LA GALASSIA DEGLI STILI DI VITA: LA FINANZA ETICA, I BILANCI DI GIUSTIZIA, I MERCATI EQUOSOLIDALI. dott. Bernardino Mason Presidente MAG Venezia

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1 Martedì 14 gennaio 2003 LA GALASSIA DEGLI STILI DI VITA: LA FINANZA ETICA, I BILANCI DI GIUSTIZIA, I MERCATI EQUOSOLIDALI dott. Bernardino Mason Presidente MAG Venezia Il tema di stasera è la riflessione sugli stili di vita. Quando si usano certi termini, diventa sempre difficile condividerne il significato; cosa si intende per stili di vita? Cosa si può rappresentare con il concetto di stile di vita? Prima di entrare nel metodo vorrei capire che significato ha, per voi, la parola stili di vita e cosa si vuol rappresentare con questo termine: - Insieme di norme che un gruppo familiare (o una persona) si dà alla luce di determinate ragioni, ma di carattere morale; cioè il concetto non deve essere settoriale, ma un tutto globale. - Il modo in cui vengono utilizzate le risorse messe a disposizione. - E un comportamento, un modo di essere. - E una scelta di valori in ogni singola occasione del modo di vivere. - E legato anche alla struttura e all ambiente in cui si vive. Secondo voi, si parla di una dimensione collettiva o personale? - Secondo me si dovrebbe differenziare, perché se è collettiva lo stile di vita è influenzato dalle norme che esistono nel Paese e dal Governo, mentre se è individuale potrebbe essere una questione morale.. - Secondo me é un modo di vita all interno della comunità, condizionato dai valori politici ed economici. - E anche il modo individuale di essere, cioè quello che sono io e quello che voglio essere anche di fronte agli altri. - Un insieme di scelte che coinvolgono singoli e comunità. - Il termine mi fa pensare a qualcosa di individuale, ma la definizione stili di vita viene dall esterno in base a determinate regole; una persona con un suo modo di essere si oppone a determinate caratteristiche, così qualcuno - dall esterno - gli riconosce alcune tendenze che fanno pensare ad un determinato stile di vita. - Penso si intenda anche come vengono utilizzate le risorse, compreso il tempo libero (risorse materiali ed immateriali). - Per me il discorso è strettamente individuale. Il mondo ti dà molte possibilità, soprattutto la possibilità di lavorare, scegliere e trovare la soluzione per la tua esistenza, per poter poi condividere con gli altri le cose belle. Già quanto avete detto per tentare di descrivere e dare una definizione concettuale a stile di vita, rappresenta tutta la difficoltà che esiste dietro a questa definizione. Quindi, che cosa si intende per stile di vita e cosa vogliamo rappresentare quando vogliamo cambiarlo? La definizione in sé, siccome ha una forte caratterizzazione di soggettività, può diventare una riflessione di carattere politico, nel momento in cui diventa una riflessione collegata ad una dimensione di carattere collettivo, condiviso. Per cui lo stile di vita diventa un insieme di comportamenti e di

2 modalità che possono determinare un cambiamento di carattere sociale, verso una determinata direzione. E qui sta il problema: qual è questa determinata direzione? Qui dobbiamo cominciare a interrogarci e, a partire dalla direzione che possiamo definire, passo per passo definiremo anche quali azioni e comportamenti possiamo produrre (a titolo collettivo o personale), finalizzati a perseguire quel determinato obiettivo. Questo è ciò che porta a costruire uno stile di vita diverso. La scala di valori a cui ognuno può fare riferimento è diversa; io faccio riferimento a quella legata alla mia cultura, al mio credo, al mio sentirmi parte di un gruppo, e quindi ad un concetto di giustizia, di condivisione, di uguaglianza e di costante visione dell altro come una persona in cui posso riconoscere la rappresentazione di Dio, di Cristo. Secondo me questo è un valore importante e tutto ciò che il dialogo mi dà come riferimento, diventa una dimensione su cui posso riflettere e ragionare, per costruire costantemente il mio stile di vita. Questo dal punto di vista personale; nel momento in cui collettivizzo, cioè condivido con gli altri, la mia diventa un azione politica. Ad esempio: se mi accordo con un gruppo di persone per accoglierne altre, al di là della loro provenienza, del loro credo e della loro situazione politica, insieme facciamo un azione collettiva