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1 INSEGNAMENTO DI POLITICA ECONOMICA LEZIONE I LA PRODUZIONE AGGREGATA PROF. GAVINO NUZZO

2 Indice 1 Politica economica Cenni storici Lo stato attuale Interventi indiretti nell'economia La produzione aggregata Il tasso di disoccupazione Inflazione Breve, medio e lungo periodo Il mercato dei beni La composizione del pil La domanda di beni di 23

3 1 Politica economica La politica economica è la disciplina che studia gli effetti dell'intervento dei poteri pubblici (Stato, banca centrale, autorità varie) e dei soggetti privati (imprese, famiglie) sull'economia allo scopo di elaborare interventi destinati a modificare l'andamento del sistema economico per condurlo verso obiettivi prestabiliti. Nell'ambito della scienza economica si suole distinguere tra l'economia politica, che studia l'esistente, ciò che è, e la politica economica, che studia ciò che deve o ciò che si desidererebbe fosse. Pertanto lo studio della politica economica presuppone, anche didatticamente, l'analisi dell'esistente, vale a dire lo studio dell'economia politica. Poiché l'economia risulta in continuo mutamento, sotto la spinta di interessi economici e pulsioni umane, lo scopo della politica economica è di modificare l'andamento spontaneo dell'economia, dopo averlo opportunamente studiato. 3 di 23

4 2 Cenni storici Storicamente l'esigenza di una politica economica si manifesta allorché appare chiaro che l'economia lasciata in mano agli interessi egoistici dei singoli operatori non è in grado di evitare squilibri e diseguaglianze economiche capaci di rendere instabili l'economia stessa, oltre che il tessuto sociale di un paese e i rapporti tra nazioni. Adam Smith riteneva che nel mercato operasse una mano invisibile, in virtù della quale l'interesse privato si trasformava in interesse collettivo. Nessuno avrebbe potuto fare meglio di quanto faceva per conto suo il mercato, capace di stabilire in modo continuo equilibri tra le forze in gioco. L'interazione della domanda e dell'offerta genererebbe di continuo prezzi di equilibrio capaci di soddisfare entrambe le parti, garantendo ad esempio condizioni di pieno impiego. Le politiche economiche liberiste, che al pensiero di Smith si ispirano, tendono quindi a promuovere la rimozione di ogni vincolo al libero dispiegarsi delle forze di mercato e a tracciare un ruolo il più possibile ridotto per lo stato, il cui compito deve essere quello di non intervenire o di intervenire il meno possibile nell'economia, dove devono prevalere gli "spiriti animali". Le posizioni liberiste di Smith sono state successivamente da molti criticate, man mano che si prende coscienza che esse richiedono condizioni di mercato che difficilmente si trovano nella realtà. Inoltre l'economista Herbert Scarf, nel 1962, con il saggio "An Analysis of Markets with a Large Number of Participants" (Analisi dei mercati con un vasto numero di partecipanti) ha dimostrato che il principio della Mano Invisibile di Adam Smith, alla base del liberismo, non vale per i mercati reali. Karl Marx immagina un sistema economico in cui il progressivo sfruttamento dei lavoratori avrebbe condotto al collasso del sistema economico attraverso l'impoverimento crescente della classe operaia, e alla necessità di una svolta politica di stampo rivoluzionario, per poi ricostruire un sistema economico di stampo egualitario. Secondo John Maynard Keynes, i sistemi economici non sono sempre in grado di raggiungere l'equilibrio di pieno impiego in modo automatico. Al contrario, è possibile che essi si attestino su posizioni di equilibrio di sottooccupazione, determinate da carenze nella domanda aggregata. In questa concezione, la politica economica ha il ruolo di stimolare la domanda e permettere di raggiungere il pieno impiego delle risorse. In Italia, uno dei maggiori interpreti del pensiero keynesiano è stato Federico Caffè. 4 di 23

5 3 Lo stato attuale Mentre nella prima metà del XX secolo erano prevalse politiche economiche tese a governare l'economia tramite l'intervento pubblico (sia in termini normativi che di spesa pubblica), nella seconda metà del secolo si sono gradatamente imposte tendenze liberiste, tendenti al "lasciar fare" del mercato. Tali teorie di tipo microeconomico sono state solitamente unite ad impostazioni monetariste per l'aspetto più strettamente macroeconomico. Il risultato delle politiche liberiste appare di gran lunga inferiore alle aspettative all'inizio del terzo millennio, per cui si ricomincia a considerare attentamente politiche di tipo Keynesiano. 5 di 23

