Rassegna. Nuove acquisizioni sul sistema Rh mediate dalla biologia molecolare. Giorgio Reali, Ornella Perrone

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1 Rassegna Nuove acquisizioni sul sistema Rh mediate dalla biologia molecolare Giorgio Reali, Ornella Perrone In questi ultimi anni, le conoscenze sulla genetica del sistema Rh hanno registrato importanti acquisizioni, facendo perdere ogni significato al vecchio dilemma, fonte di così aspri contrasti nel passato, se uno o tre loci cromosomici fossero alla base della codifica dei numerosissimi antigeni Rh (si pensi che siamo, attualmente, giunti a contare 52 determinanti del sistema, anche se sette di essi vengono ritenuti "obsoleti" e dovrebbero essere cassati dalla lista 1 ). Quasi paradossalmente, oggi si ritiene che gli antigeni Rh siano, in realtà, codificati da geni portati su due loci strettamente correlati: il locus RHD (dove trova sede il gene che codifica per l'antigene D) e il locus RHCE (cui concorrono i quattro possibili alleli: RHCe, RHcE, RHce ed RHCE, che codificano per gli antigeni delle serie C/c ed E/e). In realtà, l'esistenza di due geni riguarda esclusivamente i soggetti Rh-positivi (cioè D-positivi), considerato che il gene RHD risulta assente nelle persone Rh-negative 2. Vogliamo, qui, fare una sintetica rassegna non soltanto delle acquisizioni di immunogenetica ma anche dei più rilevanti studi condotti su questo sistema gruppoematico eritrocitario, che risulta essere il più complesso e, conseguentemente, il più affascinante. Prima, comunque, di affrontare questa esposizione, è necessario fare alcune premesse pertinenti all'argomento che vogliamo illustrare. Precisazioni in tema di nomenclatura La prima premessa riguarda la confusione che certi contributi scientifici hanno ingenerato in materia di Corrispondenza: Dott.ssa Ornella Perrone Servizio di Immunoematologia e Trasfusionale - Ospedale Civile Via S. Agata, IMPERIA terminologia. Va segnalato, al riguardo, che le più recenti conoscenze sul sottofondo genetico e sulla natura biochimica degli antigeni Rh "normali" e dei vari fenotipi "parziali", "difettivi" o "deleti" del sistema sono derivate soprattutto dai contributi che la biologia molecolare ha saputo offrire agli studiosi dell'argomento. Avendo ormai la sierologia esaurite, quasi totalmente, le sue potenzialità in materia, i ricercatori che hanno offerto i più importanti progressi sul sistema Rh sono stati, infatti, quasi esclusivamente, biochimici, anziché immunoematologi o immunogenetisti. Sono, di conseguenza, intervenuti malintesi ed equivoci che non possono essere ignorati, soprattutto in una pubblicazione rivolta a immunoematologi. Per esempio, alcuni Autori, in un lavoro 3 incentrato sulla glicoproteina che serve per l'espressività degli antigeni Rh (vedi avanti), hanno recentemente avanzata l'ipotesi che i geni RH siano riuniti in un unico complesso cromosomico, da loro denominato RH30 (sigla chiaramente derivata dal peso molecolare dei polipeptidi Rh, che è, appunto, di circa 30 kda 4 ). Gli immunoematologi sanno, invece, che Rh30 è un antigene del sistema, noto come Go a (Gonzales), presente esclusivamente sulle emazie D-parziali di categoria IVa, secondo la classificazione di Tippett 5 e delle quali risulta essere il marker per eccellenza. Ancora, evidenze sia sierologiche (con l'uso di anticorpi monoclonali) che biochimiche (mediante tecnologie biomolecolari) confermano che gli antigeni Rh presenti sulla membrana eritrocitaria sono formati da complessi multiproteici: più precisamente, le proteine Rh propriamente dette (quelle codificate dai geni RH) sono polipeptidi non glicosilati, che necessitano, comunque, per la loro espressività, di legarsi, in maniera non covalente, con alcune glicoproteine, più precisamente con i glicopeptidi CD47, LW, con la glicoforina B (vedi avanti) e con un'altra glicoproteina denominata Rh50 3. Quest'ultima glicoproteina è di notevolissima importanza (in quanto, come si vedrà 60 LA TRASFUSIONE DEL SANGUE vol num. 2 marzo-aprile 2000 (60-73)

2 Acquisizioni sul sistema Rh più oltre, il fenotipo Rh null di tipo "regolatore" è caratterizzato da una mutazione a livello del gene che la codifica) ma, ancora una volta, la sigla utilizzata per indicarla (anch'essa certamente dovuta al peso molecolare che è di 50 kdal 6 ) è fonte di confusione. Infatti, l'antigene Rh50 indica, in immunogenetica, un antigene a bassa incidenza (FPTT) presente presso una nuova categoria di "D parziali", categoria denominata DFR, della quale FPTT (cioè, Rh50) rappresenta il tipico marcatore 7. Mentre la Commissione per la Nomenclatura degli antigeni eritrocitari, istituita dall'isbt (International Society of Blood Transfusion) e che si riunisce periodicamente per aggiornare gli elenchi sui determinanti antigenici dei globuli rossi, non è mai intervenuta a chiarire il possibile equivoco fra antigene Rh30 e gene RH30 (simbolo, d'altronde, utilizzato da un solo gruppo di Autori 3 ), ha, invece, richiamata - nel suo ultimo Working Party tenutosi a Oslo in occasione del 25 Congresso internazionale ISBT ( ) - l'attenzione degli addetti ai lavori sui possibili equivoci inerenti, stabilendo di indicare la glicoproteina con il simbolo ufficiale RhAG (cioè, Rh-associated glycoprotein) e il gene che la codifica con la sigla RHAG, in modo che il numero Rh50 (e la rispettiva sigla RH50 per il pertinente gene) sia mantenuto per indicare esclusivamente l'antigene FPTT 8. Come ricordato in precedenza, le mutazioni del gene RHAG sono alla base della forma più comune di fenotipo Rh null, quella di tipo "regolatore". Nel prosieguo di questa Rassegna verranno utilizzati numeri e sigle proprie delle nozioni acquisite sui testi sacri all'immunoematologia (per tutti 9 ) ma alcuni titoli richiamati in bibliografia citeranno, obbligatoriamente, le nomenclature utilizzate, secondo libere scelte, dai singoli Autori. Precisiamo soltanto che, seguendo le raccomandazioni di Issitt e Anstee 9, indicheremo i geni Rh con la sigla RH. A riprova del possibile caos che si può ingenerare dalla commistione di competenze diverse, basti riferire che in un importante lavoro in materia (fra l'altro, pubblicato su una rivista specialistica di genetica, che non citiamo per correttezza) viene più volte riportato che "gli antigeni (si badi, non i geni!) Rh sono situati sul cromosoma 1". Nozioni sulla