D ialoghi. Giulio Albanese. Pina De Simone. Oliviero Forti. Antonio Golini. Antonio Massarutto. Franco Monaco. Francesca Pasquali.

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1 Dialoghi Rivista trimestrale Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2 - CNS/AC ROMA - ISSN D ialoghi Un mondo da condividere ANNO VIII SETTEMBRE 2008 Numero 3 Euro 8,00 Giulio Albanese Pina De Simone Oliviero Forti Antonio Golini Antonio Massarutto Franco Monaco Francesca Pasquali Mario Picozzi

2 Dialoghi per un progetto culturale cristianamente ispirato Direttore Luciano CAIMI Direttore responsabile Paola BIGNARDI Anno VIII, n. 3 Rivista trimestrale promossa dall Azione Cattolica Italiana in collaborazione con l Istituto Vittorio Bachelet e con l Istituto Paolo VI Comitato di direzione Luigi ALICI, Piermarco AROLDI, Luciano CAIMI, Giacomo CANOBBIO, Giuseppe DALLA TORRE, Gian Candido DE MARTIN, Pina DE SIMONE, Roberto GATTI, Pier Giorgio GRASSI, Francesco MALGERI, Francesco MIANO, Marco OLIVETTI, mons. Domenico SIGALINI, Matteo TRUFFELLI. Redazione Giovanni GRANDI (coordinatore), Antonio MARTINO. Promozione Rosella GRANDE Comitato scientifico Pasquale ANDRIA, Renato BALDUZZI, mons. Giuseppe BETORI, Giandomenico BOFFI, Francesco BONINI, Mario BRUTTI, Paolo BUSTAFFA, Giorgio CAMPANINI, Francesco Paolo CASAVOLA, Lorenzo CASELLI, Carlo CIROTTO, Piero CODA, Francesco D AGOSTINO, Attilio DANESE, Antonio DA RE, Cecilia DAU NOVELLI, Giulia Paola DI NICOLA, Franco GARELLI, Claudio GIULIODORI, mons. Francesco LAMBIASI, Gildo MANICARDI, Ferruccio MARZANO, Paolo NEPI, Lorenzo ORNAGHI, Orazio Francesco PIAZZA, Antonio PIERETTI, Ernesto PREZIOSI, Paola RICCI SINDONI, Armando RIGOBELLO, Franco RIVA, Ignazio SANNA, Pierangelo SEQUERI, Angelo SERRA s.j., Marco VERGOTTINI, Carmelo VIGNA, Francesco VIOLA, Stefano ZAMAGNI, Sergio ZANINELLI. Editrice Fondazione Apostolicam Actuositatem Sede legale: Via Conciliazione Roma Uffici e redazione: Via Aurelia Roma Tel. 06/ Fax 06/ dialoghi@azionecattolica.it area.editoriale@azionecattolica.it Progetto grafico e impaginazione Giuliano D Orsi In copertina Camille Pissarro, Boulevard Mont Martre a Parigi, 1897 Illustrazioni interne Tratte dal volume C. Ripa Baroque and Rococo. Pictorial imagery. Dover publications, Inc., 1971 Stampa So.gra.ro. Roma Reg. Trib. di Roma iscr n. 133/2001 del 3/4/2001 Tiratura: copie Finito di stampare nel mese di ottobre 2008

3 Editoriale Se bastesse la nazionale di calcio... 2 Luciano Caimi Primo Piano Bioetica. Il diritto di morire e i doveri della politica 6 Mario Picozzi Dossier: Un mondo da condividere Popoli in cammino. La sfida e le opportunità Antonio Golini 20 Afriche. Un passato diverso e un futuro comune Giulio Albanese 30 Acqua. Un dono e il suo prezzo Antonio Massarutto 38 Informazione. Perché l accesso non basta Francesca Pasquali 46 Migranti. L Europa e la sua (in)coscienza Oliviero Forti 52 Governare il mondo: si può e si deve! Franco Monaco 60 Riconoscere per condividere. La via del bene Pina De Simone 64 Eventi e Idee Scienza e fede, binomio possibile Giovanni Bachelet 70 Myanmar, mondo perduto Feliciano Monti 76 Serie Tv. Il fascino ambiguo della fiction Usa Piermarco Aroldi 81 Il Libro e i Libri Bibbia. Nella lingua degli uomini Flavio Dalla Vecchia 86 Spunti per una cittadinanza senza confini Irene Di Dedda 90 Quando i numeri si fanno lettere Katia Paoletti 95 Profili Carlo Carretto. Povertà è libertà Gian Carlo Sibilia 102 SOMMARIO 1

4 EDITORIALE Se bastasse la nazionale di calcio... EDITORIALE Luciano Caimi Questa volta lo stellone portafortuna non è stato dalla nostra. La nazionale di calcio se ne è tornata mesta dagli europei austro-elvetici. Diversamente da altre esperienze, l euforia dei tifosi non ha potuto esplodere. Sono lontane le scene di esaltazione collettiva dei mondiali di Spagna 1982, le notti magiche di Italia 90 e il travolgente entusiasmo di Germania 2006, con il capitano Cannavaro che alzava al cielo, nello stadio di Berlino, la coppa di un trionfo tanto straordinario quanto inatteso. Certo, i campionati del mondo sono altra cosa rispetto a quelli europei, però anche questi contano. Soprattutto in una società come la nostra, dove l impresa sportiva, ingigantita dai media, funge da prestigiosa vetrina di un Paese. I politici lo sanno bene, tant è che si mostrano solleciti nel cavalcare gioie e passioni popolari legate agli eventi dello sport, sperando, con ciò, anche in un ritorno d immagine e di credito per se stessi e per la parte rappresentata. Non sono fra coloro che guardano con sussiego i successi sportivi. Vincere nelle competizioni internazionali è molto difficile e, proprio per questo, assai prestigioso. Chi ci riesce (in maniera pulita) dimostra di avere dalla sua qualità importanti: coraggio, preparazione, tenacia, organizzazione, tecnica, fantasia. Un risultato di spicco in uno sport praticato a livello planetario come il calcio ben venga. Concorre a dare lustro al Paese; conferisce una buona dose di entusiasmo e fiducia collettivi, che, di sicuro, non guastano. Naturalmente, non si può chiedere ai pur importanti trionfi sportivi più di quanto siano in grado di offrire. L immagine e la realtà effettiva di una nazione dipendono da fattori (istituzioni, politica, economia, lavoro, cultura, istruzione...) di ben altra consistenza rispetto allo sport. 2