6 4 Interventi indiretti nell'economia Norberto Bobbio parla di "fuga nel diritto privato" per indicare la contrazione dell'area del diritto pubblico dell economia in favore del diritto privato dell economia, la cui caratteristica principale è la presenza, nel settore dei compiti tradizionalmente pubblici, di operatori privati (tra cui il genus controverso degli organismi di diritto pubblico) e l'utilizzo di modelli contrattuali (nati nella pratica commerciale), ma soprattutto la presenza di strutture nuove preordinate alla tutela degli interessi emergenti: le cosiddette Autorità amministrative indipendenti. Via via che si riduce il fenomeno dell'intervento diretto nell'economia, in favore di un intervento indiretto, assume una portata sempre più pregnante l'art. 41 della Costituzione, che riserva alla legge la predisposizione di programmi e controlli sulle attività economiche a fini sociali. I programmi e i controlli devono essere opportuni, nel senso che non devono ostacolare la realizzazione del principio di uguaglianza sotteso all'art. 3 della Costituzione. In breve, tra i "programmi" rientrano gli atti di pianficazione, le leggi finanziarie e relativi "collegati", il D.P.E.F. (Documento di programmazione economica e finanziaria) ed altri interventi settoriali quali il Piano di edilizia residenziale di cui alla legge n. 179 del 1992, il piano per l'energia di cui alla delibera del Consiglio dei Ministri del 9 gennaio 1991, il Piano di tutela ambientale di cui alla lege n. 305 del 1989, ed altri. Fra i "controlli" rientrano misure eterogenee, dalle concessioni alle autorizzazioni, all'imposizione di prezzi amministrati, agli accertamenti sulla qualità di determinate merci, ecc. La Costituzione non prevede un terzo tipo di intervento indiretto, oltre ai programmi ed ai controlli: tuttavia, la "regolazione" è un fenomeno di vasta diffusione ed in via di costante espansione. Le Autorità amministrative indipendenti svolgono un'azione di regolazione e vigilanza, imponendosi come soggetti equidistanti rispetto agli operatori economici che agiscono nei vari settori "vigilati". 6 di 23

7 5 La produzione aggregata Le principali variabili che occupano la macroeconomia sono la produzione, la disoccupazione e l'inflazione. Altre variabili, strettamente collegate alla prima possono essere il consumo, l'investimento, le esportazioni, le importazioni, le aspettative degli operatori, la politica monetaria della banca centrale, la politica fiscale del governo. Le interazioni tra le diverse variabili macroeconomiche sono studiate nel loro contributo alla determinazione di un equilibrio economico (di breve periodo -da qualche mese e qualche anno-, di medio periodo -qualche decennio- e di lungo periodo -circa un secolo-). Il fine è anche quello di prevedere gli scenari futuri (attraverso la raccolta e l'elaborazione dei dati), in modo che la politica possa intervenire per modificare, ove necessario, i trend (le tendenze) e perseguire taluni fini quali l'aumento dell'occupazione o delle esportazioni o il controllo dell'inflazione. In questa lezione ci occuperemo delle prime tre variabili menzionate. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, in molti Paesi si cominciò a tenere un sistema di contabilità nazionale, ovvero un sistema per osservare quantitativamente l'attività economica di un Paese, secondo un ordinato schema di definizioni per costruire coerentemente le misure che indicano le quantità considerate. Il sistema di contabilità nazionale permette di misurare la produzione aggregata (ovvero "totale"), la cui misura è il Prodotto Interno Lordo (PIL), che indica il valore dei beni e servizi finali prodotti all'interno di un Paese. Esistono tre metodi, che sono necessariamente equivalenti fra loro, che consentono di calcolare il PIL di un Paese: due di essi guardano alla produzione, il terzo al reddito. La produzione aggregata ovvero totale di questa economia è 210 euro. Infatti l acciaio è un bene intermedio, non dobbiamo tener conto della produzione dei beni utilizzati nella fabbricazione di queste automobili. Dobbiamo pensare all economia come formata da un'unica impresa. dato periodo: 1. Il PIL è il valore dei beni e servizi finali prodotti in un'economia in un 7 di 23