che può mette in discussione alcune norme dello Stato, quindi è un azione politica perché ci rapportiamo rispetto alle norme, in modo diverso da quanto richiesto. Infatti, se accolgo delle persone, anche quando sono clandestina (perché ritengo che, comunque, siano persone) faccio un azione che la legge persegue, quindi adotto uno stile di vita che può comportare delle conseguenze, ma che ha un alta valenza di tipo politico, nel momento in cui è condiviso. Quindi lo stile di vita è quel comportamento o quelle di azioni adottati individualmente o collettivamente, in funzione del perseguimento di alcuni valori ritenuti importanti, anche quando non condivisi. Il valore della solidarietà, ad esempio, che per me è importante, ho la netta percezione che non sia un valore condiviso, ma appartenga ad una minoranza; così come il valore dell accoglienza, ho la sensazione che a volte non sia così fortemente condiviso. Il valore della persona: recentemente ho scritto un articolo sul rapporto che abbiamo con l automobile. Se cominciassimo ad approfondire cosa significa usare l automobile (al di là dei problemi ecologici) solo in termini di sicurezza personale (il rischio di un incidente stradale; il rischio di danni fisici provocati o subiti; i conseguenti danni anche economici) dovremmo interrogarci sull uso dell automobile, o almeno dovremmo sviluppare non poca paura verso questo mezzo. Al contrario, la gente sale tranquillamente in auto tutti i giorni, nonostante che i dati sugli incidenti stradali, sui danni e sulle menomazioni subite siano allucinanti. Si ha, invece, molta più paura a salire in aereo, anche se la possibilità di incidenti è più bassa, perché si è sentito parlare dai mass media di un disastro aereo ; veniamo continuamente condizionati, anche per quanto riguarda l accoglienza verso gli altri, gli extracomunitari, i cosiddetti diversi, gli stranieri. Quando, perseguendo un mio personale concetto di stile di vita, nasce una scala di valori, a volte non condivisa ma per me importante, organizzo la mia esistenza in funzione della realizzazione di un determinato risultato. La riflessione sugli stili di vita è articolata e complessa, perché richiede una costante attenzione quotidiana, in funzione dei valori perseguiti. A partire da questo, posso cominciare a raccontarvi e proporvi delle iniziative che sto seguendo, per motivi diversi collegate anche a questa riflessione. Siamo nell epoca della globalizzazione, più o meno venduta come fenomeno irreversibile, quando invece non lo è; tutti i fenomeni, infatti, sono relativamente irreversibili, perché dipendono

3 dalle condizioni e dalle situazioni del momento; quello che oggi è considerato importante può volgere, domani, verso una nuova direzione e regredire. Nulla è scontato nella vita e nei sistemi, tutti legati ad una contestualità. Però oggi assistiamo ad una evoluzione di tipo globalizzante, perché è il processo di evoluzione nel mondo; questa porta in sé, come tutte le cose nella vita, elementi di positività e di negatività. Elementi di positività nella globalizzazione: conoscere nuove culture; rapportarci con altri mondi; scambiare e comunicare con estrema velocità, anche con chi è molto lontano da noi; condividere situazioni che una volta non ci rappresentavano o erano sconosciute; aumentare il livello di conoscenza. Un elemento della globalizzazione è il maglione che io indosso; mi piace, viene riconosciuto come un bel maglione; questo è prodotto in un altra parte del mondo ed io lo indosso. In un mondo globalizzato questo è facilmente possibile oggi, altrimenti una volta dovevo farmelo fare da qualche mio parente che avesse voglia di lavorare a maglia. Quindi vi sono elementi positivi nella globalizzazione che non posso non riconoscere. Elementi distorsivi nella globalizzazione: il rapporto Nord-Sud del mondo; l ingiustizia; la ricchezza garantita ad un certo livello; la povertà imperante in altri livelli; ecc. A quanti affermano che E colpa della gestione operata dall uomo, non della globalizzazione, rispondo che anch io penso ci sia sempre una responsabilità dell uomo in queste operazioni. Sarebbe non corretto o miope non vedere questi effetti, dire di non sapere che esistano o, rispetto ad una visione positiva, minimizzare questi elementi; penso che ciò rischierebbe di farci deviare dalla possibilità di affrontare temi importanti. La