Essere persone integre per il bene comune

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1 ROBERTO MANCINI Essere persone integre per il bene comune Mi interessa soprattutto la riflessione su qual è la direzione e in particolare su chi è il soggetto del cambiamento. Io userò questa parola sintetica cambiamento perché è chiaro che noi abbiamo bisogno di un cambiamento interdipendente sul piano economico, sul piano politico, sul piano culturale educativo, insomma sul piano dell interezza degli stili di vita, non solo di singoli o di famiglie ma nello stile di vita di una società. Ammesso che una società riesca ad avere un grado di umanizzazione così alto per cui si possa dire che davvero ha uno stile. La parola stile indica una forma, un dare forma alla vita e dove c è un dare forma alla vita c è un soggetto lucido, consapevole, abituato ad abitare il mondo anziché a rovinarlo. Ecco allora mi interessa capire quali sono questi soggetti. L altra parola chiave del mio discorso è metodo, nel senso greco del termine, cioè la via, il percorso che ci permette di essere fecondi, di avere una disciplina sia interiore sia dal punto di vista della fecondità delle azioni e dopodiché allora le questioni del fare, del che cosa fare, del come fare, sicuramente saranno chiarite non tanto dai filosofi ma appunto da gruppi che si scambiano esperienze che hanno una pratica quotidiana. Il primo passo che vi propongo assomiglia un po a quelle mappe che vi dicono dove siete voi e la parola crisi. È una parola ricorrente in tutta l età moderna i medioevali praticamente non la usavano, per i moderni è lo specchio della loro identità la parola crisi ricorre tantissimo già in tutto l arco del novecento quindi non è la nostra, la prima epoca di crisi: le guerre mondiali, i campi di concentramento, l uso dell arma atomica. Non è che noi abbiamo scoperto la crisi. Molti popoli del mondo, da anni, in alcuni casi da secoli, conoscono condizioni peggiori e non parlano di crisi; si tengono quella situazione, spesso dovuta a dominazioni e colonialismi occidentali. È come se noi, la parte privilegiata del mondo, avessimo scoperto ora qualcuno degli effetti di precarizzazione, di miseria, di angoscia diffusa che loro vivono da tanto tempo. La parola crisi ha sostituito l altra parola che veniva usata normalmente, la parola globalizzazione. Parola trionfalista che prometteva l unificazione dell umanità. Parola gentile, vestita a festa, per dire il capitalismo nella sua ultima versione. Ma usare la parola capitalismo è sgradevole, sembra una cosa ideologica e espone questo sistema a critiche. Globalizzazione, cioè unificazione dell umanità, l estremo della modernità, l estremo dell unità della famiglia umana, sembra una parola inattaccabile. Eppure alla lunga i costi umani, sociali, naturali, di questa 1

2 logica della globalizzazione si sono visti e, di fatto, la parola stessa tendenzialmente è stata sostituita dalla parola crisi. Tra l altro, gli studiosi, sia di economia sia di relazioni internazionali, affermano che il mondo non va, nel bene e nel male, verso una unificazione, verso un unico ordine assolutamente vigente. In realtà ci sono aree diverse, ci sono tendenze e contro tendenze, regionalismi, tendenze centrifughe, quindi la realtà è che noi non abbiamo un ordine di convivenza nel mondo: la parola crisi provvisoriamente sembra quella che più identifica la stagione che stiamo vivendo. Non è una crisi semplicemente economica, della borsa, delle banche, dell occupazione, dell economia formale o sostanziale. Non servono grandi studi per vedere che è una crisi di giustizia. Il mondo visto da un marziano sembrerebbe un unica famiglia di due persone che stanno all opulenza e di quattro persone che stanno alla miseria. Sono la stessa famiglia ma non lo sanno, non se ne accorgono, e in realtà questa lacerazione rende concreto il disordine del mondo. Solo a livello economico non abbiamo storicamente saputo fare di meglio che: o la pianificazione centralizzata del modello sovietico per cui non abbiamo una grande nostalgia oppure la cosiddetta libera iniziativa e questa è l ideologia vincente (altro che fine delle ideologie!) ed è talmente vincente che riesce a non farsi identificare come un ideologia. Questo sì che è diventato uno stile di vita; solo non è propriamente uno stile, è un automatismo. Il capitalismo contemporaneo, è veramente un meccanismo impersonale, semiautomatico che non viene gestito dalla volontà degli esseri umani, tendenzialmente, anche se è fatto dagli esseri umani. E il meccanismo che prende il sopravvento sulla volontà anche, in certa misura, di quelli che sarebbero i dominatori. Quindi è un sistema inafferrabile: non lo puoi identificare in qualcuno, è un sistema impersonale, che ha delle compatibilità automatiche che ricattano, che si impongono sulla vita dei popoli, sulle scelte dei governi; quindi differenziarsi, riacquisire distanza critica da questo sistema, è molto difficile. È come dire che ci manca un ordine economico, di più, ci manca un ordine di convivenza. Il mondo non sta insieme senza giustizia. Quindi la crisi attuale è una crisi di giustizia. E forse la tendenza più pericolosa non sta nel fatto che i malvagi vincono sui buoni ma nel fatto che l umanità si consegna appunto a un meccanismo impersonale. La logica del mercato è questa. Cioè una logica automatica, impersonale, rispetto a cui, gruppi speculativi, multinazionali, cercano di trarre il loro vantaggio. Ma si vede chiaramente che è una rinuncia a governare il corso delle cose, tanto che, per pensare il cambiamento della collettività, ci mancano letteralmente le parole. Dal linguaggio religioso ci viene la parola conversione. Ma voi lo sapete, la parola conversione è stata ristretta al percorso del singolo e, dalle ideologie religiose, clericali, un po in tutte le religioni, la conversione è la conversione degli altri. Non è la conversione della mia parte, della mia tradizione, della mia chiesa. 2

3 Dall economia ci viene il linguaggio del cambiamento. Tutti voi sarete un po stanchi del sentire quegli slogan che si usano anche nei convegni: la società che cambia, l Italia che cambia, tutto che velocemente si modifica. Le tendenze profonde non si cambiano: non si passa dalla violenza alla nonviolenza, dall irresponsabilità alla responsabilità, dallo spreco alla sobrietà. Queste tendenze sono tenaci, resistono, altro che cambiamento! Allora il cambiamento che viene evocato e anche praticato nello spazio economico si chiama modernizzazione o razionalizzazione. Ma tutti noi sappiamo che significa taglio : dei bilanci, taglio dei fondi per i servizi sociali, per la salute, per l occupazione, restrizione dell occupazione, taglio delle condizioni di tutela per il lavoro e per i lavoratori. Rispetto a questo, potremmo dire che tutti i nostri sistemi di riproduzione, di coltivazione della vita della società, mancano di un orizzonte di cambiamento. Pensate che nel linguaggio politico tutti parlano di riforme. Vogliono andare al governo per fare le riforme oppure, quelli che ci sono, dicono che fanno le riforme. E già cominciano a venire i brividi alla schiena. Quali sono le riforme? Se voi le analizzate: chiamano giustizia (la legge sulle intercettazioni, riportare i pubblici ministeri sotto la guida politica del governo) la riforma della giustizia, la riforma della stampa, la riforma della scuola cioè il taglio puro e semplice delle condizioni di vita della scuola in Italia si chiama riforma -, la riforma della Costituzione. Se vedete qual è la stessa direzione in cui vanno queste riforme è l eliminazione dei vincoli costituzionali, di controllo, di bilanciamento, di partecipazione, relativamente al potere, alla gestione del potere. Allora queste riforme devono ancora di più esasperare la concentrazione del potere nelle mani di chi governa. Se queste sono le riforme il primo nostro problema è di sopravvivere alle riforme. Vedete che non è un vero cambiamento della società. La nostra è una società che non sogna il cambiamento, lo teme. Al massimo pensa il futuro come crescita del PIL o come disastri imminenti per il clima, per la crisi dell acqua, per la crisi energetica, ma non sa pensare il futuro se non con le lenti dell angoscia e dell avidità. L altro elemento, molto concreto, molto quotidiano dei sistemi di rinnovamento della vita della società, io li chiamerò: sistemi di mediazione. La vita della società ha bisogno di una serie di interazioni, di forme organizzative, tutto questo io lo chiamo mediazione. I sistemi di mediazione della vita sociale sono tutti ammalati. Quali sono i grandi sistemi di mediazione della vita sociale? L economia, la politica, il sistema educativo, il sistema informativo. Se io considero questi quattro e dico: la mediazione, il mediatore è come un servitore. Il buon servitore è quello che serve le persone e la comunità. Il cattivo servitore è quello che si mette al posto di quelli che doveva servire. Cioè la cattiva mediazione quando accade? 3

