LE IMPRESE E L ECONOMIA SOCIALE IN ITALIA

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1 LE IMPRESE E L ECONOMIA SOCIALE IN ITALIA 1

2 INDICE LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE...4 Lo Scenario nell ambito dei Paesi OCSE...4 Le Piccole e Medie Imprese in Italia...6 LA MICRO IMPRESA IN ITALIA...12 Misure in favore della nuova imprenditorialità nei settori della produzione dei beni e dei servizi alle imprese...12 Misure in favore della nuova imprenditorialità in agricoltura...13 Misure in favore della nuova imprenditorialità nel settore dei servizi...13 Misure in favore delle cooperative sociali...14 INCENTIVI IN FAVORE DELL'AUTOIMPIEGO...15 Misure in favore del lavoro autonomo...15 Misure in favore dell'autoimpiego in forma di microimpresa...15 Misure in favore dell'autoimpiego in franchising...16 LE COOPERATIVE SOCIALI...17 Cooperative di Tipo A...17 Cooperative di Tipo B...18 Informazioni utili sulle Cooperative...20 Il Trattamento Giuridico Fiscale...22 La Base Sociale...24 L IMPRESA SOCIALE E IL TERZO SETTORE Che cosa è il Terzo Settore Differenze tra Aziende FOR PROFIT e NON PROFIT La redazione del bilancio sociale Il Quadro Normativo che disciplina le diverse Tipologie di Aziende Non Profit Le associazioni Le fondazioni Organizzazioni di volontariato e non governative Organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS) L Impresa Sociale...40 IL MICRO CREDITO Credito all impresa Prestiti all economia sociale...45 ALCUNE INFORMAZIONI STATISTICHE SUL SISTEMA PRODUTTIVO ITALIANO.46 Le specificità del sistema produttivo italiano...46 La grande industria...46 PMI e distretti industriali...47 Stipendi...49 Le imprese straniere in Italia

3 Nuovi trend...51 RUOLO DEL GOVERNO NAZIONALE, REGIONALE E LOCALE...52 Competitività e Decentramento...52 LO SCENARIO ITALIANO...53 Il Quadro Macroeconomico...53 La missione politica...55 Le politiche di sviluppo del Mezzogiorno...55 MISURE CONCRETE PER ACCRESCERE LA COMPETITIVITÀ...57 BARRIERE DI ACCESSO PER LE IMPRESE E PER LE PERSONE CON DIFFICOLTÀ PARTICOLARI...59 Il rapporto Banche - Imprese...59 Donne ed Impresa...67 Giovani ed Imprenditorialità...72 LA RESPONSABILITÀ SOCIALE DELLE IMPRESE O CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY...75 Definizione del concetto di Responsabilità Sociale delle Imprese...76 Gestione delle risorse umane...78 Salute e sicurezza nel lavoro...79 Adattamento alle trasformazioni...79 Partnership commerciali, fornitori e consumatori...80 Comunità locali...80 Diritti dell uomo...81 GLI STRUMENTI DELLA RESPONSABILITÀ SOCIALE D IMPRESA...82 La certificazione sociale...82 Il sistema di gestione ambientale e la certificazione ambientale...83 Il bilancio ambientale e il rapporto ambientale...85 Il bilancio sociale...86 Il Codice Etico...87 Gli indici della RSI per la gestione delle risorse umane...88 LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D IMPRESA IN ITALIA RESPONSABILITÀ D IMPRESA E COSCIENZA SOCIALE: IL CASO DEGLI IMPRENDITORI DI PADOVA E DEL NORD EST...96 LA RSI A SOSTEGNO DI UNA CRESCITA SOSTENIBILE E DI UN MIGLIORAMENTO QUANTITATIVO E QUALITATIVO DELL OCCUPAZIONE

4 LE PICCOLE E MEDIE IMPRESE Lo Scenario nell ambito dei Paesi OCSE Le piccole e medie imprese (PMI) rappresentano oggi più del 95% delle imprese, forniscono il 60-70% dell occupazione, e generano una larga parte dei nuovi posti di lavoro nelle economie dei paesi dell OCSE. Molti dei problemi tradizionali ai quali le PMI devono far fronte mancanza di finanziamenti, difficoltà di sfruttamento della tecnologia, capacità manageriali limitate, scarsa produttività, vincoli normativi si in un sistema globalizzato e in un ambiente dominato dalla tecnologia. È quindi indispensabile per le piccole imprese migliorare le loro competenze manageriali, la loro capacità di raccogliere informazioni e potenziare il loro supporto tecnologico. A questo fine, l obbiettivo dei governi dovrebbe essere quello di agevolare l accesso delle PMI ai finanziamenti, alla raccolta di informazioni ed ai mercati internazionali, in particolare tramite l introduzione di strutture legislative ed economiche, miranti a facilitare la crescita e lo sviluppo delle piccole imprese e ad accrescere le capacità imprenditoriali. Per dinamizzare il settore delle PMI è indispensabile attuare iniziative destinate a promuovere i partenariati tra il settore pubblico e quello privato, nonché incoraggiare la creazione di reti e raggruppamenti di piccole imprese. Il raggruppamento delle PMI in sistemi di produzione regionali spesso rende quest ultime più flessibili e capaci di rispondere alle esigenze della clientela, delle grandi imprese. In questo modo, le PMI possono mettere in comune le loro risorse e dividere i costi per la formazione, la ricerca e il marketing. Inoltre, il raggruppamento facilita lo scambio di personale, la diffusione della tecnologia e crea nuove opportunità per rendere il lavoro più efficace ed efficiente. Le reti regionali ed i sistemi di sostegno possono aiutare le PMI ad affrontare le sfide della globalizzazione. Individualmente o in gruppo, le PMI sono oggi alla ricerca di maggiori opportunità sul piano mondiale, tramite alleanze strategiche, franchising e joint ventures. Le iniziative politiche dei vari governi dovrebbero tenere conto dei fattori regionali e locali che frenano la capacità imprenditoriale e basarsi su queste peculiarità per incoraggiare il partenariato tra le piccole imprese. Ecco perché, nel condurre le loro politiche, i governi devono utilizzare le istituzioni locali, i gruppi industriali e le associazioni imprenditoriali per creare e rafforzare le cooperazioni che consentiranno alle PMI di sostenere la competitività mondiale. Avvalendosi della forza locale, le azioni nei confronti delle piccole e medie imprese devono orientare le nuove dinamiche dell imprenditorialità e il raggruppamento delle piccole imprese, in modo da permettere di affrontare le sfide imposte dalla globalizzazione delle economie. Le PMI hanno un ruolo importantissimo nella crescita economica dei paesi dell OCSE, in quanto creatrici di gran parte dei nuovi posti di lavoro. Mentre da un lato le grandi imprese riducono e subappaltano varie attività, dall altro il peso delle PMI nell economia è in continua crescita. Inoltre, l aumento della produttività e di conseguenza la crescita economica è fortemente influenzata dalla competitività legata alla nascita e alla scomparsa di imprese più piccole. Questo processo implica una grande mobilità dei posti di lavoro che è a sua volta parte integrante del processo competitivo e dei mutamenti strutturali. Meno della metà delle piccole imprese sopravvive per più di cinque anni e solo un ridottissimo numero riesce a far parte del gruppo delle imprese leader nel campo delle innovazioni e dei servizi. 4