teoria, sostenuta da molti, secondo la quale i problemi legati all organizzazione mondiale possono essere risolti semplicemente facendo crescere la torta da dividere, penso non abbia elementi sufficienti per sussistere, perché siamo un mondo limitato, in termini di risorse e possibilità. E necessario riconoscere il nostro limite e ragionare in funzione delle possibilità correlate allo stesso; infatti, se il concetto di soluzione globale è quello di una crescita illimitata della ricchezza mondiale da distribuire a tutti - pur mantenendo i privilegi di alcuni - penso sia un concetto sostenibile. Bisogna pensare ad altre soluzioni, ponendo alcune questioni, al di là poi delle semplificazioni dei giornalisti; una di queste è definire no global chi, in questa galassia - in cui mi riconosco - si muove per trovare soluzioni ai problemi. Io non mi sento no global, mi sento al contrario perfettamente globalizzato e mi faccio vanto di questa globalizzazione, anzi come Lula, l attuale presidente del Brasile dice, anch io affermo che noi possiamo parlare di una globalizzazione corretta nel momento in cui gli Stati Uniti applicano lo stesso dazio a merci brasiliane, come il Brasile applica alle merci statunitensi. Finché le merci statunitensi in Brasile sono tassate solo al 12% e le merci brasiliane negli Stati Uniti sono tassate al 34%, questo non è compensato. Questo mi pare un primo dato, ma possiamo ragionare su tutte le politiche della Comunità Europea inerenti l agricoltura. Vi sono forti barriere in termini di globalizzazione. Cito alcune esperienze, perché penso debbano farci riflettere. La nostra ricchezza e i nostri privilegi, spesso sono mantenuti e sono tutelati a scapito di qualcuno; c è un dato su cui ci misuriamo da questo punto di vista: la globalizzazione, se tale deve essere, deve avvenire in un mondo in cui tutti possano avere pari opportunità; ma un mondo in cui qualcuno, perché più forte, perché ha in mano le redini, decide anche per qualcun altro è un mondo profondamente ingiusto, in cui vige la legge del più forte. Chi ha maggior potere economico-finanziario e quindi maggior potere commerciale, decide anche le politiche che qualcun altro deve fare. Fino a che punto questa dimensione è

4 sostenibile e può essere considerata elemento di giustizia? Ma soprattutto fino a che punto posso barricarmi dietro alla semplificazione del dire Se al Sud del mondo sono così, la colpa è di quella classe dirigenziale, che sfrutta, che usa, ecc? Se andiamo a leggere tutto il lavoro fatto splendidamente dalla CEE sul debito internazionale, che ci spiega in modo molto dettagliato come è avvenuto e come si è costruito il processo del debito, vediamo che qualche responsabilità del Nord del mondo c è stata, nella costruzione di alcune distorsioni in questo mondo globalizzato. Se vogliamo parlare di globalizzazione, dobbiamo parlare non solo di globalizzazione delle merci, delle conoscenze, della finanza, ma anche di globalizzazione di diritti delle persone; non possiamo chiedere la libertà di movimento dei capitali e alzare le barriere alla immigrazione, perché se mettiamo barriere all immigrazione, mettiamo barriere sul movimento dei capitali; e se alziamo barriere su alcune cose, mettiamole anche su altre. O regolamentiamo tutto, secondo alcuni criteri di giustizia, oppure lasciamo tutto in piena libertà, accettando tutte le conseguenze di questo. Non possiamo chiedere la libertà per ciò che fa comodo e pretendere il principio della chiusura laddove non ci fa più comodo. Penso che questo sia profondamente ingiusto. A partire da questi presupposti debbiamo ragionare sul concetto di stili di vita finalizzati alla costruzione di un mondo più giusto, dove gli individui hanno coscienza dei propri limiti, quindi operano con ottica e attenzione, affermando: questo mondo ci è donato, non ci appartiene. Siamo in transito in questo mondo, ma abbiamo la responsabilità lasciarlo a chi viene dopo di noi. Non possiamo perciò consumarlo, usarlo e basta. Questo penso sia un principio estremamente importante, perché nella nostra fede la vita è un dono, come la fede stessa è un dono; tutto ci è donato. Siccome tutto ci è donato, noi, con altrettanta gratuità, doniamo. Così ci viene chiesto. Penso sia una responsabilità importante. Un secondo principio che mi pare importante è che in questo mondo tutti devono