4 Quando l elemento mediatore diventa il fine non è più il mezzo diventa lui il soggetto e noi siamo sudditi o rotelline al servizio di quello che doveva invece servire noi. Un economia del denaro per il denaro. Il denaro per noi è il centro della vita sociale. Lui è libero di spostarsi, è libero di prendere decisioni, è libero di modificare la vita dei popoli. La politica del potere per il potere. L educazione come adattamento a quell economia e a quel potere. Il sistema informativo come potere di produrre immagini, scenari di senso, fatti, oppure di negarli, di occultarli, ancora una volta al servizio del potere. Voi vedete che non c è mai l umanità, tanto meno la natura, come soggetti a cui questi sistemi dovevano servire. La vita della società si ammala. La società è come un grande tessuto fatto di fili unici, irripetibili, che siamo noi. Ma in questo tessuto c è l unicità ciascuno di noi è unico e c è però la relazione, il legame. Se il filo pensa di staccarsi dal tessuto e di fare una vita migliore si distrugge. Ora questa cultura del tessuto, questa cultura della convivenza, è l unico modo di riconoscere anche l unicità delle persone. Invece ci viene offerta la falsa promessa dell individualismo dove noi crediamo di essere unici, in realtà siamo massificati, siamo, nel migliore dei casi, come le formiche nel formicaio ma non c è un tratto di umanizzazione. La vita del tessuto si rinnova, il tessuto è vivo, si muove, respira, se noi abbiamo un economia per le persone e per il bene comune, un potere politico che è per le comunità, per la società, per le persone e così l educazione e il sistema informativo. Una situazione di questo tipo, non è catastrofica perché nel tessuto della società ci sono esperienze, ci sono movimenti che ancora conservano l idea del servizio alla persona, alla famiglia umana, alla natura. Non è che questa tendenza negativa, questa logica di sopraffazione che si è sostituita alla cultura della convivenza, abbia vinto da tutte le parti. In realtà c è una resistenza a tutto questo. Come si può pensare la risposta, cioè essere fecondi, essere presenti, essere responsabili in un mondo che è costituito così? A mio avviso il punto chiave è il seguente. Il sistema di dominio, chiamiamolo di disumanizzazione, dove vincono le realtà impersonali, automatiche, fittizie questo sistema di dominio ha la sua carta più importante nell impedire che si costituiscano i soggetti del cambiamento. Se parlassimo in un modo semplice e allo stesso tempo un po metafisico si potrebbe dire: il male non ti si contrappone a viso aperto, sullo stesso piano, come due che fanno un duello. Nel nostro sistema il male si mimetizza, ti dice: Io sono il bene. Nel caso dell economia ti dice: Io sono la libertà. E poi noi italiani la interpretiamo come libertà dal codice penale, libertà dalla relazione con l altro, libertà dalla responsabilità e diventiamo il popolo della libertà ma la libertà è quella: la negazione di ogni vincolo che ci umanizza. Il filo che pensa di staccarsi dal tessuto e si crede furbo dice: questa è la mia libertà!. Il male non solo si mimetizza, si presenta come il bene, si presenta come la religione, si presenta come la morale, si presenta come il progresso. Se sei troppo in buona fede e prendi alla lettera tutto quello che ti si presenta allora fai la fine di quelli che nel 900 erano esattamente 4

5 come noi, brave persone come noi, coi figli, avevano le preoccupazioni per la famiglia, e sostenevano Hitler, sostenevano Mussolini, sostenevano Stalin. L astuzia del male non è quella di contrapporsi apertamente ma è quello di impedire che l essere umano da individuo confuso, impersonale, diventi persona, diventi soggetto critico. E allora qual è l elemento chiave? Due sono gli elementi chiave di questo progetto negativo. Primo. Disarticolare i processi educativi. Noi siamo persone ma soprattutto diventiamo persone a seguito di percorsi educativi. In questo l essere umano è il più delicato, il più fragile rispetto agli animali che in poche settimane, in pochi mesi arrivano alla maturità. Nella condizione umana uno può anche campare cent anni e non arrivarci mai, resta un individuo impersonale e non diventa una persona responsabile, solidale, capace di amare di amore generoso, sveglia, desta. Ecco questo è molto difficile, richiede un percorso educativo. Qual è l altro grande elemento delicato di questo percorso, di questa lotta se volete tra il bene e il male? Impedire a monte le condizioni della responsabilità perché la responsabilità è il nome vero della libertà. Responsabilità significa capacità di rispondere originalmente, secondo la nostra unicità, alla vita, alla presenza degli altri, alla natura, al bene, per chi ci crede, a Dio. La responsabilità è il nome concreto della libertà e la giustizia è il nome plurale della libertà. C è libertà dove c è giustizia cioè dove ciascuno può essere libero e la mia libertà non è pagata al prezzo del sacrificio della libertà degli altri. Allora l astuzia del male storico è di costruire sistemi organizzativi, impersonali, che sono come dei binari su cui noi siamo dei piccoli vagoni che dobbiamo marciare secondo il binario predeterminato. Non c è più lo spazio della coscienza, della scelta, del dire di no, del dire dei sì ad altre cose, della distanza critica, lo spazio del dialogo. L astuzia dei sistemi che perpetuano la cattiva mediazione è di mettere le nostre vite dentro a dei binari automatici. Voi avete cura degli stili di vita. Dove c è un stile vuol dire che c è una scelta, c è una libertà, c è una distanza critica, c è un dire io voglio fare diversamente. Spesso questo spazio viene compromesso sin dall inizio. Il punto vero di svolta è lavorare alla ricostituzione di soggetti responsabili altrimenti, si possono fare convegni, incontri, magari anche gruppi su dei significati la giustizia, la pace, la solidarietà ma se io non preciso il soggetto che agisce e la strada, cioè il metodo, l orizzonte, questo discorso è del tutto astratto, non scalfisce di una virgola il sistema disumano del dominio, dell impersonalità, della cattiva mediazione. Quali sono gli elementi necessari per questa svolta? Vedremo che sono anche elementi politici. 5