5 La maggior parte delle PMI opera nel settore dei servizi, che nei Paesi dell OCSE rappresenta oggi i due terzi dell attività economica e dell occupazione. In particolare, le piccole imprese lavorano principalmente nei settori del commercio all ingrosso e al dettaglio, dell industria alberghiera, delle comunicazioni e dei servizi alle imprese, e dell edilizia. Sempre nei Paesi dell OCSE, le piccole e medie imprese sono presenti nell industria manifatturiera e forniscono almeno la metà dei posti di lavoro in questo settore. Si osserva inoltre che le piccole imprese sono sempre più attive nel settore dell alta tecnologia, dell informazione, e della comunicazione e della biotecnologia. Le PMI predominano nell importante branca dei servizi strategici alle imprese, inclusi quelli dei software e dell elaborazione delle informazioni, della ricerca e dello sviluppo, del marketing, della gestione aziendale e delle risorse umane. La vitalità dell attività imprenditoriale è fondamentale per lo sviluppo delle piccole imprese. Gli imprenditori sono coloro che sanno cogliere le opportunità, corrono dei rischi e sviluppano nuovi beni e servizi. Sono loro che determinano le dinamiche economiche nascita, sviluppo, crisi e declino delle imprese e che stimolano l intera crescita economica. In ogni paese, i fattori sociali, culturali e politici influiscono non solo sulla disponibilità di opportunità imprenditoriali, ma anche sulla capacità di assumere rischi e sulla mobilità delle risorse. Tra i fattori che frenano l imprenditorialità si possono includere il grado d istruzione e la formazione, nonché le norme e gli ostacoli istituzionali che scoraggiano la creazione di nuove imprese, ma anche l espansione delle attività già esistenti. L imprenditorialità varia da una regione all altra. Alcune regioni o aree locali sono famose per i loro raggruppamenti di imprese dinamiche che tirano profitto dallo spillover di informazioni e altri fattori intangibili. In tutti i paesi esistono particolari aree in cui l attività imprenditoriale è estremamente elevata, per esempio, la Silicon Valley negli Stati Uniti, Arezzo e Modena in Italia, Valenza in Spagna, Norimberga in Germania e Gnosjö in Svezia. Il capitale intellettuale, culturale e sociale associato alle reti locali incide sullo sviluppo delle connessioni tra queste imprese. Raggrupparsi può essere particolarmente vantaggioso per le piccole imprese che, a causa delle loro dimensioni, non possono finanziare certi servizi interni come la formazione, la ricerca o il marketing. Esso presenta inoltre il vantaggio di incrementare progressivamente la competitività dei gruppi di imprese e di offrire loro la possibilità di competere sul piano mondiale. Il successo dei distretti e dei raggruppamenti è caratterizzato dal continuo emergere di nuove imprenditorialità. Sebbene rispetto alle grandi imprese, le PMI dispongano di minori mezzi per la ricerca e lo sviluppo, è altrettanto vero che possiedono maggiori mezzi di innovazione, quali ad esempio la creazione e il ridisegno (reengeneering) di prodotti o servizi capaci di rispondere alle esigenze di nuovi mercati, di nuovi approcci organizzativi per accrescere la produttività, o lo sviluppo di nuove tecniche per aumentare le vendite. Le politiche governative o gli approcci che limitano la creatività, la competitività, l assunzione di rischi e un'adeguata redditività del capitale investito, rappresentano veri e propri ostacoli al comportamento innovativo delle piccole imprese. 5

6 La difficoltà di ottenere finanziamenti costituisce il maggiore ostacolo alla crescita delle piccole imprese. L estrema variabilità dei profitti, della durata di vita e dello sviluppo delle PMI, rispetto alle grandi imprese, genera particolari problemi di finanziamento. Dirigenti e manager di piccole imprese mancano spesso di esperienza in campo commerciale e/o non hanno un passato imprenditoriale. Tanto per la produzione che per il marketing, i primi stadi della crescita sono caratterizzati dall incertezza. Le piccole imprese innovative operano in contesti molto complessi, che mutano rapidamente e contano molto su attività immateriali. Inoltre, le PMI incontrano spesso difficoltà per ottenere finanziamenti poiché le banche e gli istituti tradizionali di prestito sono contrari ai finanziamenti di imprese rischiose. Le piccole imprese si focalizzano generalmente sui mercati nazionali e molte di loro continueranno ad operare all interno delle loro frontiere. Ma altre cominciano progressivamente a farsi strada sul mercato mondiale, spesso aiutate da connessioni e raggruppamenti con altre imprese. Circa il 25% delle imprese manifatturiere sono oggi mondialmente competitive e questa percentuale dovrebbe presto aumentare. Quasi un quinto delle imprese manifatturiere realizzano dal 10 al 40% del loro fatturato all estero. Attualmente, il 25-35% delle esportazioni di prodotti manufatti nel mondo proviene dalle PMI, che incidono per una piccola parte sull investimento estero diretto. Queste PMI attive sul mercato internazionale registrano generalmente una crescita più rapida delle loro consorelle nazionali. Le reti consentono alle PMI di associare i vantaggi della piccola scala dimensionale e della maggiore flessibilità all economie di scala e di scopo su diversi mercati regionale, nazionale e mondiale. Rispetto alle grandi imprese, le piccole imprese riescono meglio a far fronte alle fluttuazioni dei mercati, all evoluzione dei gusti dei consumatori e ai cicli di vita più ridotti dei prodotti, differenziandoli e adeguandoli ai consumatori. I nuovi strumenti di comunicazione facilitano la ricerca di partner stranieri. Si assiste pertanto ad una partecipazione crescente delle PMI alle alleanze strategiche internazionali e alle joint venture, da sole o in gruppo. Alcune grandi multinazionali si associano con piccole imprese fornitrici di competenze tecnologiche, al fine di ridurre le spese per la ricerca e lo sviluppo, i tempi di risposta per i nuovi prodotti e introdursi sui mercati emergenti. Le Piccole e Medie Imprese in Italia In Italia, nel 2003 c erano 4,2 milioni di imprese nel settore dell industria e dei servizi, con un totale di 16,3 milione di lavoratori (5,3 milioni in auto impiego e 11 milioni di dipendenti). Dall analisi delle distribuzione delle imprese e dei dipendenti per classe di misure, si può constatare che la maggior parte delle imprese sono micro imprese (meno di 10 dipendenti), pari a circa il 95% (4,019,681 aziende) di tutte le aziende, dando lavoro al 46,7% (7,6 milioni di persone) del totale della forza lavoro. Le Piccole imprese (10-49 dipendenti) sono 191,122 e danno lavoro al 20% dei lavoratori, pari a 3,3 milioni di persone, mentre le Piccole e Medie Imprese ( dipendenti) sono e danno lavoro al 12,4% del totale della forzo lavoro, pari a 2 milioni di persone (dati Istat, Rapporto annuale 2004). Tra il 1998 e il 2003, c è stato un netto incremento nel numero sia di imprese (+7,5%, circa unità) sia di dipendenti (+12,2%, circa 1,8 milione di persone). 6

