti, dieci società sono passate da speculative grade a investment grade (tutte le società del quadrante Q III), sei società all interno della categoria investment grade hanno migliorato il rating (parte bassa del quadrante Q I), mentre undici società, pur in miglioramento, sono rimaste nella categoria speculative grade (parte bassa del quadrante Q IV) Rating AAA AA A+ A A BBB BB B+ B B CCC CC C D TOT AAA AA A A A BBB BB B B B CCC CC C D TOT Il campione è stato ulteriormente segmentato per le sole operazioni di LBO (tabella 7). Rispetto al campione complessivo, si può notare un peggioramento assai marcato, a dimostrazione delle difficoltà incontrate proprio dalle operazioni a leva. Lo dimostra Figura 8 Matrice a doppia entrata del rating ICR 90 e&m

15 Il modello PERR il fatto che ben sette società su diciannove da un anno all altro sono passate da un rating positivo a uno negativo: a fine 2008 oltre i due terzi del campione sono valutati a rischio, con una polarizzazione sui risultati inferiori a CCC che arriva al 62,3%. Tabella 7 Risultati del rating ICR per i LBO nel cluster Dati di bilancio 07 Dati di bilancio 08 EBIT/Oneri Rating N. società % N. società % finanziari partecipate partecipate > 8,50 AAA 3 5,2% 2 3,4% 6,50 8,50 AA 1 1,7% 2 3,4% 5,50 6,50 A+ 2 3,4% 1 1,7% 4,25 5,50 A 3 5,2% 1 1,7% 3,00 4,25 A- 5 8,7% 2 3,4% 2,50 3,00 BBB 5 8,7% 4 6,9% 2,00 2,50 BB 6 10,4% 4 6,9% 1,75 2,00 B+ 2 3,4% 3 5,2% 1,50 1,75 B 2 3,4% 2 3,4% 1,25-1,50 B- 2 3,4% 1 1,7% 0,80 1,25 CCC 4 6,9% 4 6,9% 0,65 0,80 CC 2 3,4% 3 5,2% 0,20 0,65 C 8 13,8% 5 8,7% < 0,20 D 13 22,4% 24 41,5% nd Nd 0 0,0% 0 0,0% Totale ,0% ,0% Investment grade (da AAA a BBB) 19 32,9% 12 20,5% Speculative grade (<=BB)* 39 67,1% 46 79,5% * di cui da CCC a D 27 46,5% 36 62,3% In sintesi, i risultati dell applicazione del rating sintetico ICR mostrano chiaramente come la capacità di fronteggiare i debiti finanziari nel campione oggetto di analisi sia generalmente scarsa e ancora più penalizzante per gli LBO. π I RISULTATI DELL APPLICAZIONE MEDIANTE LO ZETA SCORE AL CLUSTER Sulla base dei bilanci disponibili al 2007 e 2008, al medesimo campione è stato applicato lo Zeta score. I risultati dello Zeta score confermano la precarietà della situazione generale già emersa con l analisi dell ICR. Nel 2008 circa la metà del campione complessivo (42,2%) è rappresentato da società che risultano critiche (Zeta" score < 1,1) e quindi difficilmente collocabili sul mercato; non particolarmente significativa è la differenza riferita al campione dei soli LBO (tabella 8). Il 2008 si conferma come un momento di passaggio nella direzione intrapresa dagli e&m

16 V. Conca, V. Riccardi indicatori di performance, poiché il numero delle società a rating incerto diminuisce in ambedue i campioni. Ciononostante, il notevole peso delle società ancora a rating incerto lascia spazio a valutazioni non ancora definitive e il trend in diminuzione induce a ritenere che l analisi al 2009 darà segnali di maggiore chiarezza per spostamenti positivi o negativi. Campione complessivo Dati di bilancio 07 % Dati di bilancio 08 % Società a rischio di default (Z" < 1,1) 51 39,8% 54 42,2% Tabella 8 I risultati dello Zeta score del campione complessivo e degli LBO nel cluster Società a rating incerto 45 35,2% 36 28,1% Società sane (Z" > 2,6) 32 25,0% 38 29,7% Totale campione ,0% ,0% Campione LBO Dati di bilancio 07 % Dati di bilancio 08 % Società a rischio di default (Z" < 1,1) 28 48,3% 26 44,8% Società a rating incerto 22 37,9% 19 32,8% Società sane (Z" > 2,6) 8 13,8% 13 22,4% Totale campione ,0% ,0% Il confronto tra ICR e Zeta score evidenzia quanto il primo segnali un numero maggiore di situazioni problematiche rispetto al secondo, discrepanza che risulta ancora più evidente per gli LBO. π LA CONVERGENZA TRA ICR E ZETA SCORE NEL CLUSTER È evidente che i risultati emersi dall applicazione dei due parametri indicano un differente numero di società problematiche. Pertanto, a ulteriore conferma, si sono individuate le società rischiose sia secondo l ICR (speculative grade) sia secondo lo Zeta score (società a rischio di default). Tenuto conto che i due parametri si differenziano nelle modalità di calcolo ma lavorano nella medesima direzione, si ritiene che la loro convergenza dia un indicazione di rischio ancora più precisa. Incrociando i risultati per ambedue le applicazioni nel solo cluster , le società a rischio nel 2008 risultano 46 (oltre un terzo del campione), aumentate rispetto alle 42 del ICR Speculative grade 42 società nel società nel 2008 Z" Score Distress Zone Figura 9 La convergenza dei parametri ICR e Zeta score nel cluster e&m

