Facoltà di Economia. L'Imprenditoria Femminile: processi di incentivazione e caratteristiche professionali

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1 UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI FERRARA Facoltà di Economia Corso di Laurea Specialistica in Economia Aziendale Management e Professioni Laurea in Economia Aziendale Management e Professioni L'Imprenditoria Femminile: processi di incentivazione e caratteristiche professionali Relatore: Chiar.ma Prof. ssa Emidia Vagnoni Tesi di Laurea di Elena Maria Merlin Anno Accademico 2008/2009

2 Ai miei genitori 2

3 INDICE Introduzione pag. 5 CAPITOLO 1 : pag. 8 L'IMPRENDITORIA FEMMINILE: UN EXCURSUS STORICO 1.1 La presenza delle donne nel mercato del lavoro pag Il soggetto economico donna pag L'Evoluzione pag Motivazioni e risorse delle donne nella costruzione dell'impresa pag La formazione delle donne pag Gli aspetti finanziari pag Le direzioni del mutamento: cinque tipi di donne pag. 31 CAPITOLO 2 : pag. 36 POLITICHE E PROVVEDIMENTI A TUTELA E SVILUPPO DELL'IMPRENDITORIA FEMMINILE 2.1 Interventi a livello italiano: l'importanza della legge 215/1992 pag Le azioni positive per incentivare l'imprenditoria femminile pag Agevolazioni, incentivazioni e forme di finanziamento pag I Comitati per la promozione dell'imprenditoria Femminile pag La politica comunitaria: il contributo del Fondo Sociale Europeo pag Altre iniziative comunitarie a sostegno delle imprenditrici pag. 56 Il Programma NOW pag. 57 Il Programma ILO pag. 60 3

4 CAPITOLO 3 : pag. 62 IL FARE IMPRESA AL FEMMINILE: I RISULTATI OTTENUTI FINO AD OGGI 3.1 Come è cambiato il profilo delle lavoratrici indipendenti pag Sempre più donne nei ruoli imprenditoriali: la situazione attuale dell'italia pag Le performance delle imprese guidate dalle donne pag Il quadro Europeo pag Uno sguardo alla Regione Emilia-Romagna pag L'imprenditoria femminile di Ferrara pag L'incontro con Monica Talmelli: un'imprenditrice di successo pag. 92 Conclusioni pag. 97 Ringraziamenti pag. 99 Bibliografia pag. 100 Siti consultati pag

5 INTRODUZIONE Negli ultimi decenni il mondo del lavoro femminile è mutato notevolmente. In tutti i Paesi Europei le donne hanno sempre più preso parte ad ogni settore delle attività lavorative, dal dipendente all'autonomo e perfino nel settore imprenditoriale. Questa permeabilizzazione del mondo del lavoro non è dovuta soltanto alla maggiore emancipazione della donna od al continuo e progressivo cambiamento dell'idea donna nell'immaginario collettivo ma, anche e soprattutto al modificarsi della società, della politica e dell'economia, oltre chiaramente alle specifiche capacità individuali. Quindi, anche in Italia le donne hanno iniziato ad occupare spazi lavorativi che fino a qualche anno fa erano di pertinenza esclusiva degli uomini. Questo, senza dubbio, grazie alla maturata consapevolezza di poter gestire nuovi settori di attività, a livelli di istruzione più elevati e conseguentemente all'acquisizione di maggiore professionalità, che hanno determinato anche il desiderio di utilizzare queste conoscenze/competenze nel mondo del lavoro. L'essere donna ed optare per una vita professionale alla guida di un'attività imprenditoriale comporta spesso un onere individuale molto gravoso; nonostante tutto, oggi, un numero sempre maggiore di donne provano e riescono a realizzare le loro ambizioni. Ciò a dispetto di una burocrazia complessa, di un rapporto sempre problematico con il credito, oltre a pregiudizi e scetticismi imperanti. Alla luce di numerosi studi sul fronte del genere, diffusi soprattutto nel contesto scientifico internazionale, l'obiettivo del lavoro consiste nell'esaminare il percorso realizzato dalle donne nel mondo del lavoro autonomo, considerando l'argomento secondo tre diversi aspetti: a) un aspetto storico-evolutivo, per capire come si è evoluto nel corso dei decenni il lavoro femminile; b) un aspetto legislativo, per capire le leggi e i provvedimenti più importanti che sono stati emanati a sviluppo e tutela dell'imprenditoria femminile; 5

6 c) un aspetto statistico, per capire i settori predominanti in cui si sono concentrate le imprese femminili, in che forma si sono strutturate, in che zone geografiche si sono concentrate maggiormente. Ho analizzato inoltre i risultati ottenuti dalle imprese guidate dalle donne e tutto ciò non solo a livello italiano, ma anche delineando un quadro Europeo per concentrarmi poi sulla regione Emilia- Romagna e in particolare nel caso dell'imprenditoria femminile nella provincia di Ferrara. Nel capitolo primo, dunque, ho esaminato la partecipazione della donna al mondo del lavoro, con un occhio particolare rivolto alla sua figura di imprenditrice, attraverso varie interpretazioni. Parto da un punto di vista storico, descrivendo il cammino che le donne hanno dovuto percorrere nel mercato del lavoro, mostrando come la partecipazione femminile all'attività produttiva non rappresenta più una circostanza eccezionale, ma la normalità. Questa introduzione storica di carattere generale sulla donna nel mondo del lavoro, è indispensabile per spiegare quali sono stati gli elementi che hanno permesso il cambiamento della condizione della donna nella sfera dell'attività lavorativa, rispetto a quello che avveniva prima della terziarizzazione e dei movimenti femministi. Partendo quindi da un'analisi storica, ho ripercorso poi l'evoluzione negli ultimi decenni dell'ingresso delle donne nell'attività imprenditoriale, le motivazioni che le hanno spinte, la formazione professionale che ha accompagnato la loro crescita delineando poi un aspetto molto importante inerentemente a tale argomento ovvero gli aspetti finanziari. Le donne infatti hanno sempre avuto difficoltà a reperire credito per avviare le loro attività imprenditoriali, proprio a causa di pregressa ma tuttora esistente diffidenza a finanziare soggetti donne. Nel secondo capitolo ho approfondito invece l'aspetto relativo all'ambiente politico istituzionale, descrivendone le politiche, sia a livello nazionale che comunitario, che hanno permesso di incentivare e di sostenere lo sviluppo 6

7 dell'imprenditorialità femminile e di garantirne le pari opportunità. In Italia gli interventi a sostegno dell'imprenditoria femminile si sono sviluppati nel corso degli anni fino ad arrivare alla famosa legge n. 215 del 25 febbraio 1992, ovvero la legge diretta a promuovere l'uguaglianza sostanziale e le pari opportunità per uomini e donne nell'attività economica e imprenditoriale. Sono state dunque previste, tramite questa legge, agevolazioni e incentivazioni con lo scopo di consentire alle donne una preparazione specifica ed apprestare loro il sostegno finanziario necessario per metterle in condizione di intraprendere l'attività imprenditoriale. Anche a livello comunitario sono stati fatti interventi importanti. In particolare si parla del Fondo Sociale Europeo, la cui azione è stata diretta alla promozione professionale e sociale delle donne, come tracciato dalla Commissione alla fine degli anni Settanta. Lo stesso scopo hanno avuto il Programma ILO e il Programma Now. Nell'ultimo capitolo, infine, ho analizzato la tematica del fare impresa al femminile, attraverso la descrizione di come si sono strutturate le imprese delle donne, che settori di attività hanno interessato in misura maggiore, in che zone geografiche si sono concentrate, arrivando a sottolineare i risultati e le performance ottenute dalle imprese gestite dalle donne. La mia analisi si è rivolta poi a delineare il quadro a livello europeo dell'imprenditoria femminile, per concentrarmi poi sulla situazione della Regione Emilia -Romagna, con particolare riferimento alla Provincia di Ferrara. Le considerazioni a conclusione del lavoro di tesi hanno anche beneficiato del risultato di un'intervista rivolta ad un'imprenditrice, che ha permesso di valutare in che misura i molti elementi caratterizzanti l'imprenditoria femminile nella letteratura economico-aziendale possono essere riscontrati nella realtà. 7