7 L incremento nel numero di dipendenti è significativamente influenzato da un incremento notevole nella popolazione residente, dovuto alla regolarizzazione di immigrati secondo le disposizioni del DL 195/2002. Anche se il tasso di incremento nelle imprese della classe 1-9 dipendenti sia stato positivo, è ancora al di sotto della media (+7,1% in termini di imprese e 10,1% in termini di dipendenti). In tutte le altri classi, contrariamente, sono state registrate variazioni al di sopra della media: le medie imprese sono incrementate del 17,4% e la loro forza lavoro è cresciuta del 16,9%. Il Rapporto 2004 di Unioncamere su Le piccole e medie imprese nell economia italiana ha confermato e rafforzato la presenza, nel tessuto delle PMI italiane, di realtà imprenditoriali molto diverse. Il Rapporto 2004 non ha considerato l universo delle PMI come un corpo unico, ma si è concentrato sull analizzare comportamenti, strategie, potenzialità, debolezze, ecc. di quel gruppo di imprese medio piccole e medio - grandi che presentano chiari segnali di vitalità imprenditoriale e che costituiscono il collante tra la grande e la micro impresa. Nel biennio l indagine ha evidenziato il dinamismo che coinvolge l impresa minore, anche quella appartenente al commercio al dettaglio, mettendo in evidenza che: il tessuto imprenditoriale italiano è profondamente cambiato e non si presenta più come un universo omogeneo di imprese; nell ultimo triennio si è assistito ad una trasformazione dell industria italiana, che nelle sue realtà più dinamiche ha utilizzato il lungo tunnel della crisi come momento di revisione di strategie e riorganizzazione del modello di impresa; si è assistito alla formazione di un ceto medio, una sorta di middle class formata da piccolemedie imprese, appartenenti a gruppi, che esportano e che, più in generale, manifestano un forte senso della relazionalità e delle performance congiunturali, sia in termini di fatturato che di occupazione, superiori alla media di settore. Esiste, quindi, un universo di imprese, il cosiddetto ceto medio, quantificabile in circa imprese manifatturiere (pari a circa il 20% del totale), di cui con addetti e con più di 200 addetti (fonte: Censimento ISTAT 2001). Circa imprese di questo universo esportano abitualmente e detengono il 47% dell export italiano, il 19,7% del totale, inoltre, è costituito da società di capitale (nel 1995 erano il 16,5%), mentre una numerosa schiera è organizzata in gruppo (circa imprese con capogruppo, fonte: Unioncamere) o è localizzata prevalentemente in distretti (199 secondo l ISTAT, circa 240 secondo altre fonti) o in sistemi produttivi locali. La capacità di queste aziende di concentrarsi sul core business, mentre simultaneamente sviluppano una libertà estrema nelle loro strategie di cooperazione in altri Paesi, ha aumentato la loro reattività alle diverse esigenze e la loro rapidità di innovazione di prodotto e di processo. Sono dunque in grado di affrontare sia la concorrenza interna, che quella internazionale anche in una fase difficile come questa. Quanto affermato conferma che l origine dei problemi di competitività del sistema Italia va ricercata nella struttura imprenditoriale che, come noto, è composta in grande maggioranza da piccole e micro imprese, con tutte le difficoltà che ciò comporta. Al fine di ovviare a tale limite, il sistema imprenditoriale ha adottato nel tempo misure relazionali (organizzazione in gruppi) e cooperativistiche (l associazionismo), che hanno dato luogo ad una middle class di imprese in taluni casi organizzata in distretti industriali. 7

8 Il problema, quindi, non è certamente di tipo quantitativo, quanto, soprattutto, di assenza di una politica industriale che, con specifici strumenti di incentivazione, favorisca anche i processi di aggregazione e collaborazione tra imprese appartenenti al ceto medio e non solo. Policy differenziate, quindi, e non accomunate sotto un generico quanto ormai obsoleto acronimo di PMI; il ceto medio è caratterizzato da un complesso di imprese, con un posizionamento competitivo in nicchie di mercato qualitativamente pertinenti ad una fascia di mercato medio-alta, che adottano strategie di crescita basate sulla ricerca e sviluppo. Per quanto attiene alla capacità di competere sui mercati nazionali ed internazionali, le stesse imprese si distinguono per una buona capacità di diversificare l attività futura anche attraverso la definizione di nuovi prodotti e la ricerca di nuovi mercati. È indubbio, comunque, che alcuni fattori esogeni negativi (l aumento del prezzo del petrolio, il trend crescente dei tassi di interesse, il rallentamento dell economia americana, ecc.), potrebbero aver condizionato la diffusione della crescita. Non sfuggono da questa logica interpretativa anche le imprese presenti nelle aree distrettuali. Queste, infatti, associando alle peculiarità strutturali sopra menzionate la consolidata e fitta rete di relazioni sul territorio, esprimono un grado di maturità maggiore, testimoniato non solo dalle previsioni di crescita del volume d affari o dell occupazione, ma da una più spiccata tendenza ad operare sui mercati internazionali e ad adottare strategie aggressive. di vendita. Va, però, sottolineato come i distretti, a loro volta, non siano realtà tra loro omogenee, in quanto palesano caratteristiche e dinamiche molto diversificate a seconda del settore e del territorio di appartenenza. Il Rapporto 2004 ha confermato come i distretti stiano entrando in una fase di trasformazione della propria struttura organizzativa, evolvendo da un modello meramente produttivo verso uno relazionale e knowledge based. Il quadro economico attuale premia le imprese più strutturate e quelle più aperte sull estero. Il Rapporto 2004 ha evidenziato, infatti, come siano le imprese che operano sui mercati internazionali ad aver registrato le performance di vendita migliori. Si è osservato, altresì, come la partecipazione ad una forma di internazionalizzazione (accordi produttivi, commerciali, ecc., con imprese estere), sia positivamente correlata con la capacità innovativa dell impresa. In particolare, quasi il 70% delle imprese esportatrici, l 83% di quelle che nel corso del 2003 hanno stipulato accordi di collaborazione con partner esteri ed il 93% di quelle che hanno impianti all estero, hanno effettuato innovazioni, contro rispettivamente il 44%, il 47% ed il 49% dei rispettivi campioni complementari. A sostegno di questa tesi c è un altro dato che emerge dall indagine: se il 25% delle imprese manifatturiere possiede un sito web, tale percentuale è più che raddoppia (51%) per le imprese che esportano. Altro aspetto da sottolineare è la correlazione tra età dell impresa e apertura sui mercati. Le imprese esportatrici sono prevalentemente aziende con un età compresa tra i 14 ed i 33 anni e costituiscono circa il 70% del totale. A tal proposito è interessante notare come la propensione ad esportare aumenti al crescere dell età dell impresa: a dimostrazione dell importanza che riveste l esperienza, le imprese costituite prima del 1960 presentano, infatti, con il 36,3%, la maggiore propensione all export, mentre quelle costituite dopo il 2000 con il 13%, rappresentano la più bassa. 8