8 In questo senso, il PIL è uguale alla somma dei beni prodotti e consumati all'interno dell'economia. Questo significa che non devono essere considerati i beni intermedi, ovvero i beni che vengono utilizzati per la produzione di altri beni (come l'acciaio nella fabbricazione delle automobili: il valore dell'acciaio, infatti, è intrinseco al valore delle automobili). Gli unici beni intermedi che possono essere considerati sono quelli che vengono esportati, poiché, uscendo dal sistema del Paese, diventano dei beni finali. Per capire come è costruito, facciamo un semplice esempio. Consideriamo un economia con due sole imprese: L impresa 1 produce acciaio, impiegando lavoratori e utilizzando macchinari. Vende acciaio per 100 euro all impresa 2, che produce automobili. L impresa 1 paga i suoi lavoratori 80 euro e ottiene un profitto di 20 euro; L impresa 2 acquista acciaio e lo utilizza, insieme a lavoratori e macchinari, per produrre automobili. I ricavi della vendita di automobili sono pari a 210euro. Di questi 100 pagano l acciaio, 70 i lavoratori e 40 rimangono all impresa come profitto. La produzione aggregata ovvero totale di questa economia è 210 euro. Infatti l acciaio è un bene intermedio, non dobbiamo tener conto della produzione dei beni utilizzati nella fabbricazione di queste automobili. Dobbiamo pensare all economia come formata da un'unica impresa. 2. Il PIL è la somma del valore aggiunto nell'economia in un dato periodo: Ogni impresa, in tutte le trasformazioni che apporta ai propri input, aggiunge del valore. Tale valore è semplicemente uguale alla somma del valore della propria produzione meno il valore dei beni intermedi utilizzati. La somma di tutti i valori aggiunti è uguale al PIL. 8 di 23

9 Esempio: L Economia è costituita da due imprese, l impresa siderurgica non usa beni intermedi. Il suo valore aggiunto è semplicemente uguale al valore dell acciaio che produce cioè 100 dollari. L impresa automobilistica, invece, usa acciaio come bene intermedio. Quindi il suo valore aggiunto è uguale al valore delle auto meno il valore dell acciaio utilizzato nel processo produttivo cioè = 100 euro. Il PIL è uguale = 200 euro. Notate che il valore aggiunto sarebbe uguale se le due imprese si fondessero in una sola impresa. In questo caso, non osserveremmo alcun bene intermediol acciaio verrebbe prodotto e utilizzato nella stessa impresa, e il valore aggiunto sarebbe semplicemente uguale al valore delle auto. Cioè 200 euro. 3. Il PIL è la somma dei redditi dell'economia in un dato periodo: Si distinguono due tipi di reddito: quello delle imprese, denominato reddito da capitale o profitto, e quello dei lavoratori, ovvero il reddito da lavoro. La somma di tutti i redditi dà come risultato il PIL. PIL nominale e PIL reale Nel 2003 il PIL degli Stati Uniti era di circa miliardi di dollari, mentre nel 1960 esso era di "appena" 520 miliardi. Ne consegue che il PIL, in poco più di quarant'anni, è aumentato di 21 volte. In realtà questo è vero solo sulla carta: nella realtà parte del PIL del 2003 è aumentato in conseguenza dell'aumento dei prezzi, che ha, in un certo senso, "gonfiato" il valore del PIL. In entrambi i casi il PIL era calcolato a prezzi correnti, ovvero con i prezzi di quell'anno. Il paragone fra i due anni non ha molto senso, poiché dal 1960 al 2003, non è cresciuta soltanto la produzione statunitense, ma anche i prezzi. Si dice, in questo caso, che il PIL è nominale, ovvero a prezzi correnti. Per ovviare a questo problema, si è soliti scegliere un anno base e tenere "fermi" i prezzi di quell'anno, applicandoli anche ai precedenti e ai successivi per verificare qual è stata realmente la crescita della produzione. La scelta dell'anno base è cosa abbastanza arbitraria: per gli Stati Uniti l'anno base è il Un PIL così costruito si chiama PIL reale, o anche a prezzi costanti. Una tabella aiuterà a comprendere questo concetto. Prendiamo ad esempio una economia in cui si producono solo caramelle: 9 di 23