6 Il primo elemento che ricorderei: la nostra fedeltà alla felicità. La parola felicità è una parola compromessa, retorica. Si crede ancora meno che in Dio nella felicità. Ecco in realtà nell esperienza che noi abbiamo della vita possiamo davvero credere in un Dio o anche con grande libertà credere nel senso dell esistenza, cioè che non siamo nati invano, se manteniamo nel cuore la fedeltà alla felicità. La fedeltà alla felicità vuol dire per noi creature (creature nel senso che non abbiamo fabbricato la nostra esistenza, la nostra è un esistenza ricevuta) stare al mondo e imparare a esistere in modo creativo e non distruttivo. In modo creativo nella vita interiore, se no quello che facciamo non ha radici. Io posso fare il bilancio di giustizia, posso fare politica ma se non ha radici nella vita interiore è tutto lì appoggiato, è tutto lì falso e non è fecondo, non porta frutto. Allora non distruttivi nella vita interiore, nella vita interpersonale, nella vita pubblica, nel rapporto col mondo naturale. Questa è la nostra dignità: diventare soggetti creativi che non tradiscono il dono della vita da chiunque venga. Il mistero della nostra condizione è che noi siamo un dono vivente. Se cerco un regalo, non capisco il dono; il dono non è un regalo, innanzitutto il dono sono io. Quindi non devo solo guardare fuori, devo prendere atto della mia misteriosa dignità. E io tradisco il dono che sono, tutte le volte che mi metto in una logica di tipo distruttivo. Recuperare invece un atteggiamento creativo è possibile per chi nel cuore mantiene una fedeltà a quell invito alla pienezza, alla felicità che in fondo è inscritto nella nostra dignità. Dove felicità non vuol dire il privilegio: ti vanno tutte bene. Non è la fortuna la felicità, non è il privilegio, non è la mancanza di dolore. La felicità è una vita sensata in cui io condivido quello che di buono ho incontrato o mi è stato dato. La felicità o è insieme o non è. O è intera o non è. Questo sembra troppo e tanta gente non ci crede alla felicità. Al massimo un minuto, l ebbrezza di un ora. Sembra che sia quella la felicità. Ancora noi usiamo espressioni angosciose come i migliori anni della nostra vita. Cioè per noi l invito alla felicità non è antitetico al negativo che sperimentiamo, tanto che concretamente la felicità vuol dire attraversare insieme la sofferenza, in modo da non riprodurla, in modo da non moltiplicarla, da non infliggerla agli altri ma in modo appunto da liberare lo spazio di una condivisione di quello che è buono, di quello che è bene. Perché l essere umano non è nato per sopravvivere. Se esisto per sopravvivere, come ci dice l ideologia dell economia dominante, vuol dire che sono un prigioniero in un carcere. Primo Levi nel campo di concentramento aveva il problema del sopravvivere. Dopodiché ci ha dato una testimonianza per cui si è visto che neppure nel lager si vive solo per sopravvivere.vivere per sopravvivere è una condizione patologica, non è la normalità della condizione umana. La sopravvivenza non è il senso dell esistenza e la morte non è il senso dell esistenza. Basta con questa apologia della morte che è tipica di una cultura distruttiva che riconosce nella distruzione la condizione di ogni creazione. Noi siamo nati per una pienezza che si chiama felicità nel linguaggio comune, che le religioni possono 6

7 chiamare salvezza. È questo il senso della vita. Ma la metà di questo dipende dal mio atteggiamento, questo sì, dal mio essere persona, dalle mie scelte di vita. Non dipende solo da quello che accade fuori. Perché nella condizione umana contano i fatti, contano gli eventi ma soprattutto conta la risposta che noi diamo ai fatti e agli eventi. Quello dice la nostra umanità. Quello dice il nostro essere in cammino verso una pienezza. Nessuno si mette in cammino se non vede una possibilità di liberazione. La grande speranza umana in tutte le culture è la liberazione dal male. Oggi la nostra crisi è dovuta a questa incapacità di vedere un orizzonte di liberazione. Non è una speranza privata: vinco la lotteria. La speranza è la liberazione dal male e quando uno è disperato deve poter trovare un altro che per lui è fonte di speranza. Quindi adottare l ideologia della depressione, dello scoraggiamento è un lusso inaccettabile. Oltretutto non percepisci i dinamismi profondi della realtà. Ecco la prima condizione sarebbe tornare all intelligenza della speranza, alla passione della speranza. Ma una speranza comune, non del cristiano contro gli altri, dell occidentale contro gli altri. La speranza autentica è dell umanità intera, direi dell umanità e della natura insieme. L altro elemento importane servono persone integre. Integre non vuol dire in senso moralistico. Integre vuol dire che se noi siamo tante cose contemporaneamente siamo il cuore, la coscienza, la ragione, il corpo, l anima: che non è il contrario del corpo, è la nostra libertà originale, la nostra soggettività profonda, quella con cui diciamo i sì o i no alla vita oppure non diciamo niente perché è addormentata. Dice Martin Buber, grande filosofo ebreo: il male si commette sempre solo con una parte di noi. Vuol dire che c è una parte di noi che drogata da angoscia, drogata da avidità altro che lucida ha preso il sopravvento e ha messo a tacere le altre parti. Il male si fa spezzandosi: rompendo la comunità interiore, la comunità con gli altri. L integrità al contrario è armonizzare tutte le nostre voci, tutte le nostre facoltà, tutta la nostra capacità di presenza alla realtà. La grande alternativa: qui si gioca tutto sul potere. La questione del potere e qui entriamo allora nel discorso politico ha radici interiori, nella vita della persona che comunque è posta di fronte al bivio. O io cerco un potere verticale. Potere verticale vuol dire potere sopra gli altri, mi metto al di sopra degli altri: potere verticale. Cerco di difendermi dal negativo della vita, dalle relazioni con gli altri accumulando potere verticale. Il genitore, se vuole, ha un potere verticale sui figli, il parroco, se vuole, ha un potere verticale su quelli che lo ascoltano, e così via, il potere politico, il potere economico. Oppure accetto questo rischio che mi umanizza: vivere il potere orizzontale. Gli aggettivi che uso rendono l idea e non rendono l idea. Che non è solo una questione di collocazione. Non è che alto è cattivo e basso è buono. Così come dire non è che il partito è cattivo e il movimento è buono. Oppure che il globale è 7