8 CAPITOLO 1: L'IMPRENDITORIA FEMMINILE: UN EXCURSUS STORICO 8

9 1.1 LA PRESENZA DELLE DONNE NEL MERCATO DEL LAVORO A partire dalla fine della seconda guerra mondiale, per le donne italiane è iniziato un periodo ricco di grandi cambiamenti. Infatti, esse hanno avuto un processo di emancipazione molto più breve rispetto a quello degli Stati Uniti e dei Paesi dell'europa del Nord. Quanto detto è evidente se si pensa che, negli anni '50, oltre un terzo delle donne ancora viveva in famiglie patriarcali con più di sei componenti. Lavoravano soprattutto in agricoltura, avevano un basso livello di istruzione e soltanto dal primo febbraio del 1945 avevano ottenuto i pieni diritti politici. Inoltre per comprendere a fondo questo grande passaggio storico, sociale e culturale bisogna guardare al sesso dei lavori, spiegandone, come afferma Aris Accorro, i tratti principali: Non più famiglie fondate sul capo famiglia, il breadwinner maschio. Non più due cicli di vita attiva distinti e sessuati, quello dei lavori da maschi e quello da femmine, lavoratrici o no, modellati sul lavoro extra domestico di produzione e sul lavoro domestico e di riproduzione. Dal passaggio in corso si affacciano altri modelli di vita plasmati sul lavoro, ma anche altri modelli di lavoro plasmati dai cicli di vita. 1 Sono venuti meno col passare del tempo, quindi, alcuni dei simboli classici di subalternità femminile, sia quelli relativi alla società contadina tradizionale (la donna discriminata, sottoposta all'autorità del padre o del marito-padrone), sia quelli relativi al miracolo economico (la casalinga della società dei consumi, vittima designata della pubblicità dei prodotti di consumo e degli elettrodomestici). Il processo di femminilizzazione e di affermazione delle donne nel mondo del lavoro ha aperto loro strade del tutto inattese. Il percorso svolto ha permesso loro di cogliere opportunità in diversi settori dell'economia tali da competere con gli uomini in posizioni tutt'altro che subalterne. Tuttavia rimangono ancora oggi alcune questioni che ancora penalizzano la loro piena partecipazione al mondo del lavoro. 1 ACCORNERO A., La società dei lavori in Sociologia del lavoro n. 80, 2000 p. 8 9

10 Viene esaminata quindi la partecipazione della donna al mondo del lavoro, con particolare riguardo alla figura della donna imprenditrice, anzitutto affrontando l'argomento da un punto di vista storico, descrivendo il percorso delle donne nel mercato del lavoro, facendo vedere come la partecipazione femminile al lavoro non rappresenta più una circostanza eccezionale, ma la normalità. Non c'è ormai dubbio infatti che negli ultimi decenni si sono riscontrati cambiamenti di tale portata nelle dinamiche del lavoro femminile da farne uno dei fenomeni sociali di maggiore interesse degli anni Ottanta. In tutti i paesi economicamente sviluppati, compreso il nostro, la presenza delle donne nel lavoro retribuito ha mutato in maniera profonda le sue caratteristiche, sia sul piano qualitativo, sia quantitativo; tanto che oggi sembra definitivamente caduta la riluttanza, segnata forse dall'incredulità verso la portata del cambiamento, da parte degli esperti e degli studiosi del mercato del lavoro, che riconoscono in questo nuovo contesto il segno di trasformazioni strutturali e culturali profonde. Molteplici sono, infatti, i fattori di conoscenza a tale proposito che, riferendosi ad un periodo temporale ormai lungo, vengono a contrassegnare una nuova fase storica. Le donne, in questa fase, hanno visto aumentata la loro presenza sul mercato del lavoro retribuito, fino al manifestarsi della tendenza, specie in alcuni Paesi, ad un cambiamento radicale nella composizione per sesso della forza complessiva. Nonostante abbiano riscontrato anche notevoli difficoltà a trovare lavoro, hanno mostrato di essere molto meno scoraggiabili rispetto al passato, detenendo un tasso di partecipazione essenzialmente sganciato dall'andamento dell'economia. In Italia in particolare, questo maggiore incremento rispetto agli uomini di donne nel lavoro retribuito, ha riguardato tutti i settori di attività e le diverse posizioni professionali. Inoltre sono state soprattutto detentrici di alti livelli di istruzione ad aumentare la loro presenza in tale ambito. La scolarizzazione, in effetti, sembra costituire l'elemento che maggiormente differenzia dalle precedenti, la leva di donne presentatasi sul mercato del lavoro negli anni Ottanta. 10

11 Si è assistito in quegli anni ad una vera e propria esplosione della formazione superiore ed universitaria della popolazione femminile, che ha avuto anche sviluppi importanti sul piano della qualità dei percorsi formativi e delle scelte professionali conseguenti, contribuendo a trasformare il modello di presenza delle donne nell'occupazione 2. Un altro aspetto, che qualifica ulteriormente questa nuova presenza femminile sul mercato del lavoro, è la considerazione che il lavoro oggi non è più visto come un'esperienza transitoria. Questo significa che il lavoro non è più limitato alle fasce più giovani della popolazione femminile, che non viene interrotto al momento del matrimonio o della nascita dei figli ma riguarda in maniera crescente donne che entrano nel lavoro in età più avanzata, con un livello di istruzione più elevato e con l'intenzione di non abbandonarlo. Come è stato affermato da Patrizia David e Giovanna Vicarelli: Siamo di fronte a modelli di comportamento e di corso di vita che scompigliano sia gli stereotipi sia le identità sociali di genere femminile. 3 I termini del dibattito, inizialmente centrati almeno in Italia, intorno alla questione, se tali cambiamenti fossero stati prodotti da una richiesta di lavoro particolarmente favorevole per le donne, quale quella proveniente dal settore terziario, oppure da una trasformazione culturale prima ancora che strutturale, che avrebbe portato a presentarsi sul mercato una leva di donne differenti dalle generazioni precedenti, oggi sembrano meno polarizzati. Accettato è ormai il fatto che dietro al cambiamento del modello di partecipazione al lavoro delle donne ci sia soltanto e non solo un mutamento della domanda, ma un fenomeno culturale di vasta portata, a sua volta sorretto dalla crescita considerevole del livello di istruzione femminile anche se non è completamente riconducibile a questa. Negli ultimi anni, infatti, si sono avuti altri due importanti cambiamenti, l'uno di tipo politico culturale, l'altro demografico. 2 SULLEROT E., La donna e il lavoro, Tascabili Bompiani, Torino DAVID P., VICARELLI G., Donne nelle professioni degli uomini, Franco Angeli, Milano 1994, p.16 11

12 Questi hanno contribuito a modificare, insieme alle trasformazioni verificatesi nel mercato del lavoro, i modelli di riferimento della popolazione femminile nel nostro paese. La carica innovativa ed emancipatoria del movimento femminista, da un lato, ha determinato cruciali mutamenti di tipo legislativo-istituzionale, unitamente ai profondi cambiamenti intervenuti nei comportamenti riproduttivi, mentre dall'altro lato ha contribuito a rendere percorribili per le donne quegli spazi di scelta e di progettazione della propria vita dai quali in pendenza erano escluse. Si ritiene inoltre che vi sia una stretta relazione tra la crescita dei tassi di partecipazione al mercato del lavoro da parte delle donne e la diminuzione della fecondità, in calo dalla fine degli anni Settanta, anche per i cambiamenti avvenuti nei rapporti tra i sessi e le generazioni. L'appartenenza a diverse generazioni ha creato differenze tra le donne, per quanto concerne il loro approccio alla vita lavorativa. Da una situazione in cui il modello della casalinga rappresentava l'orizzonte dominante dell'immaginario femminile, si è giunti ad una in cui la doppia presenza è consueta. Si registra ormai una progressiva omogeneizzazione delle aspettative tra uomini e donne rispetto al lavoro, inteso come autorealizzazione e garanzia d'autonomia. In sostanza, il ventaglio delle normalità possibili per le giovani donne si presenta molto più ampio e meno definito a priori di quello delle loro madri. 4 Ma, se il modello di partecipazione delle donne al mercato del lavoro si è avvicinato a quello maschile, la loro condizione è ancora caratterizzata da un'elevata debolezza. Il tasso di disoccupazione femminile è rimasto, nel corso degli anni Novanta, quasi doppio rispetto a quello maschile, concentrandosi soprattutto tra le donne con titoli di studio medio-bassi, e tra le giovani donne meridionali. L'occupazione femminile 5 è cresciuta soprattutto nel terziario e nelle posizioni più flessibili, settori principali nei quali si è poi soffermato il lavoro autonomo. 4 ALTIERI G., Presenti ed escluse. Le donne nel mercato del lavoro: un universo frammentato, Ediesse, Roma 1993, p Secondo dati dell'istat riferiti all'anno 1996, l'occupazione femminile in Italia è pari al 32,8% dell'occupazione totale. Cfr. DE BENEDITTIS A., LISENA M., MINGOLLA G., Donne creano impresa, Sperling & Kupfer, Milano 1998, p. 4 12

