Stefano Micelli, Marco Simoni, Irene Tinagli. Giovani, al lavoro! Le proposte di Italia Futura per l occupazione giovanile.

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1 Stefano Micelli, Marco Simoni, Irene Tinagli Giovani, al lavoro! Le proposte di Italia Futura per l occupazione giovanile

2 Giovani, al lavoro! Le proposte di Italia Futura per l occupazione giovanile Sintesi per la stampa """#$%&'$&()%)*&#$%! +!

3 Giovani e lavoro: la vera emergenza nazionale L Italia deve ricominciare ad investire sul proprio futuro. Da troppo tempo lo sguardo della politica ha smesso di puntare avanti, schiacciando il nostro paese sul presente e sul passato, togliendogli slancio e prospettiva. E urgente invertire questa tendenza, occuparsi del presente pensando al tempo prossimo e a dove vogliamo che l Italia sia tra cinque, dieci anni. Abbiamo scelto di concentrarci sulla disoccupazione giovanile e sulle politiche per contrastarla, perché il tema dei giovani non è un dettaglio ma il cuore di un grande paese. Pensiamo che l allarmante, a volte tragica, situazione economica vissuta dalla maggioranza dei giovani del nostro paese sia la vera urgenza nazionale e il frutto più chiaro del fallimento della politica degli ultimi quindici anni. Concentrarsi sul tema dei giovani significa dunque occuparsi di molte cose: della parte più fresca e creativa del paese, del futuro di tutti noi e di una politica che torni a mettere al centro della discussione il bene comune. La disoccupazione giovanile in Italia è molto più alta della media dei paesi dell Europa occidentale, nel nostro paese è più facile essere disoccupati se si è giovani rispetto a qualsiasi altra classe di età. Non c è da stupirsi dunque se siamo il paese in cui i giovani adulti fanno più fatica ad uscire dalla casa dei propri genitori o se la natalità è più bassa di quanto si registri in Germania, Francia o Inghilterra. Negli ultimi dieci anni il reddito pro capite in Italia è calato, mentre aumentava, sia pur di poco, nei paesi a noi vicini. Le conseguenze della stagnazione economica italiana sono avvertite soprattutto dai giovani. E questo significa che a meno di un intervento tempestivo la prospettiva è ancora più difficile della situazione di oggi, perché la stagnazione economica sta indebolendo socialmente ed economicamente la spina dorsale dell Italia del futuro prossimo. Noi siamo convinti che l Italia di oggi sia una combinazione di declino e potenzialità. Di opportunità negate, di rendite prepotenti che convivono accanto ad una straordinaria capacità di lavoro, di dedizione, di impegno. Dipende dunque dalla politica e dai decisori pubblici la scelta di quale strada prevarrà: se quella del declino inevitabile, di una nazione che tra le tante spaccature dovrà annoverare anche quella del ritorno dell emigrazione di massa e della disoccupazione crescente, con punte estreme nel meridione, oppure la strada di una ripresa economica fondata sul lavoro, che offre opportunità soprattutto ai giovani di mettere le loro energie nelle istituzioni, nelle aziende, nei luoghi di lavoro in cui si trovano, sicuri che il loro impegno sarà riconosciuto fino in fondo. """#$%&'$&()%)*&#$%!,!

4 Il lavoro di queste pagine comprende tre parti. La prima è quella dell analisi, per capire nel dettaglio quanto è rilevante il problema della disoccupazione giovanile e cosa si fa nel resto del mondo. Irene Tinagli traccia un quadro molto difficile, sottolineando quanto nel nostro paese la crisi abbia colpito soprattutto i giovani, mentre la politica ha deciso di sottovalutare il problema. Allo stesso tempo, lo sguardo sui nostri vicini europei ci mostra anche un amplissima varietà di interventi possibili per invertire la rotta. La seconda parte è quella delle proposte. Marco Simoni ne individua tre, che riguardano il fisco e l evasione fiscale; l imprenditoria giovanile; la formazione del capitale umano. La terza parte suggerisce un focus importante che proponiamo alla discussione: quello sull artigianato. Stefano Micelli spiega come quest ultimo sia uno degli anelli di congiunzione più forte tra l economia globalizzata e la nostra cultura, L appendice a questi capitoli offre un ampio compendio di dati comparati, utili alla lettura, ma soprattutto a fotografare la situazione di estrema difficoltà della nostra economia e della nostra società. """#$%&'$&()%)*&#$%! -!

5 Tre Proposte per ripartire dai giovani di Marco Simoni Il tema della disoccupazione giovanile in Italia ha due facce. Da un lato è legato alla debolissima dinamica della crescita del nostro paese che, negli ultimi dieci anni, ha fatto registrare il più basso tasso di crescita al mondo. La mancanza di politiche orientate alla crescita economica e il pesante fardello del debito pubblico pesano soprattutto sulle giovani generazioni. A queste ragioni, strettamente economiche, si sommano ragioni relative alle scelte distributive operate dai governi degli ultimi venti anni in termini di spesa, di regolamentazione del mercato del lavoro, di (mancate) liberalizzazioni. Il tema della disoccupazione giovanile non è una questione settoriale ma è la questione economica e sociale principale per la nostra nazione, che riguarda la ricerca di un modello di sviluppo per il paese. E ormai chiaro che, esaurito il modello di sviluppo del dopoguerra, negli scorsi venti anni la classe politica non è stata in grado di individuare una nuova traccia sulla quale l economia potesse ripartire, traccia verso la quale, al contrario, è urgente orientarsi. Le proposte che presentiamo qui non hanno la dimensione di riforme di sistema. Esse non possono sostituire o compensare altri capitoli fondamentali che, pur riguardando solo indirettamente i giovani, proprio dei giovani andrebbero a maggior beneficio: è auspicabile un alleggerimento della tassazione sul lavoro, in parte compensata da una più attenta e non distorsiva tassazione sulle attività finanziarie e sulle rendite; è urgente una ripresa vigorosa delle liberalizzazioni dei mercati e delle professioni; è necessario un intervento unificante sulla disciplina del mercato del lavoro che, favorendo il lavoro stabile, renda più serena la vita delle persone e contribuisca ad una ripresa della produttività; E fondamentale tornare a investire sulla formazione e sulla ricerca, portando a termine riforme che da venti anni vengono scritte per poi arenarsi sempre all ultima boa. Le nostre proposte, direttamente o indirettamente, affrontano tutti i temi appena richiamati: se attuate, consentirebbero un salto di qualità nell arco di pochi anni, con riferimento a tre questioni: quella degli squilibri distributivi, quella del patto fiscale tra cittadini, quella della crescita economica """#$%&'$&()%)*&#$%!.!

6 Proposta 1 Una regola fiscale: legare il recupero dell evasione alla riduzione delle tasse. A partire dai giovani In Italia la pressione fiscale sul lavoro dipendente è eccessiva, il cuneo fiscale ossia il costo del lavoro dovuto alla pressione fiscale è superiore alla media europea ed è una delle cause delle deboli dinamiche occupazionali. In assenza di meccanismi di responsabilità e trasparenza nell uso delle risorse aggiuntive recuperate, la lotta all evasione è vissuta dai contribuenti come un ingiusta caccia al capro espiatorio ma soprattutto finalizzata ad alimentare una spesa pubblica troppo spesso non produttiva e non gestita secondo criteri di efficienza ed efficacia. Per interrompere questo circolo vizioso è necessario ristabilire un patto fiscale trasparente che, da un lato leghi lo Stato ai cittadini, dall altro sia fattore di coesione. Per ricostruire il patto fiscale pensiamo sia necessario che lo Stato inizi a chiedere meno risorse ai suoi cittadini e allo stesso tempo pretenda che quanto chiesto venga corrisposto. Soprattutto è importante che i cittadini abbiano la percezione di come questo legame li vincoli a un rapporto di reciproco rispetto. Per questa ragione, proponiamo che il recupero dell evasione venga utilizzato per ridurre l imposizione. Proponiamo cioè una nuova regola fiscale, che prevede: la Ragioneria Generale dello Stato stima ex-post, ovvero alla fine di ogni esercizio finanziario annuale, l ammontare dell evasione fiscale recuperata al netto dei costi sostenuti per il recupero stesso. tali risorse vengono interamente impegnate per ridurre il cuneo fiscale dei lavoratori dipendenti in età compresa tra i 15 e i 34 anni fino a che il cuneo fiscale non raggiunge un valore del 10% inferiore alla media della vecchia UE a 15. una volta raggiunto questo risultato, successive riduzioni del cuneo legate al recupero dell evasione riguarderanno le altre classi di età. """#$%&'$&()%)*&#$%! /!