5 Ed è proprio dalla considerazione di questi fattori che, come mostrano del resto parecchie indagini, emerge il profilo complessivo di un sistema- Italia in difficoltà. Arrancano economia, produzione, consumi; il potere d acquisto delle famiglie si è considerevolmente ridotto; cresce il numero di coloro che si trovano sotto la soglia di povertà; la disoccupazione nel Sud resta grave e numerose persone (anche giovani) si arrendono dinanzi alla difficoltà di trovare un lavoro decente. Insomma, il Paese dà persistenti segni di fatica e mostra scarsa fiducia nel futuro (sintomatico, fra l altro, il debole tasso di natalità). Vittima di paure, motivate in parte da fatti reali (rapine, stupri, estorsioni ) in parte da rappresentazioni predisposte ad arte, una larga quota di connazionali sembrano ripiegati su di sé. Si sentono sotto assedio, insidiati da nemici di diverso tenore e consistenza, ma tutti di difficile controllo: immigrazione, globalizzazione economica e industriale, speculazione finanziaria. Nascono così reazioni e interventi di varia fattura per proteggere beni e interessi concreti, diritti acquisiti, identità socio-culturali (vere o presunte). Del resto, buona parte della più recente legislazione italiana va in tale direzione. Vi è un altro fenomeno che concorre ad accentuare le difficoltà del Paese: sono i corporativismi d ogni specie. Da essi viene una fiera resistenza a progetti seri di rinnovamento. Si teme, con ciò, di perdere rendite di posizione acquisite nel tempo. Ma, in un mondo di vertiginosi mutamenti non è pensabile di reggere le sfide sul tappeto restando fermi, per amore di conservazione e/o paura del rischio. Certo, c è cambiamento e cambiamento. Non ogni proposta innovativa, specialmente in settori nevralgici della vita del Paese (istituzioni, lavoro, Welfare, sanità, giustizia, immigrazione, istruzione...), è di per sé sinonimo di reale progresso. Occorre, al riguardo, esaminare e valutare attentamente. Con tutta onestà, possiamo dire che l attivismo legislativo dell ultimo periodo, specialmente in tema di giustizia e sicurezza, non ci lascia tranquilli. Se al corporativismo sommiamo il trionfante localismo di questi anni, i motivi di preoccupazione crescono. Non è in discussione il processo, da tempo avviato, di un progressivo decentramento di funzioni e responsabilità agli enti locali, nel segno di uno sviluppo delle autonomie. Piuttosto, desta motivo di allerta la cultura, imperante al Nord, delle piccole patrie in polemica con lo Stato nazionale. Sul fenomeno e sulle sue cause si è scritto in abbondanza. Rimangono, in ogni caso, forti timori dinanzi a ipotesi di riforme istituzionali che prefigurerebbero un Paese, nei fatti, diviso, con doppie e triple velocità, refrattario al principio di solidarietà nazionale. In questa situazione di staticità economica, di corporativismi dilaganti, di localismi grintosi, cui vanno annessi conflitti d interesse macroscopici (che riguardano non solo l attuale presidente del Consiglio, ma nume- LUCIANO CAIMI 3

6 EDITORIALE rosi altri esponenti della classe politica), diventa problematico ipotizzare un futuro di crescita unitaria e solidale dell intero Paese. V è chi ha fatto notare che manca una mission capace di convogliare energie, impegni comuni, magari anche qualche entusiasmo non effimero come quello delle citate notti magiche calcistiche. Si osserva da varie parti che l ultima impresa nella quale gli Italiani sono stati chiamati a misurarsi con una sfida di grandi proporzioni fu l ingresso nell euro. È vero. Però quel traguardo venne raggiunto per la tenacia di alcuni uomini al vertice delle istituzioni nazionali (Carlo Azeglio Ciampi e Romano Prodi su tutti), più che per un movimento dal basso. Del resto, i sostenitori della difficile impresa dovettero faticare non poco per imporsi ai molti euroscettici dell epoca. Oggi non s intravede una mission significativa, capace di suscitare adesioni e impegni diffusi su larga scala nel Paese. Non mi sembrano attrarre reali interessi il processo di consolidamento dell Unione Europea (anzi...), né (purtroppo) i problemi connessi alle riforme costituzionali. La maggior parte degli italiani, verrebbe da dire, ha altro a cui pensare Orbene, la ri-animazione di un Paese stanco e frammentato come il nostro, tesa a favorire senso di appartenenza collettiva e convergenze solidali fra i cittadini dall uno all altro capo della Penisola, è impresa ardua, ancorché doverosa e quanto mai urgente. Scontiamo una perdurante situazione d incompiutezza nazionale. Ci fa difetto il senso dello Stato, delle istituzioni, della cosa pubblica, della legalità. È carente, in definitiva, nelle classi dirigenti e a livello popolare, un ethos condiviso, inteso come sentire diffuso di valori civili e civici, ancorati nella Costituzione. Ovviamente, non basta denunciare una carenza, occorre indicarne anche le linee di possibile soluzione. Il compito è complesso. Bisogna, intanto, guardarsi dal credere che si tratti d impresa di breve durata e delegabile a qualche soggetto specifico. Nulla di più sbagliato. Siamo dinanzi a una sfida impegnativa e lunga, che richiede il concorso, auspicabilmente coordinato, di più enti e realtà. L esempio viene dall alto, si usa dire. È un pensiero corretto, che, nel caso nostro, sta a significare la necessità di potere finalmente contare su una classe politica e su ceti dirigenti consapevoli di dovere testimoniare per primi, nel quotidiano esercizio delle loro alte funzioni, coscienza etico-civica, rigore professionale e senso del bene comune. Purtroppo, lo spettacolo cui assistiamo quasi ogni giorno da parte di molti esponenti di quelle categorie non è dei più incoraggianti. Anzi, induce di frequente a considerazioni amare. Naturalmente, non tutto si decide ai livelli alti del sistema socio-istituzionale. Per promuovere coscienza civica e senso di appartenenza nazionale sono chiamate in causa le molteplici articolazioni intermedie e di base che compongono l articolata trama della convivenza civile. Mi rife- 4

7 risco a famiglia, scuola, comunità di fede, università, associazionismo, organismi culturali, volontariato, mass-media. Ciascuno di questi soggetti, all interno delle proprie competenze e funzioni, deve concorrere all opera ricostruttivo-formativa indicata, la quale, per nutrire possibilità di successo, dovrà essere il più largamente condivisa. «Fatta l Italia, bisogna fare gli Italiani», ammoniva Massimo d Azeglio al culmine dell epopea risorgimentale. Sono parole di circa un secolo e mezzo fa, che non hanno perso nulla del loro intrinseco valore. LUCIANO CAIMI Dialoghi porge un caloroso e fraterno saluto al professor Franco Miano, nuovo Presidente nazionale dell Azione Cattolica Italiana, augurandogli un fecondo servizio all Associazione, per il bene della Chiesa e dell intera comunità nazionale. 5

