Trapianto di fegato per carcinoma epatocellulare

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1 188 Trapianto di fegato per carcinoma epatocellulare Vincenzo Mazzaferro, Sherrie Bhoori Introduzione Le origini, lo sviluppo e l affermazione definitiva del trapianto epatico nella pratica clinica corrente sono intimamente legati ai tentativi di cura del carcinoma epatocellulare (CE). Anche oggi le più recenti prospettive multidisciplinari di diagnosi e cura del CE considerano il trapianto lo strumento potenzialmente più efficace nel cambiare radicalmente la storia naturale di quella che rimane su base planetaria una delle neoplasie a peggior prognosi. 1. Breve storia di un prodotto non finito Le cronache degli anni in cui il trapianto di fegato veniva definito come l unfinished product in grado di rivoluzionare l intero approccio alle malattie epatiche narrano dello straordinario sforzo di molti chirurghi ed epatologi europei, americani e dell Oriente del mondo alla ricerca di soluzioni tecniche che permettessero di superare i tanti problemi legati alla sostituzione del fegato nell uomo, in particolare nei pazienti affetti da gravi forme di tumore. Tra i molti pionieri che popolarono quegli anni febbrili, tra cui è doveroso ricordare personaggi carismatici quali F. Belzer, H. Bismuth, R. Calne, D. Hume, M. Makuuchi, J. Murray, J.B. Otte, D. Van Thiel, R. Pichlmayr, B. Shaw, S. Sherlock, S. Todo, A. Tzakis e molti altri, spicca la figura di Thomas Starzl, che nel 1963 eseguì il primo trapianto di fegato della storia della medicina, seguìto in quello stesso anno dall ulteriore caso di un paziente portatore di un epatocarcinoma che occupava l intero fegato ed era stato giudicato inoperabile a due precedenti esplorazioni chirurgiche, ovvero dal primo trapianto di fegato per un tumore epatico certamente in stadio molto avanzato. L impresa fu tanto straordinaria quanto priva di certezze, come testimoniano le parole di W. Goodwin, un importante chirurgo dell epoca, il quale annotava nei suoi appunti da Denver, Colorado, come: i chirurghi, giunti al termine del loro sforzo titanico, apparivano in condizioni ben peggiori di quelle del loro paziente. 1 Quei chirurghi resistettero comunque in modo straordinario alle critiche sul loro operato e soprattutto alla frustrazione dell insuccesso osservato in una lunga serie di pazienti perduti per svariati problemi, tra cui ad esempio la preservazione del fegato e il rigetto, che non potevano essere risolti con i farmaci allora a disposizione. L incrollabile perseveranza di quegli anni permise di esplorare e chiarire molti problemi tecnici associati al prelievo del fegato da cadavere e al trapianto vero e proprio nel paziente ricevente. Quei risultati si aggiunsero al miglioramento costante della gestione anestesiologica intra- e perioperatoria ed esitarono poi nell osservazione delle prime lunghe sopravvivenze, rese possibili anche dalla scoperta da parte di J. Borel e dall introduzione alla fine degli anni 70 della ciclosporina, il primo immunosoppressore selettivo della classe degli inibitori della calcineurina, a cui appartiene anche il tacrolimus (FK506), introdotto poco più di un decennio più tardi e ormai considerato farmaco di prima scelta nella prevenzione e nel trattamento del rigetto post-trapianto. 2 La combinazione di molti fattori tecnici e scientifici e le notevoli qualità personali e di gruppo dei ricercatori di quegli anni resero l intervento di trapianto e la gestione dei pazienti trapiantati accessibili a fasce sempre più ampie di chirurghi e di ospedali nel mondo. Il carattere estremo della proposta terapeutica offerta dal trapianto nei primi decenni della sua storia ai pazienti con CE rimase tuttavia a lungo immutato, portando a risultati molto scadenti che all inizio degli anni 90 si erano assestati su valori di sopravvivenza inferiori al 50% dei pazienti (Tabel-

2 Capitolo 11 Trattamento dello stadio precoce 189 la 11.4A): 3-6 una condizione che fu alla base della proposta, invero mai attuata, di escludere i tumori del fegato dalle possibili indicazioni al trapianto. L intera prospettiva subì un radicale cambiamento nella seconda metà degli anni 90, quando si arrivò a dimostrare per la prima volta che i risultati a distanza del trapianto per CE potevano essere enormemente migliorati applicando a priori criteri restrittivi di selezione dei pazienti. Un importante studio pubblicato nel 1996 dimostrò chiaramente che, sottoponendo a trapianto un paziente con CE entro i Criteri di Milano TABELLA 11.4 Evoluzione e caratteristiche dell indicazione a trapianto di fegato per carcinoma epatocellulare A. Era pionieristica Autore (anno) Stadio tumorale Sopravvivenza a 5 anni Ringe (1991) 3 80% > 5 cm 15% Iwatsuki (1991) 4 35% trombosi portale 36% 5% multifocalità Bismuth (1993) 5 50% > 3 noduli e sintomatici 49% (a 3 anni) 17% trombosi portale Moreno (1995) 6 60% T4 48% 25% trombosi portale B. I criteri di Milano Mazzaferro (1996) 7 Nodulo singolo, 5 cm 75% (a 4 anni) Noduli multipli 3, 3 cm C. Proposte di ampliamento dei criteri (donatore cadaverico) Autore (anno) Criteri proposti Sopravvivenza a 5 anni Milano IN Milano OUT Yao ( ) 12,13 Nodulo singolo 6,5 cm 80% 82% Noduli multipli 3, 4,5 cm e diametro totale 8 cm Herrero (2001) 14 Nodulo singolo 6 cm 79% globale 3 noduli, 5 cm Roayaie (2002) 15 Nodulo singolo o multipli, 5-7 cm ND 55% Kneteman (2004) 16 Nodulo singolo < 7,5 cm 87% 83% Qualsiasi numero di noduli, < 5 cm Onaca (2007) 17 Nodulo singolo 6 cm 62%* 54,3%* 4 noduli, 5 cm C. Proposte di ampliamento dei criteri (donatore vivente) Autore (anno) Criteri proposti Sopravvivenza a 5 anni Milano IN Milano OUT Todo (2004) 18 NA 79% 60% Hwang (2005) 19 NA 91% 63% Soejima (2007) 20 Qualsiasi numero di noduli, < 5 cm 100%* 74%* Jonas (2007) 21 Qualsiasi numero di noduli, 6 cm e 75% 62% diametro totale 15 cm (a 3 anni) Kwon (2007) 22 Qualsiasi numero di noduli, 5 cm 80% 60% Sugawara (2007) 23 5 noduli, 5 cm 94%* 70%* Takada (2007) noduli, 5 cm 73% 67% Gli studi con meno di 3 anni di follow-up e con meno di 20 pazienti non sono stati considerati nella tabella. NA, non applicabile; ND, non disponibile. *Sopravvivenza libera da recidiva.