membrana eritrocitaria La seconda doverosa premessa riguarda il fatto che una revisione sulla biochimica e sull'immunochimica del sistema Rh non può esimersi da un accenno sulle caratteristiche della membrana eritrocitaria, della quale i determinanti Rh sono parte integrante. Verrà, qui, fornita una esposizione estremamente sintetica dell'ampia messe delle ricerche e degli studi condotti al riguardo in questi ultimi anni, per i cui numerosi riferimenti bibliografici rimandiamo al già citato volume di Issitt e Anstee 9. Come tutte le membrane cellulari, anche la membrana eritrocitaria è composta di: - lipidi, - proteine, - carboidrati. I lipidi sono rappresentati soprattutto da fosfolipidi. Si tratta di molecole asimmetriche con una terminazione idrofilica e una idrofobica. L'estremità idrofilica presenta due catene di acidi grassi, una satura e l'altra insatura. Se mescolati ad acqua, i fosfolipidi si orientano in maniera tale da evitare che il terminale idrofobico venga a contatto con l'acqua. Quattro sono i principali fosfolipidi della membrana eritrocitaria: fosfatidiletanolina (PE), fosfatidilcolina (PC), sfingomielina (SM) e fosfatidilserina (PS). I primi tre hanno carica positiva mentre la PS ha carica negativa. Le molecole fosfolipidiche sono mobili, ma gli scambi fra i due strati (interno ed esterno) della membrana, il cosiddetto Flip-Flop, è raro. Altro lipide importante, e ben rappresentato, è il colesterolo. L'asimmetria dei fosfolipidi è assicurata da due enzimi: flippasi (che facilita il passaggio di PS e PE dall'esterno all'interno) e floppasi (che facilita il passaggio di PS, PE e PC dall'interno all'esterno). L'asimmetria dei fosfolipidi è compromessa nelle emazie Rh null, nelle emazie drepanocitiche e in quelle dei diabetici gravi. I vari fosfolipidi sono distribuiti irregolarmente nel doppio strato lipidico: la PS è situata soltanto all'interno insieme all'80% di PE, mentre il 75% di PC e l'80% di SM sono all'esterno. Le proteine vengono distinte in proteine periferiche (si possono solubilizzare senza ricorrere a detergenti) e proteine integrali, che presentano aminoacidi idrofobici interreagenti con i lipidi e che richiedono l'uso di detergenti per essere isolate. Le proteine integrali sono classificate in: a) quelle che hanno un solo dominio che sporge dalla superficie della membrana, dette di I tipo; b) quelle che hanno più domini che sporgono dalla membrana, dette di II tipo e c) quelle situate integralmente all'interno del doppio strato lipidico, in grado di contrarre legami covalenti con i lipidi, dette di III tipo. Appartengono al tipo I le proteine che presentano il terminale aminoacidico fuori dalla membrana, cioè le glicoforine (A, B, C, D), i determinanti per gli antigeni LW, Lutheran e Indian e le proteine che presentano il terminale aminoacidico all'interno della membrana, come le glicoproteine del sistema Kell. Appartengono al II tipo la proteina CD47 (associata all'rh) con 5 domini esterni, i determinanti Colton con 6, quelli Duffy con 7, quelli Rh con 12 e quelli Diego con 14; carattere distintivo di questo tipo di proteine è che entrambi i terminali (carbossilico e aminoacidico) sono all'interno della membrana. Appartengono, infine, al III tipo le proteine 61

3 G. Reali e O. Perrone Figura 1: rappresentazione schematica della membrana eritrocitaria (da Issitt ed Anstee 9, modificata) integrali che derivano da un processo di traslazione: il terminale carbossilico viene sostituito da glicosilfosfoinositolo (GPI), come avviene per i determinanti dei sistemi Cartwright, Dombrock e per le proteine CD58 e CD59, entrambe componenti usuali della membrana eritrocitaria. Le proteine integrali con singolo o multipli domini sporgenti dalla superficie esterna possono essere legati, covalentemente, con gli acidi grassi della membrana e aumentare in tal modo la loro idrofobicità. Questo processo di legame fra proteine e acidi grassi è noto come palmitolazione (processo di acetilazione con acido palmitico) e interviene sicuramente per il polipeptide Rh, ma potrebbe avvenire anche per altre proteine, come la CD44, che porta gli antigeni del sistema Indian. In maggioranza, le proteine della membrana sono situate nella superficie interna e contraggono stretti rapporti con le proteine dello scheletro eritrocitario, in particolare con l'anchirina e con la proteina p55: entrambe queste componenti dello scheletro hanno subito il ricordato processo di palmitolazione che, di fatto, dà loro una particolare stabilità. Quasi tutti i carboidrati della membrana sono situati, invece, sulla sua superficie esterna. Essi risultano legati covalentemente o ai lipidi o alle proteine a costituire, appunto, glicolipidi o glicoproteine. Il glucide più rappresentato nei glicolipidi è il glucosio, classicamente coinvolto nei legami con la ceramide (sfingolipide), anche se esistono rari legami mediati dal galattosio. Il glicolipide più rappresentato è il globoside, che porta la specificità P. Per quanto riguarda le glicoproteine, si possono avere legami mediati dall'azoto (N-glicani) oppure dall'ossigeno (O-glicani). Gli N-glicani sono piuttosto complessi e hanno un peso molecolare che varia da (come nella glicoforina A) a (come nei determinanti del gruppo Diego). Gli O-glicani sono, in genere, più semplici e si riscontrano nei determinanti Cromer, Indian, Cad. Probabilmente, la funzione dei glicani è quella di proteggere le proteine dalla digestione proteolitica da parte di enzimi diversi e di conferire loro una configurazione stabile durante i frequenti trasferimenti e le traslazioni intracellulari. Sulla base di queste sintetiche nozioni, si può concludere che la membrana eritrocitaria è composta da tre strati, come ben illustrato dalla figura 1 (da Issitt & Anstee, pag. 72). Il primo strato, quello più esterno, è il cosiddetto glicocalice; è extracellulare, espandendosi circa 12 nm dalla superficie del doppio strato lipidico. Il glicocalice è fondamentale in Immunoematologia eritrocitaria, nel senso che tutti i determinanti gruppoematici o sono contenuti integralmente in esso o sono sistemati nella parte più esterna della membrana, là dove il glicocalice ha inizio. La posizione degli antigeni nel glicocalice è rilevante, nel senso che essi saranno più o meno disponibili per gli anticorpi di classe IgG: ad esempio, le IgG anti-a, anti-b, anti-m o anti- N sono in grado di legarsi direttamente con i rispettivi determinanti (perché portati alla superficie esterna ed estrema del glicocalice) mentre quelle anti-d non vi riescono, essendo l'antigene D sistemato nella porzione profonda dello stesso glicocalice, a contatto con la membrana eritrocitaria. Abbiamo già ricordato come nel primo strato trovino sistemazione le glicoforine A (che portano le specificità M ed N), le glicoforine B (antigeni S, s, U), quelle C e D (determinanti del sistema Gerbich), gli antigeni dei sistemi LW, Lutheran e Indian e la maggior parte degli antigeni Kell. 62