9 Dalle risultanze dell indagine emerge, quindi, in modo chiaro come il sub universo delle PMI formato da imprese medie, imprese esportatrici, imprese che si associano, imprese che stipulano accordi con l estero, ecc. sia quello su cui il Paese può e deve puntare per recuperare competitività. Queste aziende, presenti nei distretti e fuori dalle aree distrettuali, devono però considerare la crescente globalizzazione dell economia come un opportunità per nuove iniziative imprenditoriali, per ricercare nuovi mercati di sbocco, ecc. Per fare questo occorre che gli imprenditori facciano un salto di qualità anche nel management dell azienda e considerino forme diverse di internazionalizzazione. In uno scenario internazionale in continua evoluzione appare, infatti, indispensabile per le imprese comprendere dinamiche e strategie che possano loro consentire di essere o diventare competitive, e i processi evoluti di internazionalizzazione spesso sono confusi con processi di delocalizzazione. Va osservato a tal proposito come in alcune aree del paese sia già in atto un processo di progressiva delocalizzazione produttiva e che tale strategia aziendale non deve essere attribuita solamente alla necessità/opportunità per gli imprenditori di abbassare i costi della manodopera (strategia di breve periodo), ma va anche rintracciata nella ricerca di ottimizzare altre fasi del processo produttivo (prossimità ai mercati di sbocco, approvvigionamento delle materie prime, incidenza della logistica, ecc.) secondo una strategia di medio-lungo periodo. I vincoli di cui tener conto per vincere le sfide lanciate dall attuale competizione internazionale sono tanti; quelli però che appaiono essere per le PMI italiane i più stringenti sono: insufficiente adozione di moderne strategie di internazionalizzazione; bassa presenza di figure manageriali (non proprietarie) nella conduzione dell impresa; basso ricambio generazionale all interno delle PMI. Il comune denominatore che lega questi tre aspetti può essere rintracciato nella peculiarità di molte imprese italiane che nascono come aziende a conduzione familiare e che, pur crescendo in termini dimensionali (addetti, unità locali, fatturato), restano spesso ancorate ad una concezione del proprietario/manager/fondatore che per tradizione e cultura è restio a cedere o condividere la conduzione dell azienda a professionalità esterne e che difficilmente trova nelle nuove generazioni uno spirito imprenditoriale pari al suo. Considerata, tuttavia, la complessità delle dinamiche poste alla base di molte scelte aziendali, sarebbe opportuno affrontare con adeguati strumenti di analisi il problema del management di impresa per aprire nuovi spazi conoscitivi sul ruolo e sulle caratteristiche del mondo dell imprenditoria minore. Tranne importanti eccezioni, gli studi citati evidenziano nel sistema di PMI italiane tre sotto gruppi specifici (che variano in termini di settore e specialmente di organizzazione interna e esterna): micro imprese e piccolo imprese, che operano in settori labour-intensive come sub-fornitori e in settori made in Italy, caratterizzati da poco competitività dovuto a vari fattori: un mercato principalmente locale, produzione di beni di bassa o media bassa qualità e poco capacità di crescita. Prevalente in questi casi sono le strategie aziendali difensive, che mirano a limitare gli effetti negativi della crisi economia, piuttosto che le strategie di medio periodo basate su innovazioni di processo e prodotto. PMI che si trovano principalmente, ma non esclusivamente in distretti industriali, che operano in settori non tipicamente made in Italy, caratterizzati da forte propensione alla cooperazione, spesso manifestato nella partnership in reti. L output di queste aziende consiste principalmente di beni di nicchia per segmenti di mercati medio - alti. In questo caso le strategie prevalenti si 9