10 PIL nominale e PIL reale Quantità Prezzo cad. PIL nominale PIL reale , , Come si può vedere, i dati fra PIL nominale e PIL reale, con l'eccezione del 2000, anno base, sono decisamente diversi. La differenza tra i due risultati dipende dall aumento dei prezzi registrato in quel periodo. I termini PIL nominale e PIL reale hanno entrambi molti sinonimi che incontreremo: Il PIL nominale è anche chiamato PIL a valori o a prezzi correnti; Il PIL reale è anche chiamato PIL a prezzi costanti, PIL in termini di beni, PIL aggiustato per inflazione. Introduciamo anche una definizione di PIL pro capite: si tratta semplicemente del PIL diviso per la popolazione del Paese, e indica il tenore di vita della popolazione di quel Paese. Infine, ricordiamo che con il termine "espansione", gli economisti intendono i periodi in cui il PIL ha un tasso di crescita positiva, mentre con il termine "recessione" si indicano i periodi in cui il PIL ha un tasso di crescita negativa. 10 di 23

11 6 Il tasso di disoccupazione L'occupazione, in un dato Paese, è semplicemente il numero di persone che hanno un impiego. In negativo, la disoccupazione è il numero di persone che non hanno un impiego, ma che lo stanno cercando. Una persona che non ha un impiego e che non lo sta cercando, quindi, non è un disoccupato. La somma di questi due dati dà la forza lavoro, che quindi è definita come: L (forza lavoro) = N (occupati) + U (disoccupati) Il 'tasso di disoccupazione u si ricava mettendo a rapporto il numero dei disoccupati con la forza lavoro, ovvero: La costruzione del tasso di disoccupazione potrebbe non corrispondere alla realtà. Basti pensare al caso estremo in cui, in un Paese con alta disoccupazione, i lavoratori, scoraggiati, smettono di cercare lavoro, e decidono di non iscriversi alle liste di collocamento. Se tutte le persone che non hanno un lavoro smettessero di cercare lavoro, insomma, il tasso di disoccupazione sarebbe zero, il che non è assolutamente vero. Semplicemente, queste persone che hanno smesso di cercare un lavoro e che non sono occupate sono uscite dalla forza lavoro. Di solito, comunque, ad un aumento del tasso di disoccupazione corrisponde anche un aumento del tasso di partecipazione, ovvero del rapporto della forza lavoro totale sulla popolazione in età lavorativa. Il tasso di disoccupazione è importante per due motivi: 1. innanzitutto, solitamente alla disoccupazione vengono associati problemi finanziari e psicologici. Anche se questo non è molto grave negli Stati Uniti, dove solitamente ogni mese molte persone perdono il lavoro, ma molte altre (circa il 30%) ne trovano uno, in Europa le cose già cambiano: un disoccupato europeo rischia di rimanere "a spass" molto più a lungo rispetto ai pochi mesi del lavoratore statunitense. Ovviamente, in entrambi i casi, vi sono gruppi di persone, come le minoranze, che sono perennemente disoccupate; 2. soprattutto, però, il tasso di disoccupazione può essere un ottimo indicatore dello stato di salute dell'economia di un Paese, ovvero se il Paese sta utilizzando al meglio 11 di 23

12 le sue risorse. Un tasso di disoccupazione alto indica che c'è qualcosa che non va. Ma anche un tasso di disoccupazione basso può essere un problema, perché il sistema potrebbe utilizzare troppo la sua forza lavoro. Ma di questo ci occuperemo più avanti. 12 di 23