avere pari opportunità. Quando uno non ha di che sfamarsi, non ha le stesse opportunità di chi invece può permettersi di pensare. Alcuni problemi radicali, profondi, devono trovare un giusto lavoro per essere risolti. Devo creare le condizioni perché laddove ci sono meno opportunità si creino maggiori opportunità. Da che mondo è mondo, se noi abbiamo una storia, queste condizioni sono state create da chi aveva la possibilità di pensare. Anche le masse, quando si sono rivoltate, sono state sempre condotte da qualcuno che aveva intuito, capito. Era nelle condizioni di poterlo fare, e ha saputo guidare, assumendo la leadership, il popolo in determinate condizioni per raggiungere un determinato obiettivo. Chi è in condizioni di estrema miseria, non riesce a fare nemmeno questo, normalmente. Dal punto di vista socio-economico, quando parliamo di processi migratori ed immigratori vediamo che, in genere, la prima immigrazione che avviene in un Paese, non è mai sostenuta dalle classi povere ma da quelle che, avendo un minimo di risorse economiche e rendendosi conto di non avere sbocchi nel proprio territorio, vanno all estero per cercare delle opportunità. Fatto salvo la situazione dei profughi, costretti ad emigrare perché c è una guerra in corso. Quindi c è una carenza di opportunità e se vogliamo parlare di un mondo più giusto, dobbiamo parlare di un mondo che offra a tutti le stesse opportunità. Come, con alcuni mali endemici, si deve lavorare per offrire a tutti le stesse opportunità e questo è un secondo elemento che a mio avviso rappresenta il concetto di un mondo più giusto. Dietro queste macro-cose, possiamo entrare un po più nello specifico del concetto di che cosa significhi giustizia : se è giusto

5 che io possa o debba avere alcune cose; o se invece sia più giusto, corretto ed utile ragionare in termini di condivisione. Penso che questi due elementi debbano essere quelli di riferimento sui quali ragionare quando parliamo di giustizia nel mondo. Tolgo un altro elemento che può essere discriminante; una volta il mondo, dal punto di vista economico, era suddiviso in due grosse ideologie: quella capitalista e quella marxista. Oggi sappiamo che l ideologia marxista, dal punto di vista economico di riferimento, non è più perseguita, nessuno si sognerebbe più di riproporre la collettivizzazione forzata; per cui sostanzialmente abbiamo, dal punto di vista economico di riferimento, una struttura capitalistica rispetto alla quale, oggi, non abbiamo sostanziali alternative. Quando si parla di no global, si parla anche della radicale messa in discussione di un certo sistema economico e questo ci dà da ragionare se il sistema economico deve essere il sistema economico del più forte (chi è più forte comanda e decide) o il sistema economico regolato, dove si costruiscono le opportunità. Credo che l alternativa possa essere costruita con un insieme di regole a livello internazionale, nelle sedi dove queste si possono costruire: OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro); ONU; Organizzazione Internazionale del Commercio, nata in alternativa all Organizzazione del Commercio dell ONU; e quelle organizzazioni internazionali che si danno il compito di regolare il processo di globalizzazione con ottica e attenzioni di questo tipo. In un mondo in cui vogliamo creare e costruire giustizia, è importante acquisire la consapevolezza dei processi; questo è l elemento su cui dobbiamo riflettere. La consapevolezza del processo è: - chiedermi da chi e come è stato costruito il maglione che indosso; - capire come è stato prodotto il profitto dei miei soldi depositati in banca; - sapere se ciò che mangio in tavola è frutto di un processo lecito o di un abuso. Come singolo individuo devo cominciare ad interrogarmi su queste cose, perché essere in un mondo globalizzato significa - anche per me, singola persona - ragionare in modo globalizzato; non posso delegare a qualcun altro questo compito e occuparmi della globalizzazione solo quando mi disturba (es.: l immigrato che mi dà fastidio, il taglio di alcune regole sul contratto di lavoro che mi crea un po di precarietà, ecc.); e, infine, devo sapermi interrogare in modo costante nella costruzione delle politiche. A partire da questi elementi e da queste riflessioni, cito alcune iniziative ed esperienze che tentano di costruire dei comportamenti orientati