10 basano sul miglioramento della qualità del prodotto, l innovazione, i customer services e le politiche produttive e commerciali basate su accordi di cooperazione con altre aziende in Italia e all estero; Imprese Medie e grandi che risultano da fusioni ed acquisizioni che dimostrano grande dinamismo e buona competitività. Queste imprese operano principalmente in settori industriali, nel campo dell elettronica, dei veicoli di trasporti o dell ingegneria meccanica. La loro competitività deriva principalmente dalla capacità di posizionarsi nel mercato interno, fornendo anche quelli esteri producendo beni di alta qualità. La misura di queste aziende permette di fare idonei investimenti nella ricerca e sviluppo e quindi nell innovazione. Quanto esposto comporta però una ulteriore e necessaria differenziazione tra le PMI italiane. Mentre i settori tradizionali sono più esposti alla concorrenza internazionale, la situazione è migliore in quei settori (per esempio, l ingegneria meccanica) dove i nuovi competitori dell Italia hanno livelli più bassi, perchè i loro processi di produzione e i loro prodotti richiedono esperienza e versatilità tecnologica che si può avere solo con il tempo. Per molte piccole aziende che operano in questi settori, gli effetti negative sono stati in parte diminuiti dalle iniziative che hanno permesso alle aziende di mantenere la loro quota dei mercati esteri: l aumento della qualità dei prodotti, la creazione di reti capaci di agire congiuntamente sui mercati internazionali; la maggiore conoscenza del mercato; la creazione di consorzi di contractor globali; lo spostamento di processi di produzione a paesi emergenti dal punto di vista economico con costi più bassi. L apertura dei mercati internazionali non è solo una minaccia per le PMI Italiane; in alcuni casi potrebbe essere un opportunità di crescita economica. Un altro fattore di sviluppo ed elemento centrale per la competitività del sistema economico, è il credito e le relazioni banche-imprese. Un mercato del credito che vede un orientamento fortemente bancocentrico, con una scarsa utilizzazione di capitale di rischio da parte delle imprese, spesso sottocapitalizzate e che utilizzano soprattutto l autofinanziamento o l indebitamento a breve per finanziare i propri investimenti, porta a fare alcune importanti riflessioni che possono essere così sintetizzate: il credito non è neutrale nello sviluppo economico locale, anzi contribuisce alla persistenza degli equilibri/squilibri regionali, riveste un ruolo centrale come fattore di sviluppo e rappresenta una istituzione di sostegno alla crescita delle PMI; gli aspetti territoriali costituiscono una componente importante dei fenomeni finanziari a tal punto da poter parlare di mercati regionali del credito con proprie logiche e dinamiche. I fondamenti di un simile meccanismo portano alla creazione non di un solo e omogeneo mercato del credito, quanto alla formazione di n mercati regionali; la formazione del costo del denaro a livello locale non è esclusivamente legata al maggiore o minor livello delle sofferenze (fenomeno formalmente ridimensionato negli ultimi anni con lo sviluppo delle cartolarizzazioni), ma anche agli effetti di fattori non creditizi estremamente importanti come il livello del PIL, le caratteristiche della struttura produttiva locale ed in particolare dalla presenza di asimmetrie informative; la dimensione di impresa in termini, non solo di addetti, ma di organizzazione aziendale più complessiva, e il territorio, più che il settore merceologico di appartenenza, condizionano fortemente i rapporti banca-impresa; 10

11 i distretti non rappresentano più, a causa del recente ridimensionamento del ruolo delle banche locali, una oasi felice dei rapporti banche-imprese, con un incipiente aumento della richiesta di garanzie e una riduzione della disponibilità del credito. In conclusione, il credito come fattore di sviluppo è ormai un principio accettato dai policy makers e il recente dibattito sui rapporti banche-imprese nel Mezzogiorno è una testimonianza della sua rilevanza, in quanto sia nelle aree sviluppate, sia soprattutto nelle aree depresse (in ritardo di sviluppo e in declino industriale) la presenza di una efficiente struttura finanziaria costituisce una delle premesse indispensabili per il take off dell economia locale e un fattore di competitività, soprattutto in considerazione dell introduzione degli Accordi di Basilea II, i cui contenuti ed effetti operativi sono ancora drammaticamente molto poco conosciuti dalle imprese italiane (circa l 85% delle imprese intervistate ha dichiarato di non conoscere l argomento). 11

12 LA MICRO IMPRESA IN ITALIA Con il Decreto Legislativo 21 aprile 2000, n. 185 "Incentivi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144" sono state emanate le norme intese a ridefinire il sistema degli incentivi all'occupazione. Il dispositivo legislativo ha come obiettivo quello di favorire l'ampliamento della base produttiva e occupazionale nonché di sviluppare una nuova imprenditorialità nelle aree economicamente svantaggiate del Paese, attraverso la promozione, l'organizzazione e la finalizzazione di energie imprenditoriali, per promuovere l'uguaglianza sostanziale e le pari opportunità tra uomini e donne nell'attività economica e imprenditoriale, sostenendo la creazione e lo sviluppo dell'impresa sociale e dell impresa agricola. Le disposizioni emanate sono, in particolare, dirette a: a) favorire la creazione e lo sviluppo dell'imprenditorialità, anche in forma cooperativa; b) promuovere la formazione imprenditoriale e la professionalità dei nuovi imprenditori; c) agevolare l'accesso al credito per le imprese a conduzione o a prevalente partecipazione giovanile; d) promuovere la presenza delle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione giovanile nei comparti più innovativi dei diversi settori produttivi; e) promuovere la formazione imprenditoriale e la professionalità delle donne imprenditrici; f) favorire la creazione e lo sviluppo dell'impresa sociale; g) promuovere l'imprenditorialità e la professionalità dei soggetti svantaggiati; h) agevolare l'accesso al credito per le imprese sociali di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381; i) favorire lo sviluppo di nuova imprenditorialità in agricoltura; j) promuovere l'imprenditorialità e la professionalità degli agricoltori; k) agevolare l'accesso al credito per i nuovi imprenditori agricoli. Le misure incentivanti previste dal D.lgs. sono applicabili nei territori di cui ai nuovi obiettivi 1 e 2 dei programmi comunitari, nelle aree ammesse alla deroga di cui all'articolo 87, paragrafo 3, lettera c), del Trattato di Roma, come modificato dal Trattato di Amsterdam, nonché nelle aree svantaggiate di cui al decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale 14 marzo 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 giugno 1995, n. 138, e successive modificazioni. Ai soggetti ammessi alle agevolazioni sono concedibili i seguenti benefici: contributi a fondo perduto e mutui agevolati, per gli investimenti, secondo i limiti fissati dall'unione europea; contributi a fondo perduto in conto gestione, secondo i limiti fissati dall'unione europea; assistenza tecnica in fase di realizzazione degli investimenti e di avvio delle iniziative; attività di formazione e qualificazione dei profili imprenditoriali, funzionali alla realizzazione del progetto. Misure in favore della nuova imprenditorialità nei settori della produzione dei beni e dei servizi alle imprese. Al fine di favorire la creazione di nuova imprenditorialità, possono essere ammesse ai benefici sopra citati le società, ivi comprese le cooperative di produzione e lavoro iscritte nel registro prefettizio, composte esclusivamente da soggetti di età compresa tra i 18 ed i 35 anni, ovvero 12