3 190 (ovvero con nodulo singolo di neoplasia di diametro 5 cm o con noduli multipli di numero non superiore a 3 e di diametro 3 cm), è possibile osservare una sopravvivenza di circa il 75% a 5 anni dall intervento, ovvero ottenere il risultato migliore tra quelli attesi applicando qualunque altra terapia contro il CE (Tabella 11.4B). 7 Il risultato osservato applicando i Criteri di Milano, e la successiva loro validazione nell esperienza dei Centri più importanti al mondo, ha portato negli anni più recenti a un progressivo rovesciamento dell approccio trapiantologico nei confronti del carcinoma epatico, che è passato da indicazione occasionale e spesso di salvataggio a principale argomento di espansione e di interesse dell epatologia e della chirurgia epatica. Grazie al rinnovamento dell approccio prodottosi dopo la pubblicazione dei Criteri di Milano, i pazienti portatori di neoplasia del fegato in stadio iniziale rappresentano oggi la seconda indicazione assoluta al trapianto dopo la cirrosi post-epatitica in Europa, dove poco meno di pazienti con neoplasia sono stati trapiantati negli ultimi 20 anni (il 14% del totale delle indicazioni a trapianto di fegato nel nostro continente). In coincidenza con lo sviluppo recente delle nuove strategie di trattamento del CE di cui si è dato conto nei capitoli precedenti di questo libro, il trapianto di fegato per tumore sembra entrare oggi in una nuova fase, più complessa e per molti versi più oggettiva e più concretamente orientata all ottenimento di reali benefici per i pazienti. Volendo semplificare uno scenario che è in realtà molto articolato e in continua evoluzione si può affermare che al momento esistono due approcci generali alla problematica trapianto per tumore: essi sono entrambi coerenti nelle premesse ma spesso lontani da una coesistenza pacifica: da una parte, il trapianto di fegato ha oggi assunto il ruolo centrale di cardine terapeutico su cui far gravitare ogni pianificazione di cura tesa all eradicazione definitiva del CE insorto in pazienti affetti da epatopatia cronica o cirrosi (approccio strategico); dall altra parte, la teorica eliminazione di due malattie (cirrosi e cancro) con un solo atto terapeutico (il trapianto) è purtroppo applicabile in ambiti molto più ristretti di quanto desiderato, a causa di una serie di limitazioni di ordine clinico e oncologico a cui si associano importanti considerazioni di tipo organizzativo, sociale ed etico (approccio pragmatico). Dei problemi evidenziati da questi approcci in continua alternanza si darà conto più volte nel presente capitolo, solo accennando agli aspetti tecnici innovativi sviluppatisi negli anni recenti e lasciando alla ricca letteratura disponibile il resto dei dettagli chirurgici e delle problematiche di gestione medica dei pazienti trapiantati. 2. Definizione e innovazioni tecniche fondamentali del trapianto di fegato A dispetto della sua lunga storia di affinamenti tecnici e delle infinite varianti, la procedura di trapianto di fegato possiede una semplicità intrinseca immediatamente percepibile anche ai non specialisti. In estrema sintesi, infatti, l intervento consiste (Figura 11.8) nell asportazione del fegato malato (epatectomia totale) e nella sua successiva sostituzione con un organo proveniente da donatore deceduto o da donatore vivente. Ciò avviene mediante una serie di riconnessioni (anastomosi) che interessano i vasi in uscita (vena cava) e in entrata (vena porta, arteria epatica) del fegato. Alla fase vascolare, che è molto articolata e ricca di varianti, segue nella parte finale dell intervento la ricostruzione della continuità delle vie biliari. La descrizione delle problematiche tecniche del trapianto di fegato non rientra negli scopi di questa trattazione. È necessario, tuttavia, ricordare lo sforzo della comunità chirurgica che in questi ultimi anni ha permesso di elevare di molto lo standard del trapianto di fegato, ad esempio tramite una migliore gestione della fase anepatica dell intervento, grazie a una più agevole ricostruzione dello scarico venoso del fegato donato (Figura 11.9) 8,9 riducendo così fortemente la necessità di circolazione extra-corporea (bypass veno-venoso), o proponendo una strategia tecnica più fisiologica per le eventuali trombosi portali associate alla cirrosi (Figura 11.10), 10 per arrivare ovviamente alle tecniche di divisione del fegato intero tra due riceventi (Figura 11.11) 11 o al prelievo del lobo destro epatico in caso di donazione da vivente (Figura 11.12).

4 Capitolo 11 Trattamento dello stadio precoce 191 Vena cava sovraepatica Fegato da donatore Vena porta Arteria epatica da donatore Vena cava inferiore Arteria celiaca Tubo a T Stomaco Coledoco Pancreas FIGURA 11.8 Trapianto di fegato: schema della situazione anatomica a fine intervento. A B FIGURA 11.9 Metodi alternativi di ricostruzione della continuità della vena cava (ricostruzione dello scarico venoso del fegato trapiantato e dell intero distretto corporeo sottodiaframmatico). A, Latero-laterale, in cui si può apprezzare come rimangano in sede sia la cava retroepatica del donatore sia quella nativa del ricevente. B, Termino-laterale o piggy-back, in cui inizialmente viene preservato lo sbocco delle vene sovraepatiche native (1) poi unite insieme in un unica bocca anastomotica (2) che viene successivamente anastomizzata alla vena cava del fegato donato (3). (A, modificata da Belghiti et al. 8 ; B, modificata da Tzakis et al. 9 )

5 192 FIGURA Ricostruzione dello scarico venoso in caso di trombosi completa non neoplastica del distretto mesenterico-portale (anastomosi reno-portale associata a shunt spleno-renale). Rispetto alla trasposizione porto-cavale (ovvero l anastomosi tra la vena cava sottoepatica nativa e la vena porta del graft), già proposta negli anni 70 per i pazienti con trombosi portale completa, la soluzione schematizzata in figura è in grado di risolvere in modo convincente il problema dell ipertensione portale postoperatoria. (Modificata da Kato et al. 10 ) CE A B C FIGURA Alternative tecniche di divisione di un fegato intero per due riceventi (split liver transplantation). La separazione del fegato intero viene effettuata nella grande maggioranza dei casi in vivo, ovvero nel donatore al momento del prelievo del fegato. Da un organo intero è possibile ottenere due emi-fegati da allocare a coppie di riceventi adulto/pediatrico o adulto/adulto a seconda del volume epatico necessario a ogni alternativa. La tipologia più frequente di split liver prevede la separazione del lobo sinistro anatomico (segmenti II-III) dal resto del parenchima (A), ma è possibile in casi più selezionati anche separare un più ampio territorio sinistro (segmenti II-III- IV e lobo caudato) in blocco con lo scarico sovraepatico medio-sinistro (B) o lasciare a quest ultimo emi-fegato anche la vena cava retroepatica (C). (Modificata da Azoulay et al. 11 )

6 Capitolo 11 Trattamento dello stadio precoce 193 Arteria epatica destra (data al ricevente) Vena epatica comune (rimane nel donatore) Vena epatica destra (data al ricevente) Vena epatica destra sovrasuturata (rimane nel donatore) Vena epatica sinistra (rimane nel donatore) Lobo epatico destro (dato al ricevente) Arteria epatica sinistra (rimane nel donatore) Lobo epatico sinistro (rimane nel donatore) Dotto biliare destro (dato al ricevente) Vena porta comune (data al ricevente) Dotto biliare sinistro (rimane nel donatore) Moncone del dotto biliare destro (rimane nel donatore) Coledoco (rimane nel donatore) Vena porta sinistra (rimane nel donatore) Vena porta destra (data al ricevente) Arteria epatica comune (rimane nel donatore) FIGURA Trapianto del lobo destro epatico da donatore vivente (schema della separazione delle strutture vascolo-biliari nel donatore). All analisi contestualizzata sul CE di queste due ultime possibilità tecniche si darà più avanti ampio credito. Ciò che preme qui osservare è l ampiezza dell offerta tecnica oggi possibile e il vantaggio di alternative teoricamente pianificabili in ogni singolo caso con team chirurgici di esperienza, al fine di valorizzare al massimo la risorsa disponibile sia in termini di donazioni (ad es., nel caso del trapianto di fegato diviso tra due riceventi) sia di comorbilità e condizioni del ricevente, sia infine di adattamento al particolare contesto dei pazienti con neoplasia. 3. Criteri convenzionali e allargati di selezione a trapianto per CE A partire dai risultati ottenuti con l incorporazione dei Criteri di Milano nelle linee guida della UNOS (United Network for Organ Sharing: l organizzazione che governa l allocazione degli organi negli Stati Uniti), l ultimo decennio ha visto accumularsi molte proposte di espansione dei limiti fissati dallo studio originario dell Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Tali criteri allargati, a partire dalla molto citata proposta UCSF (University of California San Francisco), sono riassunti nella Tabella 11.4C e divisi per le tipologie di trapianto da donatore cadavere (Deceased Donor Liver Transplantation, DDLT) o da donatore vivente (Living Donor Liver Transplantation, LDLT): una distinzione correlata all opinione diffusa, ancorché priva di conferme oggettive, che sia più accettabile esporre a maggiori rischi di recidiva tumorale e di insuccesso i pazienti con un CE in stadio avanzato i quali possano anche accedere alla risorsa aggiuntiva ed esclusiva di un emi-fegato proveniente da un donatore vivente, cioè di un organo non sottratto al pool generale delle donazioni da cadavere, per le quali esistono indicazioni competitive correlate a maggiori benefici per altre categorie di potenziali riceventi.