13 7 Inflazione Con il termine inflazione si indica l'aumento generalizzato e continuo dei prezzi. Il suo contrario, ovvero la diminuzione del livello dei prezzi, è la deflazione. Nel primo caso si ha un tasso di inflazione positivo, nel secondo tale tasso è negativo. Il livello dei prezzi viene misurato in due modi: il deflatore del PIL e l'indice dei prezzi al consumo. 7.1 Deflatore del PIL Un aumento del PIL nominale può derivare da un aumento del PIL reale, la differenza è dovuta a un aumento dei prezzi. Il deflatore del PIL è definito quindi come il rapporto fra il PIL nominale e il PIL reale, ovvero: Il deflatore del PIL è un numero indice il suo tasso di variazione ha un interpretazione economica ben precisa: esso da il tasso al quale cresce il livello dei prezzi nel tempo il tasso di inflazione e pertanto non si può assegnare ad esso alcuna interpretazione. Più importante è il tasso di variazione del deflatore, che è uguale a: Dal deflatore del PIL si può ricavare il prezzo medio dei beni che compongono il PIL stesso, ma può essere interessante verificare il prezzo dei beni che i consumatori consumano. I beni consumati possono notevolmente discostarsi dai beni prodotti, perché: Stato o all'estero; un'impresa potrebbe non vendere ai consumatori, ma anche ad altre imprese, allo i consumatori potrebbero consumare beni prodotti non nel Paese, ma all'estero. 7.2 Indice dei prezzi al consumo Qui entra in gioco l'indice dei prezzi al consumo, ovvero il prezzo medio al consumo, ovvero il costo della vita. La costruzione dell'indice avviene attraverso un paniere di beni che 13 di 23

14 vengono tipicamente consumati da un consumatore urbano. Ogni mese l'istituto nazionale di statistica (in Italia l'istat) controlla in molte città italiane il prezzo dei beni che fanno parte del paniere e costruiscono l'indice dei prezzi al consumo (ICP). Anche l'icp è un numero indice, fissato a 100 nel periodo base. Si può dimostrare empiricamente che il IPC e il deflatore del PIL si "muovono" alla stessa velocità (solitamente i due tassi differiscono dell'1%), ma vi sono comunque momenti in cui la differenza fra i due tassi è notevole (come è stato, ad esempio, negli Stati Uniti nel 1974, a causa della crisi petrolifera). 7.3 Importanza dell'inflazione In un mondo perfetto, ad ogni aumento dei prezzi corrisponderebbe un aumento dei salari di pari valore, sicché il potere d'acquisto non muterebbe. Questo fenomeno, noto come "inflazione pura", è tuttavia pressoché inesistente. Solitamente infatti, durante le fasi inflattive, i prezzi e i salari non aumentano in proporzione, quindi l'inflazione ha una grande importanza in termini di distribuzione del reddito. Inoltre l'inflazione è un importante distorsore: le variazioni dei prezzi, infatti, aumentano l'incertezza e quindi le decisioni vengono prese con maggiore difficoltà. Inoltre è importante anche a fini fiscali: è ovvio che se aumenta l'inflazione e le fasce d'imposta non venissero adeguate ad essa, un persona si ritroverebbe in una fascia d'imposta diversa, anche se il suo reddito reale non è mutato. Tuttavia anche la deflazione comporta problemi, ma a differenza dell'inflazione, che crea problemi principalmente quando è fuori controllo, la deflazione è problematica anche quando è bassa, perché rende difficoltosi gli interventi di politica monetaria volti a influenzare la produzione. Oggi giorno si considera un tasso ottimale di inflazione quando è compreso fra 0% e 3%. Finora abbiamo guardato le principali variabili macroeconomiche: la produzione aggregata, la disoccupazione e l inflazione. Chiaramente, un economia in buona salute è un economia con alta crescita, bassa disoccupazione e bassa inflazione. Questi obiettivi possono essere raggiunti simultaneamente? Una bassa disoccupazione è compatibile con un inflazione bassa e stabile? Le autorità di politica economica hanno gli strumenti per sostenere la crescita, per raggiungere una bassa disoccupazione, mantenendo bassa l inflazione? Queste sono le domande che ci porremo durante il corso. 14 di 23