4 Acquisizioni sul sistema Rh Il secondo strato, quello medio, comprende il doppio strato lipidico, cioè la membrana eritrocitaria propriamente detta. In essa hanno sede i determinanti gruppoematici di natura proteica. Si tratta, in genere, di proteine che servano da passaggio (o da trasporto) di sostanze diverse: trasporto di anioni (antigeni del sistema Diego); trasporto di urea (antigeni del sistema Kidd); trasporto d'acqua (antigeni del sistema Colton). Anche le proteine coinvolte nell'espressività degli antigeni Rh e dell'antigene Kx (del sistema Kell) presentano strutture che suggeriscono funzioni di trasporto, le cui caratteristiche, peraltro, non sono state ancora accertate (trasporto di cationi?). In questo strato vi sono anche altre proteine che trasportano glucosio, nucleosidi, Ca ++ e ATPase, ma non sembrano portare determinanti gruppoematici. Oltre che proteine di trasporto, la membrana comprende proteine che fungono da recettori. Di interesse immunoematologico, il recettore delle chemiochine che presenta specificità Duffy. Vi sono anche strutture di altra natura, fra le quali i glicolipidi: quello maggiormente rappresentato (circa 14 milioni di copie per emazia) è il globoside che esprime la specificità P. Il fatto che l'emolisina bifasica di Donath-Landsteiner (che dimostra specificità anti-p) sia di classe IgG e agisca direttamente sulle emazie in corso di emoglobinuria parossistica a frigore, fa pensare che il globoside P sia sistemato in regioni della membrana non ricoperte dal glicocalice. Il terzo strato, quello interno, rappresenta il cosiddetto scheletro eritrocitario. Esso è formato da una rete di proteine, strettamente legate fra loro, che assicurano all'emazia stabilità, flessibilità e deformabilità, tutte prerogative atte a mantenere la sopravvivenza e la funzionalità eritrocitaria per 120 giorni. Le principali proteine dello scheletro sono: anchirina, spectrina, actina, banda 3, banda 4.1, banda 4.2 (o pallidina), banda 4.9 (o dematina), p55. La rete proteica dello scheletro è legata alla membrana eritrocitaria mediante due serie di legami interproteici: la prima serie coinvolge anchirina, pallidina, spectrina e banda 3, la seconda banda 4.1, p55, glicoforine C e D. Di particolare rilevanza la proteina della banda 3, che porta tutti gli antigeni del sistema Diego. Generalità sulle basi molecolari del sistema Rh Il due loci RH (i già menzionati RHD ed RHCE) che portano i geni per la codifica del polipeptide D e, rispettivamente, di quelli della serie CE (cioè: Ce, ce, ce, CE) sono situati sul braccio corto del cromosoma 1, in posizione p36.13-p Ciascun gene è organizzato in 10 esoni distribuiti su 75 kb di DNA, con sequenze nucleotidiche omologhe al 96%. L'alto grado di omologia tra le regioni codificanti dei geni RHD e RHCE fa ipotizzare la loro origine dalla duplicazione di un unico gene ancestrale 11. Le conoscenze al riguardo sono derivate da studi condotti utilizzando, con analisi di frammenti di restrizione, tre differenti probes specifiche per i diversi esoni 12. Le indagini su fenotipi Rh diversi hanno permesso di accertare che il DNA proveniente da soggetti D-negativi offre patterns di digestione ridotti rispetto a quelli ottenibili da emazie D-positive, in quanto viene a mancare il frammento addizionale presente nei soggetti D-positivi 12. Questo dato suggerisce che nei soggetti D-negativi non sia presente alcun gene al locus RHD, piuttosto che sia presente un gene difettivo (l'ipotetico d della teoria di Fisher-Race). I polipeptidi codificati dai geni del locus RH sono assai simili fra loro: si tratta di proteine palmitolate, costituite da 417 aminoacidi, con sequenze fra loro omologhe al 92%. Il peso molecolare dei polipeptidi Rh è compreso fra 30 e 32 KDa (da qui, ribadiamo, l'equivoco di alcuni Autori 3 di unificare i due loci RH in un unico locus, denominato RH30). Il polipeptide Rh è fortemente idrofobico e presenta 12 domini che attraversano la membrana, regolarmente spaziati e collegati fra loro da occhielli (loops) idrofilici extramembrana (sei sporgano all'estreno e sei all'interno della membrana). Gli occhielli fanno parte della catena polipeptidica (che assume, quindi, un aspetto serpentiniforme): ciascun occhiello è composto da pochi aminoacidi (meno di 20). Di particolare importanza i sei loops che sporgono all'esterno della membrana. Entrambi i terminali della catena polipetidica, sia quello carbossilico che quello aminico, sono intracitoplasmatici, e ciò sembrerebbe favorirne un più consistente legame alla membrana eritrocitaria 13, con conseguente insensibilità degli antigeni Rh alla digestione enzimatica (anzi, l'azione degli enzimi proteolitici, rimovendo altre proteine dalla superficie del globulo rosso ed esponendo appunto gli antigeni Rh, consentirebbe i noti vantaggi sierologici nello studio degli anticorpi specifici). Era abbastanza inusuale che una proteina della membrana eritrocitaria non fosse glicosilata. Presto si è potuto accertare che gli antigeni Rh, per potersi esprimere, debbono legarsi, non covalentemente, con alcune proteine glicosilate di membrana, pur restando al polipeptide la funzione di conferire la specificità antigenica. I glicopeptidi con cui le proteine Rh si legano sono le glicoproteine CD47, RhAG ed LW, nonché la glicoforina B. La glicoproteina CD47, originariamente ritenuta componente esclusiva della membrana eritrocitaria, ha, in realtà, una larga distribuzione tessutale ed è identica a quella che serve nelle cellule endoteliali da pompa del Ca ++ ; è associata alle integrine, da cui la sigla IAP (Integrin- Associated Protein), e la sua funzione sulla membrana eritrocitaria è ignota, ma il basso livello di CD47 nelle emazie Rh-deficienti fa ritenere che abbia qualche attinenza con il trasporto dei cationi 14,15. Il gene che codifica CD47 è portato 63