7 Caratteristiche morfologiche del tumore (dimensioni e numero) Senza entrare nello specifico della donazione da vivente (vedi punto 6.3), ai Criteri di Milano è stata universalmente riconosciuta una ultradecennale capacità di protezione dei pazienti affetti da CE e dei medici che li hanno avuti in cura. Grazie alla sistematizzazione delle caratteristiche morfologiche del tumore epatico previste dai Criteri di Milano (che quantizzano dimensioni e numero di noduli accettabili per i candidati in lista di attesa) è stato infatti possibile recuperare pienamente l indicazione a trapianto nei pazienti affetti da CE, evitando nel contempo dispersioni e sprechi della risorsa limitata degli organi disponibili. Nell ultimo quinquennio più vivo si è fatto il dibattito a favore o contro l allargamento dei criteri convenzionali, a seguito di alcune analisi retrospettive e di esperienze aneddotiche che hanno evidenziato come anche nei pazienti trapiantati fuori dai Criteri di Milano sia possibile ottenere buoni risultati. Deve essere sottolineato in proposito che tali studi descrivono nella gran parte dei casi sopravvivenze intorno al 60% a 5 anni, dunque si collocano in un area di soddisfazione terapeutica percepibile seppure con risultati assoluti significativamente inferiori a quelli ottenibili applicando le indicazioni classiche. Dal confronto serrato tra approccio strategico e pragmatico sul punto cruciale dell espansione dei criteri di selezione a trapianto emergono alcune considerazioni che è importante ricordare: tutte le proposte di allargamento dei criteri di selezione a trapianto per CE derivano da studi di coorte retrospettivi e in gran parte monocentrici, ovvero non validati da serie prospettiche o da studi caso-controllo; nessuna proposta di allargamento, con la sola recente parziale eccezione dei criteri UCSF, ha raggiunto numerosità sufficienti da assumere rilevanza statistica o capacità di modificare stabilmente la pratica clinica; ogni proposta di allargamento dei criteri convenzionali è originata dalla previsione di un buon risultato per i pazienti rispondenti ai criteri proposti e non di un cattivo risultato in coloro che eccedono tali criteri; come a dire che il valore predittivo di ogni nuovo criterio appare limitato se applicato a strategie di selezione dei candidati che vogliano includere (e non escludere) stadi di tumore più avanzato; negli ultimi anni la tecnologia dell imaging radiologico ha fatto crescere di molto la sensibilità e la specificità diagnostica sui CE sotto i 2 cm, lasciando ricca di incertezze la fascia di lesioni sotto 1 cm di diametro. Come a dire che alla diminuzione degli errori diagnostici sui piccoli tumori (early CE) corrisponde un aumento di incertezza pre-trapianto sui tumori molto piccoli (very early CE). Il risultato finale è che il tasso di sovra/sotto stadiazione radiologica del CE pre-trapianto si mantiene stabile e oscillante tra il 15% e il 25% dei casi, in dipendenza delle capacità e dell esperienza dei Centri, con una sostanziale migrazione di stadio radiologico osservata nel tempo dai pazienti portatori di CE più evidenti e avanzati a quelli sospetti per multifocalità ma per noduli molto piccoli. 25 Queste considerazioni assumono notevole importanza in sede decisionale sulla candidatura a trapianto per soggetti con CE borderline, ovvero a cavallo dei Criteri di Milano, sia perché ancora non è chiarito il ruolo prognostico post-trapianto dei CE inferiori a 1 cm, sia perché è evidentemente diverso l impatto prognostico di un errore di stadiazione su un paziente fuori dei criteri per un macroscopico aumento di dimensioni del tumore principale se contrapposto a situazioni in cui all esame del pezzo chirurgico viene riscontrato un nodulo neoplastico satellite o aggiuntivo di dimensioni subcentimetriche che da solo può causare una migrazione peggiorativa di stadio e (forse) di prognosi. A causa della scarsità degli organi per trapianto e dei meccanismi sempre più articolati di allocazione di quelli disponibili, e anche in considerazione dei trattamenti sempre più utilizzati in pazienti con CE (vedi punto 4), si ritiene ormai impossibile allestire studi prospettici che possano dire una parola definitiva sul criterio di espansione migliore tra i tanti proposti. Se tuttavia si prova a rappresentare su un unico piano cartesiano i vari criteri costruiti su dimensione-e-numero dei CE e li si mette in relazione ai risultati di sopravvivenza osservati (Figura 11.13) si apprezza un evidente trend prognostico che tende a identificare rischi di insuccesso tanto maggiori quanto più ci si allontana dai limiti di dimensione e numero dati dai cri-

8 Capitolo 11 Trattamento dello stadio precoce 195 Numero di noduli Pittsburgh Milano Barcellona Paris Paul Brousse Japan San Francisco Multicentric Barcellona Pamplona Milano Pamplona San Francisco New York Mt. Sinai Barcellona PittsburghPi Dallas Da Tumor Registry Dimensioni del tumore (cm) 75-80% 50-75% 35-50% Sopravvivenza attesa a 5 anni FIGURA Il paradigma Metroticket (più lungo è il viaggio, maggiore è il costo del biglietto) nel contesto del trapianto per CE dimostra che maggiore è l allontanamento dai criteri convenzionali del CE sottoposto a trapianto (nodulo singolo 5 cm o noduli multipli 3 e 3 cm), peggiore è la sopravvivenza osservata. (Modificata da Majno e Mazzaferro 26 ) teri convenzionali. Una regola generale che è ben riassunta nel cosiddetto paradigma del biglietto (the metroticket analogy), secondo il quale più lungo è il viaggio, più alto il costo che nel contesto del CE sottoposto a trapianto si traduce nel constatare che maggiore è l allontanamento dai criteri convenzionali, peggiore è la sopravvivenza post-intervento. 26 Di recente, il criterio morfologico delle dimensioni-e-numero del CE è stato ulteriormente declinato nel calcolo derivato del volume della neoplasia che, quando inferiore a 115 cm 3 e se associato a valori di alfa-fetoproteina sierici < 400 ng/ml, sarebbe in grado di prevedere sopravvivenze post-trapianto non diverse da quelle ottenibili dall applicazione dei Criteri di Milano. 27 Dal punto di vista delle sue potenzialità curative nei confronti del CE, il trapianto di fegato si allinea dunque a quanto in oncologia è già acquisito per la maggioranza delle neoplasie solide dell adulto, ovvero che le caratteristiche morfologiche del tumore alla diagnosi sono alla base della previsione generale di sopravvivenza e del risultato delle terapie, anche se esse non possono essere le sole protagoniste della decisione sul trattamento da intraprendere. È interessante qui ricordare quanto verrà detto in conclusione a proposito delle nuove strategie farmacologiche contro i tumori solidi compreso il CE, che non sembrano rispettare il criterio della quantità di neoplasia presente (tumor burden) come diretto determinante della risposta terapeutica Caratteristiche biologiche del tumore e loro surrogati istologici Dell importanza prognostica dello stadio di cirrosi associato al tumore e dell influenza del performance status del paziente sulle scelte terapeutiche si è dato conto in altre parti di questo libro. Ciò che preme qui ricordare è che ancora una volta è stata l esperienza dei trapianti per CE a fare emergere per prima il ruolo cruciale in senso prognostico dei diversi gradi di aggressività biologica del tumore. L analisi dei risultati del trapianto come procedura posta al limite macro dello spettro terapeutico per la cura del CE ha anticipato infatti quanto le moderne strategie di terapia a bersaglio molecolare vanno investigando al limite micro opposto delle alternative di cura: e cioè che a parità di caratteristiche morfologiche del CE esistono diversi comportamenti clinici del tumore, a loro volta cor-