7 Alcune stime, per quanto approssimate, possono dare un idea della dimensione di questa proposta. I calcoli più prudenti, in eccesso, su dati della contabilità nazionale, suggeriscono che il gettito fiscale associabile al cuneo fiscale sui lavoratori dipendenti tra i 15 e i 34 anni è pari a circa 80 miliardi di euro l anno (dati riferiti al 2008). La manovra correttiva varata nella primavera del 2010, ha previsto per l esercizio successivo maggiori entrate, a seguito del recupero dell evasione fiscale, pari a 8 miliardi di euro. Ipotizzando che tale cifra venisse raggiunta, l applicazione della regola fiscale che noi suggeriamo consentirebbe di ridurre il cuneo fiscale per i dipendenti tra i 15 e i 34 anni del 10%. Confermando un recupero dell evasione di eguale portata per due anni successivi sarebbe possibile ridurre il cuneo circa del 20% in due anni per i giovani, consentendo dunque di intervenire nella riduzione anche per altre fasce d età. """#$%&'$&()%)*&#$%! 0!

8 Proposta 2 Tagliare tre nodi: difficoltà di credito, eccessiva tassazione, peso della burocrazia Secondo un recente rapporto curato dalla Banca Mondiale, l Italia è all ottantesimo posto per quanto riguarda la facilità di fare impresa. Questo dato sintetico spiega forse meglio di tante analisi economiche le ragioni della lunga stagnazione italiana e del decennio di crescita quasi zero che è alle nostre spalle. Gli ostacoli individuati dalla Banca Mondiale sono noti: la difficoltà di ottenere credito in assenza di corpose garanzie reali; il peso della tassazione; la pesantezza degli adempimenti burocratici. Per invertire questa china noi suggeriamo dunque di intervenire su questi tre nodi. Accesso al credito: La forma tipica dei sostegni alle nuove imprese in Italia si è basata in passato sui cosiddetti contributi a fondo perduto e su finanziamenti agevolati. Entrambe queste forme di supplenza alla difficoltà dell accesso al credito hanno il limite di non supportare l idea di responsabilità individuale e di rischio che devono, al contrario, essere legati a qualunque idea imprenditoriale di successo. In Italia, rimane molto difficile accedere al credito solo sulla base di una buona idea e di un buon business plan, in assenza di garanzie reali. Anche i diversi fondi di garanzia esistenti per le piccole e medie imprese, compreso Confidi, garantiscono normalmente solo una parte dell investimento previsto. Noi crediamo, al contrario, che vi siano tutte le ragioni per cui lo Stato debba credere nelle giovani generazioni e nelle loro idee, senza paternalismi, ma consentendo che alcuni limiti imposti dalle condizioni di mercato in Italia vengano superati. Questo si concretizza nella proposta di alzare il massimale affinché le garanzie concesse dal Fondo Centrale di Garanzia con il supporto della Cassa depositi e prestiti raggiunga il 100% per le nuove imprese. Le condizioni per questo intervento dovrebbero essere due: il progetto imprenditoriale deve essere già ritenuto meritevole di garanzia parziale e, dunque, ad un punto in cui solo le condizioni finanziarie e personali dell aspirante giovane imprenditore una mancanza di disponibilità di capitali potrebbero ostacolarne lo sviluppo. l imprenditore, o la maggioranza dei titolari, devono avere meno di 34 anni e non devono essere già titolari di un impresa. """#$%&'$&()%)*&#$%! 1!

9 Semplificazione fiscale: proponiamo una completa esenzione dagli oneri fiscali ad esclusione degli oneri sociali per i dipendenti per le nuove imprese in cui la maggioranza dei titolari abbia meno di 34 anni e non risulti già titolare di altre imprese. L esenzione dovrebbe durare per tre anni, con una possibile estensione a cinque, per le aziende che decidessero di quotarsi nel mercato azionario delle piccole imprese. Questa misura non comporta trasferimenti economici a fondo perduto, o altre spese dirette da parte dello Stato e, dunque, non pesa direttamente sui conti pubblici e con la clausola legata alla quotazione sul mercato azionario mira a spingere le imprese fuori dal nanismo. Una misura di sostegno alle imprese così concepita legata all età dell imprenditore avrebbe necessità di approvazione preventiva da parte della Commissione Europea. Gli esperti di diritto comunitario consultati da Italia Futura suggeriscono come possibile e probabile una sua approvazione, ove questa misura fosse motivata dal grave stato di sofferenza economica e sociale in cui versano le generazioni giovani, come documentato altrove in questa pubblicazione. Semplificazione normativa: quella necessaria a facilitare la nascita di nuove imprese comprende decine di interventi nella disciplina dei diversi settori di attività. E tuttavia possibile ottenere risultati immediati istituendo in maniera selettiva e non casuale centri per l imprenditoria giovanile, concentrandosi nelle aree del paese nelle quali aprire una nuova azienda appare essere un impresa proibitiva. Ribaltando le logiche assistenziali che tradizionalmente in Italia hanno affievolito lo spirito imprenditoriale ingabbiandolo nella logica dei contributi pubblici, i centri per l imprenditoria giovanile dovrebbero fornire consulenze di tipo manageriale e legale che aiutino la fase di startup di nuove imprese. Una serie di servizi di incubazione offerti ad un costo ridotto ma non completamente gratuiti dovranno essere finalizzati a coprire i gap di know-how manageriale e legale che si riscontrano soprattutto nelle aree depresse del paese. Al momento, i servizi pubblici alla nascita di imprese prerogativa degli enti locali sono una delle forme in cui si manifesta l enorme diversità territoriale del nostro paese: ricevere aiuto per aprire una nuova impresa è un esperienza molto diversa se fatta nel Nord o nel Mezzogiorno, dove i costi di start-up anche solo per le consulenze più semplici, sono proibitivi. Per questa ragione è necessario un intervento dal centro che assicuri un servizio di semplificazione soprattutto nelle zone dove il bisogno di un tessuto imprenditoriale più robusto è maggiore e la debolezza degli enti locali non assicura il supporto necessario. """#$%&'$&()%)*&#$%! 2!

10 Proposta 3 Uno scambio tra generazioni: finanziare le borse di studio innalzando di un anno l età pensionabile Uno degli aspetti più problematici della disoccupazione giovanile in Italia riguarda la cosiddetta disoccupazione intellettuale. Una fetta ampia, infatti, di giovani laureati rimane a lungo disoccupata: nel 2009 la percentuale di laureati era persino leggermente superiore tra i disoccupati che tra gli occupati. Questo dato nasconde un paradosso della stagnazione economica ed occupazionale italiana, ossia la sproporzione tra i percorsi di formazione scelti dagli studenti e le necessità del sistema produttivo. Nel 2009 questa sproporzione ha comportato un eccesso totale di offerta di circa 44mila persone con titoli di studio non richiesti dal sistema produttivo, mentre allo stesso tempo l economia italiana non riusciva a trovare 35mila persone laureate in materie ad alta domanda. Questo dato va sommato ad altre statistiche allarmanti. In Italia, i lavoratori in possesso di un titolo di studio universitario continuano a essere molto inferiori rispetto agli altri grandi paesi europei: circa la metà rispetto all Inghilterra e quasi la metà della Germania. A peggiorare la prospettiva, in Italia oltre il 50% degli iscritti all università non riesce a raggiungere il titolo di studio e, secondo i dati Ocse, l Italia è il paese dalla più bassa percentuale di studenti universitari che riceve borse di studio. La povertà di aiuti economici agli studenti universitari ha due effetti deteriori: da un lato riduce fortemente la potenzialità degli studi superiori come veicolo di mobilità sociale, dall altro priva il paese di migliaia di giovani laureati che abbandonano gli studi, o non vi accedono, per ragioni legate al reddito di partenza. E dunque necessaria una politica che affronti entrambi i nodi: quello del mismatch tra domanda e offerta di capitale umano e quello sulla scarsità di supporto alla formazione superiore. Il cuore di questa proposta è quello dunque di aumentare drasticamente il numero di borse di studio: gli studenti più meritevoli dovrebbero poter accedere all università senza dover pagare le tasse di iscrizione e ricevendo un modesto contributo per vitto e alloggio. Il sostegno finanziario allo studente dovrà essere rigidamente vincolato al superamento in tempo e a pieni voti degli esami universitari. Con cadenza biennale il Ministero del Lavoro deve individuare le aree disciplinari che corrispondono alle necessità produttive del paese e in maniera corrispondente dovranno essere ripartiti i fondi a disposizione delle borse di studio, ed assegnati alle venti migliori università italiane, secondo la più recente """#$%&'$&()%)*&#$%! 3!