8 cattivo e che il locale è buono. Che ne so, un movimento può essere molto più dogmatico, intollerante, liberista di un partito, non è detto: dipende ogni volta dalla qualità del potere che fa stare insieme quelle persone. Se si tratta del potere verticale, la logica è il dominio, la sopraffazione, l umiliazione. Potere orizzontale tradotto vuol dire servizio. Potere verticale si vuole sempre concentrato. Ma perché vogliono cambiare la Costituzione, vogliono cambiare la scuola, l indipendenza della magistratura? Perché si vuole una maggiore concentrazione di potere verticale. Il potere orizzontale, per chi per esempio è cristiano, è come l eucarestia: è un pane che si spezza, vive quando si spezza non quando resta tutto intero, tutto compatto. Allora ecco il servizio, quella influenza di ciascuno di noi nella vita dell altro che noi orientiamo nel senso della cura, del servizio, del riconoscimento. Allora è chiarissimo che sono due energie molto diverse: la prima energia è dominativa, è tendenzialmente distruttiva, non serve mai per il bene. Il potere orizzontale invece è fatto di diffusione, condivisione, territorio per territorio, famiglia per famiglia, città per città, popolo per popolo, e rappresenta non l altra dimensione del potere ma la conversione del potere. Ciascuno di noi è in questo bivio: userò quello che sono, le mie facoltà, i miei mezzi, per opprimere o per liberare? Per dominare o per servire? Ricordate nel vangelo la tentazione a cui è sottoposto Gesù nel deserto? È quella del potere. Vuoi il potere verticale? Te lo do tutto. Chi di noi resiste ad esercitare un potere, con la moglie, con il figlio, nel posto di lavoro, nel senso negativo? Oppure se non ce l ha, semplicemente, la cosa più miserabile, a invidiarlo: non ce l ho ma lo vorrei tanto e facciamo un esperienza di impotenza, di disumanizzazione. Il potere orizzontale invece ce l abbiamo, è disponibile, cioè ciascuno di noi può diventare una forza positiva per la vita degli altri. La scelta di questo secondo potere, di questa dimensione del servizio fa proprio delle persone, persone integre. Perché io man mano che sperimento questo, non è vero che faccio un sacrificio. E qui convergono la logica economica e la logica religiosa. Tutte e due ci dicono: questo vuol dire sacrificarsi. La logica economica dice: tu sei matto. È il profitto il contrario del dono e il dono viene letto come sacrificio o follia. Nella logica religiosa si dice : be, effettivamente ci perdo però lo devo fare. C è un dovere che mi riporta a questo sacrificio. Allora forse un antidoto o una parola che serve da antidoto è la parola piacere. Cioè vivere in quel modo lo faccio per piacere, ho il gusto, il piacere di essere me stesso, di non entrare in logiche distruttive, di poter essere libero quando tutto mi costringerebbe ad adattarmi a un tipo di sistema. Nessuno che non conosca, non apprezzi il piacere può fare del bene. Piacere è una parola sospetta, sempre condannata. È invece una parola profondamente etica. Io sono autentico quando nel mio operare il bene, pormi al servizio, provo un grande piacere. Che è una dimensione intrinseca di quello che chiamiamo felicità. 8

9 Quand è che l essere umano diventa persona? Quando è accolto in comunità. Comunità di vita che sono caratterizzate dalla comunione. C è comunità dove c è una comunione. Cioè dove ciascuno può essere se stesso ma dove anche conta il legame. In una comunità non conta il singolo come tale, conta il singolo, conta la comunità perché conta il legame. Quello è importante, quello è un valore. Ecco allora la falsa domanda: chi viene prima? Il singolo o viene prima la comunità? Non sono due valori da gerarchizzare. Perché il secondo lo sacrifico. Sono due valori da correlare perché non c è un singolo che possa sacrificare una comunità e non c è una comunità che possa sacrificare anche un solo singolo. Allora il grande cammino dell educazione, della politica, dell economia, è correlare i singoli e la comunità, compresa la natura, imparando a non sacrificare nessuno. Questo è l orizzonte, questo è il percorso. Io credo tutto questo non vive senza una svolta nella politica. Io identificherei, in particolare, il sistema di mediazione chiamato politica come l elemento che può dare un impulso di cambiamento e di riorganizzazione della nostra vita. Naturalmente una politica fatta da persone integre. Perché se sei narcisista o sei angosciato, hai l ossessione del risultato o l ossessione di essere al centro della situazione, non sarai fecondo, non sarai tu che cambierai il mondo. Ci sono situazioni di narcisismo, aree politiche anche nel nostro paese dove sono in tre e fanno quattro partiti perché hanno questa sindrome dell identità. La cultura dell identità. L Italia in particolare, i cattolici e la sinistra la destra ha già una logica più efficace e sa dove vuole andare e se ne frega dell identità perché guarda al risultato ma i cattolici e la sinistra stanno lì con la bandierina. La politica non si fa per la bandierina e l identità. In nome dell identità, cattolica, cristiana occidentale, comunista, vedete voi, io rompo il legame con l intera famiglia umana. Ma di famiglia ce n è una sola: la famiglia umana. Si potrebbe dire il creato intero. Recuperare questo senso di comunione universale, smettere di usare tutte le nostre etichette. Pensate: uomo/donna. Già basterebbe quella. La frattura tra il mondo femminile e il mondo maschile. Qui la violenza maschile sulle donne è un epidemia. Sta in tutte le culture, in tutte le condizioni, ci sarà una ragione? I nostri legami con la proiezione dell identità: uomo/donna, povero/ricco, credente/non credente. Usiamo tutto per spezzare questo legame. Al contrario, un altra politica parte da persone integre, dal riconoscimento di questo legame, nelle famiglie concrete, ricostituiamo i soggetti della responsabilità. Essere accolti in una comunità che è però una scuola, che è una comunità aperta, che non si assolutizza, che non sacrifica i suoi membri essere accolti in una comunità è la condizione per diventare persone e persone responsabili, quindi anche soggetti politici autentici. 9

10 Se c è questo come si può pensare veramente a un altra politica a un altro modo di fare? Finalizzare i nostri sforzi anche facendo un salto di qualità, in modo che incidano sull organizzazione della convivenza. In Italia noi siamo pieni di gruppi, comunità associazioni, riviste, movimenti, monasteri. Qui si opera veramente. Perché non riusciamo a fare un salto nella qualità politica della cura della convivenza? Nelle altre esperienze storiche delle primavere della storia pensate Gandhi e la nonviolenza, pensate, che ne so, la Primavera di Praga, la nascita della Costituzione in Italia, vedete voi qual è la primavera storica il 68, quella che vi sta più simpatica ricorrono sempre tre ingredienti. Primo: l intelligenza della speranza, cioè si vede un altra società. Quando Basaglia ha detto: il matto cosiddetto non è un pericoloso, non è un oggetto, è mio fratello e ha abbattuto quella barriera, quello aveva una visione di un altra società. Saper vedere concretamente una realtà diversa. Non è ottimismo, è proprio l intelligenza della realtà, devo vedere quello che può crescere nella realtà. Se no, non capisco, non la so leggere. Secondo ingrediente: persone integre nel senso che vi dicevo. Terzo ingrediente: un metodo. La nonviolenza, che non è semplicemente astenersi dal fare violenza basta leggere due righe di Gandhi e qualche altro autore che ha vissuto quest esperienza vedete non è un astensione, è un cambiamento radicale di logica, l attivazione dell energia del potere orizzontale non si fa la nonviolenza con potere verticale è la traduzione nella prassi politica della giustizia La nonviolenza è la scelta della giustizia. Non della giustizia che colpisce,ma della giustizia che guarisce, che risana le situazioni. La giustizia vera assomiglia alla buona medicina, è quella che guarisce. Il vangelo direbbe: i ciechi vedono, i sordi odono, gli ingiusti diventano giusti. I miracoli del vangelo sono tutti etici, non sono statue che sanguinano o apparizioni, sono tutti etici. Conversioni di vita. La prassi concreta, il metodo concreto di questa giustizia della restituzione, del risanamento, a mio avviso deve contemperare questi quattro elementi. Il primo: associarsi. E questo non ci manca. Dicevo in Italia ci sono associazioni di tutti i tipi che sono disponibili per questo percorso solo che sono disperse. 10