13 composte prevalentemente da soggetti di età compresa tra i 18 ed i 29 anni che abbiano la maggioranza assoluta numerica e di quote di partecipazione. I soci aventi la maggioranza assoluta numerica e di quote di partecipazione di tali società devono risultare residenti nei comuni ricadenti, anche in parte, nei territori innanzi richiamati, così come le stesse società devono avere in tali territori la sede legale, amministrativa ed operativa. Tale disposizione non si applica alle ditte individuali, alle società di fatto ed alle società aventi un unico socio. Possono essere finanziati, secondo i criteri e gli indirizzi stabiliti dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) e nei limiti posti dalla Unione europea, i progetti relativi alla produzione di beni nei settori dell'agricoltura, dell'artigianato o dell'industria ovvero relativi alla fornitura di servizi a favore delle imprese appartenenti a qualsiasi settore. Sono esclusi dal finanziamento i progetti che: a) prevedono investimenti superiori ad ,50 al netto dell'iva; b) non prevedono l'ampliamento della base imprenditoriale, produttiva ed occupazionale; c) non presentano il requisito della novità dell'iniziativa; d) si riferiscono a settori esclusi o sospesi dal CIPE o da disposizioni comunitarie. Misure in favore della nuova imprenditorialità nel settore dei servizi Al fine di favorire la creazione di nuova imprenditorialità, possono essere ammesse ai benefici previsti dal D.Lgs. 185/2000 le società, ivi comprese le cooperative di produzione e lavoro iscritte nel registro prefettizio, composte esclusivamente da soggetti di età compresa tra i 18 ed i 35 anni, ovvero composte prevalentemente da soggetti di età compresa tra i 18 ed i 29 anni che abbiano la maggioranza assoluta numerica e di quote di partecipazione. I soci aventi la maggioranza assoluta numerica e di quote di partecipazione di tali società devono risultare residenti nei comuni ricadenti, anche in parte, nei territori innanzi richiamati, così come le stesse società devono avere in tali territori la sede legale, amministrativa ed operativa. Tale disposizione non si applica alle ditte individuali, alle società di fatto ed alle società aventi un unico socio. Possono essere finanziati, secondo i criteri e gli indirizzi stabiliti dal CIPE e nei limiti posti dall'unione europea, i progetti relativi alla fornitura di servizi nei settori della fruizione dei beni culturali, del turismo, della manutenzione di opere civili ed industriali, della innovazione tecnologica, della tutela ambientale, dell'agricoltura e trasformazione e commercializzazione dei prodotti agroindustriali. Sono esclusi dal finanziamento i progetti che: a) prevedono investimenti superiori a ,23 al netto dell'iva; b) non prevedono l'ampliamento della base imprenditoriale, produttiva ed occupazionale; c) non presentano il requisito della novità dell'iniziativa; d) si riferiscono a settori esclusi o sospesi dal CIPE o da disposizioni comunitarie. Misure in favore della nuova imprenditorialità in agricoltura Al fine di favorire la creazione di nuova imprenditorialità in agricoltura, possono essere ammesse ai benefici previsti dal D.Lgs. 185/2000 gli agricoltori di età compresa tra i 18 ed i 35 anni, subentranti nella conduzione dell'azienda agricola al familiare, che presentino progetti per lo sviluppo o il 13

14 consolidamento di iniziative nei settori della produzione, commercializzazione e trasformazione di prodotti in agricoltura. Gli agricoltori devono risultare residenti nei comuni ricadenti, anche in parte, nei territori innanzi richiamati, così come l'azienda agricola deve essere localizzata negli stessi ambiti territoriali indicati dal D.Lgs. 185/2000. Sono esclusi dal finanziamento i progetti che: a) prevedono investimenti superiori a ,80 al netto dell'iva; b) si riferiscono a settori esclusi o sospesi dal CIPE o da disposizioni comunitarie. Misure in favore delle cooperative sociali A sostegno dell'imprenditorialità sociale possono essere ammesse ai benefici le cooperative sociali di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381, che presentino progetti per la creazione di nuove iniziative, nonché per il consolidamento e lo sviluppo di attività già esistenti per la produzione di beni nei settori dell'agricoltura, dell'artigianato o dell'industria ovvero relativi alla fornitura di servizi a favore delle imprese appartenenti a qualsiasi settore. Le cooperative di nuova costituzione, con esclusione dei soci svantaggiati, devono essere composte esclusivamente da soggetti di età compresa tra i 18 ed i 35 anni, ovvero composte prevalentemente da soggetti di età compresa tra i 18 ed i 29 anni, che abbiano la maggioranza assoluta numerica e di quote di partecipazione. I soci aventi la maggioranza assoluta numerica e di quote di partecipazione alle cooperative devono essere residenti nei comuni ricadenti, anche in parte, nei territori indicati dal D.Lgs. 185/2000, così come le cooperative devono avere in tali territori la sede legale, amministrativa ed operativa. Nel caso di cooperative già esistenti, tutti i soci devono possedere i predetti requisiti alla medesima data. Sono esclusi dal finanziamento i progetti che: a) prevedono investimenti superiori a ,23 al netto dell'iva nel caso di nuove iniziative; b) prevedono investimenti superiori ,45 al netto dell'iva, in caso di sviluppo e consolidamento di attività già avviate; c) si riferiscono a settori esclusi o sospesi dal CIPE o da disposizioni comunitarie. 14

15 INCENTIVI IN FAVORE DELL'AUTOIMPIEGO Le disposizioni del D.Lgs 185/2000 mirano a favorire la diffusione dell autoimpiego attraverso strumenti di promozione del lavoro autonomo e dell'autoimprenditorialità, con l obiettivo di: a) favorire l'inserimento nel mondo del lavoro di soggetti privi di occupazione; b) qualificare la professionalità dei soggetti beneficiari e promuovere la cultura d'impresa. Le misure incentivanti sono applicabili nei territori di cui ai nuovi obiettivi 1 e 2 dei programmi comunitari, nelle aree ammesse alla deroga di cui all'articolo 87, paragrafo 3, lettera c), del Trattato di Roma, come modificato dal Trattato di Amsterdam, nonché nelle aree svantaggiate di cui al decreto del Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale 14 marzo Ai soggetti ammessi alle agevolazioni sono concedibili i seguenti benefici: contributi a fondo perduto e mutui agevolati per gli investimenti, secondo i limiti fissati dall'unione europea; contributi a fondo perduto in conto gestione, secondo i limiti fissati dall'unione europea; assistenza tecnica in fase di realizzazione degli investimenti e di avvio delle iniziative. I benefici finanziari sono concessi entro il limite del de minimis individuato in base alle vigenti disposizioni comunitarie. La realizzazione e gestione delle iniziative agevolate sono assistite da idonee garanzie anche assicurative relative ai beni ed alle attività oggetto di finanziamento. Misure in favore del lavoro autonomo Al fine di favorire la creazione di lavoro autonomo, possono essere ammessi ai benefici innanzi citati i soggetti maggiorenni, privi di occupazione nei sei mesi antecedenti la data di presentazione della richiesta di ammissione e residenti nei comuni ricadenti, anche in parte, nei territori previsti dal D.Lgs. 185/2000, che presentino progetti relativi all'avvio di attività autonome nei settori della produzione di beni, della fornitura di servizi e del commercio e la cui realizzazione avvenga in forma di ditta individuale. Non sono considerati soggetti privi di occupazione: a) i titolari di contratti di lavoro dipendente a tempo determinato e indeterminato ed anche a tempo parziale; b) i titolari di contratti di collaborazione coordinata e continuativa; c) i soggetti che esercitano una libera professione; d) i titolari di partita IVA; e) gli imprenditori, familiari e coadiutori di imprenditori; f) gli artigiani. Le iniziative agevolate devono avere sede amministrativa ed operativa nei territori indicati dal D.Lgs. 185/2000. Sono escluse dal finanziamento le iniziative che: a) prevedono investimenti superiori a ,85 al netto dell'iva; b) si riferiscono a settori esclusi o sospesi dal CIPE o da disposizioni comunitarie. Misure in favore dell'autoimpiego in forma di microimpresa Al fine di favorire la creazione di iniziative di autoimpiego in forma di microimpresa, possono essere ammesse ai benefici previsti le società di persone, di nuova costituzione, non aventi scopi mutualistici e composte per almeno la metà numerica e di quote di partecipazione da soggetti 15