8 PRIMO PIANO La bioetica come spazio per il dono, contro la logica spersonalizzante del mercato: la gratitudine invece del principio d equivalenza. Anche le situazioni tragiche, in cui la vita viene posta in discussione fino al punto d essere negata, possono indurci a ragionare sulla ricchezza delle relazioni tra le persone. Su questo fronte è cruciale il ruolo della politica, chiamata a gestire l incertezza e la pluralità di diritti tra loro in contrasto. PRIMO PIANO Bioetica. Il diritto di morire e i doveri della politica Mario Picozzi La prima definizione sistemica di bioetica ha ormai compiuto 30 anni. Wilhelm Reich così la definì nel 1978, quando venne pubblicata la prima Enciclopedia di Bioetica: «Lo studio sistematico della condotta umana nell area delle scienze della vita e della cura della salute, in quanto tale condotta viene esaminata alla luce di principi e valori morali» 1. Oggi la disciplina ha acquisito un suo spazio riconosciuto sia a livello accademico, in diverse facoltà, sia in ambito istituzionale (si pensi al ruolo dei Comitati di Etica nella sperimentazione clinica). Allo stesso tempo i dibattiti bioetici hanno avuto grande rilevanza anche nella discussione pubblica, comportando talvolta fratture nella società civile, soprattutto rispetto alla non procrastinabile necessità di tradurre in legge questioni riguardanti temi di inizio e fine vita. Il presente contributo non si propone di fare un bilancio di questi primi 30 anni, né di ripercorrere le tappe più significative che hanno segnato la storia, ancorché breve, di questa disciplina. Ci limiteremo a indicare quali sono, a nostro parere, i temi che, emersi nella riflessione di questi decenni, costituiscono aspetti cruciali su cui la bioetica sarà chiamata a interrogarsi nel prossimo futuro. Più precisamente riteniamo vi sia una questione centrale, che in modo più o meno esplicito è presente in tutti i dibattiti, e che determina le differenti posizioni e le conseguenti risposte date ai quesiti bioetici. Un impostazione non Mario Picozzi è docente di Medicina Legale presso l Università degli Studi dell Insubria. Tra i sui scritti, ricordiamo: Manuale di deontologia medica (con M. Tavani e G. Salvati), Giuffrè, Milano

9 pertinente di tale questione rischia di pregiudicare le successive riflessioni. Pur volendo mantenere uno sguardo ampio, che tenga conto della riflessione condotta a livello internazionale, inevitabilmente avremo come sfondo di riferimento la situazione italiana, che indubbiamente ha sue specifiche peculiarità. Il punto centrale: la questione dell autonomia del soggetto La riflessione bioetica, pur con accentuazioni diverse, è attraversata dalla questione dell autonomia del soggetto: quale il peso da attribuire alla libera scelta degli individui? A quali condizioni il soggetto può dirsi realmente autonomo? Basti per esemplificare riferirsi ai temi di fine vita: chi può decidere se la propria vita sia degna di essere vissuta se non il soggetto stesso? È lecito sottrargli tale possibilità? Ma un soggetto affetto da una malattia grave è in grado di decidere? Quali i possibili condizionamenti, anche di ordine economico, che possono spingerlo a richiedere di porre fine alla sua vita, passando dal diritto a morire al dovere di morire? Detto in altri termini, è la diatriba, sorta inizialmente sul tema dell interruzione della gravidanza e riproposta sulla questione della fecondazione medicalmente assistita, tra i fautori della scelta e i sostenitori della vita. Siamo continuamente, soprattutto in Italia ma non solo, rinviati a due posizioni, al tempo stesso nette e inconciliabili, tra i difensori della qualità della vita da una parte e i protettori della sacralità della vita dall altra. Inevitabilmente ciò si traduce anche nei dibattiti politici e nella conseguente difficile se non impossibile impresa di giungere a soluzioni condivise su questioni, quali il nascere e il morire, che riguardano la possibilità stessa di sussistenza del vivere insieme. Ma realmente le due posizioni sono alternative? «La vita apprezzata come istanza sacra e sottratta ad ogni disponibilità ad opera dei soggetti implicati, diventa criterio materiale; la qualità della vita, d altra parte, quando sia apprezzata rimovendo l originario suo riferimento ad un istanza che supera la vita stessa e che è norma per la libertà del soggetto, diventa criterio solo psicologico, assegnato all insindacabile modo di sentire del singolo. La vita sacra, nel suo profilo dunque di istanza morale, non può essere definita ignorando la coscienza che l accompagna; e d altra parte la qualità della vita non può essere valutata senza far riferimento ai criteri oggettivamente iscritti nelle forme dell alleanza umana in genere, e rispettivamente nelle forme di quella che è stata chiamata alleanza terapeutica» 2. Come dire che «il giudizio su un azione sarebbe meno oggettivo se non considerasse il soggetto che pone o subisce tale azione; una norma morale intesa e applicata a prescindere dall intenzione degli agenti dal contesto MARIO PICOZZI 7

10 BIOETICA. IL DIRITTO DI MORIRE E I DOVERI... storico condurrebbe ad esiti materialistici e violentemente astratti. Ciò significa che la soggettività valutativa non può essere espunta, ma va istruita e preparata attraverso una metodologia decisionale prudente» 3. In ogni storia un soggetto è sempre oggettivamente coinvolto. La decisione, per esser la propria decisione, esige una scelta, dove l identità stessa del soggetto è chiamata in causa; questa scelta non è nota al soggetto a monte di ogni relazione, ma esattamente grazie alla relazione, dentro cui emergono le buone ragioni a favore di una determinata opzione. Il contrario di autonomia è eteronomia: ossia abdicare alla propria responsabilità. Mentre invece non vi è contrasto tra autonomia e dipendenza: anzi è solo consentendo al riconoscimento del mio debito verso l altro e conseguentemente verso il mondo intero (la cultura, le tradizioni) che il soggetto può decidere di sé. L autonomia non può essere punto di partenza: è approdo finale reso possibile dalla presenza dell altro. Non si tratta quindi di rinnegare l autonomia, ma di ripensarla a partire dalla storia e dal vissuto delle persone. Questo percorso relazionale per un discernimento rifugge da formule predeterminate e allo stesso tempo ammette soluzioni diverse, pur partendo da condizioni e contesti simili. Analogamente non si accontenta di prendere atto della decisione altrui; nessuna decisione è buona per il semplice fatto di essere presa in autonomia: quante decisioni sono esattamente frutto di atteggiamenti di omologazione, in cui il soggetto non sceglie, ma è eterodiretto. L odierna riflessione bioetica, soprattutto quella che trova spazio nei mass media, tende a semplificare e banalizzare, a volere il giudizio immediato e gridato, a costruire fazioni e cercare supporter dell una o dell altra tesi. È una trappola da cui rifuggire. Ma il non poter fare a meno del soggetto, che per decidere non può fare a meno dei soggetti che lo circondano, cosa comporta per le questioni bioetiche? Con alcune esemplificazioni cerchiamo di rendere conto delle conseguenze della nostra impostazione. Il biodiritto o la biopolitica Oggi si tende sempre più a parlare di biodiritto, inteso come l esigenza di tradurre le problematiche bioetiche in norme che disciplinino i comportamenti collettivi all interno della società 4. Ma forse sarebbe più preciso parlare di biopolitica: «Oggi vita e morte non sono più propriamente concetti scientifici, ma concetti politici, che, in quanto tali, acquistano un significato preciso solo attraverso una decisione» 5. Per legge, almeno in Italia, viene definito quando un soggetto è morto; sempre più norme di legge vengono invocate per dirimere questioni bioe- 8