15 8 Breve, medio e lungo periodo Dopo aver definito le principali variabili macroeconomiche, vediamo ora la domanda centrale della macroeconomia: che cosa determina il livello di produzione aggregata? La lettura dei giornali suggerisce una prima risposta: il livello della produzione dipende in qualunque modo dalla domanda di beni. Probabilmente avrete letto notizie del tipo: <<Il mese scorso la produzione e la vendita di automobili sono aumentate grazie a un miglioramento della fiducia dei consumatori, che si sono presentati insolitamente numerosi nei saloni automobilistici>>. Questa spiegazione sottolinea il ruolo della domanda nella determinazione della produzione, cosi come di altri fattori che vanno dalla fiducia dei consumatori alle aliquote fiscali e ai tassi di interesse. Tuttavia, non sarebbe di certo sufficiente una corsa ai saloni automobilistici da parte dei consumatori per far crescere la produzione al livello di altri paesi. Questa osservazione suggerisce una seconda risposta: ciò che conta per la produzione aggregata è il lato dell offerta, cioè quanto l economia può effettivamente produrre. Ciò dipende a sua volta da quanto avanzata è la tecnologia disponibile in quella economia, da quanto capitale è utilizzato, dalla quantità e dalle capacità dei lavoratori impiegati. Questi fattori, non la fiducia dei consumatori devono essere le determinanti fondamentali del livello di produzione. Volendo spingere questo ragionamento un po oltre: né la tecnologia, né il capitale, né le capacità sono dati. Il livello tecnologico di un paese dipende dalla sua abilità di innovare e di introdurre nuove tecnologie. La quantità del suo stock d capitale dipende da quanto le persone risparmiano. La capacità dei lavoratori dipende dalla qualità del suo sistema educativo. Anche altri fattori possono essere altrettanto importanti. Per esempio, affinché le imprese operino in modo efficiente, hanno bisogno di un sistema di leggi chiare e di un governo onesto che le faccia rispettare. Questo suggerisce una terza risposta: le vere determinanti della produzione sono fattori come il sistema educativo, il tasso di risparmio e la qualità del governo. E a questi fattori che dobbiamo guardare se vogliamo capire cosa determina il livellodi produzione. 15 di 23

16 Quale delle tre risposte è quella giusta? Tutte e tre. Ma ognuna vale su un orizzonte temporale diverso: Nel breve periodo, cioè nell arco di qualche anno, la prima risposta è quella giusta. Le variazioni annuali della produzione sono dovute soprattutto a variazioni della domanda. Le variazioni della domanda possono derivare da cambiamenti nella fiducia dei consumatori o da altre fonti, e possono portare a una riduzione della produzione (recessione) o a un suo aumento (espansione). Nel medio periodo, cioè nell arco di un decennio, la risposta giusta è la seconda. Nel medio periodo, l economia tende al livello di produzione determinato da fattori relativi all offerta: lo stock di capitali, il livello della tecnologia, la dimensione della forza lavoro. E poiché nell arco di un decennio questi fattori non cambiano significativamente, essi possono essere presi come dati. Nel lungo periodo, cioè nell arco di un secolo o più, la risposta giusta diventa la terza. Per capire perché il Giappone è cresciuto molto più degli Stati Uniti nei quarant anni successivi alla seconda guerra mondiale, dobbiamo saper spiegare perché sial capitale sia il livello della tecnologia sono aumentati molto più in Giappone che negli Stati Uniti. Dobbiamo quindi guardare a fattori quale il sistema educativo, il tasso di risparmio e il ruolo del governo. Questo modo di pensare alle determinanti della produzione sono alla base della macroeconomia e anche alla base dell organizzazione del corso. 16 di 23

17 9 Il mercato dei beni Per studiare l andamento dell attività economica nel breve periodo, gli economisti si concentrano sulle interazioni tra produzione, reddito e domanda: Le variazioni della domanda di beni provocano variazioni della produzione; Le variazioni della produzione comportano variazioni di reddito; Le variazioni del reddito portano a variazioni della domanda di beni. 17 di 23

18 10 La composizione del pil Per capire che cosa determina la domanda di beni, ha senso scomporre la produzione aggregata (PIL): La prima componente del PIL è il consumo (C). Si tratta di beni e servizi acquistati dai consumatori. Il consumo è di gran lunga la componente più importante del PIL. La seconda componente è l investimento (I), talvolta chiamato investimento fisso per distinguerlo dalle scorte di magazzino. L investimento è la somma dell investimento non residenziale, cioè l acquisto di nuovi impianti o macchinari, e dell investimento residenziale, cioè l acquisto di nuove case o appartamenti da parte degli individui. Le imprese comprano impianti o macchinari per produrre di più nel futuro. Le persone comprano case o appartamenti per ottenere più servizi abitativi nel futuro. In entrambi i casi, la decisione di acquistare dipende dai servizi che questi beni daranno in futuro. La terza componente del PIL è la spesa pubblica in beni e servizi (G). Si tratta di beni e servizi acquistati dallo Stato e dagl enti pubblici. I servizi includono anche quelli forniti dagli impiegati pubblici. La contabilità nazionale assume infatti che lo Stato acquisti i servizi dai suoi impiegati per poi fornirli al pubblico. Non sono inclusa nella spesa pubblica i trasferimenti come l assistenza sanitaria e sociale, né gli interessi sul debito pubblico. Nonostante questi siano chiaramente spese dello stato non rappresentano acquisti di beni e servizi. La somma delle prime tre voci rappresenta la spesa in beni e servizi da parte dei residenti, siano essi consumatori, imprese o settore pubblico. Per ottenere la spesa totale in beni nazionali, dobbiamo considerare ancora due voci. Innanzitutto dobbiamo escludere le importazioni (IM). Poi dobbiamo escludere le esportazioni (X). La differenza tra esportazioni e importazioni (X IM) è chiamata esportazioni nette o saldo commerciale. Se le esportazioni eccedono le importazioni il paese registra un avanzo commerciale. Se invece le importazioni eccedono le esportazioni il paese presenta un disavanzo commerciale. 18 di 23