9 196 relati a diverse espressioni geniche attivate per tramite di catene di interazioni molecolari cellulari (pathways) specifiche e tra loro articolate. 28 Dal punto di vista pratico, in attesa di marcatori molecolari indiscutibili che permettano di identificare sottogruppi di CE a diversa prognosi, la pratica clinica corrente riconosce nella presenza di alcune caratteristiche istologiche del tumore i surrogati in grado di identificare con ragionevole approssimazione i tumori a maggiore aggressività (Figura 11.14). I più frequentemente riportati nelle varie casistiche sono: la sdifferenziazione tumorale o grading, in genere diviso in G1, G2 e G3 (ovvero a basso, intermedio e alto grado secondo Edmonson-Steiner) (Figura 11.14A); 29 l invasione vascolare microscopica (microvascular Invasion, mvi; da non associare alla MVI [Macroscopic Vascular Invasion] o trombosi neoplastica che, se accertata preoperatoriamente, è in assoluto il fattore di esclusione più importante dal trapianto per tumore) (Figura 11.14B); la presenza di microsatelliti tumorali associati al nodulo principale (Figure 11.14C e ). A tali fattori puramente istologici alcuni aggiungono il livello sierico del marcatore tumorale alfa-fetoproteina (AFP) che, se elevato oltre i 400 ng/ml, sarebbe indicatore di prognosi scadente. La combinazione di questi e altri indicatori, quali la presenza di cellule giganti e il diametro del nodulo tumorale, ha portato a proporre score prognostici istologici in grado di predire il rischio di recidiva di CE post-trapianto. 31 È utile comunque sottolineare che la presenza dei fattori biologici più sfavorevoli come la mvi e il grading G3 è in relazione statistica diretta con l estensione del tumore e quindi con le caratteristiche morfologiche del CE. Valori progressivamente maggiori di dimensioni del tumore o del numero dei noduli si accompagnano infatti a un incremento di neoplasie con microinvasione vascolare, con grading più elevato o con presenza di microsatelliti (Figura 11.16). 32,33 In questa luce appare consequenziale l osservazione di alcuni studi che sottolineano come la presenza di fattori biologici favorevoli (ad es., neoplasie a basso grado) selezioni pazienti a migliore prognosi post-trapianto nel particolare caso di candidati con CE oltre i criteri convenzionali. In altre G1 G2 G3 A Neoplasia Sinusoide B C FIGURA Determinanti istologici più rilevanti di prognosi post-trapianto per carcinoma epatocellulare (surrogati biologici dell aggressività tumorale). A, Grading. 29 B, Invasione microvascolare. C, Microsatelliti. 30

10 Capitolo 11 Trattamento dello stadio precoce 197 Distanza del microsatellite (mm) dal tumore principale Dimensioni del tumore principale (mm) Frequenza di invasione microvascolare (%) cm G1-G2 >4 cm o G2-G3 >4 cm e G2-G3 FIGURA La presenza di microsatelliti e la loro distanza dal nodulo principale si correlano alla dimensione del tumore primitivo. (Modificata da Sasaki et al. 30 ) FIGURA La presenza di invasione vascolare e di grading elevato si correla alla dimensione del tumore primitivo. (Modificata da Esnaola et al. 32 ) parole, i surrogati istologici di bioaggressività tumorale assumono un ruolo sempre più rilevante nel determinare la prognosi post-trapianto quanto più ci si allontana dai criteri convenzionali morfologici, basati come si è visto sulle sole caratteristiche misurabili del tumore. Diretta conseguenza di queste osservazioni è la proposta avanzata da più parti di sottoporre a bio - psia quei CE oltre i Criteri di Milano che per ragioni varie venissero comunque valutati per trapianto. Si tratterebbe in questi pazienti di eseguire quindi non una biopsia diagnostica, di fatto non necessaria in presenza delle note linee guida EASL e AASLD, 34 ma una biopsia prognostica, da condurre con precauzioni specifiche quali ripetuti passaggi dell ago bioptico e la raccolta di quantità sufficienti di tessuto per analisi molecolari approfondite. Le limitazioni a un uso estensivo di tale approccio sono costituite dal fatto che un nodulo di CE, soprattutto di rilevanti dimensioni, può ospitare aree ad aggressività diversa e a diverso grading, non tutte rilevabili a un campionamento istologico, e che la biopsia ha una specificità inferiore al 30% nel rilevare la presenza di microinvasione vascolare o di satellitosi. 35 Rimane comunque il dato incontrovertibile che l analisi più dettagliata possibile delle caratteristiche biologiche del tumore (oggi surrogate da indicatori istologici ma domani direttamente dedotte dalla firma molecolare dei vari sottotipi di CE) costituisce un cardine cruciale di valutazione nei pazienti candidati a trapianto di fegato, soprattutto nei casi oltre i Criteri di Milano o comunque progrediti a stadi più avanzati durante il periodo in lista d attesa L individualizzazione della prognosi post-trapianto per CE: realtà o illusione? Da quanto si è detto, la prospettiva di un futuro dei trapianti per CE basato solo su rigide limitazioni morfologiche del tumore senza cioè tener conto delle sue caratteristiche biologiche specifiche e delle verosimili differenze di espressione genica sia del tumore sia del fegato su cui insorge appare inverosimile. In linea con un pensiero medico che si fonda sull inequivocabile dato biologico di unicità del patrimonio genetico individuale e della sua espressione fenotipica, anche i clinici coinvolti nell impiego dei trapianti di fegato in soggetti con tumore hanno iniziato un percorso di personalizzazione dell offerta terapeutica ritagliata sulle caratteristiche dei pazienti e della neoplasia da trattare. Il processo che ha portato all elaborazione di strumenti pratici e in qualche modo oggettivi per individualizzare le candidature a trapianto per CE è partito dalla constatazione già ricordata nella Figura che esiste una precisa relazione tra l estensione del tumore al momento del trapianto e la prognosi do-

11 198 po l intervento (recidiva e/o sopravvivenza) e che questa relazione è progressiva e non legata a cutoff precisi. Dall analisi retrospettiva su un grande campione di valutazioni anatomo-patologiche eseguite in Europa sui fegati espiantati in pazienti con CE oltre i Criteri di Milano è stato ricavato un algoritmo matematico in grado di prevedere la probabilità di sopravvivenza post-trapianto sulla base delle due fondamentali variabili morfologiche (dimensioni e numero dei noduli) e del più forte surrogato di aggressività biologica (l invasione vascolare microscopica). Come illustrato nella Figura 11.17, numerose combinazioni di dimensioni-e-numero del tumore (e non solo una) possono competere per lo stesso risultato di sopravvivenza, con la componente biologica dell invasione vascolare a rappresentare (se assente o presente) un ruolo determinante in grado di raddoppiare o dimezzare la previsione di risultato calcolata sulla base delle prime due variabili. Il trasferimento dell algoritmo in grado di calcolare la sopravvivenza attesa per ogni singolo caso su un software dedicato ha permesso di allestire un calcolatore prognostico accessibile all indirizzo web: calculator. 36 Per ogni singolo caso (reale o virtuale) è quindi possibile determinare con buona approssimazione e con i relativi intervalli di confidenza la probabilità di sopravvivenza a 3 e a 5 anni di un dato paziente (reale o virtuale): un dato che, come in altri calcolatori di prognosi in oncologia, aggiunge spessore oggettivo alla scelta (spesso soggettiva) di una prospettiva terapeutica come il trapianto. La disponibilità di uno strumento come metroticket calculator rende a portata di computer una serie di valutazioni collaterali ripetibili in ciascun paziente durante il follow-up, sia al fine di verificare l impatto prognostico di eventuali strategie di retrostadiazione del tumore (vedi oltre) sia per meglio individuare sottogruppi omogenei di pazienti a cui riservare strategie di trattamento meglio comparabili tra loro. Inoltre, di molto facilitato è il processo di informazione al paziente, che acquisisce maggiore trasparenza soprattutto in caso di perplessità sulle indicazioni a trapianto a causa dell estensione o della progressione del tumore. Numero di tumori Numero di tumori Numero di tumori A 60% 65% 70% 75% B C 75% 70% 55% 65% 10 25% % 7 35% 6 40% % 3 50% 2 55% 60% Dimensioni del tumore più grande (mm) FIGURA Individualizzazione della prognosi post-trapianto per carcinoma epatocellulare. Esiste un continuum matematico nella relazione tra le caratteristiche morfologiche (dimensioni e numero) e biologiche (invasione vascolare) del tumore e la probabilità di sopravvivenza post-trapianto del paziente. Ogni fascia di sopravvivenza (a 5 anni dal trapianto) può essere infatti identificata da varie combinazioni di dimensioni e numero di noduli di neoplasia (A) ed è fortemente migliorata o peggiorata dall assenza (B) o dalla presenza (C) di invasione vascolare rilevata nel tumore. Il dato preciso per ogni combinazione di variabili è accessibile all indirizzo web La simulazione della prognosi teorica per ciascun paziente può essere utilizzata come elemento oggettivo nella valutazione spesso soggettiva della candidatura a trapianto. (Tratta da Mazzaferro et al. 36 ) Nello studio del Metroticket Investigators Study Group è anche emerso un possibile ulteriore criterio di allargamento dell indicazione a trapianto per 50% 60% 45% 55% 40% 50% 35%