11 tiche. Il potere che la tecnologia ha obiettivamente sulla nuda vita (si pensi all ingegneria genetica) si trasferisce nelle mani della politica. L esercizio del potere passa attraverso il controllo dei fenomeni biologici, in primo luogo quelli riguardanti la vita umana. Stiamo riferendoci alla nuda vita, non alla vita biografica e quindi sociale che, se può essere controllata, al tempo stesso ha sempre risorse per sfuggire a tale controllo. E questo fenomeno appare pacificamente accolto; la cosa invece avrebbe di che preoccuparci. Se da un lato occorre governare determinati ambiti, poiché il rischio è quello dell arbitrio e dell anarchia, dall altro occorre essere avvertiti delle conseguenze in cui si può incorrere assegnando ad uno strumento, la norma di legge, l ultima parola, definitoria, su un bene fondamentale, quale la vita umana. Né si può misconoscere il ruolo che la legge ha sulla formazione delle coscienze, comunitaria e singola. Ma l enfasi con cui da più parti si invocano leggi sui temi di inizio vita e fine vita appare sospetta sotto un altro versante. La norma di legge viene percepita quale strumento per definire ogni specifico caso, esautorando i soggetti dalle proprie responsabilità. Si pensi ai medici: essi diventano fedeli esecutori, meri tecnici, professionalmente preparati, ma esenti dal chiedersi il significato di quanto da loro eseguito. Può realmente la legge dirimere senza il cimento della libertà dei soggetti, le diverse questioni bioetiche? Le infinite variabili soggettive e oggettive che di fatto intervengono nelle azioni umane comportano necessariamente l impossibilità del diritto di contemplare tutti i singoli casi. Per cui «la singolare contingenza di taluni casi, eccedendo la possibilità della legge civile di regolarli, limita quest ultima a valere ut in pluribus, cioè nella maggior parte dei casi» 6. Certo «il riconoscimento della competenza della coscienza nei singoli casi non esclude, ma anzi rimanda alla generale validità della legge. Singola eccezione e regola generale sono, infatti, reciproche: «Non c è eccezione senza regola per l eccezione alla regola» 7. Quindi «la considerazione dei limiti strutturali di ogni legge civile invita a riconoscere la competenza della coscienza personale nelle decisioni relative ai casi-limite. Il rinvio alla coscienza non è la delega in bianco concessa all arbitrio soggettivo perché faccia ciò che vuole, ma il riconoscimento che, nei singoli casi, la percezione sintetica delle variabili in gioco da parte della coscienza vede meglio della previsione legislativa» 8. Riferiamoci esemplificativamente alla distinzione tra accanimento ed eutanasia: «L inevitabile approssimazione con cui la legge generale può definire i casi di eutanasia e di accanimento terapeutico lascia sussistere tra i due divieti uno spazio intermedio in cui solo il miglior giudizio della coscienza personale può dirimere la fattispecie» 9. Uno spazio cioè dove la legge non MARIO PICOZZI 9

12 BIOETICA. IL DIRITTO DI MORIRE E I DOVERI... entra (fatta salva la possibilità di verificare la sussistenza dei criteri stabiliti) in cui la relazione medico-paziente diventa il luogo decisionale. Ciò comporta l ammettere giustamente che si possano dare scelte diverse a partire dalla medesima situazione clinica; ciò disegna un legittimo pluralismo delle scelte, senza che si cada nel relativismo etico. «Un siffatto pluralismo non deroga al duplice divieto di eutanasia e di accanimento terapeutico; esso, piuttosto, attesta che, in talune circostanze, la rinuncia alle cure non necessariamente coincide con l eutanasia, e nemmeno il loro mantenimento necessariamente coincide con l accanimento terapeutico» 10. È vero che il pluralismo delle scelte «non assicura certo che la vita umana sia sempre adeguatamente difesa. Non è però questo il solo pericolo. Lo è altrettanto quello di pensare che la vita umana sia sempre adeguatamente difesa anche a prescindere dal giudizio di chi, in prima persona, si trova in situazione di grave sofferenza» 11. Lo spazio da lasciare alla competenza relazionale, dove non appare subito chiaro cosa occorra fare, traduce la prospettiva da noi enunciata in cui l autonomia è punto di arrivo di un rapporto fiduciale. Il tema del dono Il dono è argomento molto presente nel dibattito bioetico. L appello al dono viene invocato su più temi: dall atto generativo alla disponibilità ad offrire i propri organi. Ma talvolta si rischia di farne una caricatura, o di trasformarlo in atto eroico, oltre le stesse possibilità umane o di mostrarlo come unico e ultimo antidoto all imperialismo del mercato. Diventa quindi indispensabile una più accurata analisi. Dal punto di vista del mercato, il legame sociale ha un senso se e nella misura in cui è funzionale rispetto a ciò che circola. «Il mercato è il complesso delle regole che permettono a degli estranei di fare transazioni pur restando il più possibile degli estranei. È un modo di comunicare con l estraneo quando si vuole che resti un estraneo dopo lo scambio; quando non ci si interessa a lui ma ai suoi beni, e lui ai nostri» 12. Tra compratore e acquirente non si mette in gioco la propria identità: in quella comunicazione ciascuno rimane se stesso, senza contaminazione. Addirittura «l archetipo del mercato è l assenza completa di legame. Il mercato permette a due estranei di comunicare a proposito delle cose senza rivolgersi la parola» 13. Il prezzo è l esempio eclatante di questa modalità: viene fissato in anticipo, al di fuori delle considerazioni personali, al di fuori anche dei soggetti, tra due estranei che non si seducono. Il mercato è regolato dal principio «dell equivalenza tra le cose, indipendentemente dal legame tra le persone» 14. Nel dono invece «ciò che circola è al servizio del legame sociale, o almeno è condizionato dal legame sociale. Il legame e il bene sono spesso indissociabili»