11 classifica stilata dal Ministero dell Università. Le borse di studio saranno dunque assegnate agli studenti direttamente dalle università. La dimensione del finanziamento dovrà riguardare circa 100mila studenti universitari l anno a regime, ossia distribuiti sui diversi anni di corso. Questo numero comporta un costo notevole, da noi stimato in circa 1,2 miliardi di euro l anno. Noi proponiamo che questa misura venga finanziata attraverso l aumento permanente di un anno dell età di pensionamento per le pensioni di vecchiaia e anzianità, sia per gli uomini che per le donne. Secondo i calcoli della Ragioneria Generale dello Stato riferite alla manovra finanziaria della primavera 2010, l aumento di un anno dell età di pensionamento consente un risparmio pari a circa la cifra necessaria a finanziarie lo shock di formazione da noi proposto. Pensiamo sia significativo legare direttamente un sacrificio chiesto alle coorti più anziane del nostro paese ad una misura che non solo favorisca i giovani ma, aumentando la qualità del capitale umano e dunque in prospettiva la produttività e la competitività del paese, contribuisca anche alla ripresa della nostra economia e dunque alla sostenibilità del sistema pensionistico. Mentre è urgente un riequilibrio delle risorse pubbliche spese a favore delle generazioni più giovani, e la nostra proposta va in questa direzione, è altrettanto importante unire le generazioni da un patto di responsabilità che si rafforza legando tra loro voci di spesa e voci di entrata. Questa proposta ha anche la caratteristica utile sia pur indiretta di favorire la competizione tra università, dato che le migliori venti attrarranno gli studenti più bravi e una quota di finanziamenti pubblici non indifferente. Se gestite in maniera oculata, queste risorse possono beneficiare gli istituti riceventi in maniera più che proporzionale al loro ammontare, con ulteriori effetti positivi sul livello della formazione offerta a tutti gli studenti italiani. """#$%&'$&()%)*&#$%! +4!

12 Il mondo fuori: analisi e confronto internazionale di Irene Tinagli 1. Disoccupazione giovanile: agire ora per cambiare il futuro La crisi economica globale ha colpito in modo particolarmente grave le generazioni più giovani, sia in Europa che negli Stati Uniti. L Italia, che grazie alla cassa integrazione è riuscita ad attutire, in parte, gli effetti sull occupazione adulta, ha tuttavia ceduto in maniera preoccupante sul fronte di quella giovanile. Stando agli ultimi dati disponibili oggi in Italia circa il 27% dei giovani tra i 15 e i 24 anni è disoccupato. Sono giovani che non studiano più, che magari hanno conseguito il diploma o la laurea, che cercano lavoro, ma che non trovano niente. A questi andrebbero poi aggiunti quelli che non cercano nemmeno più. Nonostante la gravità della situazione e delle sue ricadute future, in Italia molti politici tendono a minimizzare il fenomeno. Il Piano di azione per l occupazione dei giovani, Italia 2010, lanciato dal Governo nel Settembre 2009, presenta considerazioni giuste ed interessanti riguardanti il fenomeno e le sue cause, ma purtroppo non indica né quali siano in concreto le misure al vaglio del governo né tantomeno quando saranno implementate. L analisi proposta nel presente documento si pone un duplice obiettivo. Da un lato, quello di capire le dimensioni reali del fenomeno anche in relazione agli altri paesi europei. Dall altro, quello di identificare attraverso un lavoro di confronto internazionale, le dimensioni più critiche sulle quali intervenire per arginare il fenomeno e alcune misure di policy rivelatesi utili in altri paesi. 2. Il fenomeno: dati e confronto internazionale Dall analisi comparata dei dati italiani con quelli di un campione selezionato di paesi emergono alcuni spunti interessanti di riflessione che aiutano ad inquadrare la questione dell occupazione giovanile in Italia. Innanzitutto, il primo elemento che emerge dai dati è come il tasso di disoccupazione giovanile in Italia sia uno dei più elevati tra i paesi Europei. Gli ultimi dati disponibili, relativi a Settembre 2010, indicano un tasso del 26,4% (dato destagionalizzato). Si tratta di un dato inferiore solo ai tre paesi che più di ogni altro hanno sofferto della crisi: Spagna, Grecia e Irlanda (v. Figura 1). """#$%&'$&()%)*&#$%! ++!

13 Figura 1: Disoccupazione tra i giovani 15-24, ultimo mese disponibile (Settembre 2010) In secondo luogo, un analisi più approfondita delle serie storiche e di altre caratteristiche del fenomeno mostra come la disoccupazione giovanile in Italia non sia legata solo alle dinamiche della disoccupazione complessiva, ma abbia sue caratteristiche peculiari e strutturali, che vanno oltre gli effetti della crisi e del sistema occupazionale nel suo complesso. Mentre per paesi come la Spagna o l Irlanda, la disoccupazione giovanile è esplosa con la crisi, ma era ampiamente sotto controllo negli anni precedenti, la situazione italiana nel 2006 era già molto preoccupante rispetto ad altri paesi: precisamente l Italia aveva il secondo tasso più elevato d Europa dopo la Grecia (v. Tabella 1). """#$%&'$&()%)*&#$%! +,!

14 Tab. 1: Dati annuali, la disoccupazione giovanile prima e dopo la crisi Un altro elemento che mette in luce la specificità del fenomeno della disoccupazione giovanile in Italia è il fatto che essa ha un rapporto altissimo rispetto a quella degli adulti. La disoccupazione tra i giovani registra sempre, anche negli altri paesi, tassi più alti di quella rilevata tra gli adulti, ma normalmente si tratta di un rapporto che va da 2:1 (se si confronta con la fascia 25-54) a 3:1 (se si confronta con quella 55-64). Vale a dire che la disoccupazione giovanile è generalmente due o tre volte superiore a quella adulta (a seconda della fascia di età a cui si rapporta). In Italia, invece, la disoccupazione giovanile è di quasi quattro volte superiore a quella degli adulti in fascia di età e, addirittura, più di sette volte superiore a quella degli adulti in età Un dato che non ha confronti con nessun paese Ocse considerato (a parte la Norvegia dove la proporzione tra disoccupazione giovanile e adulta è altissima semplicemente perché quest ultima è quasi inesistente, circa all 1%). """#$%&'$&()%)*&#$%! +-!