verso un azione o uno stile di vita, finalizzati alla costruzione di un mondo più giusto, più equo, più rispettoso dell ambiente e delle cose che ci stanno intorno, con un ottica ed un attenzione al futuro: non prendere tutto quello che posso, oggi, ma pensare che se rinuncio a qualcosa, questo può essere utile per domani, e questo decidere atteggiamento liberamente, non perché costretto da qualcun altro. Proviamo a ragionare con l ottica previdenziale dei lavoratori dipendenti: mettere da parte i soldi per la pensione, perché quando saremo vecchi avremo il denaro. E l interesse personale che ci spinge a fare questo, perché oggi non possiamo più contare sui figli, i cosiddetti bastoni della vecchiaia ; una volta si facevano tanti figli, che mantenevano i vecchi, adesso il processo si è un po invertito nelle società occidentali, e sono i vecchi, con la propria pensione, che tendono a mantenere i figli anche a lungo in famiglia. La previdenza è il modo più ampio e articolato, per il futuro del mondo: oggi rinuncio a qualcosa che potrei avere con facilità, in funzione di una possibilità per qualcun altro che viene dopo di me.

6 Per ragionare su questo vi presento tre iniziative sostanziali, più una quarta che aggiungo per una passione personale. 1 I BILANCI DI GIUSTIZIA Mag Venezia, l associazione che in Venezia si occupa di Finanza Eica, è anche la segreteria nazionale per la Campagna dei Bilanci di giustizia, una campagna nazionale che si propone alle famiglie in un ottica di giustizia e, a partire da questi presupposti e valori più o meno condivisi, tende a costruire dei comportamenti. Si chiamano bilanci di giustizia anche perché delle famiglie, quindi delle singole persone, tengono mensilmente il rendiconto del proprio bilancio famigliare, avendo così anche la dimensione di come, più o meno, vengono spesi i soldi e, eventualmente, di come modificare le proprie abitudini. Alla luce del consumo, per esempio, la famiglia può decidere: se usare meno l automobile e maggiormente l autobus o la bicicletta; se, invece di comprare al supermercato la verdura, perché è più comodo, andare ad acquistarla dal contadino, scegliendo così un agricoltura biologica, con più rispetto dell ambiente; se autoprodurre alcuni servizi, può incidere meno nel consumo di prodotti che richiedono energia, ecc.. Alla luce del mio bilancio, posso anche lavorare sulla diversificazione del risparmio energetico in casa e, ragionando su questo, constatare che alcuni comportamenti non sono conformi alla mia idea di giustizia. Quindi posso decidere dal prossimo mese di darmi un obiettivo e spostare il mio consumo verso un altra direzione. Non è una decisione orientata al risparmiare, ma ad uno spostamento dei consumi, con un ottica di giustizia. Questo in termini individuali. Nel momento in cui metto insieme più famiglie che si ritrovano e discutono alla luce del proprio bilancio, comincio ad agire con un azione di tipo collettivo. Gruppi di famiglie che si interrogano, producono idee e suggerimenti, più di quanti il singolo riesce a produrre individualmente, e quindi insieme riescono a costruire comportamenti di spostamento dei propri consumi in funzione di un ottica di giustizia. Se questa cosa, poi, la allarghiamo a livello nazionale, diventa una campagna, cioè un azione di tipo politico, che produce dei risultati più o meno significativi. Questa è l azione dei bilanci di giustizia: a partire da un azione individuale, mi interrogo e produco azioni e comportamenti che diventano collettivi e che cambiano il valore sociale. Nel momento in cui il comportamento diventa collettivo, costruisce delle norme, per cui il legislatore ne prende atto e agisce di conseguenza; perché le leggi, in genere, normano comportamenti o situazioni già abbastanza presenti in una società. E un costruire dal basso un azione di giustizia. 2 Il COMMERCIO EQUO-SOLIDALE All interno di questo panorama, prendiamo consapevolezza della dimensione della leicità o dell applicazione morale in un mondo globalizzato, nel momento in cui prendendo consapevolezza della filiera, non ci preoccupiamo solo se il capo che indossiamo costa poco rispetto al fatto che ci piace o che è di buona qualità, ma ci preoccupiamo anche di come e da chi è stato fatto. Quindi diventa importante che dietro alla costruzione di questo capo non ci sia lavoro minorile né la logica del prezzo al massimo ribasso, ma ci siano anche elementi di valore, quindi ne chiediamo la storia e, contemporaneamente, chiediamo l intervento degli organi preposti per applicare un controllo della filiera, in modo che questi valori siano riconoscibili. Al momento, all interno dell Organizzazione Internazionale del Lavoro, si sta discutendo su come costruire luoghi di lavoro salubri per prevenire le malattie sociali.