13 Vediamo alcuni esempi. Vi sono dei doni in cui ciò che si dona ha un utilità relativa o nulla: ad esempio un mazzo di fiori; la loro finalità tende ad esprimere e nutrire il legame. Talvolta il valore di legame e l utilità sono strettamente legati, quasi condizionati l uno all altro. Si pensi al dono di un organo da parte della madre alla propria figlia. Infine abbiamo il dono unilaterale fatto agli sconosciuti: la donazione di sangue, il dono di un organo dopo la morte. In questi casi i legami sociali sembrerebbero completamenti assenti. Invece tali gesti acquistano senso poiché fatti in nome della solidarietà, per cui «la loro ragion d essere è quel legame simbolico che unisce il donatore e il donatario nell ambito di uno stesso insieme» 16. Essi rappresentano l espressione di una gratitudine verso una comunità da cui si è stati accolti, condotti sulle strade della vita, gratuitamente. «Si amano persone che in ogni caso fanno parte della nostra stessa specie umana, perciò si ama l umanità e, in essa, anche se stessi, ben ricordando che nessuno nasce da se stesso e che ognuno è quello che è solo grazie alla civiltà dalla quale ha ricevuto le condizioni per poter essere quello che è» 17. Da ciò ne consegue che «il circolo del dono non è solo dare e ricevere, ma è altresì ricambiare o restituire. Il rapporto di scambio è attivo-passivo sui due fronti: di chi dona e di chi riceve e a sua volta ricambia» 18. Il dono ammette il debito, anzi la cifra del dono è il riconoscimento del debito verso l altro. Non vi è gratuità senza gratitudine. Non la restituzione, ma le forme che essa assume differenziano il dono dal mercato. Nel dono la restituzione spesso è più grande del dono: non risponde al principio di equivalenza. Ammette che l identità del donatore, insieme a quella del ricevente, possa modificarsi. Infine, ed è l aspetto decisivo, la restituzione è fatta liberamente. Certo è desiderata, auspicata, non esigita, richiesta obbligatoriamente, come in un contratto o nella scambio mercantile. Dunque c è sempre un rischio di non restituzione, accettato o assunto dal donatore. Di modo che «è l assenza di garanzia di restituzione, piuttosto che l assenza di restituzione che caratterizza il dono» 19. La restituzione è sempre implicita nel dono. Più sono convinto che l altro non è obbligato a restituire, più lo libero da questo obbligo, più il suo gesto sarà libero, sarà fatto in forza del nostro rapporto, nutrirà il legame, custodirà la relazione, sarà fatto per me. Ed è proprio su questo scambio libero che si fonda e costituisce la coesione sociale. Il paradosso è esattamente che una società vive e muore, si rafforza o indebolisce grazie a questi milioni di gesti quotidiani, in funzione di dar fiducia o no ad un altro membro della società, di correre il rischio che il dono non sia ricambiato. Di conseguenza «lo Stato e il mercato devono fermarsi sulla soglia in cui quel che circola (beni ma soprattutto servizi) è il legame, in cui il servizio è il legame» 20. Si pensi qui al tema della giusti- MARIO PICOZZI 11

14 BIOETICA. IL DIRITTO DI MORIRE E I DOVERI... zia in sanità e del ruolo degli aspetti economici nelle scelte cliniche. Ma vogliamo esemplificare quanto da noi detto su un altro versante, quello della donazione di organi. Purtroppo ancora oggi molte persone muoiono in attesa di ricevere un organo. Per rispondere a questo dramma, almeno a livello di riflessione teorica nel mondo anglosassone, si ipotizza l utilizzo del mercato per incrementare la disponibilità di organi. Ma se il prezzo da pagare è l esclusione di qualsiasi forma di legame, l operazione appare rischiosa e destinata al fallimento. Al di là della difficoltà di stabilire l equivalenza 12

15 (quanto vale un organo?), si andrà sempre più verso un escalation delle richieste, in cui l unico elemento di controllo sarà il rapporto tra domanda e offerta. Ma tali fluttuazioni sono compatibili con la tutela della salute e della vita dei cittadini e con la sostenibilità anche economica di una società? In più ciò concorrerà a quello sfaldamento sociale, che ha come conseguenza la solitudine di ogni cittadino, sempre più senza legami vitali, con conseguente ulteriore difficoltà a porre gesti solidali. Poniamoci invece nella logica del dono da noi prospettata. Punto di partenza - sia per la donazione da vivente che da cadavere - è il riconoscimento della logica del dono definito nella sua circolarità di dare, ricevere, restituire. Quindi forme di restituzione sono eticamente ammissibili, stabilite alcune condizioni. Sono accettabili quelle forme di restituzione nel nostro caso al donatore di organi che non si basino sul principio di equivalenza, ma in cui sia conservato il valore di legame, con il singolo e con la comunità, che motiva la donazione. Si devono perciò escludere forme di automatismo, conservando anche simbolicamente il rischio di non restituzione, ammettendo al tempo stesso forme differenziate di restituzione. La libertà del ricevente va custodita e tutelata, consentendo al tempo stesso espressioni di gratitudine, in grado di rafforzare il legame sociale. Nella determinazione del soggetto/dei soggetti in grado di governare e garantire l intero processo, occorrerà prevedere la presenza se non affidare l intera gestione dei rappresentati dei mondi vitali presenti in una società, in forza di quel legame sociale che permea l intera proposta. Tutto ciò è possibile abbandonando un impostazione culturale che rappresenta il dono quale scelta eroica, unidirezionale, chiusa in sé stessa: una sorta di altruismo esasperato, che rende appunto il dono impossibile 21, irreale, e quindi non promettente, non fecondo. Gratuità e gratitudine sono invece iscritte nella relazione umana, dove l autonomia del soggetto riconosce il debito verso l altro per potersi esprimere e realizzare. MARIO PICOZZI Gestire l incertezza A fronte di quanto abbiamo fin qui sostenuto, appare chiaro che la bioetica e i suoi quesiti si proporranno sempre più dentro una scala di grigi, difficilmente inquadrabili in formule predefinite. Questo certo non rassicura, e chiama in causa la maturità e la responsabilità delle persone. L incertezza appare la nuova frontiera dell agire in campo biomedico 22. Ma davvero è una nuova questione? Fino a qualche decennio fa un ethos condiviso, l autorità del medico, la sudditanza del cittadino, la concentrazione del sapere scientifico, hanno permesso di controllare e gestire l incertezza: essa era implicitamente presente, accettata, mai tematizzata. L accresciuta consapevolezza del cittadi- 13