17 Il modello PERR 16. Il tema dei meccanismi contrattuali e dei covenant è stato oggetto di ampia discussione durante il convegno Il mercato del Private Equity e degli LBO. Gli effetti del credit crunch sulle leveraged acquisitions. Per quanto concerne il potenziale rischio di default, sarebbe interessante ottenere informazioni sul numero di società in portafoglio dal 2006 che non hanno rispettato i covenant e sulla natura degli stessi. 17. Ovviamente, non si tratta di perdite ma di ammontari nominali ristrutturati o rinegoziati. 18. Piazza Affari ristruttura i debiti, Il Sole 24 Ore, 7 maggio π L ANALISI DEL CLUSTER MEDIANTE I DEFAULT CONCLAMATI Per il cluster delle operazioni chiuse nel periodo si è assunta l ipotesi che la società non abbia potuto ancora realizzare il suo piano (e quindi il conseguente ripagamento del debito). Per questo motivo l applicazione dell ICR o dello Zeta score porterebbe a risultati privi di significato. Di conseguenza, per questo cluster si è deciso di analizzare i soli casi patologici, ovvero quelli rappresentati da un default conclamato. Per default conclamato si intendono tutti i casi di rinegoziazione e di ristrutturazione del debito da parte della società venture backed. Appare evidente come tale scelta tenda a sottostimare il fenomeno, in quanto non tiene conto del rischio di potenziale default del debito, evidente allorché si manifesti un inadempimento contrattuale (rottura di un covenant) prima dell avvio della rinegoziazione/ristrutturazione del debito. 16 Alla data del 30 settembre 2009 si stima un ammontare di debito ristrutturato 17 di 6352 milioni di euro (pari al 25,7% del debito erogato tra il 2006 e il 2008) spalmato su diciannove operazioni. In particolare, i dati pubblici sulle operazioni di riassetto 18 segnalano che la rinegoziazione/ristrutturazione del debito ha riguardato: Ω circa un terzo delle operazioni sopra il miliardo (totale di 2,1 md pari al 17,5% in valore); Ω quasi la totalità delle operazioni con debito compreso tra i 500 ml e 1,0 md (per un totale di 2,1 md di euro pari al 52,5% in valore); Ω dieci operazioni con debito inferiore a 500 ml (per un controvalore di 2,2 md pari al 24,4% in valore). Tabella 9 Stock di debito ristrutturato al 30/09/2009 sull erogato negli LBO Fonte: Elaborazioni su dati pubblici e dati interni di Interbanca e UniCredit Range Numero Valore Numero Valore di debito operazioni debito erogato rinegoziazioni/ rinegoziazioni/ (stime) ristrutturazioni ristrutturazioni > 1 miliardo 7 12 miliardi 2 2,1 miliardi 0,5-1 miliardi 9 4 miliardi 7 2,1 miliardi Totale big deals miliardi 9 4,2 miliardi < 0,5 miliardi 9 miliardi 10 2,2 miliardi Totale 25 miliardi 19 6,4 miliardi La figura 10 riprende i dati riportati in precedenza (figura 5) dando conto della formazione temporale del debito ristrutturato. Il campione comprende 105 operazioni di debito sindacato dalle principali banche italiane. Si può osservare come dal 2006 al 2008 in media il 26% del debito in essere sia andato a default nel 2009, con la punta massima del debito assunto nel 2007, rinegoziato/ristrutturato per il 31% del debito complessivo. Considerando la difficoltà di mercato incontrata da molte società venture backed nel recente passato, si può presumere che la percentuale di default di acquisizioni chiuse di recente sia destinata a crescere e che il numero di operazioni di rinegoziazione/ristrutturazione sarà consistente anche nel e&m

18 V. Conca, V. Riccardi Debito totale ( ml) ,6% 31,1% ,5% Debito rinegoziato/ristrutturato Figura 10 Quota di debito ristrutturato per anno di erogazione negli LBO π CONCLUSIONI La valutazione del rischio nel portafoglio delle società venture backed è un tema di grande interesse ma di non facile determinazione, principalmente per la scarsa trasparenza del settore. La metodologia qui utilizzata cerca di replicare un approccio valutativo tipico di un General Partner, con alcuni evidenti limiti. I modelli di valutazione interni sono finalizzati alla definizione del presumibile valore di realizzo di ogni partecipata (e, conseguentemente, alla determinazione di un ritorno economico atteso); tali valutazioni si basano, in estrema sintesi, sul tempo di permanenza (holding period), sulle performance dell azienda, sui moltiplicatori applicabili. Il General Partner ha una conoscenza approfondita di ogni singolo asset, del mercato in cui opera, dei prezzi ottenibili e, soprattutto, conosce le prospettive future che possono in molti casi modificare anche radicalmente l assetto economico-finanziario dell impresa e la sua appetibilità. Il modello PERR è in grado di recepire soltanto alcune delle variabili utilizzate dai modelli interni, e in modo parziale (holding period e performance economico-finanziaria), ma soprattutto ha il limite tipico degli strumenti di rating progettati per valutare la capacità di credito e rispondere a esigenze di breve connesse al governo delle relazioni finanziatore-impresa piuttosto che riflettere la capacità di generare valore nel tempo. Pur con i limiti espressi, si ritiene che il modello PERR consenta di dare una prima indicazione della rischiosità del portafoglio nei confronti dei primi due cluster (le operazioni ante 2000 e quelle chiuse dal 2000 al 2005), che insieme rappresentano 321 società (sulle 720 società in portafoglio al 31/12/2008). Il campione analizzato, pari a 185 società, mostra un elevato grado di rischio con 103 società problematiche, pari al 56% del campione (tabella 10). 19 Cluster N. società % di rischio N. società campione nel modello PERR rischiose Ante % ,9%* 46 Società in liquidazione % 9 Totale Comprese le nove società in liquidazione. Tabella 10 Quadro di sintesi dei risultati per cluster (settembre 2009) * La percentuale si riferisce al rischio congiunto ICR e Zeta score 94 e&m

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