12 Capitolo 11 Trattamento dello stadio precoce 199 CE che, rispetto agli altri proposti nella Tabella 11.4B-C), ha un maggiore livello di evidenza perché derivato da uno studio di popolazione e non solo di coorte: i cosiddetti Criteri up-to-7 (fino a 7), ovvero: carcinomi epatocellulari che in assenza di invasione vascolare sono identificabili da uno score composito costituito dalla somma tra dimensioni (in cm) e numero di noduli = 7. Ad esempio, 1 nodulo singolo di 6 cm (1+6=7); oppure 2 noduli di 5 cm (2+5=7); oppure 3 noduli di 4 cm (3+4=7); oppure 4 noduli di 3 cm o 5 noduli di 2 cm, cioè tutte combinazioni comprese in uno score fino a 7. È stato rilevato che i pazienti europei con CE entro i Criteri up-to-7 hanno risultati di sopravvivenza a 5 anni non significativamente diversi dai trapiantati entro i Criteri di Milano. Un risultato che permette di identificare in tale fascia di indicazioni la più promettente su cui investire in futuri studi prospettici. 4. Ruolo delle terapie ponte (bridging) e della retrostadiazione (downstaging) pre-trapianto L incremento progressivo dei candidati a trapianto di fegato per CE in presenza di una risorsa più o meno stabile di organi disponibili, il conseguente allungamento delle liste di attesa e l aumento del rischio di uscirne per i candidati a trapianto portatori di tumore epatico (Figura 11.18) 37 hanno indotto clinici e ricercatori a proporre il trattamento della neoplasia epatica in prospettiva del trapianto, allo scopo di ridurre sia il rischio di progressione tumorale nel periodo pre-trapianto sia quello di recidiva tumorale post-trapianto. È necessario dire a questo proposito che nessuno di questi due obiettivi è stato raggiunto con conferme solide originate da studi prospettici e randomizzati che abbiano dimostrato l utilità certa del trattamento del CE in prospettiva trapianto 38 o individuato stadi specifici di malattia che possano trarre maggior beneficio da un aggressività terapeutica anticipata, di tipo neoadiuvante (ad es., nei casi oltre i criteri convenzionali o con fattori biologici avversi) Approcci e obiettivi delle terapie pre-trapianto Le strategie di impiego di altri trattamenti in attesa del trapianto (chemioembolizzazione, ablazione, farmaci a bersaglio molecolare e resezione chirurgica) hanno una logica convincente, anche se l assenza di prove certe di efficacia ha generato una migrazione di scopo degli studi sulle terapie neo - adiuvanti stesse, le quali sempre più spesso vedono abbandonare l originale obiettivo di dimostrar- 0,4 31,8% Percentuale di drop-out 0,3 0,2 0,1 9,4% 16,9% 13,5% CE NM 19,1% 8,7% 0, Tempo in lista di attesa (in giorni) FIGURA La probabilità di uscita dalla lista di attesa trapianto (drop-out) cresce in relazione al tempo più per il carcinoma epatocellulare che per le indicazioni non maligne (NM). (Modificata da Freeman et al. 37 )

13 200 si utili a migliorare la sopravvivenza dei pazienti (dall approccio strategico), per trasformarsi in mero strumento di selezione dei casi di CE da candidare al trapianto (all approccio pragmatico). A ciò si aggiunge il fatto che le terapie pre-trapianto, come ogni altra strategia oncologica pre-chirurgica, sono sempre associate a due obiettivi misurabili che non devono essere confusi al momento della valutazione dei risultati: la citoriduzione del tumore (ovvero la risposta sull estensione della neoplasia, valutabile sia istologicamente sia con surrogati derivati dall imaging radiologico o metabolico); il miglioramento prognostico (ovvero il risultato di sopravvivenza globale e/o il tasso di recidiva tumorale ottenuto sui pazienti). Nel caso specifico dei CE sottoposti a vari tipi di trattamento in una prospettiva trapiantologica, è cruciale definire per ogni protocollo di lavoro quale dei due obiettivi si sia voluto perseguire e quale sia il peso del risultato da esso ottenuto sul prosieguo delle scelte di cura. Ben diverso è cioè affermare che la terapia contro il CE ha avuto successo perché ha ottenuto una risposta misurabile sul tumore (effetto citoriduttivo) rispetto alla conferma di un tangibile beneficio sul paziente in termini di durata della sua sopravvivenza o di tasso di recidiva tumorale post-trapianto (effetto prognostico): sono infatti molti i casi in cui l ottenimento di una citoriduzione del tumore pre-trapianto non implica un miglioramento prognostico sul paziente. Nella realtà quotidiana fatta di lunghi tempi di attesa e di strumenti alternativi a disposizione contro il CE si è visto come tenda a diventare prevalente l approccio pragmatico, che induce comunque a trattare la neoplasia in una fase preliminare, per poi decidere in merito al trapianto solo se si è osservata una risposta ai trattamenti o se non si è manifestata tendenza alla crescita del tumore nel tempo. Deve essere rilevato che tale approccio, seppur giustificato dalle contingenze di cui sopra, è associato a una minore rilevanza strategica e a un aumento del grado di eterogeneità dei comportamenti osservati: l approccio pragmatico infatti non è orientato alla dimostrazione di evidenza (evidence-based) perché esplora solo a posteriori (e non a priori) il potenziale beneficio di una terapia e anzi impiega su base empirica un ampia fascia di trattamenti (anch essi di variabile efficacia in dipendenza di fattori individuali e del tumore), con costi non indifferenti se applicati su larga scala. Per questa ragione l urgenza di studi clinici prospettici e randomizzati sull argomento si sta facendo stringente, anche a causa della comprensibile nonaccettazione dei pazienti di fronte a eventuali decisioni mediche di esclusione dalla lista di attesa per mancata efficacia di quelle stesse terapie che invece il trapianto avrebbero dovuto favorire (i cosiddetti drop-out per inefficacia dei trattamenti) Risultati e raccomandazioni Entrando più nel dettaglio, si deve ricordare che le terapie contro il CE possono essere applicate prima dell intervento a vari contesti di malattia e possono essere divise in due fondamentali gruppi: terapie ponte (bridging): ovvero trattamenti somministrati a pazienti già inseriti in lista di attesa trapianto in quanto portatori di CE rispondenti ai criteri convenzionali, allo scopo di impedire la progressione del tumore oltre i suddetti limiti e di mantenere il paziente in lista di attesa; terapie di retrostadiazione (downstaging): ovvero trattamenti somministrati a pazienti non eligibili a trapianto perché portatori di tumore oltre i criteri convenzionali, allo scopo di riportarne lo stadio entro limiti di dimensione o di numero o di vitalità tumorale codificati a priori (in genere Milano o UCSF) e giudicati compatibili con la candidatura a trapianto. Dell esperienza raccolta negli ultimi anni in tema di bridging e downstaging, si fornisce un quadro riassuntivo in Tabella e Figura Volendo provare a sistematizzare una problematica di per sé molto eterogenea e spesso arbitraria su ogni singolo parametro, si può dire che in generale le pratiche di bridging e di downstaging sono molto comuni nella maggior parte dei Centri trapianto anche se non esistono protocolli codificati che privilegino una tipologia specifica di trattamento/i. Di fatto nell ultimo quinquennio l uso della termoablazione sembra imporsi come la migliore terapia ponte anche per l efficacia dimostrata nel mantenere in lista pazienti con tumore iniziale. 50,51 Nella pratica del downstaging, invece, la chemioembolizzazione (TACE) rimane il tratta-