16 BIOETICA. IL DIRITTO DI MORIRE E I DOVERI... no dei suoi diritti, segnatamente nel campo medico, il vorticoso e oggettivamente poco controllabile sviluppo tecnico-scientifico, il pluralismo morale in una società multietnica, e la conseguente difficoltà a gestire situazioni sempre nuove e sempre più complesse, hanno fatto emergere quell indeterminatezza da sempre caratterizzante la pratica biomedica. Accettare l incertezza significa affrontarla, se non si vuole rimanerne schiacciati. Ma allora diventa spontaneo chiedersi quale sia il grado di incertezza che può essere tollerato. È evidente la già segnalata possibile deriva, che spazia dall anarchia dei cittadini e dei pazienti all arbitrio dei medici e dei ricercatori. Ma questo non è un destino segnato ed inevitabile, o almeno potrebbe non esserlo. La norma è una garanzia imprescindibile, anche se non sufficiente, perché si conservi e sviluppi il dialogo sia tra coloro che esercitano la stessa professione, sia tra questi e l intera cittadinanza. Un dialogo che presuppone chiarezza reciproca, affermazione dei diversi punti di vista, ragioni che motivino le differenti posizioni. Cosa dunque è necessario fare? Dipende. Il fatto che non si possa decidere una volta per tutte, sulla base di una norma generale, non significa che non ci sia nulla che davvero convenga. Vuol dire che nella possibile diversità di scelte, va tutelato e garantito quel bene che da sempre è inscritto nella relazione umana e, nella fattispecie, nella relazione terapeutica, e che grazie appunto a questa relazione può essere riconosciuto e scelto. 14

17 Note 1 W. T. Reich (a cura di), Encyclopedia of Bioethics, The Free Press, New York 1978, vol.1, XIX. 2 G. Angelini, La questione radicale: quale idea di vita, in Aa.Vv, La bioetica. Questione civile e problemi teorici sottesi, Glossa, Milano 1998, pp P. Cattorini, La dimensione etica nelle terapie intensive, in L. Chiandetti, P. Drago, G. Verlato, C. Viafora, Interventi al limite. Bioetica delle terapie intensive, Franco Angeli, Milano 2007, pp L. Palazzani, Personalismo e biodiritto, in Medicina e Morale, 2005, LV (1), pp G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 2005, p A. Fumagalli, Legge civile e coscienza personale, in C. Casalone, M. Chiodi, P. Fontana, A. Fumagalli, M. Picozzi, M. Reichlin, Il caso Welby. Una rilettura a più voci, Aggiornamenti Sociali, 2007, 5, pp Ibid. 8 Ibid. 9 Ibid. 10 Ibid., p Ibid. 12 J. T. Godbout, La circolazione mediante il dono, in Aa.Vv., Il dono perduto e ritrovato, Manifestolibri, Roma 1994, p Ibid. 14 Ibid., p Ibid. 16 Ibid. 17 F. Buzzi, Sul significato del dono, lezione tenuta la Master Internazionale in Medical Humanities, Varese, 5 luglio 2003 (copia dattiloscritta). 18 Ibid. 19 J. T. Godbout, La circolazione mediante il dono, in Aa.Vv., Il dono perduto e ritrovato, Manifestolibri, Roma 1994, p Ibid., p Cfr. J. Derrida, Donare il tempo, Cortina, Milano 1996; Id., Donare la morte, Jaca Book, Milano Cfr. M. Tavani, M. Picozzi, G. Salvati, Manuale di deontologia medica, Giuffrè, Milano 2007, pp MARIO PICOZZI 15

18

19 DOSSIER Un mondo da condividere

20 UN MONDO DA CONDIVIDERE Riflettere sul mondo come realtà da condividere è quanto il Dossier che segue intende proporre nel filo tematico che lega i diversi interventi. Il confronto sul bene comune avviato dalla rivista nell annata in corso, conduce di per sé a interrogarsi sul mondo come bene comune, un mondo condiviso nel dato innegabile di una crescente interdipendenza e sempre più da condividere come risorsa, come bene di tutti, da custodire e da usare in vista del bene di tutti e di ciascuno, così che a ciascuno sia dato di trovare in esso le condizioni per lo sviluppo della propria umanità. L attenzione è volta pertanto, prima di tutto a rilevare i fili dell interdipendenza, i percorsi e le situazioni di trasformazione in atto che più strettamente ci legano gli uni agli altri. Si tratta, in altri termini, di assumere il fatto della globalizzazione esplorando i processi che ha innescato per cercare di comprendere i rischi a cui ci espone, ma anche le potenzialità cui apre. Che cosa implicano i grandi flussi migratori internazionali con la loro sempre più inevitabile e irrefrenabile pressione? Non ne deriva forse la necessità di riformulare l idea stessa del mondo e di ripensare la gestione degli spazi e delle opportunità? (Golini e Forti) Il rapporto tra il diritto nazionale e il diritto internazionale, il ruolo delle istituzioni sovranazionali, ma anche il nesso e insieme la necessaria distinzione tra i diritti del cittadino e i diritti di ogni uomo, le coordinate che definiscono lo spazio e i confini della cittadinanza, sono tutte questioni che l avvicinarsi e il mescolarsi di popoli, di storie, di tradizioni culturali e religiose differenti inevitabilmente sollevano. Così come appare sempre più indispensabile, per un adeguata comprensione del mondo in cui viviamo, superare ogni possibile assolutizzazione di un unico punto osservazione. Da che parte guardiamo il mondo? Come porsi dinanzi alla complessa realtà dei rapporti tra il Nord e il Sud del mondo, tra Paesi ricchi e Paesi poveri? Non sono forse gli stessi concetti di povertà e di ricchezza ad essere ribaltati, quasi capovolti, se proviamo, ad esempio, a guardare il mondo dal punto di vista dell Africa, e a guardare alla stessa Africa abbandonando gli stereotipi e lo schermo deformante di interessi coloniali? C è un enorme ricchezza che viene dai Paesi poveri e che non è solo demografica o di risorse ambientali, ma che è nella sete di democrazia, nella lotta per i diritti umani, un movimento di libertà e di affermazione della dignità dell uomo 18