16 maggiorenni, privi di occupazione nei sei mesi antecedenti la data di presentazione della richiesta di ammissione e residenti nei comuni ricadenti, anche in parte, nei territori indicati dal Decreto, che presentino progetti per l'avvio di attività nei settori della produzione di beni e della fornitura di servizi. Tali società devono avere la sede legale, amministrativa ed operativa nei territori indicati dal Decreto. La disposizione non si applica alle ditte individuali, alle società di capitali, alle società di fatto ed alle società aventi un unico socio. Sono escluse dal finanziamento le iniziative che: a) prevedono investimenti complessivamente superiori a ,56 al netto dell'iva; b) si riferiscono ai settori della produzione di beni in agricoltura, del commercio, nonché ai settori esclusi o sospesi dal CIPE o da disposizioni comunitarie. Misure in favore dell'autoimpiego in franchising Al fine di favorire la creazione di nuove iniziative di autoimpiego in forma di franchising, possono essere ammesse ai benefici previsti le ditte individuali e le società, anche aventi un unico socio, di nuova costituzione, che presentino progetti nei settori della produzione e commercializzazione di beni e servizi mediante franchising. I titolari delle ditte individuali ed almeno la metà numerica dei soci delle società, che devono detenere almeno la metà delle quote di partecipazione, devono essere maggiorenni, privi di occupazione nei sei mesi antecedenti la data di presentazione della richiesta di ammissione e residenti nei comuni ricadenti, anche in parte, nei territori indicati dal Decreto. Le ditte individuali e le società devono comunque avere la sede legale, amministrativa ed operativa nei gli stessi territori specificati nel Decreto. La disposizione non si applica alle società di fatto ed alle società aventi scopi mutualistici. Sono esclusi dal finanziamento i progetti che si riferiscono a settori esclusi o sospesi dal CIPE o da disposizioni comunitarie. Per l attuazione delle disposizioni emanate dal D.Lgs. 185/2000, è stato affidato alla società Sviluppo Italia S.p.a., il compito di provvedere alla selezione ed erogazione delle agevolazioni, anche finanziarie, ed all'assistenza tecnica dei progetti e delle iniziative presentate ai fini della concessione delle misure incentivanti previste dal Decreto. 16

17 LE COOPERATIVE SOCIALI Le cooperative sociali sono disciplinate dalla legge 381/91. Si tratta di una legge quadro, che rimanda alle leggi regionali le ulteriori specificazioni. Per tutto ciò che non è disciplinato dalla legge quadro e dalle leggi regionali si fa riferimento alle normative sulla cooperazione. Si tratta di una forma particolare di impresa cooperativa sia per le attività che svolge che per i soggetti che coinvolge. Tra le forme legali assunte dal terzo settore, sicuramente le cooperative sociali rappresentano quella più imprenditoriale, più adatta ad iniziative economiche ed a creare occupazione. Le cooperative sociali possono essere di due diverse tipologie: 1. cooperativa sociale per servizi socio-educativi e assistenziali (le cooperative comunemente dette di tipo A ) 2. cooperativa sociale per l inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati (le cooperative comunemente dette di tipo B ). Cooperative di Tipo A Le cooperative di tipo A che costituiscono il 55% della cooperazione sociale assistono per lo più anziani, portatori di handicap, minori e giovani, attraverso prestazioni di assistenza domiciliare, gestendo residenze protette, asili nido, case famiglia, case di cura, ludoteche, centri di accoglienza, comunità alloggio ed erogando servizi presso centri diurni e di aggregazione Altre cooperative si occupano di disagio mentale, di tossicodipendenza, di immigrazione e dei problemi di chi è senza fissa dimora. I costi del personale assorbono il 90% degli introiti che provengono per la quasi totalità da convenzioni con enti pubblici. Le cooperative sociali di tipo A che si stanno inserendo con successo nel campo assistenziale gestito dai privati evidenziano però dei punti di debolezza che sono: - la scarsa imprenditorialità in alcuni settori; - la scarsa capacità di promuovere scelte di decentramento da parte del pubblico nella gestione dei servizi; - l'assenza di un sistema di controllo economico di qualità che genera una forte concorrenza sui prezzi. Ma le cooperative sociali non hanno solo punti di debolezza ma anche punti di forza che spiegano, in parte, il successo che stanno avendo. Questi vantaggi sono: - i costi significativamente inferiori e la maggiore flessibilità rispetto al settore pubblico; - la disponibilità di personale motivato e qualificato; - la presenza significativa in settori in crescita; - la sensibilità alle esigenze dell'utente (casi di introduzione di servizi innovativi). Ad oggi, gran parte dei servizi socio-assistenziali non svolti direttamente dalle amministrazioni locali sono assicurati dal lavoro delle cooperative sociali, che hanno spesso intrapreso rapporti diretti anche con la domanda privata di questi servizi. 17