14 Capitolo 11 Trattamento dello stadio precoce 201 mento di maggior uso, soprattutto nei tumori multifocali oltre i criteri convenzionali (Tabella 11.5). A proposito di ciascuna delle due prospettive percorribili si può inoltre aggiungere che: 1) Per le terapie ponte (bridging): non vi è prova solida che l utilizzo di terapie ponte entro i Criteri di Milano migliori una prognosi già favorevolmente correlata allo stadio di presentazione del tumore. Il risultato positivo del bridging (soprattutto con l uso della termoablazione) in termini di citoriduzione del CE si attesta peraltro su valori alti e tali da far intuire una correlazione tra la sopravvivenza e il grado di necrosi tumorale ottenuto dal trattamento, come nell esempio di uno studio austriaco 52 in cui a 5 anni è stata osservata una sopravvivenza dell 85% per i CE in cui era stata ottenuta una necrosi completa, del 64% per la necrosi parziale e del 51% per l assenza di necrosi nei tumori trattati pre-trapianto; l applicazione delle terapie ponte nei pazienti con CE all interno dei Criteri di Milano appare conveniente quando l attesa in lista trapianto è prevedibilmente superiore ai 6 mesi. 53 Fortemente consigliato e quasi obbligatorio è invece l uso di terapie ponte quando si riscontri un CE in progressione durante l attesa a trapianto, allo scopo di ridurre l impellente rischio di esclusione dalla lista (Figura 11.18); l uso delle terapie ponte si associa infatti a un basso rischio di uscita dalla lista di attesa dei pazienti trattati (tasso di drop-out segnalato tra lo 0 e il 14%). Su questa base si assume che le terapie bridging sono quasi sempre percorribili perché quasi mai in grado di causare complicanze tali da compromettere la permanenza del paziente in lista di attesa e quasi sempre efficaci nel mantenerlo. 2) Per le terapie di retrostadiazione (downstaging): la probabilità di successo del downstaging si correla alla condizione del tumore alla diagnosi (Tabella 11.5) Considerando sia l effetto citoriduttivo (espresso dalla percentuale di necrosi del tumore o dal rientro nei Criteri di Milano) sia quello prognostico (sopravvivenza e tasso di recidiva), sembra valere il principio che quanto più avanzata è la neoplasia tanto meno efficace è il trattamento e tanto più alto è il rischio di drop-out (esclusione dalla lista di attesa). Il trend dei risultati generali delle terapie di downstaging dimostra in modo chiaro l influenza non solo dei trattamenti sulla prognosi, ma anche e soprattutto la relazione tra lo stato di avanzamento del tumore e il successo del downstaging stesso. Un quadro generale dedotto dalla letteratura è ben apprezzabile in Figura 11.19; vi è consenso nel definire di successo un down - staging quando il CE sottoposto a trattamento rientra nei Criteri di Milano. In alcuni studi viene utilizzata la percentuale di necrosi o di tessuto vitale residuo nei noduli trattati (maggiore o minore del 50%): tale criterio istologico è ovviamente retrospettivo (perché dedotto dallo studio dei noduli sul fegato espiantato al momento del trapianto) e soffre per questo di limitazioni di giudizio prima dell intervento; se il downstaging ottiene una risposta obiettiva sul tumore non sufficiente a una sua riconversione all interno dei Criteri di Milano, i benefici a distanza sono assenti e la prognosi (recidiva e/o sopravvivenza post-trapianto) è quasi inevitabilmente scadente; 48 le terapie di downstaging sono facilmente usate per selezionare pazienti a miglior prognosi (downstaging as selection tool) perché potendo contare su tempi di attesa a trapianto sempre più lunghi, è più facile individuare i CE a biologia più aggressiva, ovvero quelli che manifestano una più rapida tendenza alla progressione; gli studi recenti insistono sulla necessità di stabilire a priori un punto di partenza e uno di arrivo per il downstaging. Si tratta però di una raccomandazione spesso disattesa nella pratica clinica anche se si associa a buoni risultati, come ad esempio nell esperienza dell Università di California a S. Francisco, dove la riduzione entro i Criteri di Milano di un tumore in partenza non più grande di 8 cm (se singolo) o tra i 3 e i 5 cm (se non per più di 3 noduli privi di macroinvasione vascolare), è in grado di produrre risultati di sopravvivenza non dissimili da quelli attesi per tumori a prognosi favorevole ab initio. In attesa di studi che individualizzino le strategie di bridging e downstaging e ne stabiliscano il

15 202 TABELLA 11.5 Limiti ed efficacia delle terapie di downstaging pre-trapianto: revisione della letteratura Autore/Anno/ N. pazienti Procedure utilizzate Limite superiore di eligibilità Tipo di studio pre-downstaging Yao, (prospettico) 61 TACE/RES/RFA/PEI Singolo nodulo tra 5 e 8 cm 2-3 noduli, almeno uno di 3-5 cm 4 o 5 noduli, tutti <3 cm Diametro totale 8 cm No MVI Lu, (retrospettivo) 41 (10 oltre i CM) RFA + TACE/PEI Singolo > 5 cm (20%) 2-3 noduli di cui almeno uno > 3 cm (40%) > 4 noduli (40%) Ravaioli, (prospettico) 48 TACE/RES/RFA/PEI Singolo nodulo 6 cm 2 noduli, di cui uno 5 cm 5 noduli, tutti 4 cm con diametro totale 12 cm Cillo, (prospettico) 40 TACE/RES/RFA/PEI Popolazione eterogenea; in media 3 noduli (±1,2) di 4 cm (±1,6), no MVI, no G3 Duffy, (retrospettivo) 229 (compresi i CM) TACE/RFA/RES/CT Singolo nodulo 6,5 cm 2 noduli 4,5 cm Multifocale > 3 noduli Diametro totale 8 cm Chapman, (retrospettivo) 76 TACE Stadio III: 52,6% (singolo > 5 cm, multipli 3 noduli, > 3 cm) Stadio IV: 47,3% Majno, TACE/CT 80% di noduli singoli e 34% di noduli > 5 cm (caso-controllo retrospettivo) Decaens, TACE (100%) Stadio III: 59% (singolo > 5 cm, (caso-controllo retrospettivo) + PEI/RES/CT (28%) multipli 3 noduli, > 3 cm) Roayaie, (prospettico) 88 TACE/CT Singolo qualsiasi dimensione > 5 cm (no MVI) Graziadei, (retrospettivo) 15 TACE Stadio IV: 67% (> 4 noduli, qualsiasi dimensione o pazienti nei CM con MVI o pazienti N+) Yang, (retrospettivo, 47 TACE/PEI/RES Nessun limite di dimensioni e numero, ma calcolo donatore vivente) di uno score dedicato, comprendente l AFP AFP, alfa-fetoproteina; CM, Criteri di Milano; DFS, sopravvivenza libera da malattia; ITT, analisi intention-to-treat; MVI, invasione macrovascolare; N+, linfonodi positivi; ND, non descritto; PEI, alcolizzazione percutanea; RES, resezione epatica; RFA, termoablazione a radiofrequenza; RR, tasso di recidiva; TACE, chemioembolizzazione; UCSF, University of California, San Francisco. ruolo preciso, non è quindi consentito proporre per trapianto qualsiasi paziente con CE che abbia risposto a trattamenti precedenti, ma è necessario che il limite superiore (di partenza) e inferiore (di arrivo) della retrostadiazione del tumore siano stati stabiliti in anticipo e che il resto delle caratteristiche della malattia (vedi sopra) siano adeguatamente considerate nell ambito di protocolli codificati, se possibile dall origine della storia clinica del paziente. Il perseguimento delle terapie pre-trapianto in tumori in stadio intermedio e comunque oltre i cri-

16 Capitolo 11 Trattamento dello stadio precoce 203 Efficacia del down- Efficacia del down- Drop-out Recidiva di neoplasia Sopravvivenza staging alla valutazione staging all istologia dalla lista di attesa post-trapianto radiologica pre-trapianto post-trapianto (RR o DFS) 70,5% 85,7% 42,6% DFS 100% a 2 anni 92% a 4 anni (riconversioni a CM) (riconversioni a CM o necrosi completa) 85,1% 70,3% 5,8% a 1 anno RR 0% 76% a 3 anni (necrosi completa) (necrosi completa) 73% 18,3% 27% RR 19% 72% a 3 anni (riconversioni a CM) (necrosi completa) (62% all ITT) ND ND 42% a 2 anni RR 0% 76% a 3 anni (all ITT) ND ND ND RR 21,2% 65% a 3 anni (85% per i CM e 74% per gli oltre CM) 32,5% dallo stadio III 76,4% 76,3% DFS 50% 85% a 5 anni 11,1% dallo stadio IV (necrosi > 90%) (causa necessità a 5 anni (solo considerando (risposte parziali o totali di mantenimento (stadio III/IV) i pazienti con biologia secondo criteri RECIST) della risposta per favorevole perché almeno 6 mesi) in risposta completa per 6 mesi) ND 52% (necrosi > 50%) ND RR 28% 55% a 5 anni ND 50% ND DFS 48% 59% a 5 anni (necrosi > 50%) a 5 anni (stadio III) (includendo anche DFS 0% a 5 anni i risultati del (stadio IV) gruppo bridging) 48,8% 32,5% 51,2% DFS 40% a 5 anni 44% a 5 anni (no progressione tumorale) (55% per CE 5-7 cm e 34% per CE > 7 cm) 27,7% 100% 72,2% RR 30% 41% a 4 anni (riconversioni a CM) (necrosi completa) ND 68% Non applicabile RR 27% 67% a 3 anni (riconversioni a CM) nel donatore da vivente DFS 42% a 5 anni (38% a 5 anni nei pazienti oltre CM) Le voci bibliografiche sono ordinate considerando il progressivo aumento del carico tumorale al momento della diagnosi, ovvero pre-downstaging. teri convenzionali richiede cautela, competenza ed esperienza sui trattamenti e sui risultati. È sempre necessario ricordare che sul supposto successo di tali approcci gravano limitazioni di metodo e che sempre è valida l equivalenza che individua nell approccio pragmatico al downstaging una finalità soprattutto citoriduttiva sul tumore, mentre all approccio strategico oggettivo su terapie e stadi precisi è affidata la risposta sulle questioni di sopravvivenza a lungo termine dei pazienti.