13 Questo il quadro economico, politico e culturale nel quale si inserisce il fenomeno del crescente ingresso delle donne in settori professionali di prestigio, tra cui l'imprenditorialità, che in passato hanno visto la quasi esclusiva presenza maschile, fenomeno comune alla maggior parte dei paesi industrializzati. 1.2 IL SOGGETTO ECONOMICO DONNA L'attenzione che i governi, così come le grandi istituzioni internazionali, agenzie di cooperazione, banche di sviluppo, danno ai soggetti donne nell'ambito di politiche e progetti di sviluppo è radicalmente mutata nel corso degli ultimi anni. Ciò, però, non nasce dal nulla. Un lungo e attento lavoro di analisi e di critica economica è stato fatto da ricercatrici, economiste, antropologhe, sociologhe, fisiche di tutto il mondo. Anzi, mai come in questo settore è stata fondamentale ed importante la voce delle donne del Sud del mondo da cui sono partite grandi critiche alle modalità della cooperazione internazionale. Il processo di analisi, di critica e di sviluppo di nuove modalità si può dire che si sia imperniato su alcune parole chiave. In un primo momento, con il cosiddetto approccio WID, ovvero "Women in development", termine coniato da un gruppo di economiste ed antropologhe del SID (Society for International Development), il concetto intorno al quale si muove 1'analisi e quello di "equità". Infatti, la critica economica viene avviata da un testo fondamentale di Ester Boserup che da un lato pone la questione della divisione "sessuale" del lavoro e dall'altro misura il diverso impatto che lo sviluppo comporta per uomini e donne. 6 II termine di "donne e sviluppo" fu presto adottato dalle agenzie per lo sviluppo delle Nazioni Unite che crearono appositi uffici. Con le tesi di WID si propone, quindi, sia una particolare analisi dello sviluppo che 1'attivazione di specifici progetti. Ovvero, la teorica di Women in 6 BOSERUP E., Women's Role in Economic Development, George Allen & Unwin, London 1970 (trad. it. Il lavoro delle donne: la divisione sessuale del lavoro nello sviluppo economico, Einaudi, Torino 1981, p. 102) 13

14 Development, considera le donne come un gruppo omogeneo di fatto escluso da ogni politica e programmazione di sviluppo, mentre si rivendica il ruolo chiave ed il potenziale largo contributo che le donne possono dare allo sviluppo. A partire da questa impostazione vengono realizzati una serie di progetti che però continuano a rimanere marginali ed isolati. Ci si rende ben presto conto che 1'approccio WID registra alcuni errori: primo, di considerare le donne come un gruppo omogeneo, cosa che non è; secondo, che è improprio dire che non sono integrate nei processi di sviluppo, mentre ciò che manca sono piuttosto quelle azioni positive in grado di colmare i divari che le escludono di fatto dai processi di sviluppo; terzo, che il problema principale è quello di una programmazione che complessivamente (e non per singoli isolati progetti) tenga conto della presenza delle donne. L'approccio WID conosce altri due tipici modelli di intervento: quello "anti-povertà", con lo scopo specifico di assicurare alle donne povere un incremento della loro produttività, e 1'efficiency approach (in particolare a partire dagli anni Ottanta dopo la crisi del debito) che teorizza che lo sviluppo è più efficiente ed effettivo con il contributo economico delle donne. Inizia quindi a delinearsi una critica al concetto di equità, come insufficiente a sostenere una politica effettivamente attiva all'agente economico donna. Emerge una nuova parola capace di sintetizzare nuovi percorsi progettuali: empowerment. E' difficile tradurre in italiano questo termine poiché in esso è ratificato il passaggio da una ricercata equità (economica, politica e sociale) ad una volontà di accrescere il proprio potere come capacita di assumere, a partire dalla consapevolezza di genere, ruolo e prospettive autodeterminate. Empowerment (letteralmente "dare potere o autorità a...") significa, quindi, sia maggiore rappresentatività nel sociale in termini politici ed economici sull'uso delle risorse per lo sviluppo, sia capacità di darsi autorità abbandonando ogni concetto di tutela propria alle fasce di soggetti deboli. E' interessante rilevare come l'empowerment approach nasca soprattutto dalle esperienze di base delle donne nel Terzo Mondo. 14

15 A partire da queste considerazioni si introduce una nuova categorizzazione, quella di "genere e sviluppo" (GAD: gender and development) che dà conto delle differenze tra uomini e donne non in termini biologici ma in termini sociali, ovvero del diverso ruolo e delle differenti determinanti che si hanno nella società. Cosa cambia? Intanto il fatto che 1'analisi deve porsi su termini di trasparenza e copertura delle differenze. Ovvero innanzi tutto occorre definire e misurare queste differenze, che si chiamino discriminazioni, ruoli, vantaggi. Poi, visto che le differenze di genere vengono modellate da fattori ideologici, storici, religiosi, etnici, economici e culturali, si può su di esse operare, non per attendere ad una omologazione che escluda le infinite ricchezze insite nella differenza per una neutra politica emancipatoria, ma perché possano essere individuate le risorse, le attività, le potenzialità al fine di assicurare una massima efficacia nel perseguire un obiettivo di sviluppo. 7 Non sono più all'ordine del giorno singoli progetti per le donne che riguardino l'efficiency o l'equity di un progetto, quanto che tutta la programmazione sia dei governi che degli organismi sovranazionali deve confrontarsi con la problematica di genere e le necessità di empowerment. Ma a fronte di questa visione, sia essa di "donne e sviluppo" che di "genere e sviluppo", comunque interna alle istituzioni, e per sua natura riformista, si è andato man mano sviluppando un approccio decisamente più critico al processo di sviluppo che nega sostanzialmente che una qualche riformabilità, o sostenibilità lo renda atto a sollevare il peso delle molte centinaia di milioni di persone che vivono in estrema povertà. Al Forum delle Organizzazioni non governative (ONG) che si è tenuto a Pechino in concomitanza della Quarta Conferenza mondiale sulle Donne organizzata dall'onu, benché si confrontassero tutte le posizioni, certamente era dominante 1'idea che il modello di sviluppo attuale è la causa della povertà delle donne, piuttosto che un meccanismo che ancora le esclude. Anche perché, sebbene 7 DELEUZE G., Differenza e Ripetizione, Il Mulino, Bologna 1971, p

16 con differenti punti di partenza, altre analisi giungono alle stesse conclusioni. Nel volume Donne e politiche del debito, a cura di M. Dalla Costa, sono raccolti studi ed esperienze che evidenziano come la riproduzione sociale sia il terreno d'intervento principale per la ristrutturazione di un nuovo processo di accumulazione primaria. Cioè, cosi come la creazione dei grandi capitali nell'europa dal XVI al XVIII secolo è stata caratterizzata dalla sottrazione della terra e delle altre risorse di sussistenza alle donne, come anche del potere di controllo sulla loro capacità di procreare, oggi le politiche di aggiustamento strutturale del debito sono espressamente dirette a trasformare la sfera della riproduzione sociale (configurazione della famiglia, livelli di natalità, indici di istruzione, divisione sessuale del lavoro, regime della terra, sanità ecc.). Ne sono segni evidenti 1'abbassamento degli indici relativi alla salute, all'istruzione primaria, alla mortalità materna e infantile e di altri indici sulle condizioni di vita che si sono registrati in Africa e in America Latina subito dopo i primi programmi di riduzione dei deficit. Nello studio del legame tra donne e sviluppo, 1'approccio portato avanti in questo lavoro si definisce mediante la catena: sviluppo impresa-donna. Ciò significa, che nell'evoluzione del concetto di sviluppo occorre inserire la realtà propria delle aziende. Potremmo cioè dire, che se il concetto di crescita economica, in termini di aumento del PIL prodotto, non può essere più considerata come il solo indicatore di sviluppo di un'area economica, questo deriva, di fatto, anche dalla rottura che si è creata nel modo di produzione tra ricchezza prodotta e ricchezza sociale. In parole povere, le imprese fanno profitti, ma riducono 1'occupazione. Problema che si riverbera sul piano delle teorie aziendali in vario modo: nell'analisi tra dimensione d'impresa e flessibilità dei modelli organizzativi e produttivi; nella riqualificazione del rapporto profitto/successo; nello studio dei fattori immateriali che incidono in vario modo ed in tempi differenti sulla vita d'impresa; nell'analisi degli elementi che producono learning ed evoluzione. 8 8 MIGALE LIA, Imprenditoria femminile e sviluppo economico, La nuova Italia Scientifica, Roma 1996, p