21 che chiede di incontrare la cultura occidentale, di trovare al suo interno accoglienza, nella assunzione di consapevolezza della necessaria condivisione di un futuro comune (Albanese). Il rapporto tra luoghi del mondo, diventa poi un tema cruciale anche nella gestione di beni preziosi ed indispensabili come l acqua; ma deve maturare la consapevolezza che l universalità dei beni non significa che la loro disponibilità non abbia costi (Massarutto). La dialettica tra povertà e ricchezza nei rapporti Nord-Sud ripropone, in tal modo e ad una molteplicità di livelli, il carattere inevitabilmente aperto dell economia e la necessità di un suo completamento attraverso l etica, ma anche l estrema delicatezza e l enorme potere dei sistemi di comunicazione a cui è affidata oggi gran parte delle relazioni tra gli uomini e degli scambi tra i popoli. Nonostante la sperequazione che ancora esiste nell accesso e nell uso dei media e delle tecnologie informatiche, i media possono essere una grande e indispensabile risorsa nella costruzione del bene comune in quanto mobilitatori di coscienze, strumento per conoscere l altro da sé e immaginare la possibilità di un noi, guardiani della democrazia, controllo del potere. Ma questo a patto che i Paesi attuino politiche di responsabilità e di cooperazione nella condivisione delle risorse comunicative e nella vigilanza sulla libertà di espressione, così da evitare che la rete sia uno spazio soggetto all egemonia del capitale (Pasquali). Governare il mondo così che sia il mondo di tutti, un mondo realmente condiviso, esige che si valorizzino sempre di più i luoghi e gli organismi del confronto e delle decisioni pattizie (Monaco). Un processo di integrazione che senz altro chiede che si investa sulle istituzioni sovranazionali e sullo sviluppo del diritto internazionale, ma che ha bisogno dei tempi lunghi dell incontro e della convergenza e che non può ignorare o mettere tra parentesi la questione del bene e della vita buona, l interrogativo su ciò che rende buona la vita degli uomini, sulla possibilità di un comune orizzonte di senso e di valore che conferisca alle norme forza vincolante e reale capacità di incidenza. Riflettere su un mondo da condividere conduce così a riflettere su un umanità da condividere, un umanità che ha bisogno di trovare, in questo mondo, spazio per esprimersi e svilupparsi in pienezza (De Simone). INTRODUZIONE 19

22 Un analisi quantitativa dei grandi flussi migratori internazionali, a partire dalla loro sempre più inevitabile e irrefrenabile pressione. Nodi critici e potenzialità inespresse indicano la necessità di riformulare l idea stessa del mondo, dei suoi confini interni, e di ripensare la gestione degli spazi e delle opportunità come bene comune dell intera umanità. UN MONDO DA CONDIVIDERE S Popoli in cammino. La sfida e le opportunità Antonio Golini* ono un demografo, uno statistico di formazione e mi avvalgo di dati e di elementi quantitativi anche nell impostazione e articolazione di considerazioni problematiche e qualitative. Quali numeri, dunque, per un mondo già parzialmente condiviso e sempre più da condividere? Al 2007, le Nazioni Unite individuano nel mondo la presenza di 191 milioni di migranti. Questa cifra però è assai riduttiva: sono straordinariamente di più, anche per la difficilissima definizione di migrante, che cambia in relazione alle varie legislazioni nazionali. Per fare degli esempi, un bambino che nasce in Francia o negli Stati Uniti da genitori stranieri è cittadino francese o americano, mentre se un bambino nasce in Italia da cittadini stranieri è straniero, e viene dunque annoverato e conteggiato fra i migranti. Ecco dunque la cautela necessaria per un approccio interpretativo e problematico di tali cifre, anche in relazione a una ancora non risolta realizzazione e gestione dinamica di un coordinamento internazionale in materia migratoria, sia pure nel solo campo statistico. Ritornando pertanto ad un primo dunque cauto inquadramento numerico di un mondo condiviso, ecco alcune sostanziali evidenze: uno stock di 191 milioni di migranti; un flusso abbastanza consistente nel quinquennio , stimato in 13 milioni di persone (2,6 milioni all anno); rimesse stimate nel 2007 in 262 miliardi di dollari. Noi del Nord del mondo siamo abituati a ritenere che le Antonio Golini è rappresentante ufficiale dell Italia nel Migration Working Party dell Ocse e direttore di Genus, rivista internazionale di Demografia. È membro di numerose commissioni tecnicopolitiche, nazionali e internazionali, in tema di famiglia, migrazioni interne e internazionali, tendenze di popolazione. 20

23 migrazioni siano tutte o quasi dal Sud al Nord, ma non è così. Sui 191 milioni di emigrati, vi sono tre parti quasi uguali: quelli che sono andati dal Sud al Nord del mondo, quelli andati dal Nord al Nord e quelli dal Sud al Sud. Ecco dunque come tagliando la fenomenologia migratoria a larghe maglie di approssimazione e sintesi, possiamo sottolineare come l unica corrente migratoria relativamente ridotta sia quella a traiettoria Nord-Sud. Le correnti più problematiche, come è intuitivo, sono certamente quelle che si originano in Paesi del Sud e si dirigono verso altrettanti Paesi del Sud, poiché descrivono un movimento che si attua in contesti socio-economici poveri. Un mondo condiviso, un mondo ancora molto da condividere, si diceva: è incontrovertibile, infatti, come i vari contesti demografico, economico, sociale, politico e ambientale favoriscano una crescente e massiccia pressione migratoria internazionale che, sempre più inevitabile e irrefrenabile, diventerà sempre più fattore strutturale delle società e delle popolazioni dei prossimi decenni. Quale allora, se non quella di un equa condivisione di spazi e opportunità del mondo, la grande sfida dei decenni a venire? ANTONIO GOLINI Contesti ed equilibri in evoluzione: il perché di una mobilità migratoria fortemente crescente Le principali evoluzioni demografiche, attese nel breve e nel mediolungo termine, insieme con gli squilibri economici e i grandi possibili mutamenti ambientali determineranno così profonde alterazioni sistemiche da lasciar sussistere e incrementare imponenti flussi migratori internazionali. Il contesto demografico Il Nord del Mondo, da qui al 2030, ci si aspetta che sperimenti un decremento della popolazione in età lavorativa pari a 65 milioni di persone, a fronte di un contemporaneo e pronunciato incremento nei Paesi del Sud del mondo, pari a 1 miliardo e 37 milioni di persone. In queste cifre di previsione così straordinariamente differenziate sono peraltro già inclusi 2 milioni l anno di trasferimenti dal Sud al Nord. Naturalmente sull incremento di 1 miliardo di popolazione in età lavorativa, ci si aspetterebbe e si auspicherebbe un inserimento professionale per il 70-75% circa delle persone. La traduzione in posti di lavoro addizionali da creare nel Sud del mondo, per soddisfare la componente demografica, sarà dunque pari a milioni di nuovi posti di lavoro, o, in altri termini, di milioni di vere e proprie sfide. Il contesto economico e sociale Ma non è e non sarà soltanto la componente demografica a rappresentare una variabile chiave nella fenomenologia migratoria presente e futura: 21