5 G. Reali e O. Perrone sul braccio lungo del cromosoma 3, in posizione q13.1- q Abbiamo già accennato alla glicoproteina RhAG (da alcuni Autori 3,17, ripetiamo erroneamente, indicata come antigene Rh50) e al ruolo cruciale che gioca nel vincolare il polipeptide Rh alla membrana eritrocitaria. Questa glicoproteina consta di 409 aminoacidi, organizzati in 12 domini transmembrana: ha, quindi, caratteristiche biochimiche molto simili a quelle dei polipeptidi Rh e, come questi, è espressa unicamente nelle linee cellulari eritrocitarie. Sembrerebbe coinvolta in funzioni di trasporto degli ioni NH Vedremo come una mutazione a livello del gene RHAG sia alla base del fenotipo Rh null di tipo "regolatore" 17. Il gene RHAG è portato sul braccio corto del cromosoma 6, in posizione p , e presenta strutture simili a quelle dei geni RH, ai quali è omologo al 36% 6. Le altre glicoproteine di membrana in qualche modo collegate con l'espressività degli antigeni Rh, cioè LW e glicoforina B, fanno parte di sistemi gruppoematici separati ma è ampiamente noto come gli antigeni LW si esprimano differentemente in relazione ai diversi fenotipi Rh 9, mentre la glicoforina B, che porta le specificità S, s e U (sistema MNSsU), risulta fortemente diminuita (e, talora, mancante) in soggetti Rh null 18 ed Rh mod 19. A completare il quadro, va, infine, aggiunto che anche il sistema Duffy sembra essere coinvolto, in qualche modo, con il sistema Rh. Infatti, l'antigene Fy5 è assente nei soggetti Rh null e scarsamente espresso in quelli D- -. Il fatto, peraltro, che i soggetti Fy (ab-) presentino normali antigeni Rh fa sospettare che Fy5 sia il risultato di una qualche interazione fra il complesso Rh e la glicoproteina Duffy ma che, a differenza delle glicoproteine RhAG, CD47, LW e della glicoforina B, non concorra a delineare l'espressività dei polipeptidi Rh 9. Basi molecolari dei principali antigeni Rh L'antigene D, in base alle acquisizioni ottenute con il sequenziamento nucleotidico di emazie provenienti da soggetti D positivi che avevano prodotto anticorpi a specificità anti-d e ai risultati conseguiti impiegando anticorpi monoclonali selezionati, risulta essere un mosaico antigenico composto da almeno nove epitopi (intendendo, per epitopo, una porzione di antigene che reagisce con una singola popolazione anticorpale specifica): epd1-epd9 20. Alcune classificazioni sierologiche con anticorpi anti-d monoclonali hanno, poi, consentito l'identificazione di almeno 30 modelli di reattività e, pertanto, era stata proposta una nuova classificazione: epd1-ep D Il modello a nove epitopi, comunque, data la sua grande schematicità, continua a testimoniare efficacemente le diverse reattività sierologiche del più importante antigene Rh. Tabella I: suddivisioni dell'epitopo epd6/7 (reazioni con emazie DFR, DBT, R o Har e con anticorpi monoclonali specifici) anticorpi monoclonali anti-epd6/7 emazie IgM IgG Har epitopi DFR DBT R o normali papain TCI papain epd6/ epd6/ epd6/ epd6/ epd6/ epd6/ epd6/ epd6/ = reazione positiva; 0 = reazione negativa. I numeri riportano quanti anticorpi monoclonali hanno dato reazione positiva. Normali = test con emazie non trattate; papain. = test con emazie papainizzate; TCI = test di Coombs indiretto Si tratta, come si sa, di un'importanza clinica, in quanto il D è, senza ombra di dubbio, l'antigene eritrocitario più fortemente immunogenico. È stato, infatti, largamente documentato 9 che l'80% dei soggetti D-negativi trasfusi con una o più unità di sangue D-positivo forma anticorpi anti-d, così come era ampiamente noto, prima dell'introduzione dell'immunopropfilassi anti- Rh, che almeno il 20% delle donne D-negative che avevano partorito un figlio D-positivo si immunizzava. Le caratteristiche dei diversi epitopi, studiate da Lomas et al. 22 con l'impiego di certi anticorpi monoclonali, hanno evidenziato che epd6 ed epd7 forniscono risposte identiche, a differenza di quanto risultava con l'uso di anticorpi monoclonali marcati 23. Il suggerimento del Centro di Londra (Blood Group Unit), diretto da Patricia Tippett (da sempre la maggior autorità in materia di Rh), è stato quello di riunire i due epitopi in uno (denominato ep6/ep7), tenendo presente, peraltro, che, utilizzando tecniche diverse (per esempio, metodiche enzimatiche) o emazie test D particolari (le emazie DFR, DBT, R o Har : si tratta, come è noto, di emazie D "parziali", cui non è stata assegnata alcuna categoria), è possibile riconoscergli un'ampia eterogeneità, così da evidenziare ben otto sottocategorie (da ep6/7.1 a ep6/7.8) come dimostra la tabella I (da Tippett et al. 20 ). Le emazie alle quali mancano uno o più epitopi sono denominate D "mosaico"o D"variant" o, meglio, D "parziali". Queste particolari emazie sono state, in genere, individuate in seguito alla produzione di anticorpi verso gli epitopi mancanti. 64

6 Acquisizioni sul sistema Rh I primi studi su queste emazie hanno permesso la loro classificazione in categorie, distinte con numeri ordinali 9 da I (peraltro, categoria oggi ritenuta obsoleta) sino a VII con l'aggiunta, come ricordato in precedenza, dei fenotipi particolari DFR, DBT e R o Har non categorizzati. Gli alloanticorpi si producono con maggior frequenza (ovviamente per immunizzazione trasfusionale o gravidica) nella categoria VI, caratterizzata da debole reazione con gli antisieri policlonali anti-d e assenza, allo studio con anticorpi monoclonali pertinenti, degli epitopi epd1, epd2, epd5, epd6/7, epd8 20. Analizzando le sequenze nucleotidiche delle emazie D "parziali" si è potuto constatare che esse prendono origine da ibridi che si formano durante la meiosi fra i geni RHD ed RHCE. Così, Mouro e coll. 24 hanno osservato eterogeneità diverse a seconda che fosse coinvolto nei processi di ibridizzazione con il gene RHD o il gene RHcE o quello RHCe. Nel primo caso (deleto), in cui D VI è associato alla combinazione ce nell'aplotipo cd VI E, una delezione fra gli esoni 4, 5 e 6 del gene RHD avrebbe dato origine ad una proteina di 266 aminoacidi, ben 151 in meno rispetto all'antigene RhD normale, formato, come precedentemente riferito, da 417 aminoacidi. Nel tipo II (convertito), con aplotipo CD VI e il segmento di DNA del gene RHD compreso tra gli esoni 4, 5 e 6 sarebbe stato sostituito da un'equivalente regione del gene RHCe, generando un ibrido "D-Ce-D", composto dagli esoni 1, 2 e 3 del gene RHD da quelli 4, 5 e 6 del gene RHCe e, ancora, dagli esoni 7, 8, 9 e 10 del gene RHD; ovviamente, in questo secondo caso, il numero degli aminoacidi resta invariato (417). Avent e coll hanno, invece, identificato, in campioni di fenotipo cd VI E, un ibrido tra il gene RHD ed il gene RHcE: nella sequenza D-cE(4,5)-D. Analizzando aplotipi CD VI e, hanno ottenuto ibridi analoghi a quanto riscontrato da Mouro et al. 24, cioè: D-Ce (4-6)-D, come illustrato dalla figura 2 (da Avent et al. 26 ). L'analisi molecolare di altre categorie RhD parziali ha consentito di associare alcuni epitopi ad altre ricombinazioni tra i geni RHD ed RHCE, con generazione di ibridi di struttura D-CE-D oppure CE-D-CE. Cartron e coll. 27 hanno descritto uno scambio D-CE tra gli esoni 2 e 3, rispettivamente nei fenotipi D IIIb e D IIIc : D-CE(2)-D; D-CE(3)-D. Nel fenotipo D IVa i segmenti trasferiti non risulterebbero contigui, ma interesserebbero gli esoni 3 e 7: D-CE (3#,7#)-D (# indica parziale conversione dell'esone). Gli Autori 27 propongono un ipotetico modello molecolare che correla le posizioni di alcuni aminoacidi con l'espressione degli epitopi dell'antigene D. Le sostituzioni transmembrana o intracitoplasmatiche sarebbero cruciali per modulare la conformazione delle proteine Rh D, come illustrato dalla figura 3. Altri fenotipi D "parziali" sarebbero associati a mutazioni puntiformi del gene RHD. Per esempio, il fenotipo D VII risulta da una mutazione all'esone 2 del gene D, per cui, in posizione 110, viene generata una prolina anziché una leucina 28. A differenza dei fenotipi D "parziali", caratterizzati dalla assenza di uno o più epitopi, il fenotipo un tempo denominato D u e oggi, più pertinentemente, D "debole" (weak D), presenta una alterazione quantitativa e non qualitativa dell'antigene. In tale fenotipo, l'antigene D è presente sulla membrana eritrocitaria con un numero di siti antigenici ridotto, in media, da un quinto a un decimo dei siti antigenici dei normali fenotipi Rh D positivi Non sono, invece, coinvolti i geni del locus RHCE, in quanto l'espressione degli antigeni della serie C/c ed E/e risulta assolutamente nei limiti di norma 9. Rouillac et al. 30 hanno rilevato le usuali sequenze RhD ma un livello ridotto dei trascritti di RNAm, a sostegno di una differenza quantitativa tra fenotipi RhD normali e quelli "deboli". Beckers et al. 32 hanno riscontrato nei campioni analizzati usuali sequenze e trascritti del gene RHD e hanno, invece, ipotizzato che il D weak non sia causato da difetti nella regolazione del processo di trascrizione ma, piuttosto, da fattori che coinvolgono l'intero complesso genico RH o da un non ancora identificato gene soppressore. Non mancano, peraltro, studi che ipotizzano una causa molecolare per l'origine dei fenotipi D "deboli". Wagner e collaboratori 33, in 161 campioni di tali fenotipi, hanno rilevato 16 tipi molecolari differenti, più due alleli caratteristici dei fenotipi D "parziali". Nessuno dei campioni analizzati presentava una sequenza esonica normale. La sostituzione di aminoacidi era localizzata nei segmenti di proteina intracellulari e transmembrana. Secondo gli Autori 33, la genotipizzazione con il sequenziamento di tutti i 10 esoni del gene RHD potrebbe indirizzare verso trasfusioni con sangue Rh negativo i soggetti D weak portatori di proteine alterate e, quindi, potenzialmente a rischio di sviluppare anticorpi. Accanto a questo tipo di D "debole" (che viene identificato, forse con imperfetta nomenclatura, come "ereditario") esiste, poi, il tipo cosiddetto "da interazione genica", nel quale l'espressività D viene depressa dai geni RHCe o RHCE in posizione trans (su un aplotipo privo del gene RHD), come evidenziato per la prima volta da Ceppellini et al. 34. Il fenomeno della depressione sul prodotto di un gene esercitato da un gene portato sul cromosoma omologo è fenomeno non raro in natura e viene identificato, in genetica formale, come processo di epistasia (tanto che si può parlare di D "debole" epistatico). Nel D "debole" su base epistatica né la sequenza nucleotidica 65

7 G. Reali e O. Perrone Figura 2: rappresentazione ipotetica dell'antigene D e delle varianti D VI come conseguenza degli ibridi tra i geni RHD e RHCE (da Avent et al. 26 ) del gene RHD né il polipeptide RhD presentano, ovviamente, alterazioni apprezzabili. Prima di abbandonare l'argomento riguardante l'antigene D, le sue forme "parziali" e quelle "deboli" è anche da segnalare come la classificazione in soggetti Rh D-positivi (gli Rh positivi per antonomasia) e in soggetti Rh D-negativi sia soprattutto valida fra i caucasici, dove i primi rappresentano circa l'85% della popolazione (mentre, chiaramente, il restante 15% risulta Rh negativo), anche se sono descritte eccezioni 35,36. Ricercando la presenza del gene RHD si è rilevato, infatti, soprattutto nella popolazioni non caucasiche, un'alta frequenza di soggetti con fenotipo RhD negativo e genotipo RHD positivo. Si formula l'ipotesi che essi abbiano il gene RHD intatto, ma inattivo, a causa di possibili mutazioni o crossing-over (Aubin et al. 37 ). Assai meno indagate le caratteristiche biomolecolari degli antigeni delle serie C/c ed E/e. Da indagini effettuate da Mouro et al. 38, risulta che l'antigene C differisce 66

8 Acquisizioni sul sistema Rh Figura 3: modello ipotetico che correla le posizioni critiche di alcuni aminoacidi con le espressioni degli epitopi D (da Cartron et al. 27, modificato) dall'antigene c per sole 4 sostituzioni nucleotidiche a livello degli esoni 1 e 2: tali sostituzioni determinano, nel polipeptide, lo scambio della cisteina in posizione 16 con il triptofano, dell'isoleucina 60 con la leucina, della serina 68 con l'aspartato e della serina 103 con la prolina. Ancor meno rilevanti le differenze fra l'antigene E e l'antigene e. In realtà, sembra trattarsi di una sola sostituzione nucleotidica a livello dell'esone 5: la prolina, presente in posizione 226 nella catena aminoacidica dell'antigene E, viene sostituita da un'alanina e ciò da origine all'antigene e. Il fatto che siano scarse le diversità fra le due serie di antigeni rende edotti del perché l'immunizzazione verso questi antigeni (con la possibile eccezione di quello c) sia assai rara 9. Anche per quanto riguarda le possibili varianti che interessano gli antigeni C/c ed