17 Diventa essenziale analizzare il problema della nascita di nuove imprese nelle mutate condizioni dello sviluppo. Ciò perché occorre comprendere il significato del più dirompente fenomeno della nascita di piccole, finanche micro, imprese da parte di donne. Per questo, innanzi tutto, è necessario differenziare gli ambiti (fors'anche i concetti) propri allo sviluppo del capitale produttivo da quelli relativi alla creazione di nuove imprese; sarà necessario ripercorrere poi per punti essenziali lo sviluppo delle teorie sulla nascita delle imprese. Ciò solo al fine di derivare una griglia di fattori (ambientali, soggettivi e motivazionali) che spingono (e quindi spiegano) la necessità alla nascita di nuovo capitale produttivo. L'impresa, quindi, fin dall'inizio nasce su una motivazione di sopravvivenza diversa e separata dal vincolo di profitto. Perché l'impresa, fin dal suo nascere è generatrice di novità, esploratrice del possibile non ancora esistente. Comprendendo questo, stupisce di meno, allora, l'emergere di alcune evidenze empiriche relative alla nascita delle nuove imprese. 1.3 L'EVOLUZIONE Uomini e donne arrivano generalmente ad una posizione imprenditoriale dopo un periodo di lavoro dipendente svolto nello stesso settore di attività; per le donne sono ovviamente diversi i settori in cui si è realizzato il lavoro dipendente: tra le donne prevalgono infatti i settori in cui la manodopera femminile è maggioritaria. 9 Il dato comune è rappresentato dal fatto che la scelta dell'impresa è fortemente radicata in una precedente esperienza svolta alle dipendenze. Le imprenditrici che si collocano in questo gruppo sono donne adulte che hanno scelto 1'imprenditoria come passaggio più o meno naturale di una trafila di lavoro dipendente in cui hanno maturato abilità e competenze che ad un certo punto della loro vita decidono di spendere in un'attività propria. L'impresa opera nello stesso settore di attività in cui si è svolto il lavoro dipendente (i casi più 9 FRANCHI MAURA Donne Imprenditrici: le regole del gioco, Franco Angeli, Milano 1992, p

18 frequenti interessano i settori dell'abbigliamento e dei servizi alle persone) e la motivazione che sorregge la scelta è prevalentemente connessa ad esigenze di realizzazione e di autonomia. Il desiderio di veder riconosciuta una professionalità compressa nel lavoro dipendente rappresenta spesso la molla decisiva. Non sono passaggi segnati dalla costrizione, ma piuttosto dall'idea che una progressione di carriera implica inevitabilmente il passaggio ad un lavoro in proprio. Questa trafila si caratterizza per una forte continuità di settore: alle spalle vi è un periodo più o meno lungo di lavoro in cui si è maturata un'esperienza e si è acquisita una professionalità solida. Le motivazioni all'avvio di un'impresa sono quindi fortemente centrate sul desiderio di vedere valorizzate le proprie capacità, di conquistare maggiore autonomia e di incrementare il reddito. Vi è in ogni caso una forte proiezione nel lavoro che rappresenta spesso una componente essenziale dell'identità e dell'immagine di sé: è il caso tipico delle stiliste che hanno avviato laboratori di confezioni e che di frequente, per definire la propria attività, usano espressioni quali è una passione prima che un lavoro... E' interessante notare che nella maggioranza dei casi le imprenditrici hanno alle spalle un attestato di scuola professionale, un periodo più o meno lungo di studio congruente con il lavoro svolto e che viene considerato una base importante per la propria carriera. Queste donne spesso esercitano, sia pure in aziende di piccole dimensioni, una funzione imprenditoriale vera e propria: si avvalgono del lavoro di altri dipendenti (spesso poche unità, quasi sempre donne) nei loro progetti ci sono ipotesi di consolidamento se non di espansione dell'impresa, perseguiti attraverso la qualificazione del prodotto e la selezione dei clienti. Il secondo profilo di imprenditrici, il cui peso va rapidamente crescendo negli ultimi anni, è quello delle giovani donne che scelgono precocemente il lavoro in proprio e che esprimono con questa scelta un'idea di autonomia e di affermazione nel lavoro. Spesso queste giovani sono spinte dalla ricerca di indipendenza e dall'idea che 18

19 il lavoro dipendente non offra sufficienti gratificazioni e prospettive. Sono generalmente in possesso di titoli di studio e di livelli di scolarità alti, considerano il successo un obiettivo (anche se prima di tutto puntano alla crescita professionale). Non citano generalmente il profitto come motivazione primaria della scelta; il profitto dell'impresa viene considerato come una conferma della professionalità raggiunta piuttosto che un obiettivo economico. Talvolta queste giovani donne hanno alle spalle esperienze di lavoro non gratificanti, altre volte sono disoccupate, ma questa condizione non rappresenta quasi mai la motivazione principale. Il terzo profilo individuato è composto da donne che possiamo definire imprenditrici 'di ritorno'; ciò che le caratterizza è il fatto che dietro la decisione di avviare l'impresa sta la volontà di riprendere il lavoro interrotto in qualche momento della propria vita, spesso in coincidenza con il matrimonio o la nascita dei figli. La decisione avviene quando i figli sono grandi e si allentano le pressioni del carico familiare: allora riemerge il desiderio di un impegno al di fuori della famiglia. Dal desiderio di avere un lavoro prende corpo l'idea di dar vita ad un'impresa; di fronte al vaglio delle opportunità il lavoro autonomo appare in molti casi come l'unica possibilità di avere una occupazione. La maggioranza delle imprenditrici si trova a capo di un'azienda che non ha creato personalmente. Ma se questo è il dato statisticamente più rilevante, non si può non sottolineare la presenza di un'alta percentuale di donne che ha creato dal nulla la propria impresa. Tra queste ultime la maggioranza lo ha fatto in età giovane, ma non giovanissima: il 43,7% aveva tra i 26 ed i 35 anni. Per molte delle donne l attività imprenditoriale non è stata la prima esperienza lavorativa della vita. Ben il 42,9% di esse aveva già avuto una precedente occupazione, percentuale che sale al 55,6% tra quelle donne che in seguito sono state chiamate, o hanno scelto, di entrare a far parte di aziende familiari. 10 Ma quello che sorprende ancora di più è come se per tutte non si trattasse di 10 CNEL, Il ruolo delle donne nello sviluppo socio-economico I Rapporto, Roma 1999, p

20 lavori precari o saltuari, quanto invece di posizioni lavorative solide e durature: tra coloro che avevano già lavorato infatti, ben oltre l 80% lo faceva da più di due anni, in forma dipendente, full-time, con contratto a tempo indeterminato. Sempre in base a CNEL (1999), è stato possibile quantificare la percentuale di imprenditrici che lavoravano in aziende che appartenevano già alle loro famiglie attraverso la domanda sui motivi prevalenti che le hanno portate a scegliere l attività che ancora oggi svolgono: oltre il 52% delle intervistate ha risposto che si è trattato di una scelta legata alla tradizione familiare. Scelta, però, che sembra essere stata vissuta in maniere diverse: il 40,7% ha valutato la possibilità di entrare a far parte dell azienda di famiglia come una opportunità che la vita offriva, mentre l 11,6% la ha subita come una costrizione obbligata. L'altra parte delle donne, cioè in quel 47,7% di imprenditrici che non poteva contare su un azienda di famiglia, sono prevalenti coloro che hanno scelto questo mestiere per ragioni che appaiono abbastanza casuali: il 18,9% racconta di aver colto al volo un occasione che si è presentata, il 4,3% non ricorda nessuna particolare ragione che spieghi il proprio percorso e si limita a dire che non sa perché l ha fatto, il 13% era spinto soprattutto dal desiderio di essere indipendente economicamente e si è dato da fare per riuscirci. Tutte ragioni che confermano quanto detto inizialmente: le donne nate per essere imprenditrici sono una assoluta minoranza, per l esattezza nel campione in esame sono costituite da quel 10,1% che risponde di aver sempre sognato di fare questo lavoro. Le altre, cioè il 90% delle intervistate è approdata al ruolo imprenditoriale dopo percorsi diversi e spesso non brevi, magari finendo con l entrare in aziende familiari, ma il più delle volte con una esperienza di lavoro significativa alle spalle. E le stesse famiglie imprenditrici sembrano aver chiesto a queste donne (figlie, sorelle o mogli) una certa maturazione e una certa crescita esterna prima di cooptarle all interno. Esistono ancora difficoltà di diverso tipo all'ingresso delle donne nel mondo imprenditoriale. Questi ostacoli possono essere raggruppati in alcune grandi 20