15 Infine un altra caratteristica preoccupante dell occupazione/disoccupazione giovanile in Italia è l elevata diseguaglianza territoriale. Vi sono regioni italiane in cui il tasso di disoccupazione giovanile si avvicina al 40%. Secondo un rapporto di Confartigianato pubblicato a Maggio 2010, nel 2009 in sei Regioni il tasso di disoccupazione dei giovani tra 15 e 24 anni era superiore al 30%: in Sicilia al 38,5%, in Basilicata al 38,3%, in Campania al 38,1%, in Puglia al 32,6%, in Calabria al 31,8% e nel Lazio al 30,6%. In Sardegna addirittura risultava del 44,7%. Al contrario vi sono regioni in cui è di dieci o anche quindici punti percentuali inferiori alla media nazionale, come in Toscana (17,8%), in Valle d Aosta (17,5%), in Veneto (14,4%) e in Trentino-Alto Adige (10,1%). 3. Analisi: possibili cause e fattori collegati Il fenomeno della disoccupazione giovanile è chiaramente legato a numerosi fattori. Nell analisi ne abbiamo identificati tre ritenuti particolarmente critici, soprattutto in relazione alla situazione italiana: 1) istruzione e abbandono scolastico; 2) formazione, apprendistato e collegamento con il mondo del lavoro; 3) qualità del lavoro e precarietà. 3.1 Istruzione e abbandono scolastico Nonostante ci sia una naturale preoccupazione per i giovani più istruiti che faticano a trovare lavoro, di fatto la disoccupazione giovanile è assai più pronunciata tra le persone che non terminano gli studi che tra i laureati e, in modo particolare, tra coloro che non riescono a terminare le scuole superiori. Secondo gli ultimi dati resi disponibili dall Ocse, il tasso di disoccupazione tra coloro che non hanno terminato le scuole superiori è, in media, tre volte più alto del tasso di disoccupazione tra coloro che hanno un titolo universitario e quasi il doppio rispetto a coloro che hanno ottenuto un diploma superiore. In Italia, pur essendo tra i paesi in cui il titolo di studio garantisce di meno contro la disoccupazione, questo gap è comunque rilevante: il tasso di disoccupazione tra chi non finisce le superiori è quasi il doppio di quello rilevato tra chi ottiene il diploma. """#$%&'$&()%)*&#$%! +.!

16 Tabella 3: Tasso di disoccupazione (25-64) per titolo di studio Questi differenziali si riscontrano anche nella probabilità di un giovane tra i 20 e i 29 anni di essere neet, ovvero non inserito né in un percorso di studio né in alcuna forma di attività lavorativa. Le percentuali di giovani in condizione di neet sono in media circa il doppio tra quelli che non hanno terminato le superiori rispetto a chi, invece, ha ottenuto il diploma. Un gap che tende ad attenuarsi con l età ma che è particolarmente accentuato tra i giovani nella fascia di età tra i 20 e i 24 anni. """#$%&'$&()%)*&#$%! +/!

17 Tabella 4: Giovani non occupati né in programmi di formazione (%) per età e titolo di studio E evidente quindi che l istruzione e l abbandono scolastico durante le scuole superiori ( dispersione scolastica ) sono una dimensione chiave della lotta alla disoccupazione giovanile. Su questo fronte l Italia si trova in una situazione molto difficile perché, nonostante alcuni miglioramenti registrati negli ultimi anni, ha ancora uno dei tassi di abbandono scolastico più elevati d Europa, pari a circa il 20%. Un dato che, stando alle fonti Ocse, è dieci punti sopra l obiettivo di Lisbona, e molto superiore a quello di altri paesi europei come Francia, Germania, Danimarca, Belgio che sono tra l 11% e il 12%. In sintesi, oggi in Italia un ragazzo su cinque non consegue né diploma né qualifica professionale e studenti sembrano letteralmente scomparire dopo essersi iscritti al primo anno della scuola secondaria superiore. """#$%&'$&()%)*&#$%! +0!

18 3.2 Formazione, apprendistato e collegamento con il mondo del lavoro Le analisi condotte tra i paesi europei mostrano il ruolo fondamentale della formazione professionale e dell apprendistato come modi per facilitare l ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, con particolare riferimento a coloro che non perseguono percorsi di studio universitari. Non è un caso se i paesi con i più bassi tassi di disoccupazione giovanile sono proprio quelli che hanno un sistema di formazione professionale più sviluppato e funzionante come Germania, Austria, e Danimarca. La chiave di successo della formazione in questi paesi sembra essere, in particolare, il collegamento molto forte tra formazione e percorsi di apprendistato. In Italia, invece, la formazione tecnica e professionale è una cosa separata e ben diversa dai percorsi di apprendistato, ed entrambi gli strumenti non risultano ancora sufficientemente sviluppati e funzionanti. La formazione tecnica e professionale in Italia non ha quell immagine positiva e professionalizzante che ha in altri paesi e forse questa percezione della scuola professionale come una scuola di ripiego la rende una scelta poco perseguita per i nostri giovani. Mentre in Germania oltre il 50% dei giovani sceglie un percorso di studi tecnico-professionale, una percentuale che sale al 60% nei Paesi Bassi e addirittura all 80% in Austria (dati Eurostat), in Italia queste scuole hanno un peso minoritario nelle scelte dei giovani. Sul fronte dell apprendistato la situazione è ancora più complessa e preoccupante. Nel complesso, le varie forme di apprendistato coprivano nel 2008 il 17% dell occupazione tra i 15 e i 29 anni. Un dato in diminuzione nell ultimo anno: mentre nel 2008 gli apprendisti sono stati 646 mila nel 2009 il numero è sceso a 567 mila, un calo del 12%. Ma al di là della diminuzione quantitativa dell apprendistato la notizia più preoccupante è che solo il 20% dei giovani in apprendistato riceve qualsiasi tipo di formazione. 3.3 Precarietà e qualità del lavoro Nel corso degli anni Novanta, in risposta ad un periodo di espansione economica che non generava posti di lavoro, molti paesi europei hanno avviato politiche volte a flessibilizzare il mercato del lavoro. In alcuni casi, come in Italia, queste iniziative più che modificare la regolamentazione delle forme di lavoro tradizionali (per intenderci: i contratti a tempo indeterminato), hanno introdotto nuove forme contrattuali a tempo determinato meno costose e più flessibili. """#$%&'$&()%)*&#$%! +1!

19 Queste riforme hanno portato benefici per un certo periodo, dando impulso ad un calo sostanziale della disoccupazione in molti paesi, tra i quali spicca in modo particolare la Spagna, dove il tasso di disoccupazione è passato dal 22% all 8% nel Tuttavia gli iniziali entusiasmi non avevano tenuto conto di alcuni aspetti fondamentali. Innanzitutto, non modificando in modo sostanziale la flessibilità di chi era già stabilmente inserito nel mercato del lavoro, le riforme non hanno introdotto un vero dinamismo e ricambio nelle persone, competenze e modi di lavorare; né hanno indotto le imprese ad investire di più in formazione e ammodernamento della loro forza lavoro. In secondo luogo, e proprio a causa di quanto appena descritto, tali riforme non hanno contribuito a migliorare né la qualità del lavoro generato né la produttività del sistema nel lungo periodo (che ha visto uno stallo negli ultimi anni in paesi come la Spagna e addirittura un calo in Italia). Un elemento ancora più preoccupante è legato al fatto che, visto che la flessibilizzazione non ha toccato le posizioni lavorative già stabili, le nuove forme contrattuali sono state utilizzate per lo più per le nuove entrate nel mercato del lavoro, ovvero i giovani. Questo significa che intere nuove generazioni di lavoratori hanno avuto maggiore flessibilità nell entrare nel mercato del lavoro, ma non altrettante nel costruirvi una carriera. In Italia sono precari il 10,7% dei lavoratori tra i 25 e i 54 anni (il 14,6% delle donne),una percentuale che sale al 44,4% tra i giovani con lavoro dipendente (15-24) ha un contratto a tempo determinato, con un incremento di 2 punti rispetto ai livelli pre-crisi. Altri paesi con elevati tassi di lavoro temporaneo tra i giovani sono Francia e Spagna (51,2% e 55,9%), che sono anche, probabilmente non a caso, paesi ad elevato tasso di disoccupazione giovanile. Al contrario l Austria si ferma al 35,6%, la Danimarca al 23.6 % e l Inghilterra all 11, 9% (la media Ocse è del 24,5%). """#$%&'$&()%)*&#$%! +2!