7 Dal punto di vista dell azione, l esperienza più significativa sotto quest ottica è quella del commercio equosolidale, che tenta di costruire un rapporto Nord-Sud del mondo sia impostato nel campo del commercio, facendo una vera e propria transazione commerciale: compra i prodotti del Sud del mondo e li vende al Nord, favorendo un azione orientata ad un ottica di giustizia. Non si preoccupa di pagare il prodotto che gli interessa con l idea di un vantaggio per sé, ma tiene conto del venditore, cercando di rispondere al suo bisogno di giustizia e di sopravvivenza, ponendo anche alcune condizioni, quando è necessario; per esempio che sia una produzione di tipo cooperativo o che il maggior vantaggio del derivato dalla vendita del prodotto al commercio equo sia destinato in parte a scopi sociali (costruzione di scuole, servizi sanitari, ecc.). Vengono quindi poste condizioni per regolare il rapporto commerciale con un ottica di giustizia, costruendo il valore del prezzo della materia prima, senza regolarlo sull andamento della borsa. Sappiamo che l andamento della borsa è basato sul rapporto di una domanda-offerta tra contraenti ed è determinato a volte da tanti fattori. Sicuramente il fattore domanda-offerta non tiene in considerazione le persone che stanno dietro la produzione; solo quando questi sono soggetti contraenti, che influiscono sulla produzione, che riducono la quantità di merce a disposizione, vengono considerati, ma non come entità lavorative. Perciò tutti i piccoli contadini del Sud del mondo che lavorano a titolo individuale, vengono incentivati a impiantare solo produzione di caffè; ciò porta ad un abbattimento del prezzo, quindi ad una povertà endemica (è una semplificazione, ma è così). Oppure alzano il prezzo perché ci sono delle gelate, o fattori eccezionali che riducono la produzione e, comunque, per i contadini la cosa non cambia: non produrre perché il tempo ha rovinato il raccolto o produrre molto e poi pagare zero. Allora, ragionare in termini diversi vuol dire porsi questi problemi e rapportarsi con il soggetto contraente, cercando di pagare il prodotto secondo un prezzo equo; tenendo conto dei fattori di produzione, legati anche all andamento del mercato; valutando, infine, anche la condizione sociale del posto dove si produce. Si acquista questo prodotto e lo si rimette sul mercato del mondo, abbattendo alcuni costi: per esempio non si investe in pubblicità ma nella bottega solidale, dove molte persone, a titolo volontario, diffondono questa idea; con i volontari si abbatte il costo del lavoro nel Nord del mondo, proprio perché non si fanno investimenti sulla pubblicità ma si usa questa modalità di comunicazione; si cerca di contenere i costi della transazione facendo l importazione diretta dal produttore al consumatore, riducendo così i passaggi lungo la filiera (dove ogni passaggio ha un costo). Questa è la modalità per cercare di costruire un sistema di tipo alternativo all attuale sistema economico; ma quando esci da alcune regole del sistema sostieni anche alcuni costi, se l acquirente decide di pagare di più la merce alla fonte, è ovvio che abbia un costo maggiore. Il commercio equo sostiene anche altri costi, come ad esempio quelli del pre-finanziamento, cioè spesso e volentieri paga prima i produttori per consentire loro di attivare la produzione stessa, e questo è un costo. In genere il commerciante classico paga a sessanta, novanta, centoventi giorni, quindi scarica gli oneri finanziari sul venditore. In questo caso, chi fa commercio equo sostiene gli oneri finanziari, perché dà prima i soldi, quindi si espone finanziariamente, per poter permettere la produzione. Questi sono alcuni dei costi aggiuntivi che ovviamente creano e danno opportunità, però poi si scontano su altre cose; infatti, anche se si cerca di contenere il prezzo, questo risulta comunque superiore a quello di prodotti analoghi. I volontari sono una grande risorsa di questo mondo.