21 categorie generali: la necessità di capitali ingenti anche per l'apertura di una piccola azienda, la necessità di un'adeguata formazione e la necessità di disporre di adeguati strumenti di informazione che consentano di cogliere le opportunità messe a disposizione da istituzioni europee, nazionali e locali. 11 Anche se queste difficoltà non si possono ritenere esclusivamente di genere è comunque assai probabile che fattori ambientali e educativi le rendano più rilevanti per le donne che intendano assumere un ruolo imprenditoriale. In effetti, in particolare il problema dei rapporti con le banche, generalmente non facile per i piccoli e medi imprenditori, è maggiore per le donne. Questo sia perché, a quanto notano le imprenditrici, c'è tuttora diffidenza verso la donna imprenditrice, sia perché vi si verifica uno scontro tra mentalità. L'immagine che i mezzi di comunicazione diffondono dei tentativi di gruppi di giovani donne di passare dal lavoro dipendente a una condizione microimprenditoriale sembra sufficientemente realistica anche se talvolta angosciosa. Per rimuovere questi massi posti sul sentiero delle donne verso l'impresa esistono programmi di sostegno allo sviluppo dell'autoimprenditorialità, come ad esempio il Progetto Now che verrà approfondito nel capitolo seguente; oppure come il programma promosso da Wwb-Women's world banking e attuato da Formaper per la creazione di un portale dedicato alle donne che vogliono mettersi in proprio. Esistono anche iniziative sul piano locale per prevedere agevolazioni e finanziamenti per donne intenzionate a riacquistare quote di capitali detenute da uomini, ma viene anche suggerita la formazione di cooperative che consentano più facilmente il reperimento di capitali presso le associate. Parallelamente al sostegno dell'imprenditoria femminile sono state realizzate da diverse associazioni azioni per incoraggiare la candidatura di donne negli organismi economici e imprenditoriali. 11 CNEL, La trasformazione silenziosa. Donne, ICT, Innovazione, 2004, p

22 1.4 MOTIVAZIONI E RISORSE DELLE DONNE NELLA COSTRUZIONE DELL'IMPRESA Le motivazioni alla costruzione d'impresa da parte delle donne attengono più propriamente ad una sfera individuale, ed è possibile considerare alcune classi principali: tutte quelle che possono essere ricondotte al conseguimento di un'adeguata remunerazione del capitale investito nell'impresa, cioè volte verso il profitto; tutte quelle derivanti da necessità o volontà di crearsi un reddito; tutte quelle che sono permeate di finalità sociali, definite non-profit; una classe residuale di altre motivazioni (creatività, autopromozione, desiderio di indipendenza, ecc.). Per quanto attiene alle prime due categorie motivazionali, la motivazione profitto sebbene sia la meno confliggente ai vincoli d'impresa è quella che in fase di start up è più scarsamente presente, mentre subentra in un momento più avanzato della vita d'impresa, quando essa è in fase di stabilizzazione. La motivazione reddituale è alla base del self-employment. Sono, invece, da darsi alcune specificazioni per le altre due categorie di motivazioni. La presenza di motivazioni sociali al fare impresa non è di per sé cosa nuova, ma è certamente nuovo il concetto ad esse legato, ovvero quello di impresa nonprofit. Cioè, ciò che prima era vista come azione sociale e benemerita, oggi deve rispondere alla finalità di sopravvivenza e quindi contenere gli elementi dell'equilibrio economico. La motivazione sociale diventa, quindi, fondatrice di istituti economici che intersecano aree di attività economica tradizionalmente considerate proprie di altri istituti, ovvero: delle famiglie, delle imprese e dello Stato. Su quella che viene definita come classe residuale di motivazioni individuali, ovvero relativa a processi di autopromozione, creatività, indipendenza sembra 22

23 opportuno rilevare quanto tali motivazioni siano di estrema importanza soprattutto in relazione a nuovi soggetti economici che si affacciano nel mondo imprenditoriale. Come rilevano alcune ricerche, nei giovani l'autopromozione, e/o l'indipendenza sovrastano nella percezione e nella spinta a far impresa, contrariamente a quanto ci si sarebbe aspettati, la motivazione reddituale. Così come una interessante fetta di imprese di donne è stata incentrata più sulla creatività e l'autopromozione, conseguente alla spinta sociale che le donne hanno vissuto negli ultimi decenni, che non su necessità di reddito o ricerca di profitto. L'analisi delle motivazioni è importante su due piani. Il primo è quello della comprensione di come sia variata oggettivamente la posizione dei soggetti di fronte ad esse; ma molto importante è anche la considerazione che lega l'analisi motivazionale ai fattori di stabilizzazione dell'impresa, ovvero se gli uni e gli altri possono nelle successive fasi della vita d'impresa confliggere tra di loro. 12 La maggior parte delle ricerche svolte sulle nuove imprese avviate da donne registrano una serie di differenze rispetto al costituirsi di nuove imprese da parte di uomini che declinano di fatto la differenza storica, sociale e culturale delle donne nel mondo del lavoro. Non è un caso che quasi tutti i ricercatoti evidenzino una più forte discontinuità professionale tra le neo imprenditrici che, in percentuali più forti degli uomini, iniziano un'attività produttiva in settori diversi da quelli in cui avevano precedentemente lavorato o addirittura provengono da una condizione di inoccupazione. Secondo le elaborazioni di Watkins 13 gli uomini che attivano un'impresa in settori in cui non hanno avuto precedenti esperienze sono solo il 5% contro il 50% delle donne. La maggiore discontinuità ha due aspetti: quello che riguarda le donne che avviano un'attività imprenditoriale come mezzo per entrare nel mercato del lavoro e che quindi alle spalle non hanno alcuna storia lavorativa, e quello che riguarda 12 MIGALE L., Rivista italiana di ragioneria e di economia aziendale, Le imprese delle donne e la differenza d'impresa, 1992, p FRANCHI M., Donne imprenditrici: le regole del gioco, Franco Angeli, Milano 1992 p

24 le donne che hanno già lavorato, ma in settori differenti da quello in cui avviano l'attività. Però, anche quando c'è discontinuità i settori prediletti dalle donne sono quelli considerati tradizionalmente femminili, ovvero il commercio al dettaglio ed i servizi. Le motivazioni che inducono le donne a intraprendere un percorso imprenditoriale sono dunque molteplici: talvolta la scelta è indotta da cambiamenti nelle condizioni di vita, talvolta risponde ad una spinta soggettiva di sperimentazione e di riconoscimento della propria creatività. Nel caso delle imprenditrici per tradizione ci troviamo di fronte ad uno scenario segnato da una totale continuità: di settore di lavoro, di impresa. Le risorse sono direttamente mutuate dal nucleo familiare: può trattarsi di imprese ereditate dai genitori, connesse all'attività del marito, ma il disegno di impresa si basa principalmente su un progetto di altri, rispetto al quale quindi, il ruolo della donna resta, almeno nella fase iniziale, di supporto o secondario. La risorsa delle relazioni rappresenta invece la principale molla per le imprenditrici più giovani, che per definizione non possono contare su un'esperienza consolidata, ma non riguarda solo loro. Le risorse di relazione esprimono e sintetizzano la capacità di muoversi sul mercato, di sondare le possibilità, di usare le opportunità che si presentano. Si tratta di percorsi per molti versi atipici che sembrano non avere nulla in comune tra loro se non l'estrema varietà di esperienze fatte in precedenza, ma in realtà legate da un filo: la capacità di inventarsi un percorso, di inseguire un progetto, di progettarsi, si potrebbe dire. Spesso per queste donne l'impresa coincide con il primo vero lavoro, sono infatti di frequente giovani, hanno un titolo di studio medio-alto, ma poco spendibile sul mercato del lavoro. Le motivazioni, generalmente segnate dalla ricerca di maggior autonomia e dal desiderio di valorizzare la propria professionalità, si accompagnano spesso con un cambiamento nelle condizioni di vita, un'opportunità offerta da altri, la perdita del posto di lavoro. 24

25 I percorsi delle donne che avviano un'impresa appaiono così segnati da discontinuità, da cambiamenti in misura certo maggiore di quanto non avvenga per i maschi. Come già sottolineato in precedenza, in diversi casi dietro 1'avvio dell'impresa sta la decisione di riprendere il lavoro interrotto: di fronte al vaglio delle opportunità il lavoro autonomo appare una possibilità (in molti casi la sola) di rientrare nel mercato del lavoro. La questione delle barriere all'entrata va quindi vista alla luce di questa considerazione di fondo. E' vero che per 1'avvio di una nuova attività sono necessari investimenti e che vengono lamentate difficoltà di ricorso al credito, ma nell'insieme questi problemi non pare rappresentino un impedimento in senso proprio. Del resto le barriere all'ingresso nell'attività indipendente vengono confrontate con quelle proprie dell'ingresso nel lavoro dipendente, che non sono inesistenti per donne adulte che non abbiano alle spalle una esperienza di lavoro o una specifica professionalità. Per una parte di imprenditrici, le motivazioni si fondano proprio sul confronto tra le difficoltà pure percepite e note di avviare un'impresa e l'impossibilità di trovare un lavoro alle dipendenze. Un altro nodo critico sembra ostacolare, al di là della fase di avvio, il consolidamento della nuova attività: l'assenza di pianificazione. La conduzione delle imprese si basa su strategie di tipo evolutivo, non su criteri di pianificazione stabiliti in funzione di obiettivi: si procede per tentativi, per piccoli passi, aggiustando gli obiettivi e gli strumenti ai risultati via via raggiunti. Alla propria impresa molto spesso queste donne chiedono una retribuzione paragonabile ad uno stipendio o ad un salario, non ad un profitto. Non a caso la valutazione del risultato e del successo è legata in primo luogo al rapporto col prodotto creato e al giudizio degli altri su di esso. Il risultato non ha quindi una misura prettamente economica. In conclusione, si può affermare che le ricerche compiute nel corso degli anni hanno consentito di individuare, assieme all'eterogeneità delle imprese, alcuni tratti comuni, in primo luogo nei percorsi di lavoro che stanno alle spalle 25