11 Secondo elemento: leggere la realtà. Noi non abbiamo un ordinamento vero della convivenza. Anche solo se voi prendete una città, trovate la contraddizione tra lavoro e capitale, tra violenza e nonviolenza, tra umanità e natura, tra uomo e donna, tra adulti e nuove generazioni. Trovate tutte contraddizioni. Le contraddizioni fanno vittime, non sono contraddizioni logiche, sono contraddizioni che producono ingiustizia, sofferenza. Leggo una situazione quando ne vedo le contraddizioni, leggere le contraddizioni, anche se sono dolorose da leggere, anche se mi coinvolgono, anche se mi vedono responsabile. Terzo: spostarsi. Fare politica vuol dire fare un viaggio. Mi sposto dalla mia condizione più o meno tutelata o di spettatore rassegnato e mi porto sulla frontiera di quelle contraddizioni dove stabilisco relazioni concrete con quelli che portano il peso dell ingiustizia si direbbe con le vittime, con gli ultimi, con i respinti che non sono entità astratte o entità cui fare assistenza, sono persone sperimento la fraternità, la solidarietà con loro, l amicizia con loro, ne conosco la storia, ne conosco il volto, ne conosco il nome. Stabilisco queste relazioni spostandomi sulla frontiera. Quarto passaggio: organizzo da quella condizione non perché prendo il potere. Mi trovo dentro contraddizioni insolubili, Prima di pensare di prendere il potere politico devo cambiare le condizioni di base del potere. Attraverso questo metodo stabilisco queste relazioni, genero processi di liberazione, si potrebbe dire di auto aiuto sociale, di auto organizzazione sociale. In questo modo creo aggregazione. Le persone, oggi che non si vede un orizzonte di liberazione, non si aggregano perché tu li inviti a una riunione. La politica non si fa con le riunioni. Si fa con una attività di auto aiuto sociale, di auto organizzazione che da risposte a queste contraddizioni sul territorio. Se tu fai questo -se tu fai la lotta alla mafia in certe regioni, se tu attivi alcune risposte relative ai servizi sociali, in altre situazioni e così via questo aggrega le persone che cominciano a dire: ma la realtà dovrebbe essere diversa, ma allora occorrerebbe un esercizio diverso del potere. Crescendo in potere orizzontale attraverso questo percorso, puoi interloquire, entrare nell interazione con le istituzioni, con i governi, con le amministrazioni locali, con i partiti, con i sindacati, ma se tu ci vai senza questo percorso, o sarai semplicemente respinto o sarai inglobato nella solita logica. È inutile fare una scuola di politica, preparare una brava persona e poi immetterla dentro quel circuito. La cosa si spegne lì, muore lì. Altro è se porzioni di popolo si organizzano, di persone di diverse condizioni, secondo questa logica, iniziano a generare risposte di liberazione, allora questo crea, questo diventa credibile, questo riapre gli occhi, questo permette di sperare in una società diversa. Se facciamo questo, possiamo arrivare anche alla politica istituzionale, che non va vista come se fosse un territorio demoniaco. Quello è un territorio necessario, però occorre imparare come incidere per modificarla strutturalmente. Oggi la contraddizione è che questa politica istituzionale è soffocata da quattro pietre tombali. 11

12 La prima: che è vissuta secondo una logica di guerra, è la stessa cosa. In Italia, chi vince le elezioni sembra che abbia vinto la lotteria. Festeggia e dice: non faremo prigionieri. Cioè abbiamo l ottica del vincere non del convivere. Dite a qualcuno che fa politica che il fine non è vincere. Ti dice: che è? Perdere? Allora sono stupido. L ottica è convivere, imparare a invertire le tendenze. Ma noi non lo capiamo perché abbiamo la logica di guerra. Secondo: nella politica vincono gli interessi finalizzati al dominio, cioè a sabotare la democrazia, a concentrare il potere verticale. Finchè la politica è questo fa solo danni. Terzo elemento: una politica che ha sostituito il riferimento alla verità con la menzogna pura e semplice. Un esempio banale, sciocco: c è un limite per presentare le liste, tu le porti fuori del limite, i cattivi sono i giudici che ti dicono che il limite è passato non tu che le hai portate fuori limite. Cioè la realtà è semplicemente invertita. La menzogna si sostituisce alla capacità di declinare in modo plurale e laico il rapporto con la verità: la verità non metafisica: la verità storica. I campi di concentramento ci sono stati o no? La verità giuridica. Chi sono i responsabili di tutte le stragi in Italia chi sono? Può un paese non sapere questo? La verità giuridica, la verità fattuale, la verità morale che sta nella Costituzione la dignità, i diritti umani. Se una collettività rinuncia a declinare in modo plurale, differenziato, laico, il rapporto con la verità, non viene fuori più tolleranza, viene fuori più menzogna e la menzogna è un altra espressione del dominio. Da ultimo: la politica mercenaria. Da noi fare politica è un mestiere e se è un mestiere io tengo famiglia non penso al bene comune, penso a quello privato, per la mia utilità privata. Allora se è questo, noi continuiamo a dire i politici, come se dicessimo gli elettricisti, gli idraulici, che è una categoria separata, così non è possibile cambiare la politica. Allora la risposta, a mio avviso, sta in tutti quelli che scelgono, come persone tendenzialmente integre, un metodo di giustizia restitutiva, lo calano nei territori dove vivono, non accettano passivamente quelle contraddizioni di cui parlavamo, e su questo potranno aggregare un consenso diverso, qualitativo, motivato, responsabile, e finalmente sarà possibile, non più collaborare ottusamente al male o al massimo, come diciamo quando andiamo a votare, scegliere il male minore ma veramente servire il bene comune. 12

13 Le conseguenze politiche della speranza di Roberto Mancini [ 4. L urgenza di un metodo per la politica La speranza lascia intravedere un metodo per la politica, nel senso ampio di una direzione e di un modo di agire grazie ai quali la politica stessa trova una via e una misura; a sua volta l assunzione di un vero metodo d azione svolge la speranza, permette all umanita di sperimentare un bene che corrisponde alla sua dignita per lo piu misconosciuta. Ma con quali tratti si delinea, in questa prospettiva, un metodo per la politica, anzi per una politica di servizio alla societa e all armonia tra umanita e mondo naturale? Di solito tale questione riceve scarsa attenzione da chi fa politica nei partiti e nelle istituzioni, mentre sono considerati molto piu rilevanti i soggetti, gli schieramenti, i numeri che esprimono i rapporti di forza e, nel migliore dei casi, le leggi elettorali e gli interventi di ingegneria istituzionale. Se tutti accettano implicitamente che la politica sia ricerca e conquista del potere, va da se che si adottera qualsiasi metodo sia funzionale a questo scopo. E ovvio che per chi intende la politica secondo questa mentalita ad esempio personaggi come Andreotti, Berlusconi o Bossi sono autentici "animali politici" che brillano per astuzia, abilita strategica e capacita di ottenere risultati. La guarigione della politica passa necessariamente per una nuova attenzione al metodo e in effetti per la disponibilita a seguirlo ed eventualmente a svilupparlo. Nella logica di potenza il cosiddetto uomo politico, almeno tendenzialmente, finche puo non deve sottostare a limiti: di potere accumulato, perche non avrebbe senso limitarlo e condividerlo oppure vincolarlo all uso di mezzi pacifici e democratici; di tempo, perche deve riproporsi al comando e durare il piu possibile; di criteri morali, perche questo gli legherebbe le mani; di verita, perche essa toglierebbe giustificazione al suo potere; di giudizio critico, ad esempio dalla libera opinione pubblica o dalla magistratura, perche esso farebbe rischiare una crisi di credibilita e di consenso, oltre che una drastica riduzione della liberta di manovra. Se accetta un limite lo fa o per compromesso tattico e strumentale, o perche non puo fare diversamente. I soggetti politici collettivi, come governi o partiti, si muovono secondo la stessa allergia al limite. Nella prospettiva di una politica di servizio, invece, ogni soggetto, singolo, collettivo o istituzionale, accetta di buon grado dei limiti: nel potere, in quanto viene condiviso e non concentrato, anzi, esso viene vincolato al limite che separa fecondita e distruttivita ; nel tempo, perche nessuno deve assumere come un fine in se la perpetuazione della propria identita 13