17 204 BRIDGING DOWNSTAGING Punti chiave Nessuno studio randomizzato che dimostri un reale beneficio di sopravvivenza Consigliabile se tempo di attesa in lista >6 mesi; obbligatorio in presenza di progressione tumorale in lista di attesa Bassi tassi di complicanze e/o di drop-out dalla lista di attesa (0-14%) Alta efficacia citoriduttiva sui tumori trattati con possibile effetto prognostico, correlato al grado di risposta sul tumore, soprattutto nei pazienti trattati per progressione tumorale in lista 100% 90% 80% 70% 60% 50% 10% 86% 0% Yao % 6% 0% Lu % Ravaioli % Cillo 2007 Duffy % 50% Chapman 2008 Majno % 50% 51% Decaens 2005 Roayaie % Graziadei 2003 Yang 2007 Drop-out 68% Recidiva post-lt 43% 42% 42% 40% 40% 40% 33% 33% 30% 30% 27% 28% 28% Risposta tumorale 20% 21% 19% Entro i Criteri di Milano Fuori dai Criteri di Milano (grado di allontanamento progressivo) Probabilità di risposta obiettiva (citoriduzione del tumore e/o riconversione entro CM) Recidiva tumorale post-trapianto Drop-out (uscita di lista per progressione tumorale in attesa di trapianto) FIGURA Andamento tendenziale dei parametri di risultato delle terapie di downstaging in relazione alla massa tumorale ad inizio trattamento (dati della letteratura). Quanto più avanzato è il carico tumorale di inizio trattamento, tanto meno efficace è la risposta sul tumore e tanto più alto è il rischio di drop-out (esclusione dalla lista di attesa) e di recidiva post-trapianto. I dati sono ordinati da sinistra a destra in relazione alla progressione del carico tumorale a inizio trattamento Immunosoppressione e trapianto per tumore Il mantenimento di un immunosoppressione farmaco-indotta dopo l intervento rimane essenziale per il successo del trapianto di fegato quale che sia la sua l indicazione, oncologica o no. L ultimo decennio è stato testimone di tentativi clinici di progressiva riduzione del livello di immunosoppressione nei riceventi di trapianto di fegato, integrati con protocolli di induzione di microo macrochimerismo, allo scopo di indurre una tolleranza immunitaria che permettesse una buona funzione a lungo termine del graft senza rigetto e senza gli effetti collaterali dell immunosoppressione cronica come le dislipidemie, il diabete, il peggioramento della funzione renale, l aumentata sensibilità alle infezioni e il rischio neoplastico, sia di recidiva del tumore nativo in caso di CE sia di seconde neoplasie. In realtà, ad eccezione di una minoranza di pazienti in cui appare possibile nel lungo periodo la sospensione completa dell immunosoppressione (non più del 10-20%), nella grande maggioranza dei casi il rigetto rappresenta l esito inevitabile della sospensione dei farmaci immunosoppressori. 54,55 L attuale pratica di immunosoppressione post-trapianto nel particolare contesto dei pazienti con pregressa neoplasia si orienta peraltro universalmente sul mantenimento di bassi livelli di inibitori della calcineurina (ciclosporina e tacrolimus) e su una rapida sospensione degli steroidi. L esposizione ad alti livelli di immunosoppressione si è infatti dimostrata un fattore prognostico significativamente favorente la recidiva di CE post-trapianto 56 e l insorgenza di secondi tumori come il sarcoma di Kaposi, le neoplasie cutanee non melanotiche e alcune neoplasie di tipo linfoproliferativo.

18 Capitolo 11 Trattamento dello stadio precoce 205 Sia in ambito generale, con riferimento all incidenza del rigetto e dell outcome del paziente, sia nel particolare contesto del trapianto per neoplasie, non è stata mai dimostrata la superiorità di uno o dell altro inibitore della calcineurina che rimangono quindi entrambi di corrente uso. 57 Alla classe degli antimetaboliti appartiene invece il micofenolato mofetil (MMF) che inibisce la formazione de novo dei nucleotidi guanosinici necessari per la proliferazione linfocitaria. Questo composto, che ha largamente rimpiazzato l azatioprina, può essere associato agli inibitori della calcineurina allo scopo di limitare la tossicità renale di questi ultimi, mentre è raro il suo impiego in monoterapia vista l inferiore capacità di MMF di controllare l insorgenza del rigetto rispetto a ciclosporina o tacrolimus. 58 Molto interessanti in relazione al trapianto per CE appaiono le prospettive offerte dalla classe di farmaci denominata inibitori di mtor (mammalian Target Of Rapamycin complex 1). A partire infatti dalla scoperta della rapamicina negli anni 70 da un arbusto dell Isola di Pasqua (il cui nome nativo è appunto Rapa Nui) apparvero subito interessanti le proprietà contemporaneamente antineoplastiche e immunosoppressive di queste molecole, che oggi annoverano nelle sperimentazioni cliniche soprattutto tre farmaci: sirolimus, temsirolimus ed everolimus/rad001. Sappiamo che la pathway di mtor ha un ruolo centrale nella crescita tumorale e nell angiogenesi e che risulta attivata in circa il 50% dei pazienti con CE. Molte esperienze pre-cliniche hanno dimostrato inoltre l efficacia degli inibitori di mtor, associati o meno a chemioterapia, nel controllare la crescita del CE e ciò ha rappresentato il razionale di partenza (la proof-of-principle ) per l uso degli inibitori di mtor nel contesto dell immunosoppressione posttrapianto di fegato, soprattutto nei pazienti con indicazione neoplastica fuori dai criteri convenzionali. Solo nell ultimo biennio sono già quattro gli studi retrospettivi pubblicati sull impiego di sirolimus nel trapianto di fegato per CE che descrivono l apparente miglioramento delle chance di sopravvivenza nei pazienti con tumore oltre i Criteri di Milano, dovute in apparenza a una minore incidenza di recidive tumorali. Si tratta di prospettive interessanti che però attendono conferme (o smentite) da un grande studio prospettico randomizzato di fase III attivato in Europa e stratificato sull estensione del tumore entro oppure oltre i Criteri di Milano. Allo stesso modo promettenti appaiono gli effetti della conversione dell immunosoppressione da inibitori della calcineurina a inibitori di mtor in caso di recidiva post-trapianto di CE e soprattutto in caso di secondi tumori in particolare di tipo linfoproliferativo e cutaneo. 59 Sebbene sia molto probabile che gli inibitori di mtor abbiano un efficacia limitata in monoterapia (forse solo nei CE con esclusiva predominanza della mtor pathway) è molto verosimile che, grazie al loro ruolo centrale nella proliferazione cellulare e nella regolazione di angiogenesi e immunocompetenza, questa classe di farmaci diventerà nei prossimi anni parte di numerose e articolate combinazioni terapeutiche contro il CE, in particolare nel contesto dell immunosoppressione post-trapianto. 60,61 6. Equità e risorse: dalle strategie alla prassi Detto delle principali questioni che agitano in questi anni la trapiantologia epatica per tumore, non bisogna dimenticare le indicazioni a trapianto per altre patologie, le cui esigenze premono a volte con motivazioni più forti del CE sull utilizzo della risorsa limitata degli organi disponibili. È un fatto che negli ultimi due decenni il trapianto di fegato sia diventato vittima del suo stesso successo, come dimostrato dalla costante crescita del numero di candidati a fronte del numero anch esso cresciuto, ma a molto minor ritmo, dei trapianti eseguiti: una situazione in cui è difficile rispondere alle richieste con equità nella distribuzione delle risorse. In un primo tempo e in considerazione delle limitazioni nel numero degli organi, ma anche ponendo l attenzione alla storia naturale del CE e alla sua tendenza alla recidiva dopo terapie curative, l indicazione a trapianto è stata declinata secondo logiche che potrebbero essere definite di ottimizzazione. Appartengono a questo ambito le proposte in qualche modo contrapposte del: Trapianto di salvataggio (rescue LT): ovvero il trapianto offerto solo in presenza di una recidiva tumorale, manifestatasi solo dopo un intervallo di tempo sufficiente da un trattamento alterna-