8 Anche questa iniziativa, che possiamo sostenere tutti, è orientata a costruire un mondo di giustizia, nel momento in cui il commercio equo diventa un azione diffusa; le stesse catene commerciali si sono rese conto che questa nuova procedura è un elemento di valore per il mercato, quindi sono disposte a pagare di più il prodotto alla fonte, mettendo dentro il concetto di giustizia, perché questo dà possibilità, cioè aggiunge un segmento di mercato, come si dice in gergo. Le alternative, le regole diverse, sono costruibili. 3 LA FINANZA ETICA Altro esempio è la finanza etica, esperienza abbastanza recente, di cui si era cominciato a parlarne in Europa nel dopoguerra (alcune riflessioni sono tipiche del dopoguerra). L idea portante consiste nel riconoscere che i soldi non sono di per sé un valore, ma solo uno strumento, un mezzo; così come la finanza non è di per sé un valore, ma una delle azioni economiche, quindi nuovamente uno strumento. Se ne conclude che, anche nell azione finanziaria, per produrre un risultato economico nell ambito di un ottica di giustizia, essa deve rispondere ad alcune regole ed alcuni valori; altrimenti assistiamo ad azioni di finanza speculativa, chiamate bolle speculative, che ricadono sulla pelle della gente e corrispondono a migliaia e migliaia di famiglie lasciate per strada. Chi ha perso semplicemente i propri risparmi ed ha mantenuto il lavoro, ha comunque un reddito; ma chi non aveva risparmi ed aveva solo il lavoro, perso a causa di queste azioni, si è ritrovato sul lastrico. Io non posso pensare che il mio denaro messo in banca deve rendermi indipendentemente da ; e non posso accettare di affidare il mio denaro a chiunque, solo perché questi mi garantisce l 8% o il 10% di interessi. Quegli interessi devono corrispondere ad un uso del denaro accettabile dal punto di vista della giustizia; al contrario, quando si semplifica il rapporto ad alcuni soli elementi di valore, si rischia di perdere il concetto reale del valore complessivo; anche qui dobbiamo recuperare il senso della filiera. Ragionare in termini di finanza etica, vuol dire incominciare ad interrogarsi sull uso del denaro. In Italia l idea di una finanza etica è nata nella metà degli anni ottanta, in Europa ben prima, a seguito delle denunce fatte dalla rivista Nigrizia, che all epoca denunciava la partecipazione dei maggiori gruppi bancari italiani al regime dell apartheid, in Sudafrica. Alcuni gruppi europei, perché contestati in tal senso, erano usciti, subito sostituiti da gruppi italiani, entrati per occupare quel posto lasciato libero. In seguito a queste denunce, si è creato un Movimento e alcuni cittadini hanno iniziato a chiedersi come trasferire i propri soldi, da un sistema bancario che non controllavano, ad un sistema in cui potessero agire maggiormente col loro controllo. Questa è l idea di finanza etica: chiedere conto di come vengono utilizzati i soldi e chiedere che vengano investiti per determinate attività economiche invece che per altre. Per cui il rendimento che la banca garantisce è il frutto di attività economiche perseguite alla luce della giustizia. Le MAG sono strutture cooperative, nate per accogliere ed espandere i propri soci, messe successivamente insieme in strutture consorziate, che operano attività finanziaria e finanziamenti a soggetti del terzo settore non-profit; l evoluzione ha portato alla costruzione di un istituto bancario chiamato banca etica. La Banca Popolare Etica è nata nel 1998 ed oggi comincia ad avere una sua dimensione, una sua presenza, anche a livello nazionale, pur essendo semplicemente uno sputo in un occhio del sistema economico complessivo, come tutte le iniziative di questo tipo, ma rappresenta, comunque, un idea che si sta costruendo. Nel , quando ho cominciato a lavorare su queste cose, la situazione era ancora più marginale, quindi penso si siano fatti tanti passi in avanti.