14 politica; nel rapporto con l etica e con la verita, poiche i soggetti della politica di servizio sanno che e la politica come tale a non dover essere assolutizzata e a mancare della legittimita per darsi i suoi criteri fondanti da sola; nel rapporto con il giudizio dell opinione pubblica e nell esposizione ai giudizi di competenza della magistratura, perche il potere non degenera se viene bilanciato e controllato da piu istanze. Il processo concreto in cui prende corpo questa svolta dalla politica di potenza alla politica di servizio e quello che prende avvio con l assunzione leale di un metodo da parte di una molteplicita di individui che si associano come movimento, gruppo, partito, sindacato, comunita, associazione. Una scelta simile pone le condizioni per giungere al superamento della confusione, della mancanza di continuita e della dispersione che spesso gravano tuttora anche sulle forme migliori di impegno politico. Il metodo indica e apre una via, dischiudendo un orizzonte rispetto al quale puo essere armonizzato il rapporto tra i fini e i mezzi, tra i valori di cui ci si prende cura e il tipo di energia che si impiega, tra i criteri di fondo e le strategie. Si riesce allora ad acquisire maggiore concretezza e capacita di armonia nell agire. Inoltre, l assunzione del metodo da l opportunita di superare l arbitrarieta delle opzioni, delle tattiche, dei narcisismi individuali. Non solo e non tanto perche un metodo politico fornisce delle regole d azione, uno stile, un eleganza del comportamento collettivo, ma anche e soprattutto perche il metodo, se viene seguito con saggezza e senso del limite, pone i soggetti politici nella condizione di riconoscere con fedelta e di servire quell orizzonte massimo che coincide con l unita della speranza umana e che da alla politica come tale la sua misura. Chi si orienta verso un orizzonte di questo respiro non puo non assumere un metodo per la sua azione. Si presenta qui un rischio ineludibile del rapporto tra metodo e politica, quello del dogmatismo metodologico. Cio che sto chiamando "metodo" non dovra infatti essere inteso come un nucleo rigido di regole e procedure. Eppure tale tendenza involutiva rappresentera quasi certamente una tentazione persistente. Per molti il Metodo potrebbe finire per diventare una specie di dogma. Proprio per questo e necessario maturare e condividere la consapevolezza del fatto che un metodo non e una casa, e una strada al cui sviluppo possono concorrere tutti quelli che sono disposti a fare questo cammino, e come un fiume che ha molte correnti. Un frutto ulteriore ed essenziale della cura per il metodo della politica diventa percepibile quando si precisa che qui non si tratta di un metodo qualunque, bensi del metodo piu adeguato a una politica di servizio e ispirata all unita della speranza umana. Ne deriva che, in tal caso, "metodo" non significa solo un quadro di criteri e di regole e neppure soltanto una via; la parola "metodo" raccoglie anche i significati di 14

15 conversione, riorientamento, guarigione. Cioe si tratta di una via lungo la quale avanzare ed essere trasformati diventano tutt uno. Il punto cruciale e che la fedelta alla scelta del metodo, che e poi fedelta al suo orizzonte, offre ai singoli e anche ai soggetti collettivi un antidoto alla tentazione permanente di ricadere nella logica di potenza. L insieme di queste acquisizioni e rintracciabile non a caso in quello che secondo me rimane il paradigma del metodo politico nel senso ora accennato, ossia il metodo della nonviolenza per come ha iniziato a svolgersi nell esperienza storica di Mohandas K. Gandhi, di Martin Luther King e degli altri che hanno avuto il coraggio dell azione nonviolenta. Proprio il carattere esemplare della via della nonviolenza pone in primo piano il nodo principale che la concezione qui delineata si trova dinanzi: come, quanti assumono un metodo nonviolento, possono affrontare il contrasto con quelli che per metodo hanno la semplice ricerca della potenza in qualunque modo? A che serve un metodo che resta senza potere e senza efficacia? Non naufraga tutto nell eterna contraddizione, per dirla in termini cristiani, tra croce e storia? E indispensabile giungere alla chiara consapevolezza del dato strutturale per cui il contrasto tra politica di potenza e di dominio, da una parte, e politica nonviolenta di servizio, dall altra, puo essere affrontato positivamente solo se ogni volta si riesce a produrre un cambiamento di piano e una riqualificazione del rapporti di forza. E lo scambio, nel senso ferroviario, che permette di passare dal confronto tra forze accecate e finalizzate a sopraffare gli altri al confronto che include anche il riconoscimento reciproco, il dialogo, la scoperta del bene comune e il servi zio a esso. E il passaggio dal conflitto distruttivo al conflitto solidale, dalla ricerca del dominio alla ricerca della giustizia ospitale verso tutti. Non c e potenza che possa sconfiggere la potenza; la politica della contropotenza e un illusione. Solo l amore politico nonviolento puo riconvertire la potenza in un energia qualitativa, in consenso informato e capace di discernimento, in risposta umanizzata ai bisogni sociali e umani. Per farsi un idea di questo tipo di scambio, di snodo, di svolta e illuminante ricordare ad esempio che, per quanto la cristianita abbia sempre di nuovo tentato, sino a oggi, di riportarla allo status dello strumento per eccellenza della vittoria, la croce di Gesu e i suoi frutti sono irriducibili e alternativi alla logica della vittoria che mortifica i nemici. Il bene comune, la pace, la giustizia vera potranno farsi strada nel mondo non grazie ai mezzi della potenza, stabilendo il dominio dei buoni su cattivi, bensi grazie al moltiplicarsi delle conversioni personali e al diffondersi di un metodo dialogico di incontro e anche di scontro. Si tratta percio di lavorare alle condizioni che permettono l emergere di persone, di soggetti collettivi, di istituzioni e di una cultura capaci di stare nel conflitto solidale, di restare al di qua del confine che separa dalla distruttivita il conflitto tra posizioni esistenziali e sociali differenti, tra diritti che sembrano elidersi a vicenda, tra tradizioni e progetti diversi. In particolare, promuovere una cultura dei diritti umani omettendo la cura 15