20 Tabella 5: Giovani occupati con contratti temporanei In realtà vi sono anche paesi, come la Germania e l Olanda, in cui non si rileva una correlazione positiva tra diffusione dei contratti temporanei e alta disoccupazione, e, dove, al contrario, si hanno elevati tassi di lavoro temporaneo tra i giovani e bassi livelli di disoccupazione giovanile. In sostanza, gli unici casi in cui la diffusione di lavoro temporaneo tra i giovani è associata ad una maggiore probabilità di occupazione sono quelli in cui il lavoro temporaneo è legato all esistenza di istituzioni terze ben funzionanti che aumentano la formazione e l occupabilità dei giovani e a meccanismi di ammortizzatori sociali che supportano tali percorsi. 4. Quali politiche? Gli strumenti disponibili al legislatore per promuovere e supportare l occupazione giovanile intervenendo sulle tre dimensioni chiave descritte in precedenza (istruzione, formazione, lavoro), sono di vario genere, e spaziano dalle politiche per l istruzione agli incentivi fiscali per l assunzione, dagli ammortizzatori sociali all imprenditorialità. In questa sezione viene condotta una review dei principali strumenti di policy che nel corso degli anni sono stati adottati in vari """#$%&'$&()%)*&#$%! +3!

21 paesi o indicati dagli esperti come misure utili, portando alcuni esempi specifici e, dove possibile, alcune riflessioni sull efficacia delle politiche prese in esame. 4.1 Politiche per l istruzione Le politiche legate all istruzione sono un arma fondamentale per la lotta alla disoccupazione, in particolare quelle che mirano ad affrontare due questioni chiave: da un lato misure volte a combattere l abbandono scolastico prima che siano terminati i percorsi di scuola superiore; dall altro misure volte a flessibilizzare i percorsi educativi e formativi sulle capacità e attitudini del giovane. Un esempio in tal senso è rappresentato dal sistema educativo danese, indicato da molte analisi ed enti internazionali come il migliore in Europa. Un sistema incentrato su una forte personalizzazione dei percorsi formativi dei ragazzi e rinforzato da borse di studio e supporti finanziari che li incoraggino a proseguire gli studi e a raggiungere presto una propria autonomia. Investire in politiche per l istruzione come quelle danesi rappresenta chiaramente uno strumento ampio e di lungo respiro, e con un impatto importante di spesa (la Danimarca spende circa il 6,7% del suo PIL per l'istruzione). Tuttavia le politiche per l istruzione possono essere declinate anche in modi più specifici e tradursi in alcune misure immediatamente implementabili e a costo zero. Per esempio, una misura che sarebbe particolarmente efficace, soprattutto in Italia, è quella di far coincidere il termine dell obbligo scolastico con il conseguimento di un titolo di studio. In questo modo si potrebbe combattere in modo assai più efficace l abbandono scolastico. 4.2 Formazione Professionale Gli strumenti legati alla formazione professionale e ai percorsi di apprendistato sono considerati tra gli strumenti più efficaci per aiutare l inserimento nel mondo del lavoro e combattere la disoccupazione giovanile. Tra i sistemi considerati d eccellenza vi sono quello tedesco, con una forte focalizzazione sull alternanza scuola-lavoro, ma anche sistemi formativi professionali ben strutturati come il Vocational Education Training programme (VET) danese, o il sistema dei post-diplomi professionalizzanti introdotti in Francia. Dall analisi dei casi più positivi sono emersi quattro elementi fondamentali: un forte coinvolgimento delle imprese; un forte collegamento con le istituzioni scolastiche e con la formazione esterna all azienda; percorsi altamente """#$%&'$&()%)*&#$%!,4!

22 personalizzati; forte enfasi sui percorsi di apprendistato o di stage qualificanti (e retribuiti). 4.3 Ammortizzatori sociali In Italia quando si parla di ammortizzatori sociali si fa riferimento per lo più al sistema di cassa integrazione, un sistema rivolto ai lavoratori stabilmente inseriti nel mercato del lavoro. Tuttavia in molti paesi europei - come per esempio nei Paesi Bassi e in Danimarca - esistono sistemi di ammortizzatori sociali che supportano l inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Non si tratta di sussidi di disoccupazione, ma di misure che aiutino il giovane nelle fasi di ricerca del lavoro o di transizione da un lavoro all altro. Dall analisi dei sistemi degli altri paesi emergono alcune condizioni chiave di successo affinché un sistema di ammortizzatori sociali per i giovani possa essere efficace: sono fortemente legati alla formazione; si fondano su un forte coordinamento tra enti locali e autorità centrali, in una prospettiva decentrata; nascono, come nel caso olandese, da iniziative che vedono il coinvolgimento di tutte le parti interessate; sono legate all impegno, all attivazione, e, dato non irrilevante, ai risultati, come nel caso del New Deal for Young People, l ambizioso programma attuato dal governo inglese in cui non solo i giovani perdono i benefici se abbandonano i percorsi di formazione previsti per il loro inserimento nel mondo del lavoro, ma anche le agenzie che gestiscono i programmi ricevono parte dei fondi sulla base dei risultati lavorativi dei giovani che devono seguire. Chiaramente non si tratta di sistemi a impatto zero sul bilancio dello Stato, anche se i costi variano molto a seconda dei programmi messi in piedi. Tuttavia i costi vanno confrontati con i risultati: nel caso della Danimarca, per esempio, è vero che questo paese registra la più alta spesa in politiche del lavoro di tutti i paesi Ocse, ma è altrettanto vero che esso ha uno dei tassi di disoccupazione (giovanile ed adulta) più bassi dei paesi occidentali. Per quanto riguarda l Italia, il sistema di ammortizzatori sociali è prevalentemente ancorato al sistema della cassa integrazione e alle indennità ordinarie di disoccupazione, entrambe misure che tendono ad escludere i giovani e, soprattutto, misure che supportano le condizioni più estreme di inattività ma che non stimolano la riqualificazione, la formazione, l attività e l occupabilità. Aprire un dibattito serio e concreto sulla possibilità di modificare ed integrare l attuale sistema di ammortizzatori sociali potrebbe rappresentare un importante passo per affrontare la questione dell occupazione giovanile in Italia. """#$%&'$&()%)*&#$%!,+!

23 4.4 Incentivi fiscali per l assunzione di giovani Di incentivi per l assunzione di determinati gruppi sociali (giovani, donne, disabili o altre categorie considerate a rischio ) si parla spesso e in molte occasioni, anche se gli esperti sono spesso scettici sulla loro efficacia. Gli incentivi possono assumere varie forme, dalla defiscalizzazione degli oneri sociali a veri e propri sussidi agli stipendi (wage subsidies), e possono essere indirizzati o alla creazione di nuova occupazione in generale, senza restrizioni sulle categorie di persone assunte, oppure all assunzione di categorie specifiche di persone (donne, giovani, etc.). Tra i più recenti esempi di utilizzo della leva fiscale mirata all assunzione dei giovani troviamo gli Stati Uniti, dove a Marzo 2010 è stata approvata la legge "Employing Youth for the American Dream Act" (EYADA), che stanzia 8 miliardi di dollari per incentivare le imprese ad assumere giovani svantaggiati e a rischio disoccupazione e per supportare formazione e assistenza ai giovani. Numerose iniziative mirate a gruppi sociali specifici come, per esempio, il programma statunitense Work Incentive Program (WIN), mirato a membri di famiglie povere, ed il Targeted Jobs Tax Credit (TJTC), mirato a lavoratori svantaggiati, sembrano aver avuto risultati deludenti. Come indicano anche gli esperti, le politiche migliori per aumentare l occupabilità di fasce più a rischio sono misure che combinano sussidi ai salari con formazione, assistenza nella ricerca di lavoro e di crescita professionale. 4.5 Misure normative relative al mercato del lavoro: il contratto unico Nonostante molti aspetti legati al fenomeno della disoccupazione giovanile abbiano radici in larga parte socio-economiche, tra le politiche attivabili per contrastarla vi sono anche strumenti giuridici legati al funzionamento del mercato del lavoro. Infatti, così come hanno rilevato molti economisti, alcune problematiche legate all occupazione giovanile sono state amplificate in alcuni paesi da una incompleta e mal attuata deregolamentazione del mercato del lavoro che ha dato luogo al cosiddetto mercato duale. Per mercato duale si intende un mercato da un lato estremamente flessibile, volatile e con scarse se non nulle forme di protezione sociale per una fascia di lavoratori (tipicamente le generazioni più recenti), e dall altro lato un mercato ancora strettamente regolato e protetto per le fasce di lavoratori già stabilmente inserite nel lavoro. L Italia e la Spagna sembrano essere tra i paesi europei quelli maggiormente esposti a questo problema. Forse anche per questo sono i due paesi in cui numerosi giuristi ed economisti si sono confrontati sulla possibilità di una riforma del lavoro che contribuisse a rettificare le storture causate da un sistema normativo inadeguato. """#$%&'$&()%)*&#$%!,,!