18 Cooperative di Tipo B A differenza delle cooperative di tipo A, le cooperative di tipo B reinseriscono persone svantaggiate utilizzando una formula organizzativa particolarmente adatta alle esigenze di tali soggetti e socialmente utile. La cooperativa sociale si fonda sull'idea che la persona svantaggiata, se opportunamente affiancata e supportata da lavoratori ordinari preparati a questo compito, possa essere avviata al lavoro e operare in un contesto produttivo non simulato bensì organizzato con criteri d'impresa. Il lavoro in cooperativa diviene così per i soggetti svantaggiati un momento importante di educazione, socializzazione e acquisizione di status e, nello stesso tempo, il luogo di apprendimento di abilità e tecniche lavorative specifiche. L'obiettivo della cooperativa è quello di trovare una collocazione lavorativa esterna. In presenza di particolari situazioni soggettive, la persona svantaggiata resterà a lavorare stabilmente in cooperativa, senza ricadere in ogni caso nell'ambito delle forze di non lavoro assistite. Così come per le cooperative di tipo A, gli introiti delle cooperative di tipo B provengono prevalentemente da clienti pubblici anche per la difficoltà di acquisire commesse da privati. Le possibilità di crescita per le cooperative di tipo B sembrano dipendere principalmente dalla capacità di sviluppare il proprio mercato, scegliendo di operare in settori dove possono competere con prodotti di qualità accettabile e con vantaggi di costo. Le cooperative di tipo B, così come le cooperative di tipo A, presentano dei punti deboli che sono: - la difficoltà di acquisire commesse con i privati; - la difficoltà di valutare la validità di gestione con parametri "aziendalistici"; - i problemi legati alla limitatezza delle risorse per gli investimenti e per lo sviluppo; - la precarietà di molti contratti con la pubblica amministrazione, condizionata spesso sia dalla scarsità delle risorse che dalla mancanza di chiarezza su quale debba essere il rapporto tra pubblico e privato. Ciò su cui più puntano le cooperative di tipo B sono: - l'utilità sociale ed economica del reinserimento lavorativo degli svantaggiati; - la validità della formula di reinserimento lavorativo; - la tendenza di adeguare l'attività alle persone e non viceversa; - la possibilità di sostenere economicamente l'attività di reinserimento grazie ai vantaggi riconosciuti per l'impiego di personale svantaggiato. Le cooperative sociali di inserimento lavorativo possono quindi svolgere qualsiasi attività d impresa agricola, industriale, artigianale, commerciale, di servizi con l obbligo di riservare una parte dei posti di lavoro così creati (almeno il 30%) a persone altrimenti escluse dal mercato del lavoro (invalidi, detenuti, tossicodipendenti, alcolisti, persone con disagio mentale, minori a rischio in età lavorativa, secondo il dettato dell articolo 4 della legge 381/91). Di seguito si riportano alcuni esempi di attività d impresa per le cooperative di Tipo B: - Lavanderie - Tipografie e legatorie - Editoria - Agricoltura - New tecnology - Information tecnology 18

19 - Smaltimento rifiuti - Gestione del verde - Turismo e sport - Artigianato Per poter operare, le cooperative di tipo B, stipulano convenzioni con gli enti pubblici, grazie alle disposizioni della legge n. 381/91, che all'art.5, regola questo tipo di contratto il quale viene considerato come strumento ottimale di relazione tra ente pubblico e cooperative sociali. Oggetto delle possibili convenzioni può essere la produzione di beni e servizi, diversi da quelli socio-sanitari ed educativi che non è la finalità delle cooperative sociali ma il mezzo mediante il quale si facilita l'inserimento di soggetti svantaggiati. Lo scenario all interno del quale si collocano le imprese sociali risulta profondamente mutato rispetto al passato. La crescita del numero delle cooperative sociali su tutto il territorio nazionale rappresenta il primo importante elemento a dimostrazione dell affermazione di questa forma di impresa. I dati parlano chiaro: la cooperazione sociale si è diffusa in tutte le regioni italiane, perdendo, almeno in parte, quella presenza a macchia di leopardo che aveva caratterizzato la prima fase di sviluppo avvenuta a ridosso dell approvazione della legge 381. La tendenza alla crescita sembra inoltre tutt altro che conclusa ed è confermata dalle diverse fonti utilizzate in questo rapporto. La cooperazione sociale rappresenta oggi una delle componenti più vitali del cosiddetto terzo settore in Italia: secondo una stima del Centro Studi CGM, effettuata sui dati dell Istat e del Ministero del lavoro, a fine 2001 erano presenti in Italia circa cooperative sociali, suddivise tra il 55% di tipo A, il 40% di tipo B e il 5% a oggetto misto (in gran parte consorzi). 19

20 In queste imprese lavorano circa 158 mila persone, di cui quasi 15 mila si trovano in situazione di svantaggio e seguono un percorso di inserimento lavorativo nelle cooperative di tipo B. Oltre agli operatori retribuiti, collaborano con le cooperative sociali oltre 23 mila volontari. L insieme di queste risorse consente di generare un giro d affari non trascurabile, pari a 3,6 miliardi di euro (7.000 miliardi di lire a fronte dei miliardi del 99). Per quanto concerne il ricorso a finanziamenti e sussidi, di fonte pubblica o privata, a fondo perduto, va precisato che: il 12,9% di istituzioni non-profit operano in base ad un prevalente finanziamento pubblico e l 87,1% in base ad un prevalente finanziamento privato; il 58,8% delle cooperative sociali operano in base ad un prevalente finanziamento pubblico ed il 41,2% in base ad un prevalente finanziamento privato. Informazioni utili sulle Cooperative Chi lavora in una cooperativa sociale Principalmente i soci lavoratori, i quali condividono la responsabilità della gestione della cooperativa ma anche l'effettivo lavoro di produzione dei beni o dei servizi offerti. In una cooperativa sociale possono prestare la loro opera (in modo del tutto gratuito) anche soci volontari, il cui numero non deve essere superiore alla metà di tutti i lavoratori della cooperativa, e soci sovventori, che partecipano solo alla formazione del capitale sociale. Infine ci possono essere dipendenti e collaboratori che non sono soci. Chi può essere socio di una cooperativa sociale? Tutti i cittadini italiani e gli stranieri con regolare permesso di soggiorno. A questi ultimi, se soci di cooperativa, può essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Gli organi delle cooperative sociali - l'assemblea dei soci, alla quale partecipano tutti i soci che fanno parte della cooperativa da almeno tre mesi; - il Consiglio di Amministrazione è composto da 3 a 9 soci eletti dall'assemblea, con compiti relativi alla gestione della cooperativa. Fanno parte del Consiglio di Amministrazione il presidente, il vicepresidente ed il tesoriere; - il presidente è il rappresentante legale della cooperativa; - il vicepresidente sostituisce il presidente in caso di necessità; - il tesoriere si occupa degli adempimenti amministrativi; - il collegio dei sindaci è composto da 3 a 5 soci eletti dall'assemblea (più 2 supplenti), con compiti di controllo sulla cooperativa. Il collegio dei sindaci verifica il rispetto delle leggi, la corretta gestione, la regolarità della contabilità. Le piccole cooperative La legge 7 agosto 1997, n. 266, ha introdotto la categoria delle piccole cooperative (o mini cooperative), le quali per essere costituite hanno bisogno di un minimo di tre soci contro i nove delle cooperative ordinarie. La riduzione del numero facilita notevolmente la ricerca di persone disposte a partecipare all'impresa. 20

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