26 dell'impresa, ma anche nell'approccio culturale implicito nella valutazione del risultato e nelle strategie di sviluppo. La specificità nei percorsi si riflette nella peculiarità delle risorse su cui le imprenditrici possono far leva: in questo ambito una centralità è rappresentata dalle risorse di relazione, strumento utilizzato per costruire e gestire 1'impresa e obiettivo al tempo stesso. 1.5 LA FORMAZIONE DELLE DONNE Nel 1985, al nascere della Commissione per le pari opportunità nella regione Emilia Romagna, fu promosso il primo Convegno Nazionale sul tema: Dalla parità all'uguaglianza delle opportunità, in cui si trasferiva il tema dell'uguaglianza dal piano dell'essere a quello dell'avere, delle chances, delle possibilità di scelta. Si avvertiva già la consapevolezza della possibilità che anche nelle donne potesse nascere qualche aspirazione professionale diversa. Fu proprio in quel periodo, all'inizio degli anni Ottanta, che cominciò a porsi con crescente insistenza un interrogativo destinato ad informare di sé lo studio successivo dei percorsi formativi rivolti alle donne: imprenditrici si nasce o si diventa? 14 Tale quesito ha accompagnato gli studi in materia di informazione condotti nell'arco dell'ultimo decennio, nel quale si è assistito ad una crescente sensibilizzazione ai problemi e agli aspetti peculiari dell'imprenditoria e del lavoro autonomo femminile. Sta oggettivamente crescendo, sia in Italia che in Europa, il numero delle donne che mostrano interesse verso il mondo imprenditoriale. Tuttavia, le imprese gestite da donne, nei vari settori merceologici, denunciano fragilità croniche, a cui fatalmente se ne aggiungono altre più recenti, che potrebbero aggravarsi con l'avvento del mercato unico europeo. 14 CATALINI P., Eguaglianza di opportunità e lavoro femminile, Jovene Editore, Napoli 1992, p

27 Consapevoli delle difficoltà esistenti, quasi tutte le associazioni di categoria (Api, Cna, Confartigianato, Confesercenti, Federcoop) si sono poste seriamente il problema del superamento delle barriere che ostacolano l'avvio di imprese a gestione femminile con strutture singole e spesso inadeguate. E' una esigenza che richiede risposte nuove ed un coordinamento più efficiente. Non è strano se, a questo punto, ci si pone un interrogativo che offre uno spunto al dialogo fra chi si occupa di formazione e chi deve usufruirne: perché una formazione per donne imprenditrici anziché una formazione per la generale categoria degli imprenditori? I problemi dell'intraprendere non hanno sesso, ma la posizione della donna di fronte a tali problemi è ben diversa da quella dell'uomo. Accennando alle donne che ambiscono al titolo di imprenditrice, sono stati evidenziati anche i problemi che si celano dietro queste categorie; quindi si giustifica di per sé l'esigenza di una formazione per le donne. Obiettivo primario è quindi riuscire a formare donne che siano in possesso di capacità quali autostima, spirito di iniziativa, autonomia, creatività, flessibilità ed umiltà, grande senso di responsabilità, e che posseggano conoscenze specifiche nelle aree gestionali ed organizzative. Si tratta quindi di operare sulla personalità e sulle conoscenze. Si è cercato a tal riguardo di mettere a punto un modello formativo che sta dando risultati soddisfacenti, e precisamente la formazione su progetto. Questo è un modello che si discosta dai modelli tradizionali della formazione. Il primo momento formativo è dedicato all'autopromozione, a rassicurare e far trovare possibilmente il maggior numero di certezze personali per poter procedere, far emergere le difficoltà personali per poter poi avviarne un confronto analitico. Il secondo approccio è con la realtà del mercato. Il marketing è line ai massimi livelli, ma nel momento in cui potrebbe consolidarsi, tirare il fiato o limitarsi, o gestire la rotta o l'operatività dell'azienda, ci si accorgerebbe di dover procedere ad un continuo riesame, per non perdere terreno nei confronti di tutti gli altri: concorrenza, consumatori, istituzioni. 27

28 La formazione professionale può giocare un ruolo fondamentale, costituendo il più serio punto di partenza di strategie, che non consentano il perpetuarsi dell'equivoco in base al quale la fascia più appetibile dei lavori risulta vistosamente riservata agli uomini, perché più adatti o maggiormente qualificati sotto il profilo professionale. Non può infatti sfuggire ad una attenta analisi, che i processi di trasformazione aziendale in atto evidenziano la necessità di nuove professionalità, all'interno delle quali il know-how richiesto si allarga, determinando una sorta di despecializzazione rispetto sia a livelli di professionalità più tradizionali che a quelli mediamente più bassi. Anche nel movimento sindacale paiono acquisiti, almeno a livello teorico, criteri fondamentali inerenti alla questione della formazione e della professionalità della lavoratrice. La professionalità non può essere determinata da parametri culturali astratti e non può consistere nel semplice possesso e uso di abilità e competenze determinate dalla mansione. Si realizza la professionalità nella concreta situazione in cui il lavoratore opera, attraverso il possesso degli strumenti culturali, tecnici, scientifici e di tipo professionale, cui si saldano quelli specificamente professionalizzati. Indubbio è che un ruolo fondamentale nella formazione delle imprenditrici è rappresentato dalla formazione scolastica. L'iter formativo della scuola deve infatti fornire padronanza e controllo dei diversi linguaggi, possesso di strumenti scientifici e operativi per leggere e interpretare la realtà nei suoi vari aspetti, per operare con un minimo di autonomia e capacità critica GLI ASPETTI FINANZIARI Gli aspetti finanziari che concernono le imprese delle donne possono essere sintetizzati in: BONDIOLI A., BUFFARDI A., LORINI M., VIGEVANI F., Organizzazione del lavoro e professionalità femminile, Editrice Sindacale Italiana, 1979 p MIGALE L., Imprenditoria femminile e sviluppo economico, La nuova Italia Scientifica, Roma 1996, p

29 a) scarsità di capitale iniziale; b) scarso ricorso al credito. Questi elementi, che sono presenti in genere in tutte le piccole imprese, nelle imprese familiari, ricorrono con un grado quantitativo più forte. E' unanimemente riconosciuta la maggiore povertà delle donne, così come la diffidenza delle banche a finanziare soggetti donne. E naturalmente ciò è tanto più vero in paesi dove in generale la povertà è maggiore e i sistemi finanziari spesso imperfetti. Diventa quindi evidente perché tali imprese possano nascere solo se immettono innovazione in questa funzione. Cioè diventa interessante scoprire come e dove vengano trovati i fondi necessari per costituire l'impresa e far crescere l'attività economica. Ovvero, se la presenza di un nuovo soggetto economico rappresenta per il sistema produttivo nel suo complesso l'attivazione di risorse finanziarie altrimenti non utilizzate per periodi di tempo medio-lunghi (risparmio non investito) o addirittura non create (autofinanziamento). Occorre inoltre sottolineare che quando si parla di piccole imprese o di microimprese nei paesi in via di sviluppo ci si riferisce ad imprese che hanno fabbisogni di capitali veramente minimi per iniziare, ma che comunque rappresentano una vera barriera d'ingresso in quelle condizioni ambientali. Nel corso degli anni Novanta sono nati, e si sono sviluppati sempre più, istituti ed organismi specializzati nel finanziamento alle donne povere partendo dall'assunto che la maggioranza dei poveri sono economicamente attivi come micro-imprenditori o come produttori agricoli e che la maggioranza dei poveri sono donne; mentre poi le donne non hanno un equo accesso al credito e i politici, così come i banchieri e come anche le comunità locali, sottostimano il loro contributo all'economia. Quindi, in linea strategica, l'accesso al credito è stato considerato come una variabile fondamentale affinché si abbia uno sviluppo umano durevole. Si possono riconoscere quattro tipi di istituzioni finanziarie che operano, con 29