E/e le indagini sono limitate (anche per le obiettive difficoltà di reperire i campioni pertinenti). Tali varianti possono rivestire importanza pratica, sia in laboratorio (per quanto riguarda i test di tipizzazione) che in clinica (per la, sia pur molto rara, possibilità di immunizzazione). Ben studiati gli antigeni C W e C X. C W deriverebbe dalla sostituzione di aminoacidi in posizione 41 della proteina Rh con produzione di arginina al posto di glicina, conseguente alla transizione nucleotidica adenina guanina a livello dell'esone 1 del gene RHCE, mentre C x sarebbe conseguente alla transizione inversa (guanina adenina) sempre a livello del primo esone, con produzione di treonina al posto dell'alanina in posizione 36 della catena polipeptidica 39. È stata indagata 40 una variante dell'antigene E in un soggetto giapponese ed è risultato che essa era il prodotto di un ibrido ce-d-ce: parte dell'esone 5 del gene RHcE era stata rimpiazzata da parte dell'esone 5 del gene RHD. Come risultato di questa conversione genica, si avevano le seguenti sostituzioni nella catena polipeptidica: acido glutammico al posto della glicina in posizione 233 e valina al posto della metionina in posizione 238. La variante è stata identificata perché le emazie che la presentavano reagivano molto debolmente con alcuni sieri monoclonali. Mancano studi approfonditi sulle caratteristiche biomolecolari delle varianti dell'antigene e. Come è noto, queste varianti sono assai numerose ma riguardano soprattutto soggetti di razza negra (soprattutto viventi in Africa) ed è, di conseguenza, difficoltoso il reperimento di campioni. Per di più, la confusione di sigle, le diversità di interpretazione dei dati sierologici, le differenti teorie genetiche fornite dai molti Autori che si sono interessati all'argomento 9 richiederebbero una lunga disquisizione che non è possibile trattare qui. Anche se non appartiene al cinque "classici" antigeni Rh (D, C, c, E, e), l'antigene G riveste notevole rilevanza sia perché la sua esistenza ci rende conto di alcune 67

9 G. Reali e O. Perrone incongruenze sierologiche nelle indagini di specificità anticorpali (produzione di anticorpi ad apparente specificità anti-c in carenza di una accertata stimolazione da parte di questo antigene 9 ) sia perché lo studio delle sue caratteristiche biomolecolari è stato in grado di offrirci ulteriori conoscenze sui geni RH. Dato che l'antigene G è praticamente sempre presente in combinazione con gli antigeni C e/o D, almeno una delle similarità nelle regioni codificanti RHD ed RHCE che esistono a livello del esone 2 debbono essere coinvolte nella produzione del polipeptide G 38. Faas et al. 41 hanno studiato il DNA genomico di due donatori dal raro fenotipo ccdee ma G negativo e, al contrario, di un donatore ccdee ma G positivo. In entrambi i primi donatori si è potuta evidenziare una singola sostituzione all'esone 2 del gene RHD che determinava la presenza di una prolina in posizione 103 al posto di una serina, mentre per il soggetto G positivo ma C e D negativo la situazione era più complessa, nel senso che esisteva un ibrido D-CE-D, con gli esoni 1, 2, 3, 9 e 10 provenienti dal gene RHD e gli esoni 4, 5, 6, 7 provenienti dal gene RHcE (l'origine dell'esone 8 non si è potuta accertare), ma anche in questo caso il fatto che l'esone 2 provenisse dal gene RHD confermava l'importanza della serina in posizione 103 nel determinare la comparsa dell'antigene G nel polipeptide Rh. Questi dati sono in totale concordanza con i risultati di uno studio sulla natura dell'antigene D IIIb, che è G negativo, e nel quale l'esone 2 del gene RHD è sostituito dall'esone 2 del gene RHc, come accertato dalle ricerche condotte da Rouillac et al. 42. Basi molecolari dei principali aplotipi Rh "difettivi", "bizzarri" o "deleti" Chi si interessa di immunogenetica Rh sa che sono stati descritti numerosi aplotipi RH comprendenti antigeni modificati, alterati o variati, il più spesso caratterizzati da notevole depressione di alcune espressività antigeniche ma anche da sostituzioni dei classici antigeni con altri consimili (ma non identici) e dalla presenza di "nuovi" antigeni Rh che funzionano da veri e propri marcatori di questi strani aplotipi. Molto spesso la depressione di alcuni antigeni è controbilanciata dall'aumento di espressività di altri. Non mancano, infine, aplotipi che contemplano la totale assenza di uno o due degli antigeni classici; anzi, questi rappresentano la casistica meglio conosciuta e studiata. È in pratica impossibile elencarli tutti (il loro numero cresce quasi costantemente) ed è anche difficile tentarne una lista razionale. Issitt e Anstee, nel loro monumentale volume più volte richiamato 9, suggeriscono una loro (parziale) classificazione nei seguenti quattro gruppi: aplotipi correlati al complesso genico R 1, aplotipi correlati al complesso genico R o, quelli correlati al complesso R 2 e quelli correlati al complesso r. Gli Autori tengono, comunque, a precisare che tali correlazioni sono ipotetiche e speculative, avanzate soprattutto per cercare di dare una certa sistematicità all'esposizione e ribadiscono, inoltre, che nei loro elenchi non sono contemplati tutti questi bizzarri aplotipi. La difficoltà di reperire i campioni ha impedito lo studio biomolecolare della maggior parte di essi, ma è stato possibile condurre indagini soprattutto sui più noti e indagati aplotipi "deleti" (anche perché disponibili in situazioni omozigotiche): ci si riferisce a D- -, D.., Dc-, DC w -. In combinazione omozigote, l'aplotipo D- - è noto come "Rh parzialmente deleto": sono totalmente assenti, infatti, i prodotti dei geni RHCE, mentre l'espressività dell'antigene D risulta, il più spesso, estremamente aumentata [il numero dei siti antigenici D passa da un massimo di circa rinvenibile nelle "normali" emazie di fenotipo R 2 R 2 (il più ricco di siti D) a ]. Sottoponendo a indagini genomiche un campione di emazie omozigoti D- -/D- - (donatore Gou, di origine francese), Chérif-Zahar et al. 43 non hanno rilevato mutazioni né riarrangiamenti e hanno ipotizzato una ridotta attività trascrizionale del gene RHCE. In altri campioni di tali emazie, nonché in un campione di emazie omozigoti per l'aplotipo D.., Blunt et al. 36 hanno evidenziato, invece, la completa delezione dei geni del locus RHCE con la sola possibile presenza dell'estremità 5' in un