19 206 tivo (ablazione, resezione, ecc.) e solo quando la recidiva si manifesti in forme presumibilmente curabili col trapianto stesso (ovvero entro i Criteri di Milano o con caratteristiche biologiche favorevoli o in età inferiore ai 65 anni o in assenza di comorbilità gravi). Trapianto preventivo (pre-emptive LT): ovvero il trapianto offerto solo a quei pazienti reduci da una trattamento curativo (soprattutto chirurgia resettiva), ovvero in assenza di tumore visibile, ma portatori di un CE che si sia dimostrato (macroe microscopicamente) ad alto rischio di recidiva (per presenza di noduli aggiuntivi o per invasione vascolare o per riscontro di microsatellosi, ecc.). Il sostanziale annullamento reciproco delle spinte a favore e contro il trapianto preventivo e/o di salvataggio (Figura 11.20) di fatto ha impedito di riconoscere una prospettiva univoca proponibile per tutti, anche guardando ai risultati a distanza, che non convergono su prospettive condivise. Per alcuni infatti i pre-trattamenti chirurgici e la distanza da essi trascorsa influenzerebbero negativamente gli interventi di trapianto e la successiva sopravvivenza, 62 mentre per altri ciò non sarebbe rilevante. 63 Allo stesso modo è evidente la riluttanza di molti esperti nell abbracciare la logica del trapianto preventivo, basata sulla previsione di un rischio solo istologico raccolto in pazienti in quel momento senza evidenza di tumore, forse addirittura contribuendo a una selezione negativa che candiderebbe a trapianto quelli a peggior prognosi. Il risultato finale clinico è che queste logiche di ottimizzazione non hanno trovato un applicazione sistematica duratura ma vengono ancora utilizzate sporadicamente e con criteri arbitrari, ad esempio nella trapiantologia da vivente dove, come si vedrà, è pratica diffusa indirizzare al trapianto pazienti con neoplasie più avanzate o dopo fallimento di altre opzioni Misurare la priorità in lista di attesa: l esempio del punteggio MELD A seguire la fase empirica della ricerca di ottimizzare le discrepanze tra domanda e offerta di organi e tenendo conto anche delle legittime richieste dei candidati a trapianto per patologie non tumorali, l ultimo quinquennio ha visto affermarsi una logica più oggettiva che tenta di dare una misura del livello priorità, ovvero di gravità di ogni paziente (con o senza tumore) in relazione a tutti gli altri presenti in una lista di attesa. A partire dall introduzione negli Stati Uniti dello score MELD (Model for End-stage Liver Disease), elaborato su un campione eterogeneo di cirrosi nel 2003, 64 la scelta strategica della comunità internazionale è stata quella di orientare le strategie di gestione della lista di attesa secondo una scala di priorità sui pazienti in lista che avesse il beneficio del Recidiva di CE Età <65 anni Criteri Milano IN Trapianto di salvataggio Resezione epatica PRO: selezione di biologie favorevoli di tumore CONTRO: basso tasso di trapiantabilità (10-30%) e alta morbilità/mortalità Fattori prognostici sfavorevoli, come invasione vascolare, Criteri oltre Milano, presenza di microsatelliti Trapianto preventivo PRO: ottimizzazione della risorsa limitata di donatori CONTRO: selezione di biologie sfavorevoli di tumore FIGURA Trapianto di salvataggio e trapianto preventivo dopo resezione epatica per CE: strategie a confronto

20 Capitolo 11 Trattamento dello stadio precoce 207 trapianto (transplant benefit) al primo posto, ovvero che permettesse di allocare ogni organo disponibile al paziente più grave (the sickest first), o comunque a colui che da quel determinato trapianto in quel determinato momento potesse trarre il vantaggio di sopravvivenza maggiore rispetto agli altri pazienti in lista. Lo score MELD tenderebbe a rispondere a questa esigenza perché mette in relazione le condizioni del candidato a trapianto portatore di epatopatia grave (end-stage) con il rischio di mortalità a 3 mesi: così facendo permette di elaborare una scala di gravità dei pazienti molto utile alla gestione oggettiva e non personalizzata di una lista di attesa. Il punteggio MELD è calcolabile sulla base di alcuni parametri sierologici del paziente (bilirubina, creatinina, attività protrombinica) con la formula: 3,8 log e (bilirubina [mg/dl]) + 11,2 log e (INR) + 9,6 log e (creatinina [mg/dl]) + 6,4 (arrotondato all unità) ed è facilmente calcolabile usando un elaboratore automatico accessibile in rete all indirizzo: Il principale merito del punteggio MELD è quello di identificare una scala di utilità del trapianto definendone oggettivamente la sua urgenza nei pazienti in lista. Nonostante la sua diffusione, è tuttavia necessario rilevare che questo merito non è sufficiente a far accettare il MELD come unico criterio di priorità nella decisione sul trapiantare in un paziente piuttosto che in un altro. In proposito la comunità internazionale si è divisa tra sostenitori integrali del nuovo sistema e gruppi e/o Organizzazioni regionali e nazionali (tra cui molte di quelle italiane) a cui un punteggio esclusivo basato su soli 3 parametri sierologici non è apparso sufficiente a coprire la complessità del trapianto, inteso non solo come procedura da offrire a chi è più grave ma anche come entità di alto valore sociale ed economico la cui giustificazione passa anche dall ottenimento di un risultato positivo a distanza, di un vantaggio di prognosi, nonostante le diversità e le limitazioni di scenario mutevoli caso per caso. Anche in tema di priorità di lista si osservano quindi diversità tangibili, a loro volta espressione di un diverso approccio strategico o pragmatico al problema. Ciò non sorprende alla luce di quanto osservato in altri contesti (ad es., la selezione dei pazienti, le terapie pre-trapianto e i donatori viventi) e anche guardando alle difficoltà che lo stesso sistema MELD incontra negli Stati Uniti, dove nelle varie regioni UNOS vi sono amplissime differenze del punteggio medio con cui vengono effettivamente trapiantati i pazienti. Con l affermarsi dei criteri di allocazione basati sul beneficio del trapianto, il giudizio generale di efficacia dell intervento si è concentrato dunque sulla mortalità in lista di attesa e sulla mortalità generale post-trapianto, più che sul numero crudo dei pazienti in attesa. In effetti, sulla base dei dati della sua applicazione su larga scala, il MELD ha la capacità di ridurre la mortalità globale in lista di attesa e ha molto contribuito a dare forza statistica a valori soglia che identificano un trapianto come utile (MELD 10-15) 65 o non-utile (MELD 36) 66 in relazione rispettivamente al beneficio atteso e alla sopravvivenza osservata rispetto alla condizione del paziente al momento dell intervento. È però vero che quando questo score viene considerato in relazione all evoluzione post-trapianto (quando cioè l outcome a distanza viene contrapposto all output del solo numero dei casi gravi eseguiti) la sua accuratezza si riduce decisamente. Sempre più numerose sono le eccezioni al MELD determinate dalla inappropriata semplificazione di molte indicazioni, a partire dalla cirrosi HCV-correlata che oggi rappresenta il 50% circa delle indicazioni a trapianto e dove trapiantare pazienti a MELD più elevato comporta una riduzione della mortalità in lista, ma al tempo stesso un peggioramento dei risultati post-trapianto e un incremento dei costi ospedalieri. 67,68 Inoltre il MELD non considera condizioni fortemente invalidanti nei pazienti in lista di attesa (come l ascite o l encefalopatia) e soprattutto pone su uno stesso piano ogni tipo di fegato donato: una condizione in effetti lontana dalla realtà degli organi marginali per età, steatosi ecc. che oggi in Italia costituiscono almeno il 40% della risorsa (vedi punto 6.4). Nel nostro Paese sembra dunque saggiamente farsi strada un approccio pragmatico, che attraverso una raccolta sistematica e prospettica dei comportamenti e dei risultati (progetto Liver Match sponsorizzato da AISF, CNT e Centri Interregionali di Ri-

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