24 Uno dei perni delle proposte degli esperti sia spagnoli che italiani è l introduzione di una specifica forma di contratto che andrebbe a sostituire tutte le decine di tipologie di contratti a tempo determinato attualmente vigenti sia in Italia che in Spagna. Si tratterebbe quindi di un contratto unico, come viene definito dai suoi stessi propositori, che sia a tempo indeterminato, ma che preveda un sistema di tutele crescenti col passare del tempo trascorso in quell impiego. Il senso generale dell idea del contratto unico è quello di creare un contratto a tempo indeterminato con alcune specificità. Si prevede, infatti, che l azienda, nei primi anni del rapporto di lavoro possa ricorrere all interruzione del rapporto di lavoro per motivi economici. Un interruzione a fronte della quale il lavoratore avrà però diritto ad una indennità di licenziamento crescente al crescere dell anzianità acquisita nell impresa. Trascorsi i primi tre anni nel rapporto di lavoro (durata che varia a seconda del progetto di legge), scattano tutte le tutele tradizionali a favore del lavoratore. L obiettivo della proposta è quello di ridurre la volatilità nel mercato del lavoro per i più giovani, incentivare e supportare la loro formazione ed avviamento al lavoro, e garantire un minimo di tutele alle fasce di lavoratori attualmente più deboli in modo da attenuare l impatto sociale di fasi di crisi economica come quelle che stiamo attraversando. Si tratterebbe quindi di uno strumento normativo che potrebbe avere importanti ricadute su variabili economiche e sociali. 4.6 Promozione e supporto della cultura imprenditoriale Molti paesi si stanno accorgendo dell importanza della nuova imprenditoria come mezzo non solo per rinnovare il tessuto economico e produttivo ma anche per generare nuova occupazione. Un recente studio della Kauffman Foundation ha mostrato come dal 1977 al 2005 la crescita di occupazione negli Stati Uniti è stata quasi interamente guidata dalla creazione di start-up. Le imprese esistenti hanno bruciato, in media, 1 milione di posti di lavoro all anno, mentre le nuove imprese, nel loro primo anno di attività hanno generato 3 milioni di posti di lavoro. Ma come si promuove l imprenditoria tra i giovani? Le misure adottate nei vari Paesi per incentivare la nuova imprenditoria variano considerevolmente. Molte sono focalizzate sulla formazione, per creare una nuova generazione di imprenditori e aziende all avanguardia. In Francia per esempio, vi sono programmi pubblici nazionali volti ad aumentare la cultura e le competenze imprenditoriali tra i giovani: il programa Enterprises Cadettes, che si basa sulla cooperazione tra imprese locali e banche, e il programma Graines d Entrepreneurs, che viene realizzato attraverso una partnership tra governi regionali e il sistema delle camere di commercio e dell industria. """#$%&'$&()%)*&#$%!,-!

25 In altri casi si adottano agevolazioni fiscali e prestiti agevolati come i programmi inglesi Prince s Trust-Business per le start-up (PTB) ed il Livewire, oppure come il programma canadese Youth Business, che fornisce prestiti agevolati ed altri servizi di supporto all imprenditoria giovanile. Anche l Italia ha adottato un approccio di incentivi fiscali con la Legge 95/95 che prevedeva sia finanziamenti agevolati che a fondo perduto per i giovani tra i 18 e i 29 anni residenti in alcune aree specifiche del paese che avviassero un impresa nuova. Una misura la cui efficacia è stata però fortemente messa in discussione da una serie di inchieste su abusi e sulla concessione dei finanziamenti ad aziende che, di fatto, non rispondevano ai criteri richiesti. Al di là dei vari episodi che possono aver creato scetticismo su alcuni strumenti adottati in passato, il tema era e resta di grande attualità per l Italia, soprattutto alla luce delle dinamiche dell imprenditorialità giovanile degli ultimi anni, anche prima degli effetti della crisi. Come è evidenziato dai rapporti Cerved, già negli anni tra il 2000 e il 2007 le aziende giovani (definite come quelle realtà produttive in cui il titolare, tutti i soci o tutti gli amministratori non abbiano ancora compiuto 35 anni alla nascita dell impresa) hanno subito una forte contrazione. E chiaro che un aumento quantitativo delle start-up giovani non implica necessariamente un aumento qualitativo delle stesse e del tessuto economico-produttivo del paese. Per questo è importante che politiche volte a rafforzare la capacità imprenditoriale delle nuove generazioni includano percorsi che stimolino l imprenditorialità, che rendano familiari con le nuove tecnologie, con le più avanzate conoscenze manageriali e coi processi di internazionalizzazione. Particolarmente importante, poi, è un assidua attività di mentorship per le aziende nei primi anni di vita e anche prima della fase di start-up. Non è solo l assenza di fondi che penalizza i giovani imprenditori, ma la mancanza di attività di stimolo, indirizzo e supporto manageriale. In Italia si parla spesso della necessità di rafforzare il mercato del venture capital, ossia di quelle organizzazioni che finanziano e supportano le imprese dalla nascita alla quotazione in borsa. Ma i venture capital crescono dove sono le buone idee, perché di questo si alimentano: di molte e buone idee imprenditoriali. """#$%&'$&()%)*&#$%!,.!

26 Il caso dell artigiano: un occasione per crescere di Stefano Micelli 1. Un decennio vissuto pericolosamente L Italia è un paese di piccole imprese. Le statistiche ce lo ricordano continuamente. In Italia le imprese comprese nella classe fra 1 e 19 addetti costituiscono il 98,3% del nostro sistema imprenditorale; la stessa statistica, nel Regno Unito si attesta al 94,9%; in Germania, scende al 93,4%. Se si considera il solo comparto industriale, le imprese con meno di 20 addetti sono oltre e pesano per quasi addetti, più di un terzo degli addetti del manifatturiero (37,9%). Il peso della piccola impresa continua a rappresentare un aspetto caratterizzante del nostro sistema produttivo che ci contraddistingue rispetto alla generalità delle economie avanzate. Nonostante il quadro delle statistiche nazionali e internazionali confermi una fotografia a cui siamo sostanzialmente abituati, nel corso dell ultimo decennio il sistema industriale italiano ha conosciuto profonde trasformazioni. Dal 2000 ad oggi, l industria nazionale ha dovuto confrontarsi con tre shock importanti: l introduzione dell Euro, l entrata a pieno titolo della Cina nel commercio internazionale, la diffusione delle nuove tecnologie nella gestione delle imprese. Questi shock hanno messo in discussione alcuni degli elementi su cui si è fondata la competitività del Made in Italy tradizionale. Lungo tutto il corso degli anni 90, il successo della produzione italiana nel mondo è stato legato principalmente al successo del modello dei distretti industriali. Nel corso degli ultimi dieci anni, è cresciuta sensibilmente l importanza di una nuova generazione di medie imprese capaci di proporsi in modo originale e innovativo sul mercato internazionale. Le caratteristiche salienti delle medie imprese che rappresentano la nuova ossatura del Made in Italy sono presto dette. Le nuove medie imprese taliane hanno saputo costruire un percorso di crescita internazionale investendo in reti distributive e, aspetto particolarmente importante, avviando nuovi rapporti di fornitura a scala globale. A fronte di questi importanti cambiamenti, la piccola impresa artigiana ha subito un ridimensionamento delle proprie performance economiche collocandosi, quando possibile, a ridosso delle imprese leader di mercato. La crisi economica innescata dalla finanza americana nel corso del 2008 ha accentuato ancora di più questo processo selettivo, innescando una nuova fase di differenziazione dei risultati economici. I dati forniti dall Istat a metà 2010 ci danno conferma che la crisi ha colto in controtempo le piccole e le """#$%&'$&()%)*&#$%!,/!