19 In ogni dato anno, la produzione e le vendite non sono necessariamente uguali. Alcuni beni prodotti potrebbero non essere venduti che nell anno successivo o anche oltre. E alcuni beni venduti in quell anno potrebbero essere stati prodotti in anni precedenti. La differenza tra beni prodotti e beni venduti in un dato anno, cioè la differenza tra produzione e vendite prende il nome di investimento in scorte. Se la produzione eccede le vendite, le scorte di magazzino aumentano: l investimento in scorte è positivo. Viceversa quando la produzione è inferiore alle vendite, le scorte si riducono: l investimento è negativo. Solitamente la variazione dello stock di magazzino è abbastanza piccola, positiva in alcuni anni, negativa in altri. 19 di 23

20 11 La domanda di beni Indichiamo la domanda totale di beni con Z. Usando la scomposizione del PIL possiamo scrivere Z come: Z C + I + G + X IM Questa equazione è un identità. Essa definisce Z come la somma di consumo, investimento, spesa pubblica ed esportazioni al netto delle importazioni. Ora dobbiamo pensare alla determinazione di Z. Per facilitarci il compito, introduciamo alcune semplificazioni: Assumiamo che tutte le imprese producano uno stesso bene, che può essere usato, indifferentemente dai consumatori come bene di consumo, dalle imprese come bene di investimento e dal governo come spesa pubblica. Con questa semplificazione, dobbiamo analizzare un solo mercato, il mercato di quel bene e non tutti i mercati dei singoli beni. Assumiamo che le imprese siano disposte a fornire qualsiasi quantità del bene a un dato prezzo, P. Questa ipotesi ci permette di concentrarci esclusivamente sul ruolo della domanda nella determinazione della produzione aggregata. Assumiamo che l economia sia chiusa, cioè non commerci con il resto del mondo: sia le esportazioni sia le importazioni sono nulle. Questa assunzione è chiaramente irrealistica: tutte le economia moderne scambiano con il resto del mondo. Ma per il momento, essa semplifica la nostra trattazione. Sotto l ipotesi di economia chiusa, X = IM = 0, per cui la domanda di beni è la somma di consumo, investimento e spesa pubblica: Z C + I + G Il consumo (C) dipende da molti fattori, ma la determinante principale è sicuramente il reddito disponibile, ciò che rimane del reddito percepito dopo aver ricevuto i trasferimenti dal governo e pagato le imposte. Quando il reddito disponibile aumenta, le persone comprano di più; quando diminuisce, riducono i loro consumi. 20 di 23