soggetto d'origine islandese. In emazie di una donatrice italiana (LM), procurate da uno di noi (GR), Huang et al. 44 hanno identificato un'ampia delezione che interessava il gene RHCE dall'esone 2 a tutto l'esone 9. Successivi studi condotti dal gruppo francese di Chéerif-Zahar 45 sulle stesse emazie LM hanno fatto concludere che, in questo caso, erano presenti due trascritti RNA inusuali dovuti, uno a un ibrido CE-D-CE-D (esoni 1 e 9 dal gene RHCE, esoni dal 2 all'8 e l'esone 10 dal gene RHD) e l'altro da un ibrido D-CE (composto dagli esoni da 1 a 9 di origine dal gene RHD e dall'esone 10 di origine dal gene RHCE). Secondo gli Autori, le proteine codificate da questi geni riarrangiati trasporterebbero gli epitopi D ma non quelli CcEe, il che spiegherebbe le proprietà sierologiche di queste emazie D- -, cioè il cospicuo aumento della espressività dell'antigene D e la totale assenza degli antigeni della serie Cc/Ee. I risultati ottenuti nello studio delle emazie LM sottolineano anche l'importanza di indagare i trascritti RNA oltre che il DNA genomico. Sempre in soggetti D- -/D- -, Kemp e collaboratori 46 hanno individuato ibridi in cui sequenze interne dei geni RHCE erano sostituite da corrispondenti sequenze del gene RHD. Infine, per concludere l'argomento relativo agli aplotipi "parzialmente deleti", segnaliamo che Chérif-Zahar et al. 43, in un donatore con complesso genico 68

10 Acquisizioni sul sistema Rh Dc-, hanno riscontrato un ibrido CE-D-CE nel quale gli esoni dal 4 al 9 derivavano dal gene RHD, mentre, in un donatore con complesso DC w -, gli esoni di derivazione dal gene RHD che producevano lo stesso tipo di ibrido (CE- D-CE) erano quelli dal 2 al 9. Basi molecolari dei fenotipi totalmente difettivi Rh null ed Rh mod Il fenotipo Rh null (definizione suggerita verbalmente a Levine da Ceppellini, che ha coniato, con altrettanta fortuna, anche un altro termine, largamente adottato in immunogenetica, cioè quello di aplotipo) è caratterizzato dalla mancanza degli antigeni Rh e dalla assenza o dalla ridotta espressività di altri antigeni o determinanti in qualche modo collegati con il complesso Rh (LW a, LW b, LW ab, U, Fy5, s, proteina CD47) 9. Il primo caso venne descritto, nel 1961, da Vos et al. 47 in una aborigena australiana, cercatrice d'oro nel deserto occidentale. L'impossibilità di eseguire indagini familiari impedì lo studio del sottofondo genetico di questo primo caso. Oggi sappiamo che alla base del fenotipo Rh null ci sono due differenti meccanismi genetici, uno dovuto all'azione di un gene regolatore-soppressore portato da un locus diverso dal locus RH ed un secondo, dovuto all'azione di un gene amorfo, situato proprio sul locus RH 9. Il primo vero studio sul tipo "regolatore" venne condotto estensivamente da Levine et al. 48 nella famiglia di una donna che aveva genitori, figli e alcuni zii con marcata depressione degli antigeni Rh. La proposita, pur essendo priva degli antigeni Rh, era stata in grado di passare alla prole un normale complesso R 1 (CDe). Gli Autori, valutando i dati della famiglia, avevano dato la seguente interpretazione: la stragrande maggioranza della popolazione possiede un gene, denominato X 1 r, che prepara il substrato sul quale i geni RH possono agire. I soggetti Rh null di tipo "regolatore" ereditano, invece, due rari geni soppressori, indicati con X r, che determinano l'incapacità a fornire il substrato, sul quale agiscono, in successione, i geni RH. I familiari della proposita che presentano una ridotta espressività degli antigeni Rh sono, evidentemente, eterozigoti X 1 r/x r. Il passaggio del complesso R 1 dai soggetti di fenotipo Rh null ai figli dimostra, inoltre, che i portatori di questo tipo di Rh null hanno geni RH normali, ma incapaci di esprimersi per mancanza di sostanza di base. Questo studio familiare dimostra anche che sia i geni X 1 r che quelli X r non sono situati sul locus RH. Da segnalare che, anche se la maggioranza dei soggetti eterozigoti X 1 r/ X r mostra espressività ridotta dei comuni antigeni Rh, ciò non avviene con regolarità 49. Nell'altro tipo di Rh null, descritto per la prima volta da Ishimori e Hasekura nel , l'ipotesi dell'esistenza di un gene amorfo derivava dallo studio familiare. Infatti, il propositus aveva il padre di (apparente) fenotipo R 2 R 2, la madre di (apparente) fenotipo R 1 R 1 e un fratello di (apparente) fenotipo R 2 R 2 : si evidenziava, quindi, un'evidente esclusione di maternità. Risulta, infatti, evidente che, se non si ammette l'esistenza di un gene amorfo al locus RH, il fratello R 2 R 2 non può essere figlio di una donna fenotipicamente R 1 R 1. Esso doveva, quindi, essere (e in effetti, era) eterozigote per il gene amorfo, mentre appariva fenotipicamente omozigote per l'unico complesso genico palese, ereditato dal padre. La natura molecolare del fenotipo Rh null è stata ed è tuttora oggetto di numerose ricerche. Il tipo "amorfo" avrebbe origine, in alcuni casi, da una larga delezione al locus RH o, in altri casi, da mutazioni o delezioni nell'unico gene RHCE presente in soggetti D negativi. Chérif-Zahar et al. 51, hanno descritto due campioni appartenenti a soggetti non correlati di fenotipo Rh null "amorfo", nei quali i trascritti dei geni RHAG e CD47 apparivano normali, il gene RHD era assente e il gene RHCE presentava mutazioni. Nel primo propositus, il nucleotide guanina era stato sostituito da timina al terminale 5' dell'introne 4 del gene RHCE. La mutazione aveva determinato l'inserzione di uno stop codon precoce con l'interruzione della trascrizione nucleotidica nel polipeptide RhCE. Nel secondo caso la sequenza nucleotidica Timida-Citosina-Adenina (TCA) nell'esone 7 del gene RHCE in posizione , era sostituita da citosina: si creava una proteina più corta, costituita da 398 aminoacidi, anziché 417, organizzata in 10 domini invece di 12, con una sequenza terminale di 76 aminoacidi, diversa dal normale. Huang e collaboratori 52 hanno riportato i risultati relativi a una famiglia di origine tedesca (descritta 26 anni prima 53 ) con due fratelli Rh null, anch'essi di tipo "amorfo". In tutti i componenti la famiglia i trascritti dei geni RHAG e CD47 erano normali. Nei due soggetti Rh null il gene RHD era assente, mentre nel gene RHCE era presente una doppia mutazione a livello dell'esone 7, il che ha causato due delezioni nucleotidiche: la sequenza ATT è diventata AT al livello del codon 322, mentre la sequenza CAC è diventata CC a livello del codon 323. La mutazione ha dato origine ad una proteina di 398 aminoacidi che ha perso due segmenti transmembrana e ha acquistato una nuova sequenza terminale. La struttura tridimensionale della proteina risulterebbe alterata, causando interferenza sull'inserimento del sistema Rh nella membrana dei globuli rossi. Gli Autori ipotizzano che la proteina sia inserita nella membrana, ma non risulti accessibile agli anticorpi, la cui funzionalità è strettamente dipendente dalla 69