27 microimprese, in particolare quelle meno agganciate a un circuito di crescita internazionale. Per contro molte medie imprese hanno dimostrato di poter reagire alle difficoltà di mercato in termini relativamente brevi, riassorbendo in alcuni casi in un solo biennio la riduzione del fatturato legata alla crisi del In questo contesto, è lecito domandarsi se e come è possibile rilanciare la competitività della piccola impresa a carattere artigianale in una fase di crescente globalizzazione dei processi economici. La risposta non è scontata. La media impresa che ha svolto storicamente la funzione di traino della piccola impresa sui mercati internazionali oggi tende a guardare al potenziale delle economie emergenti per attingere a competenze manifatturiere a basso costo. Per questo la piccola impresa artigiana è chiamata a fare oggi un nuovo salto di qualità, reinventando il proprio posizionamento sul mercato. 2. Una nuova credibilità internazionale Se è vero che la piccola impresa oggi soffre la competizione internazionale, è altrettanto vero che in questi anni la figura dell artigiano è stata ampiamente rivalutata. La crisi che si è abbattuta sull economia mondiale e le critiche che la finanza ha attirato sul proprio operato hanno contribuito a ridare lustro e legittimità all economia reale e al ruolo dell artigiano. A prima vista, questo rilancio della figura dell artigiano potrebbe suggerire connotazioni regressive. In realtà non è così. Oggi sono proprie le grandi imprese più dinamiche e innovative a livello internazionale a rilanciare la figura del lavoro artigiano come ingrediente essenziale della competitività sui mercati. Molte case di moda (Louis Vuitton, Gucci, Kiton, Dolce e Gabbana per citarne alcune) hanno promosso campagne pubblicitarie per mettere in risalto il contributo del lavoro artigianale alla qualità del loro prodotto. Il lavoro artigiano è cura, attenzione al dettaglio, personalizzazione, cultura. Ma non è fondamentale solamente nei settori tradizionali come l abbigliamento e la calzatura: la sensibilità dell artigiano è cruciale nella sperimentazione di nuove soluzioni e di nuovi materiali. 3. Il lavoro artigiano e la piccola impresa nelle catene globali del valore Come ripensare il ruolo del lavoro artigiano per la competitività della piccola impresa in uno scenario di economia globale? Un analisi sulle piccole imprese che hanno avviato in questi anni percorsi di successo parla di un nuovo modo di essere artigiani, non solo a scala locale. Rivela una nuova capacità di dialogo con il mondo della creatività e del design, ma anche con il mondo dell industria e della distribuzione. Il vantaggio competitivo dei nuovi artigiani deriva """#$%&'$&()%)*&#$%!,0!

28 nella maggior parte dei casi dalla capacità di trovare un nuovo ruolo all interno delle catene globali del valore a scala internazionale. La gestione di questo nuovo posizionamento competitivo richiede una grande attenzione. Il lavoro artigiano costa. Tradizionalmente abbiamo pensato in termini di contrapposizione fra prodotto artigiano (di qualità, ma costoso) e prodotto industriale (di scarsa qualità, ma economico). Quanto emerge dall attività del nuovo artigiano è il superamento di questa contrapposizione e la ricerca di nuove complementarietà. Il lavoro artigiano rilancia la sua competitività quando attiva, completa o arricchisce le filiere industriali. Il nuovo artigiano, insomma, non compete più con l industria, ma diventa parte integrante di catene del valore a cui contribuisce con la sua specificità. Qualche esempio. Da sempre le imprese artigiane svolgono un attività di prototipazione e di produzione di prime serie per le filiere dell abbigliamento e della calzatura. La traduzione dei bozzetti degli stilisti in manufatti pronti per la produzione in serie è cruciale per ottenere economie di scala nel processo industriale. Il lavoro artigiano dimostra la sua complementarietà con l industria anche proponendosi a valle della filiera. Si pensi, ad esempio, al caso dell edilizia sostenibile. In questo caso le imprese artigiane fanno proprie le economie di scala delle imprese che producono componenti a livello industriale per svolgere una funzione cruciale di adattamento. Anche per il cosiddetto artigianato artistico non vale più la contrapposizione con l industria e la grande distribuzione. E vero che spesso liutai, maestri vetrai, ceramisti, gioiellieri danno vita ad oggetti che devono il loro valore alla loro esclusività. In realtà già oggi il lavoro di questi artigiani può costituire il punto di partenza per produzioni in serie. Tutti questi esempi confermano la necessità che la piccola impresa si dimostri capace di produrre valore attraverso un nuovo dialogo con l industria e la distribuzione. La piccola impresa artigiana, in altre parole, è chiamata a diventare ingrediente essenziale di processi manifatturieri che hanno bisogno, in fasi specifiche, di creatività, capacità di adattamento e di risoluzione dei problemi. Come promuovere una sua presenza originale nelle catene globali del valore? Vale la pena soffermarsi su due grandi tematiche che riflettono altrettanti possibili capitoli di una nuova economia industriale per la piccola impresa: innovazione e internazionalizzazione. """#$%&'$&()%)*&#$%!,1!

29 4. Innovazione e piccola impresa: un binomio da ripensare Un elemento che oggi qualifica il lavoro artigiano è la specificità del suo percorso di innovazione. Si tratta di un tema cruciale per la competitività dell impresa artigiana, sul quale vale la pena soffermarsi. Una ricerca di Censis - Confartigianato ha messo a fuoco alcuni aspetti tipici del processo di innovazione dell impresa artigiana a partire da un analisi condotta su un campione di piccole imprese dinamiche. Dalla ricerca emerge che l impresa artigiana investe una quota rilevante di ore lavorate (oltre il 10%) all attività di ricerca e sperimentazione. Questo sforzo di ricerca si svolge prevalentemente all interno del perimetro proprietario dell impresa; l artigiano stenta a costruire un dialogo con soggetti come l università o con altri enti di ricerca. Altro aspetto rilevante riguarda l esito di questo percorso di ricerca: nella stragrande maggioranza dei casi le innovazioni introdotte si traducono in un vantaggio competitivo sul mercato, qualificando l attività di impresa ben oltre gli standard di mercato. Nel caso delle aziende artigiane della sub-fornitura, questo sforzo di innovazione contribuisce in maniera essenziale alle imprese committenti. Un terzo delle imprese analizzate da Confartigianato dichiara di adottare un comportamento attivo verso le imprese leader, proponendo soluzioni innovative e lavorando in partnership per risolvere i problemi. La creatività dell artigiano, la sua capacità di trovare soluzioni innovative e di trasferirle continuamente al prodotto, costituisce un ingrediente essenziale della manifattura di qualità, indipendentemente dal legame ufficiale con la ricerca scientifica e tecnologica. Il problema, allora, è come allargare la platea delle imprese artigiane che sono in grado di mettere in moto questi comportamenti e come moltiplicarne il valore. 5. Internazionalizzare il lavoro artigiano Internazionalizzazione e artigianato sono parole che, secondo alcuni, non vanno d accordo. Se si guardano i dati dell export questa convinzione si rafforza. Sono infatti le medie e le grandi imprese a garantire in maniera rilevante l export nazionale. L artigianato concorre alla presenza del prodotto italiano sui mercati internazionali solo in minima parte. """#$%&'$&()%)*&#$%!,2!

30 In realtà il tema dell internazionalizzazione non può essere ricondotto semplicemente alla capacità di esportare prodotti e servizi. Oggi l internazionalizzazione ha a che fare con la conoscenza, e non solo con le merci. Le reti trasformano il nostro modo di essere internazionali, allargando sensibilmente l orizzonte geografico dell agire dell impresa artigiana. Il cambiamento in atto, tuttavia, è più profondo e richiede nuovamente di utilizzare il punto di vista delle catene globali del valore. L impresa artigiana oggi ha la possibilità di informarsi diversamente sui propri fornitori guardando a un orizzonte internazionale; può ripensare il proprio rapporto con il mercato cercando individualmente o in partnership di candidarsi a svolgere fasi specifiche di catene del valore a livello globale. La maturità delle tecnologie e dei servizi disponibili in rete consente forme nuove di specializzazione a livello internazionale prima riservate alle aziende di maggiori dimensioni. Alcuni esempi. Sul versante della commercializzazione del prodotto la rete propone nuove opportunità di commercio elettronico. Rispetto alla prima metà degli anni 2000 il contesto, oggi, è profondamente mutato. L introduzione della banda larga, da un lato, e l innovazione nelle piattaforme di e-commerce, dall altro, hanno consentito di arricchire gli strumenti del commercio elettronico: è migliorato il potenziale di interazione fra domanda e offerta ed è aumentata la possibilità di comunicare il valore di prodotti complessi grazie alla multimedialità. In generale, la disponibilità di nuovi strumenti gestionali e di reti a banda larga consente di ripensare il posizionamento delle imprese artigiane nelle filiere internazionali. Esiste un quadro di nuove opportunità per il mondo della piccola impresa artigiana che deve essere preso sul serio, e in tempi brevi. """#$%&'$&()%)*&#$%!,3!