9 Anche nel campo dell Obiezione di Coscienza, quando si cominciava a parlare di forze di interposizione non violenta a livello internazionale, la realtà all inizio era molto piccola; oggi si ragiona in termini di Caschi Bianchi, di Brigate Internazionali per la Pace, o di altri organismi (che si tenta di formare all interno dell ONU), finalizzati a costruire forze di interposizione non violenta nei conflitti, quando ancora nel dopoguerra c erano i primi obiettori che andavano in carcere (anche quattro o cinque anni) per affermare questa idea. Quindi di passi in avanti ne sono stati fatti sicuramente. Di fronte agli eventi di guerra cui assistiamo, vediamo quanto piccole siano ancora queste cose, però un po alla volta stiamo costruendo e speriamo di avere sempre l opportunità ed il tempo per costruirne ancora. CONCLUSIONE Finanza etica, commercio equo e bilanci di giustizia sono iniziative che si possono completare con le campagne di pressione. Noi siamo consumatori, per cui siamo consum-attori ; cioè se vogliamo, se decidiamo, se ci mettiamo assieme come soggetti collettivi, possiamo agire e, attraverso le nostre azioni di consumo, possiamo proporre delle campagne di pressione per costringere ad un consumo equo. Sul sistema finanziario, del credito ad esempio, le campagne di pressione hanno portato l Unicredito ad assumere, come campagna propria, la chiusura delle partite finanziarie legate al commercio di armi e, per delibera interna, a decidere di non di non mettere più soldi per le prenotazioni nel campo degli armamenti. Decisione presa per convenienza, dal punto di vista dell immagine, infatti, l Unicredito si era resa conto che era meglio stare fuori dal mercato degli armamenti, piuttosto che dentro. Quindi le campagne di pressione, quando condotte bene, possono produrre risultati significativi; pensiamo alla campagna fatta in Germania contro la Shell a metà degli anni 90 (volevano affondare la piattaforma nel Mar del Nord invece che trasportarla a riva per smontarla) che ha ridotto i consumi presso i distributori Shell del 30% e, a quel punto, la Shell ha visto che le costava meno smontare la piattaforma. La convenienza a breve termine non è sempre una soluzione ideale perché siamo nella logica del profitto. Spesso il breve termine prende il sopravvento rispetto, invece, ad una logica di lungo termine, di benessere condiviso, di possibilità date agli altri. E questo che porta alla consapevolezza. 4 IL VILLAGGIO GLOBALE L ultima esperienza, che volevo presentare perché mi sento parte, è legata all accoglienza e al villaggio globale è quella del Villaggio Globale, cooperativa nata da più associazioni che si occupano di serviziocasa. Anche qui la migrazione avviene come è avvenuto da noi nei primi anni 70, perché c è una ricerca di opportunità, di possibilità maggiori di quelle che il territorio può offrire. Dobbiamo saper valorizzare questa risorsa, pur riconoscendone anche le difficoltà ed i limiti, perché tutte le persone che sono intorno a noi sono, innanzitutto, prima che un problema una risorsa, una ricchezza con cui dobbiamo imparare a rapportarci. In quest ottica il Villaggio Globale si occupa del servizio casa per gli immigrati. Il lavoro che fa è di offrire garanzia per permettere a chi è in difficoltà di trovare soluzioni abitative e anche questa è un azione di giustizia, nell ambito dell economia solidale.

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