21 Siano C il consumo e Yd il reddito disponibile. Possiamo scrivere: C = C(Yd) (+) La funzione C(Yd) è chiamata funzione del consumo. Il segno positivo sotto Yd indica il fatto che, quando il reddito disponibile aumenta, anche il consumo aumenta. Gli economisti chiamano queste funzioni equazioni di comportamento. Spesso è utile specificare la forma funzionale. In questo caso, è utile assumere che la relazione tra consumo e reddito disponibile sia data dalla semplice relazione: C = c o + c 1 Y d sia una relazione lineare, caratterizzata da due parametri c o e c 1. Il parametro c 1 è chiamato propensione marginale al consumo. Esso esprime l effetto sul consumo di un euro aggiuntivo di reddito disponibile. Una restrizione naturale su c 1 è che sia positivo: un aumento del reddito disponibile fa aumentare il consumo. Un altra restrizione naturale è che c 1 sia minore di 1: è probabile che gli individui vogliano consumare solo una parte del loro incremento di reddito e risparmiare il resto. Il parametro c o ha una semplice interpretazione. Rappresenta il consumo desiderato in corrispondenza di un reddito nullo: se Y d = 0 allora C = c o Dobbiamo ora definire il concetto di reddito disponibile Y d. Il reddito disponibile è dato da: Y d Y T dove Y è il reddito e T rappresenta le imposte al netto dei trasferimenti. Sostituendo Y d nell equazione per il consumo si ottiene: C = c o + c 1 (Y T) L equazione ci dice che il consumo C è una funzione del reddito Y e delle imposte T. Un reddito più alto fa aumentare il consumo, ma meno che proporzionalmente. Imposte più elevate fanno diminuire il consumo, ma meno che proporzionalmente. Imposte più elevate fanno diminuire il consumo, anche in questo caso meno che proporzionalmente. 21 di 23

22 Per investimento (I) si intende l'incremento dei beni capitali e l'acquisizione e la creazione di risorse da usare nel processo produttivo. Nei modelli economici troviamo due tipi di variabili. Alcune dipendono da altre variabili del modello e sono pertanto spiegate all interno del modello stesso: queste sono chiamate variabili endogene. E il caso del consumo. Altre variabili invece non sono spiegate all interno del modello e vengono prese come date: sono le variabili esogene. Nel nostro caso l investimento sarà preso come dato: I = Ī La barretta sopra la variabile ci ricorda che essa è esogena al modello. Qui l investimento è considerato esogeno per motivi di semplicità. Essa comporta che quando osserviamo variazioni nella produzione, dobbiamo assumere che l investimento non risponda in alcun modo. Non è difficile capire che questa ipotesi può essere una pessima descrizione della realtà: un impresa che registri un aumento nella sua attività, probabilmente avrà bisogno di più macchinari e quindi aumenterà i suoi investimenti. Nel nostro modello la terza componente della domanda è la spesa pubblica (G). Insieme alle imposte T, G descrive la politica fiscale del governo, cioè le scelte del governo circa le entrate e le uscite del settore pubblico. Analogamente all investimento, consideriamo G e T come esogene. La ragione di questa semplificazione si basa su due considerazioni: Innanzitutto poiché il governo non presenta regolarità di comportamento come i consumatori e le imprese, non esiste un unica funzione per G e per T che descriva il comportamento di queste variabili,come per il consumo. La seconda considerazione è la più importante. Uno dei compiti dei macroeconomisti è consigliare il governo circa le decisioni di spesa e di gettito. Il nostro obiettivo è essere in grado di dire ai membri del governo: <<Se sceglierete questi livelli di G e T, succederà questo e quest altro>>. Riassumendo quindi i concetti introdotti finora, 22 di 23

23 Assumendo che esportazioni e importazioni sono entrambe nulle, la domanda di beni è la somma di consumo, investimento e spesa pubblica: C C + I + G Sostituendo C e I con le loro espressioni si ottiene: Z = c o + c 1 ( Y T) + Ī + G La domanda di beni Z dipende dal reddito Y e dalle imposte T, dall investimento Ī e dalla spesa pubblica G. Vediamo ora l equilibrio sul mercato dei beni, e la relazione tra produzione e domanda. Se le imprese tengono scorte, la produzione non deve necessariamente essere uguale alla domanda: le imprese possono rispondere a un aumento della domanda attingendo alle loro scorte, cioè scegliendo un investimento negativo in scorte. Allo stesso modo, possono rispondere a un calo della domanda continuando a produrre scorte. In questo caso, l investimento in scorte e l equilibrio nel mercato dei beni richiede che al produzione sia uguale alla domanda: Y = Z Questa equazione è chiamata equazione di equilibrio. I modelli sono composti da tre tipi di equazioni: le equazioni di comportamento, le identità e le equazioni di equilibrio. L equazione che definisce il reddito disponibile è un identità, la funzione del consumo è un equazione di comportamento e la condizione di uguaglianza tra produzione e domanda è un equazione di equilibrio. In equilibrio, la produzione Y è uguale alla domanda. A sua volta, la domanda dipende dal reddito Y, che è uguale alla produzione. 23 di 23

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