31 Quattro proposte per un nuovo artigianato Esiste un consistente spazio di politica industriale per un rilancio dell artigianato italiano. Il quadro che emerge da un analisi del comparto suggerisce iniziative diverse, alcune a scala nazionale, altre in una proiezione internazionale. Tutte hanno in comune l obiettivo di promuovere la qualità del lavoro artigiano come un tratto distintivo della nostra industria nazionale presente - in forme diverse - nella grande, nella media e nella piccola impresa. Il problema da affrontare con urgenza è capire in che modo l artigianato che oggi qualifica la piccola impresa italiana può essere valorizzato a scala globale. Quattro sono le priorità da affrontare con la massima urgenza. 1. Una task force per integrare l artigianato italiano con le economie emergenti Il primo obiettivo da perseguire è l inserimento delle piccole imprese artigiane all interno delle catene globali del valore. La piccola impresa artigiana non può pensare di competere a livello internazionale perpetuando un approccio mercantile: non si tratta necessariamente di iimporre il prodotto della piccola impresa sui mercati internazionali. Piuttosto, si tratta di trovare delle forme di partenariato che consentano alla piccola impresa di valorizzare le proprie competenze all interno di nuove relazioni con l industria e la distribuzione. Per favorire un accelerazione di questi processi di integrazione è necessaria una politica industriale su due fronti. Un primo fronte è legato allo sviluppo di reti di impresa capaci di aggregare una massa critica di competenze distintive in grado di proporsi efficacemente su uno scenario internazionale. Lo strumento del contratto di rete costituisce lo strumento cardine per favorire questa proiezione internazionale e per questo deve essere promosso e comunicato a scala nazionale. Un secondo fronte riguarda la cooperazione internazionale. Le nostre imprese devono poter essere aiutate e sostenute nel confronto con economie e culture percepite come lontane e poco praticabili. In passato il Ministero dello Sviluppo Economico ha promosso una task force per rendere produttivo l incontro fra partner russi e italiani e favorire la reciproca conoscenza fra imprenditori. Questo stesso modello operativo oggi deve essere replicato per favorire l integrazione delle nostre reti di impresa con le realtà produttive più dinamiche in Cina e in India. """#$%&'$&()%)*&#$%! -4!

32 2. Oltre il Made in Italy: un marchio per la valorizzazione internazionale dell artigianato Nel corso degli ultimi anni abbiamo assistito a un lungo confronto sul tema del marchio Made in Italy. La legge Reguzzoni-Versace (L.55 del 2010) ha rappresentato un importante punto di arrivo per la salvaguardia delle esigenze di informazione e trasparenza verso il consumatore finale. Difficile pensare, tuttavia, che il marchio Made in Italy anche quando esteso ad altri settori - possa davvero valorizzare, di per sé, la piccola impresa artigiana nell economia internazionale. La tradizione italiana dell artigianato che ambisce a proiettarsi nel mondo ha bisogno di linguaggi nuovi, capaci di incontrare e riconoscere il valore di culture diverse. L Italia non può pensare di essere l unico paese depositario di competenze artigiane: deve, piuttosto, diventare il paese promotore dell artigianato a livello internazionale. Deve diventare il punto di riferimento di una nuova cultura della produzione che fa dell uomo e del lavoro artigiano un elemento essenziale della qualità materiale e immateriale delle merci. L artigianato, come è stato per l agricoltura, ha bisogno di marchi e riconoscimenti inclusivi. Se guardiamo all esperienza Slow Food, vediamo un brand capace di dare senso e includere tradizioni diverse (i presidi locali in Italia e nel mondo). Slow Food non difende l Italia; promuove la cultura del cibo in Italia e nel mondo. Grazie a un linguaggio aperto e universale, il nome Slow Food è stato accolto praticamente dappertutto. E importante che nell ambito dell artigianato emerga al più presto un progetto simile a quello promosso da Carlo Petrini. L Italia deve diventare il punto di riferimento di questa cultura del lavoro promuovendo attività di ricerca, di promozione e, ovviamente, marchi e etichette riconoscibili. 3. Una Ivy league delle scuole dell artigianato La formazione del nuovo artigiano non ha ancora istituzioni qualificate. Mentre l artigianato evolveva e si trasformava sotto la spinta delle pressioni del mercato, le scuole dei mestieri si limitavano a riproporre la figura dell artigiano della tradizione. Non è solo una questione di accesso alle nuove tecnologie, che spesso le scuole non sono in grado di garantire perché in ritardo rispetto al mondo delle imprese; è, più in generale, un problema di impianto formativo che oggi richiede un abbinamento più stretto fra competenze manuali e strumenti culturali evoluti. Il nuovo artigiano ha bisogno di scuole che ne rilancino il profilo e la visibilità oltre la scala regionale e che ne proietti la legittimità entro un orizzonte internazionale. E necessario avviare al più presto una serie di corsi di eccellenza che facciano leva su quanto di meglio """#$%&'$&()%)*&#$%! -+!

33 abbiamo saputo sviluppare nelle diverse regioni per attrarre nel nostro paese talenti di tutto il mondo. L insieme di scuole dovrà costituire una ivy league dell artigianato che potrà condividere alcune risorse di base (si pensi all offerta didattica di carattere generalista) e che potrà specializzarsi in aree elettive coerenti con le diverse vocazioni territoriali. 4. Un nuovo modo di raccontare l artigianato italiano Il racconto dell artigianato di qualità ha seguito, tradizionalmente, una trama territoriale. Il radicamento dell impresa artigiana all interno dei distretti ha favorito una promozione dell impresa artigiana per aree geografiche omogenee. L Italia ha promosso il vetro di Murano, l oreficeria di Valenza, la lavorazione del corallo di Torre del Greco. La lista potrebbe continuare a lungo. Il confronto con mercati nuovi, diversi per cultura e per richieste dai mercati tradizionali, spinge a ripensare il nostro modo di comunicare la competenza artigiana, favorendo l aggregazione di competenze e lavorazioni coerenti con le richieste di mercati specifici. Per molti settori del Made in Italy questa riorganizzazione della comunicazione distrettuale è particolarmente urgente. La promozione delle reti di piccole imprese all estero richiede una maggiore attenzione alle richieste del mercato e una attenta selezione dei partecipanti. In questa prospettiva le associazioni di categoria giocano un ruolo particolarmente cruciale avendo una lettura locale e nazionale della distribuzione delle imprese. """#$%&'$&()%)*&#$%! -,!

34 Italia Futura È un luogo di ideazione civile, nato per promuovere il dibattito pubblico oltre le patologie di una transizione politica ormai ripetitiva. È uno strumento di libera progettazione sul futuro del paese, che vuol dar voce a chi non si rassegna a contribuire alla vita pubblica solo il giorno delle elezioni. Stefano Micelli Insegna Economia e Gestione delle Imprese all'università Cà Foscari di Venezia e dirige la Venice International University. È un incubatore per le idee e i progetti che nascono dalla conoscenza dei problemi reali e dalla passione civile di singoli cittadini e di altre realtà associative. Marco Simoni Insegna economia politica alla London School of Economics, dove è coordinatore del Master in Public Administration in European Public and Economic Policy. i f italiafutura info@italiafutura.it Irene Tinagli Insegna all'università Carlos III di Madrid, è esperta di innovazione, creatività e sviluppo economico.

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