11 G. Reali e O. Perrone conformazione 52. I più recenti studi di biologia molecolare effettuati su Rh null di tipo "regolatore" (che è anche la più comune forma di Rh null ) hanno consentito di accertare che i trascritti dei geni del locus RH (così come quelli del gene che codifica la proteina CD47) sono assolutamente normali, mentre sono alterati quelli al locus RHAG. Infatti, Chérif- Zahar et al. 17 hanno esaminato due Rh null di tipo "regolatore" non correlati, il primo di origine spagnola ed il secondo californiano, nei quali sono risultati presenti e normalmente funzionanti entrambi i geni RHD ed RHCE. Nel gene RHAG del primo paziente è stata, invece, individuata una delezione di 122 nucleotidi, corrispondente all'intero trascritto dell'esone 7, che ha generato una proteina di 351 aminoacidi (anziché di 409 come nella normale proteina RhAG), con 36 aminoacidi diversi rispetto all'usuale sequenza della regione carbossilica terminale. Verosimilmente, la proteina assume un diverso orientamento, oppure, essendo instabile, subisce una degradazione e, comunque, non è trasportata alla superficie cellulare. Gli Autori ipotizzano che la regione C- terminale della proteina RhAG sia cruciale per assemblare o trasportare il complesso Rh sulla membrana eritrocitaria: se subentrano carenze o modifiche, il polipeptide Rh non si esprime o si deforma tanto da non essere riconosciuto dagli anticorpi specifici. Nel secondo soggetto, la sostituzione di una guanina con una adenina alla prima base dell'introne 1 del gene RHAG darebbe origine ad una bassa attività di trascrizione, oppure alla produzione di RNAm instabile. Non è stata riscontrata, infatti, la produzione di RNAm maturo. Ancora, Huang et al. 3 hanno individuato, in un soggetto di fenotipo Rh null "regolatore" di origine australiana, normali sequenze e trascritti dei geni RHD ed RHCE, e la presenza di due mutazioni nel gene RHAG, eterozigote: in un allele la sostituzione di una guanina con una adenina alla posizione 1 dell'introne 1, con produzione di precursori di RNAm instabili che andrebbero incontro a degradazione per cui non si riscontrerebbe RNAm maturo, e, nell'altro allele, sempre una trascrizione G in A, in posizione 836 dell'esone 6, dalla quale origina una proteina che presenta glicina al posto di acido glutammico alla posizione 279 del dominio transmembrana. La sostituzione della glicina da parte dell'acido glutammico, a carica elettrica negativa, modificherebbe l'idrofobicità della proteina, alterandone la conformazione e distruggendo il collegamento tra il polipeptide Rh e la proteina RhAG. L'acido glutammico in posizione 279 potrebbe, inoltre, causare un difetto nella rotazione cellulare della proteina. Da ultimo, la proteina difettosa potrebbe essere vulnerabile alla proteolisi e, quindi, essere instabile. Le regioni carbossiliche terminali della proteina RhAG interagirebbero con quelle delle proteine Rh per formare il complesso Rh di membrana, come si evidenzia nella figura 4, tratta da Huang et al. 3, che mantiene, ovviamente, la nomenclatura utilizzata dagli Autori. Dalla figura si evince, anche, la personale interpretazione di Huang et al. 3 del sottofondo genetico alla base della codifica degli antigeni Rh. Per questi Autori, i polipeptidi Rh (da loro indicati come Rh30) e la glicoproteina RhAG (da loro indicata come Rh50) sono codificati da geni sistemati su loci diversi (cromosoma 1 per i polipeptidi Rh e cromosoma 6 per la glicoproteina, come precedentemente sottolineato) ma l'azione combinata di questi geni è essenziale perché gli antigeni Rh si possano esprime compiutamente. Si tratta, peraltro, della teoria genica più accreditata e accettata: l'unica riserva riguarda l'uso di una nomenclatura non corretta. Da quanto sopra si può anche dedurre come, sempre per questi Autori 3,17, il gene RHAG mutato rappresenti l'ipotetico allele X r, ovvero il gene "soppressore" che impedisce il trasporto e/o la sistemazione del complesso Rh sulla membrana dei globuli rossi e ostacola, quindi, l'espressione fenotipica Rh, mentre il gene RHAG normale corrisponderebbe al normale gene "regolatore" (X 1 r). Notoriamente, la condizione Rh null è associata ad un difetto della membrana eritrocitaria, che determina un accorciamento della sopravvivenza in circolo e causa una anemia emolitica (Rh null disease 54 ) occasionalmente grave, ma molto più spesso così modesta da essere rilevata solo con indagini mirate. Le manifestazioni cliniche associate alla Rh null disease derivano dall'assenza o dalle modificazioni delle proteine Rh, necessarie per l'integrità della membrana cellulare, che risulta, quindi, alterata. Segni tipici di questa sindrome sono: stomatocitosi, sferocitosi, aumentata fragilità osmotica, alterato trasporto dei cationi, anormale organizzazione dei fosfolipidi di membrana. Un fenotipo molto simile, anche se non identico, a quello Rh null è stato descritto nel 1972 da Chown et al. 55 in una donna canadese, genotipicamente R 1 R 2, i cui antigeni Rh erano tutti marcatamente depressi. A tale fenotipo (del quale si sono evidenziati, in seguito molti altri esempi 9 ) è stato dato il nome di Rh mod (modified, modificato). Questo fenotipo, in analogia con il fenotipo Rh null "regolatore", appare controllato da un gene autosomico soppressore 9. Forse, il tipo Rh mod riflette o l'incompleta penetranza delle mutazioni del gene RhAG oppure altre mutazioni sconosciute. Mancano studi approfonditi di biologia molecolare su campioni di questo fenotipo. Comunque, in uno studio condotto su un soggetto Rh mod, che presentava tracce degli antigeni Rh (testimoniate da tecniche di assorbimento ed eluizione di anticorpi anti-rh) e un basso livello di proteine RhAG in citometria a flusso ed in Western 70

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