30 differenti metodologie, nel credito alle donne: i Programmi speciali delle banche commerciali, le banche specializzate nel credito ai poveri, le Organizzazioni non governative, le Reti ed altre Istituzioni. Nell'ambito della Conferenza di Pechino delle nazioni Unite è stato costituito un network mondiale per il credito alle donne, la Coalition on Women and Credit, che rappresenta duecento istituzioni specializzate nei microfinanziamenti e nell'offerta di servizi commerciali alle donne imprenditrici e ai produttori a basso reddito. Quindi per un impresa femminile avere soldi resta difficile e costoso. L indagine su Credito e fiducia, evidenzia altri possibili motivi del sospetto per cui le banche guardano con poca fiducia le imprese femminili: la mancanza di credit history delle imprese femminili viene ritenuto come un fattore di rischio. 17 Questa scarsa fiducia fa sì che le imprese maschili beneficino immediatamente di riduzioni nel tasso, mentre quelle femminili no. Uno scetticismo che le imprenditrici percepiscono chiaramente sentendosi considerate poco credibili, poco competenti dal punto di vista aziendale/finanziario, in pratica di non essere prese sul serio. Da dove si origina questa percezione negativa? C è una insoddisfazione palese nei confronti del sistema bancario; le imprenditrici lamentano l eccessiva lunghezza dei tempi necessari per ottenere una risposta; la mancanza di chiarezza, la mancanza di continuità nell interlocutore e quindi la necessità di ricominciare ogni volta il discorso; eccessiva richiesta di garanzie. Problemi questi che si ampliano se l imprenditrice è giovane: le banche pensano che una ragazza di anni, non abbia le conoscenze e le capacità di portare avanti un progetto e non si fidano. Donne che a loro volta si sentono deluse. Le imprenditrici che si rivolgono alla banca per avere un prestito, un fido si attendono risposte schiette e tempestive, si aspettano consigli sulla forma di finanziamento più idonea rispetto alla loro situazione aziendale e personale e non 17 CNA, DI GLERIA CRISTINA, Tra donne imprenditrici e banche non c'è feeling, Bologna 12 giugno

31 giudizi, vogliono fiducia e condivisione e, soprattutto, essere prese sul serio. Questo stato di cose, oltre a penalizzare le imprese femminili, rischia di avere ripercussioni negative sulle performance delle imprese femminili e sulla possibilità di realizzare pienamente il loro potenziale di sviluppo. Come rompere questa spirale negativa? La soluzione ideale sarebbe offrire più fiducia e risorse da parte delle banche ma anche fornire a queste imprese misure di garanzia; rompendo gli stereotipi e migliorando le informazioni sulle forme di finanziamento disponibili e sulle possibilità di accesso al credito. 1.7 LE DIREZIONI DEL MUTAMENTO: CINQUE TIPI DI DONNE Il quadro fenomenologico fino a ora esposto è una rappresentazione media della realtà femminile nel nostro Paese. Si intuisce una realtà in mutamento, dove: la cultura femminile tradizionale viene messa in discussione dalle spinte innovative delle generazioni più giovani; il lavoro diventa uno dei nodi centrali del percorso femminile verso l'autonomia; i conflitti e le contraddizioni emersi suggeriscono una via femminile al denaro e al potere economico; e si pone più che mai in evidenza il problema dell'integrazione dei diversi ruoli che le donne ricoprono e vogliono ricoprire. E' quindi importante andare alla ricerca di questa evoluzione, analizzarla e misurarla, per capirne il senso e per individuare le prospettive che le donne hanno davanti a sé. A questo tema dedico pertanto la parte finale di questo primo capitolo, attraverso l'analisi di cinque profili di donna che la ricerca ha individuato, e che rappresentano cinque diverse facce della realtà femminile italiana. 31

32 La segmentazione tipologica effettuata per questa indagine consente non solo di descrivere in modo sintetico fenomeni complessi, ma anche di individuare i fondamentali nuclei culturali entro cui la popolazione femminile italiana si sta muovendo, e di coglierne le direzioni principali. Sono quindi individuati cinque profili così definiti: Denominazione Peso % Milioni di donne Gruppo 1: Conflittuali 24% 4.6 Gruppo 2: Autonome 19% 3.6 Gruppo 3: Aspirazionali 18% 3.4 Gruppo 4: Giovani paritarie 16% 3.0 Gruppo 5: Familiste 23% 4.4 GRUPPO 1: CONFLITTUALI (24%) 18 Le donne classificate in questo gruppo risiedono in piccoli centri, nelle regioni del Nord. Si tratta di donne mature (dai 45 ai 64 anni) con livelli di istruzione mediobassi. Anche il reddito familiare non è particolarmente elevato. Sono casalinghe o pensionate, con figli grandi (in casa o già indipendenti). Sono donne che appaiono alle prese con il «conflitto» culturale oggi in atto. Da un lato, la cultura tradizionale da cui provengono impone le sue eredità: il regno della donna è la casa, e il denaro è oggetto prettamente maschile. Dall'altro, spicca il basso livello di soddisfazione per il genere di vita condotta in casa : dell'essere donna si colgono soprattutto gli innumerevoli svantaggi, la casalinghità appare più un percorso obbligato che una scelta. Il dovere familiare ha costretto queste donne a più rinunce: lavoro, amicizie, tempo per sé. Emerge una sorta di rassegnazione esistenziale : le conflittuali ritengono di essere troppo mature per cambiare l'andamento della loro vita. Ma tale rassegnazione lascia 18 Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna, Ruolo e prospettive delle donne nell'economia: Atti del Convegno Nazionale, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Roma 1993, p

33 trasparire atteggiamenti di critica per la situazione attuale, e rivela il desiderio di cambiare a favore delle giovani generazioni. La società, in particolare, è il luogo delle attese: iniziative e leggi più efficaci per favorire l'autonomizzazione delle donne. GRUPPO 2: AUTONOME (19%) Sono donne residenti nelle grandi città del Nord e del centro Italia. Appartengono alle fasce di età più centrali (25-54 anni); il livello di istruzione è alto. Quasi tutte lavorano (impiegate, insegnanti, professioniste) e spesso hanno una famiglia propria, con figli. Il reddito familiare anche in relazione alla doppia entrata- è elevato. Si tratta di donne che sperimentano in prima persona il doppio ruolo di moglie/madre e lavoratrice, e si dimostrano capaci di sostenerlo. In questo senso, queste donne costituiscono il nucleo duro dell'autonomia femminile, e rappresentano il cambiamento socioculturale in atto. Sono donne che hanno scelto di realizzare se stesse in un progetto di vita completo. Indubbiamente, l'ambiente culturale nel quale vivono le ha favorite: gli stili di vita metropolitani, le opportunità di studio e di formazione. In ambito economico, le autonome si muovono a loro agio, condividendo con il parter o assumendosi in prima persona le più importanti decisioni riguardanti il nucleo familiare. GRUPPO 3: ASPIRAZIONALI (18%) Donne giovani e medio-giovani (18-44 anni), residenti nei medi centri del Sud. Il livello di istruzione è abbastanza elevato; il reddito familiare buono. Poche le casalinghe: le più giovani studiano o sono in cerca di occupazione, le altre lavorano (impiegate, commesse). Spicca il desiderio di assumere un ruolo più qualificato dal punto di vista economico, rompendo con i paradigmi culturali arretrati della comunità in cui 33

34 vivono. L'affrancamento dai vincoli culturali è ancora in atto ed è difficile: trovare lavoro non è semplice, il controllo sociale è avvertibile... Tuttavia non emergono né rabbia, né disillusione: si coglie, invece, la consapevolezza dei grandi passi già compiuti e l'entusiasmo per le possibilità che si aprono nella strada verso l'autonomia. GRUPPO 4: GIOVANI PARITARIE (16%) Si tratta di ragazze giovani (18-24 anni) che vivono ancora con i genitori. Stanno ancora studiando, o sono in cerca di prima occupazione. Il livello di istruzione è relativamente elevato, e appartengono a famiglie di condizione economica media. Sono donne giovani, proiettate nel futuro: oggi sono dipendenti dalla famiglia di origine, ma si attendono di essere presto più attive e coinvolte in tutte le decisioni. Il modello di sviluppo è quello dell'autonomia femminile e della armoniosa condivisione con il partner: compiti e responsabilità saranno distribuiti equamente all'interno della coppia. Nell'immaginario di queste ragazze il futuro è fatto di una felice integrazione fra l'ambito lavorativo e l'ambito delle relazioni familiari. Il futuro è nelle proprie mani: la società può tuttavia essere di aiuto, stimolando lo spirito di iniziativa individuale. GRUPPO 5: FAMILISTE (23%) Donne adulte/mature (oltre i 45 anni) residenti soprattutto al Sud. Il livello di istruzione e il reddito familiare sono modesti. Si tratta di casalinghe, che hanno dedicato tutta l'esistenza alla famiglia. Per queste donne, atteggiamenti, valori, esperienze, sono focalizzati sulla 34