16 per le condizioni del conflitto solidale significa solo alimentare dialettiche tendenzialmente distruttive. L attraversamento dell iniquita e del male, la liberazione, la guarigione collettiva sono possibili solo per il farsi strada della forza mite della verita, di quella verita che e l amore, e per la crescente adesione degli esseri umani a essa. Non ci sono scorciatoie. 5. La politica di servizio: note per un metodo Se adesso teniamo conto del contesto odierno, credo che il paradigma della politica che da corso a questa svolta possa essere specificato in quanto metodo della politica di servizio. Voglio precisare che lo considero come una ripresa e una specificazione del metodo della nonviolenza. La sua descrizione e irriducibile alla forma di una serie di ricette e consigli pratici. Intendo semmai esplicitare, per dirla con Maria Zambrano, delle "note per un metodo" (cfr. M. Zambrano, Note di un metodo, Napoli, Filema, 2003, p. 30), cioe delle annotazioni che siano anche un po delle note musicali per un armonia possibile e ancora incompiuta, e che comunque a me non e affatto completamente nota. La fisionomia di questo metodo, a grandi linee, comincia a configurarsi facendo riferimento a tre nuclei: a. la tipologia delle azioni necessarie e feconde; b. il modello orientativo della loro sequenza operativa; c. il quadro degli obiettivi parziali e interconnessi, il cui perseguimento esige la congruita dell agire sia dal lato dei mezzi adottati, sia dal lato dell orizzonte di senso, di valore e di finalita che ispira l agire politico. a. La tipologia delle azioni necessarie e feconde, strutturalmente tipiche della politica di servizio, deve prevedere un agire restitutivo, un agire riconduttivo e un agire educativo. L azione restitutiva e quella che provvede alla restitutio in integrum dei diritti umani nei confronti di quanti ne sono stati spogliati. Il diritto qui e concepito, percepito e attuato a partire dalla condizione dei piu oppressi per risalire a quella di tutti. Non si tratta di rovesciare le posizioni tra oppressi e oppressori, secondo il modello storico delle rivoluzioni armate, ne di alleviare la condizione degli oppressi mantenendo la struttura sistemica che produce oppressione, secondo il modello storico dei riformismi, ne di fare concessioni e di dare assistenza ai piu svantaggiati, secondo il modello delle dottrine sociali paternaliste, ma si tratta di ricostruire l universalita del riconoscimento delle persone e del godimento dei diritti da parte loro muovendo dalla situazione di quanti sono stati resi gli ultimi della societa. L azione restitutiva e, da un lato, cosi radicale da tendere a riplasmare complessivamente l assetto della convivenza e, dall altro, cosi pacifica da promuovere non una vendetta sugli oppressori, ma processi di risanamento e di guarigione del tessuto sociale, della cultura diffusa e della vita pubblica. 16

17 L azione riconduttiva e invece quella che cerca di riattribuire effettivamente i doveri umani, politici, amministrativi a coloro che li hanno elusi. Essa riporta il potere al dovere e tenta di "costringere" culturalmente e giuridicamente chi esercita un potere pubblico a farlo secondo giustizia, a uscire dall indifferenza e dall irresponsabilita. La rete e la stratificazione delle cause e dei fattori di un sistema iniquo di convivenza e assai complessa e, alle fine, ognuno sembra legittimato nel poter dire: "non e colpa mia". Il dominio e, in radice, il male tendono sempre a farsi impersonali, il che consente loro di farsi pressoche inafferrabili, ubiqui, trascendenti. Non per niente spesso nella storia la reazione in buona fede a questa apparenza automatica del dominio e stata quella di superarlo tramite l identificazione del male con un nemico preciso, che ha un volto, un luogo e che percio puo essere colpito e sconfitto. La personificazione del negativo e una delle piu diffuse strategie cognitive e poi politiche di lotta. E l inverso del criterio che vorrebbe la distinzione tra il peccato e il peccatore, come talvolta si dice nella morale religiosa e come, in chiave trasfigurata e lucida, punta a fare la politica della nonviolenza. Nel processo di identificazione o di personificazione, nella mentalita della politica di contropotenza, cioe della prassi che combatte un dominio di altri per sostituirlo con il proprio, per cosi dire il peccato e il peccatore. Tutti i delitti e gli attentati cosiddetti politici si compiono secondo questo delirio dell eliminazione di un capro espiatorio. Allora il punto cruciale per l azione riconduttiva sta nella capacita di uscire sia dallo scenario di un sortilegio impersonale e immodificabile che domina su tutti (quello che Theodor Adorno chiama "il bando": Dialettica negativa, Torino, Einaudi, 2004, p. 162), sia dalla rappresentazione del nemico come causa e personificazione del male, per cui si finisce per credere che distruggendo lui il bene trionfa ("il nemico va distrutto" scriveva con pessima esemplarita Antonio Negri a conclusione e sigillo del saggio Marx oltre Marx, Milano, Feltrinelli, 1979, p. 197). L azione riconduttiva punta invece a sviluppare le forme di conoscenza critica, di coscientizzazione etica, di attenzione dell opinione pubblica e di pressione politica che spingano chi detiene un potere a modificare il proprio orientamento, ad accettare limiti impensati e indesiderati, a usare in maniera del tutto diversa il potere che gestisce - sempre nel caso che sia democraticamente legittimato a farlo - o anche, in molti casi, a farsi finalmente da parte e talvolta a sottoporsi al giudizio della magistratura. Preciso che lo spirito dell azione riconduttiva non ha a che fare con quella sorta di ingenua sottomissione che chiede ai potenti di diventare buoni e responsabili, come in certe intenzioni di preghiera della liturgia domenicale. L azione riconduttiva e una forma di conflitto, di pressione e puo eventualmente portare alla fine del potere di quei personaggi che fanno del male a un paese e alla societa. In ogni caso la portata dell azione riconduttiva dei doveri e talmente cruciale che l azione propriamente restitutiva dei diritti, risanatrice e reintegratrice non ha modo di dispiegarsi se non si sta svolgendo con almeno altrettanta efficacia anche l agire riconduttivo. L azione educativa a sua volta e indispensabile e contestuale rispetto ai 17

18 primi due tipi d azione; non puo essere isolata in luoghi e tempi separati. Certo, la famiglia, la scuola e l universita devono svolgere il loro compito educativo specifico. Questo rimane fondamentale perche una politica di servizio ha bisogno vitale di persone vere e proprie, di esseri umani formati, lucidi, tendenti alla saggezza, critici, creativi e nessuna di queste caratteristiche sorge se manca la cura educativa della famiglia e della scuola e dell universita, ognuna per quanto le compete. Ma nel contempo e indispensabile che anche i movimenti, i gruppi, le associazioni, le comunita, i partiti, i sindacati coltivino una qualita educativa del loro modo di essere e di agire, rendendo possibile alla societa come tale l apprendimento di nuovi modi di convivenza. Alle azioni restitutive e riconduttive vengono meno i protagonisti se mancano persone educate in tal senso disposte ad assumere responsabilita educative. Cio e evidente soprattutto se si pensa che i tratti peculiari di una politica di servizio sono cosi ardui che rischiano di diventare irraggiungibili per soggetti singoli e collettivi che non siano impegnati in un cammino di affinamento, di conoscenza e di sapienza. b. Il modello della sequenza operativa tramite cui i vari tipi di azione si realizzano e pensabile ad esempio secondo l ipotesi seguente, ma puo essere concepito e vissuto altrimenti. Posto che ci sia un risveglio interiore, motivazionale, spirituale, etico delle persone che le porta ad agire, il passo inaugurale sta nel procedere a una lettura della realta storica, una lettura tale da permettere una visione della condizione umana e dell ordine del mondo nel presente. Questa visione fa riconoscere urgenze e priorita, dando luogo a una consapevolezza che poi ispira scelte e programmi. Si tratta quindi di portarsi, come soggetti politici e come persone, sulla frontiera delle contraddizioni di fondo di un epoca per sollevare il peso che grava sugli oppressi, per risanare e rigenerare il tessuto della vita sociale, per sviluppare processi di liberazione che sfocino in un nuovo ordine della convivenza. Mi riferisco alla contraddizione tra potenza e servizio, tra violenza e nonviolenza, tra guerra e pace, tra uomo e donna, tra umanita e natura, tra capitale e lavoro, tra visioni del mondo che si sentono incompatibili tra loro. A secondo del contesto geopolitico in cui ci si muove si affronteranno le contraddizioni di volta in volta piu rilevanti e nocive. Questo viaggio sino alla frontiera delle contraddizioni non e mai un "portare" o esportare il bene e la salvezza agli altri. Chiede semmai di ascoltare le vittime e di stabilire relazioni concrete con loro senza abbandonarle mai al loro destino, imparando dal loro sguardo e dalla loro condizione. Occorre agire da questa situazione, individuando i processi decisivi e avviandoli o rafforzandoli, se sono gia in corso. Ecco il tratto essenziale: la politica di servizio non si cura del narcisismo delle identita e delle appartenenze perche invece ha a cuore i processi reali di cambiamento, i 18