24 POPOLI IN CAMMINO. LA SFIDA E LE OPPORTUNITÀ quale fondamentale importanza, ad esempio, è da assegnare alla ristrutturazione economica? Un esemplificazione su tutte: se i Paesi arretrati crescono, generando una spinta alla modernizzazione del settore agricolo, la forza lavoro espulsa dall agricoltura si aggiunge, nell offerta di lavoro, a quella di origine demografica aumentando quindi la pressione migratoria. Lo sviluppo economico e la conseguente crescita del reddito, inoltre, si traducono poi quasi sistematicamente in una crescita dell istruzione, a sua volta strettamente e positivamente correlata con la nascita e il consolidamento anche razionale di tensioni migratorie, oltre che con spinte più o meno emotive di insoddisfazione e malessere percepito. Crescita econo- 22

25 mica e innalzamento del livello di istruzione sono fattori spesso di spinta anche per il miglioramento della condizione della donna, a sua volta più desiderosa e libera di emancipare il suo destino e quello della sua famiglia. Brevissime considerazioni, dunque, già sufficienti a giustificare la locuzione forte ma non certamente azzardata di due aggettivi-sintesi per la descrizione della fenomenologia migratoria: inevitabile e irrefrenabile. Ma la complessa incidenza del contesto economico sulla mobilità della popolazione può ancora essere meglio compresa soffermandosi sull evoluzione del contesto cinese. La Cina fra il 1990 e il 2003 ha sperimentato un moltiplicatore del reddito pro-capite a parità di potere d acquisto pari a circa 3 volte, a fronte di un tasso statunitense pari a 1,25. Pur tuttavia, la differenza tra il reddito degli Stati Uniti e quello della Cina nello stesso arco temporale è passato da 27mila a 31mila dollari. Si intuisce dunque immediatamente come la spinta a migrare non sia data dalla valutazione che le singole persone potrebbero fare del rapporto fra la velocità di crescita di un reddito rispetto ad un altro; guardano piuttosto alle differenze di reddito, anche agevolati dagli attuali sistemi di comunicazione che velocizzano la possibilità del confronto e ingigantiscono la portata della desiderabilità dell altrove sociale e dell altrove economico. Nondimeno, però, certamente una crescita così veloce del reddito cinese alimenta la speranza, che da sempre ha a sua volta rappresentato una variabile psicologica per niente indifferente nel gioco delle determinanti migratorie: i genitori sperano per i propri figli un destino migliore di quello che è stato per loro. Una crescita economica e sociale percepibile e percepita come possibilità reale di un futuro domestico migliore frena in una qualche misura la spinta a emigrare. Sul contesto economico, sempre riguardo alla Cina, desidero sottolineare che la Cina era ed è un Paese largamente agricolo e che il tasso di occupazione in agricoltura è ancora adesso attestato al 40-45%. Mi diceva un ministro cinese che per effetto della modernizzazione in Cina si sono posti il problema di dover creare 500 milioni di posti di lavoro nei settori extra agricoli; erano riusciti a crearne tra i 200 e i 300 milioni, ma poi hanno dovuto frenare un po la modernizzazione dell agricoltura e quindi l espulsione della forza lavoro dell agricoltura perché altrimenti non avrebbero potuto fronteggiare questa domanda di lavoro nel settore extra agricolo. E d altra parte noi occidentali, che spesso ci lamentiamo della velocità di crescita dell economia cinese, dobbiamo invece ringraziarla due volte per questa velocità di crescita: perché ci apre mercati immensi, smisurati, Le stime relative alle possibili migrazioni ambientali sono molto varie, ma si potrebbe arrivare, nelle ipotesi più pessimiste, a 700 milioni di migranti per il ANTONIO GOLINI 23

26 POPOLI IN CAMMINO. LA SFIDA E LE OPPORTUNITÀ ed in secondo luogo perché, se non avesse la capacità di creare tanti posti di lavoro così in fretta, aumenterebbe l immigrazione. Il contesto ambientale E poi c è il problema del contesto ambientale delle migrazioni. Le stime relative alle possibili migrazioni ambientali sono molto varie, ma si potrebbe arrivare, nelle ipotesi più pessimiste, a 700 milioni di migranti per il 2050, a causa di due grandi mutamenti ambientali: da un lato l elevamento del livello del mare, e dall altra parte per la desertificazione che aumenta e si espande. I sistemi nazionali e l immigrazione straniera: affanni e opportunità Se vogliamo guardare alcuni aspetti principali dei rapporti fra migrazione internazionale e sviluppo socio-economico, possiamo notare come all interno dei flussi migratori vadano affrontati almeno tre problemi principali: le popolazioni che si vengono a creare nei Paesi di destinazione; le rimesse; il drenaggio del capitale umano nei confronti dei Paesi di origine. Se noi guardiamo l incredibile crescita degli immigrati stranieri in Italia, vediamo come tutto si stia svolgendo in maniera rapidissima: ciò crea molti benefici all economia, ma anche un bel po di problemi alla società e alle relazioni fra i popoli. È proprio la grande velocità di afflusso della popolazione straniera che mette in affanno il sistema Italia. Comunque questo è un fenomeno particolarmente rilevante perché la crescita economica italiana si giova di questi 3-4 milioni di migranti che (secondo il Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes del 2007) stanno in Italia, e se ne giovano anche molti Paesi di origine. Sono valutate in oltre 4 miliardi di euro le sole rimesse degli immigranti che lavorano in Italia: quindi una quantità di denaro davvero rilevante, anche in considerazione del fatto che per qualche Nazione, per molti Paesi africani ad esempio, le rimesse superano gli aiuti allo sviluppo. Nei Paesi occidentali, soprattutto in Europa siamo in una trappola infernale, perché da una parte noi abbiamo bisogno di forza lavoro e loro, i Paesi di origine, hanno bisogno di espellere forza lavoro. D altra parte però le cifre del futuro sono legate a quelle che abbiamo visto prima, e pertanto l arrivo può essere molto più massiccio nei prossimi anni e soprattutto può aumentare se noi facciamo, come a mio modo di vedere dobbiamo, un azione di aiuto allo sviluppo nei confronti dei Paesi economicamente arretrati, soprattutto dell Africa subsahariana. Se aiutiamo lo sviluppo dei Paesi dell Africa subsahariana, noi, per i meccanismi socio-economici illustrati sommariamente prima, contribuiamo ad aumentare per almeno anni (fino a quando cioè non si 24

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