19 frutti che si possono generare. Da questo punto di vista non le puo essere mossa l accusa, sempre rivolta dai fautori della Realpolitik a chi sembra loro un utopista, di seguire un etica dell intenzione senza attuare politicamente un etica della responsabilita per gli effetti. L azione che promuove processi concreti comportera di entrare nel conflitto, perche le contraddizioni richiamate poco fa non sono di tipo logico, ma sono contraddizioni economiche, sociali, culturali e implicano contrasti durissimi. Qui il compito e quello di imparare a stare nel conflitto senza mezzi distruttivi, imparando ad ascoltare anche gli avversari, ascoltando in particolare l istanza profonda che abita, probabilmente travisata e misconosciuta, la loro soggettivita umana. Si delinea cosi una correlazione tra agenti, vittime, avversari, in ruoli che non sono affatto rigidi, che deve potersi qualificare nel senso del dialogo. Il metodo della politica di servizio chiede sempre di stabilire un piano di dialogo con gli altri affinche ci sia il riconoscimento della dignita di tutti e possano essere intessuti dei compromessi fruttuosi. Parlo di quei compromessi che non sono una resa o una complicita nei confronti degli oppressori, ma sono delle forme di accordo che danno tempo di trovare soluzioni migliori, di scongiurare l uso della violenza, di discutere e di riconoscersi come interlocutori, di percorrere una strada prima inimmaginabile. Senza dubbio un soggetto politico, in special modo un soggetto politico collettivo, che abbia questo stile d azione ha bisogno di fonti e di guide per rivedere periodicamente la qualita del proprio impegno e la direzione del cammino, soprattutto quando si sconta la frustrazione per le molte sconfitte che si subiranno. Una riserva di facolta autocritica sara disponibile se questo soggetto politico sapra aderire a momenti di silenzio e anche di ascolto della parola dell arte, della ricerca filosofica e sapienziale, dell esperienza delle fedi. Sara necessario aggiornare di continuo l indagine sulle questioni centrali per l impegno che si sta conducendo. E in ogni caso saremo tenuti passo dopo passo a verificare se la nostra azione produce vittime, per fermarsi in tal caso e accettare di cambiare. Non chiudere qualsiasi canale di ascolto degli avversari servira appunto a rendersi conto se essi si sono trasformati nelle nostre vittime. c. Il quadro degli obiettivi parziali e interconnessi da perseguire sulla via della politica di servizio deve emergere nitidamente. Infatti l impegno che essi meritano e decisivo per la concretezza dell agire. Questo quadro serve a correlare in maniera congrua gli strumenti d azione adottati e le grandi finalita tipiche dell orizzonte di senso e di speranza che si e riconosciuto come vero. L elaborazione di programmi politici ed elettorali non potra che scaturire da una sapiente connessione di questi diversi livelli della politica di servizio. Nel novero degli obiettivi intermedi considero anzitutto quello di contribuire a riorientare l opinione pubblica e a portare l attenzione sociale sulle vere priorita della societa. Qui si pone la questione del consenso. Mentre una politica di potenza mira a un consenso qualunque, anzi il piu manipolabile e docile possibile, una politica di servizio deve suscitare un consenso qualitativo, fondato sulla crescita della capacita di discernimento. Correlativamente una politica di servizio si qualifichera 19

20 non perche sa dare una qualunque risposta ai bisogni emergenti in una societa, ma per la qualita umanizzante e democratica della risposta a questi bisogni. Un altro obiettivo essenziale, ricorrente nelle esperienze storiche della politica della nonviolenza, e quello di riuscire a modificare il diritto per ottenere leggi piu giuste, per far nascere una costituzione o per darle attuazione. Volgere il diritto, da strumento di conservazione dell iniquita dissimulata nell ordine vigente, in strumento di liberazione e di formazione di una nuova sensibilita e un compito imprescindibile. Si dovra inoltre riuscire a riorientare ed eventualmente a gestire le "politiche" specifiche di un governo e di uno stato: la politica sociale, economica, internazionali, ecc. A tali "politiche" corrispondono processi reali che devono essere seguiti e indirizzati. rafforzare le forme di vita e le realta alternative sul territorio. Su questo piano sara decisivo riuscire a incidere nel modo e nelle priorita riconosciute dalle leggi di bilancio dello stato e delle altre istituzioni locali, come pure di organismi sopranazionali, del tipo ad esempio dell Unione Europea. Il quadro degli obiettivi intermedi resta naturalmente aperto, perche e legato alle situazioni storiche determinate, e le indicazioni ora esplicitate sono solo l esempio di alcuni di essi. Analogamente rimane aperto il disegno di un metodo per la politica di servizio, perche e come un fiume che possiede molte correnti profonde e ancora sconosciute. Conclusione Credo che il cammino del mutamento storico e anche antropologico e spirituale che ho evocato nel mio discorso sara lungo e doloroso e che nondimeno giungera al suo compimento ora inimmaginabile. Credo anche che questo cammino non sara soltanto sostenuto e realizzato dal maturare di una politica di servizio. Anche la politica migliore non basta e non puo risolvere tutto. Servira nel contempo che si riconvertano a una logica di servizio tutte le altre sfere dell esperienza sociale che, oltre alla politica, nella modernita si sono vantate della loro autonomia: la scienza, la tecnologia, l economia, la morale. Ma anche la sfera dell esperienza religiosa, che ha sempre subito malvolentieri queste diverse autonomie. La logica del servizio all umanita e al mondo vivente toglie ognuna di queste sfere dall ambiguita che le costringeva alla sterile dialettica tra sudditanza ed egemonia. Se "era il senso dei diritti dell uomo promettere la felicita anche dove non c e potere" (M. Horkheimer - Th. W. Adorno, Dialettica dell illuminismo, cit., p. 186), sta a ogni facolta, tradizione e istituzione umana, a ogni sapere e a ogni forma d amore vero dimostrare che quella promessa non era falsa. E spetta a ciascuno di noi di fare la propria parte senza pretendere di sapere prima quanta sofferenza e quanta gioia incontrera. 20

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