35 famiglia. Solo la famiglia affermano può dare senso alla vita, solo la famiglia costituisce lo stimolo di crescita per la personalità femminile. Nell'ambito familiare, queste donne hanno conquistato un ampio potere discrezionale: sono loro a gestire il bilancio familiare, ad educare i figli, a prendere quasi tutte le decisioni. Tale potere è però limitato alle mura domestiche: ma l'interesse di queste donne per ciò che sta al di fuori è decisamente limitato. 35

36 CAPITOLO 2: POLITICHE E PROVVEDIMENTI A TUTELA E SVILUPPO DELL'IMPRENDITORIA FEMMINILE 36

37 2.1 INTERVENTI A LIVELLO ITALIANO: L'IMPORTANZA DELLA LEGGE 25 FEBBRAIO 1992, n.215 La presente legge è diretta a promuovere l'uguaglianza sostanziale e le pari opportunità per uomini e donne nell'attività economica e imprenditoriale. Le disposizioni di cui alla presente legge sono, in particolare, dirette a : a) favorire la creazione e lo sviluppo dell'imprenditoria femminile, anche in forma cooperativa; b) promuovere la formazione imprenditoriale e qualificare la professionalità delle donne imprenditrici; c) agevolare l'accesso al credito per le imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile; d) favorire la qualificazione imprenditoriale e la gestione delle imprese familiari da parte delle donne; e) promuovere la presenza delle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile nei comparti più innovativi dei diversi settori produttivi. Con la pubblicazione del regolamento di attuazione sul supplemento n.87/l della Gazzetta Ufficiale n.95 del 24 aprile 1997, si è finalmente concluso il lentissimo, complicato avvio della legge 25 febbraio 1992, n.215, Azioni positive per l'imprenditoria femminile, iniziato nella X Legislatura con la presentazione delle proposte di legge di iniziativa dei deputati. Lo scopo è quello di consentire alle donne una preparazione specifica ed apprestare loro il sostegno finanziario necessario per metterle in condizione di intraprendere l'attività imprenditoriale. Si tratta di porre in essere misure di sostegno a vantaggio delle sole donne, per consentire loro di superare difficoltà iniziali di maggiore debolezza e di inserirsi nei vari settori dell'imprenditoria, anche valorizzando quegli aspetti di novità nei quali la creatività femminile non si è ancora sufficientemente espressa; obiettivo che in ambito comunitario costituisce uno dei punti qualificanti del III Programma a medio termine per la realizzazione della parità uomo-donna. In altri termini si tratta di valorizzare la capacità delle donne di fare, cioè di 37

38 creare e gestire una propria impresa, oltre che di lavorare nell'impresa altrui. È evidente che il lavoro imprenditoriale richiede l'assunzione di forti responsabilità giuridiche, gestionali e finanziarie ma l'atavica mancanza di abitudine alla valorizzazione di sé, connessa alla gratuità dei compiti storicamente assegnati alle donne, non agevolerebbe l'assunzione del rischio individuale. 19 Gli elementi inibitori che giustificano la minore presenza femminile nelle attività autonome ed imprenditoriali vengono però controbilanciati da alcuni vantaggi che il lavoro in proprio potrebbe arrecare alle donne; fra gli altri due sono particolarmente importanti: 1. la possibilità di autorganizzazione degli orari di lavoro; 2. la opportunità di una crescita professionale autoregolata. Il primo, cioè la possibilità di autogestire il tempo di lavoro, permetterebbe di realizzare un'armonizzazione tra attività professionale ed impegni connessi alla riproduzione. Per quanto riguarda il secondo, il lavoro autonomo consentirebbe alle donne in particolar modo a quelle più qualificate professionalmente, di valorizzare la propria immagine professionale più efficacemente che nell'ambito del lavoro subordinato. Nonostante tali vantaggi, la presenza femminile all'interno della componente occupazionale indipendente è apparsa per lungo tempo molto bassa. Il lavoro autonomo infatti è apparso dominato dalla presenza maschile durante gli anni Ottanta e Novanta 20 e ciò appare riconducibile, oltre che al riemergere delle problematiche peculiari della situazione occupazionale femminile, alla persistenza di stereotipi culturali che limitano maggiormente l'ingresso delle donne nelle attività economiche e professionali ad elevato grado di autonomia organizzativa e direzionale, tanto più che l'incombenza del lavoro domestico e di cura della famiglia ha continuato a pesare sulla vita delle donne FANELLI C., Nuova imprenditorialità al femminile, in Osservatorio ISFOL, nn. 4 e 6/1988, p. 16 ss. e 55 ss. 20 BATTISTONI L., Il difficile decollo: l'imprenditoria femminile in Italia, in Osservatorio Isfol, n. 3/1992, p. 118 ss. 21 ALTIERI G., Presenti ed escluse. Le donne nel mercato del lavoro: un universo frammentato, Roma 1993; BETTIO F., Segregazione e discriminazione sul mercato del lavoro: letteratura straniera e italiana a confronto, 1991; DE CRISTOFARO M.L., Lavoro femminile e pari opportunità, Bari, 1989 p. 37 ss. 38

39 Sulle motivazioni che hanno inciso sul lento progredire del lavoro autonomo femminile hanno inciso inoltre le maggiori tutele che la legge garantisce alla lavoratrice subordinata: la stabilità dell'impiego, le più incisive misure di protezione della maternità, le norme pensionistiche più vantaggiose. L'ostacolo di maggior spessore ha bloccato lo sviluppo dell'imprenditorialità femminile è stata la difficoltà di accesso al credito bancario. A tal fine, fra le iniziative che il Programma di Azione, adottato a Pechino dalla IV Conferenza Mondiale sulle donne il 15 settembre 1995, intendeva, nel settore economico, far adottare dai Governi dei diversi Paesi, è indicata quella di promuovere e sostenere il lavoro indipendente delle donne e lo sviluppo di piccole imprese e, rafforzare l'accesso e lo sviluppo delle donne al credito ed al capitale in termini adeguati, che siano uguali a quelli degli uomini, attraverso il potenziamento delle istituzioni preposte alla promozione dell'imprenditorialità delle donne. Possono accedere ai benefici della legge: a) società di persone e cooperative costituite per almeno il 60% da donne; società di capitali, le cui quote di partecipazione spettino per almeno i due terzi a donne e la cui amministrazione sia affidata a queste per almeno i due terzi a imprese individuali gestite da donne; b) imprese, consorzi, enti, società di promozione imprenditoriale, centri di formazione degli ordini professionali che promuovono corsi di formazione o servizi di consulenza e di assistenza tecnica e manageriale, riservati per il 70% a donne. Non sono previste limitazioni riguardo all'età e al territorio di applicazione. Sono ammesse iniziative nuove e l'acquisto di attività preesistenti nei settori del commercio, del turismo, della produzione di beni in agricoltura, artigianato e industria, della fornitura di servizi. Dall'elencazione dei soggetti ammessi, appare chiaro che l'impresa è considerata femminile quando le donne ne detengano il potere di gestione o il controllo. Il criterio cui è collegata la qualificazione normativa non è, tuttavia, unico per tutte le categorie. Per le società di capitali, sono, infatti, adoperati due 39

40 diversi requisiti i quali devono concorrere entrambi: uno di tipo finanziario (le donne devono possedere non meno dei 2/3 delle quote di partecipazione al capitale sociale), uno di tipo numerico, riferito alla composizione degli organi di amministrazione (almeno i 2/3 devono essere donne). Per le società cooperative e per le società di persone, la disposizione richiede soltanto che siano costituite per il 60% da donne, prescindendo sia dalla titolarità delle quote rappresentative del capitale sociale, sia dalla formazione del consiglio di amministrazione. Per le imprese individuali, quello che rileva è, invece, la condizione femminile del titolare della stessa. 22 Ulteriori requisiti soggettivi sono previsti dall'art. 2, del regolamento di attuazione. La disposizione stabilisce, infatti, che i soggetti di cui alla lettera a) dalla Legge 215/92 possono accedere agli interventi previsti dalla legge stessa solo se rientrano nella definizione comunitaria di piccole imprese. Il legislatore ha così inteso rafforzato l'adeguamento alle disposizioni comunitarie sui limiti delle P.M.I. assumendo il limite dimensionale quale condizione per l'accesso agli incentivi finanziari per le imprese femminili. Occorre tuttavia avvertire che, negli attuali assetti normativi, differenti sono i parametri utilizzati per la misurazione della grandezza dell'impresa: capitale investito, numero dei dipendenti, volume d'affari, ecc. Spesso, peraltro, gli indici sono ulteriormente diversificati in ragione della natura dell'attività svolta: artigianale, industriale, commerciale, prestazione di servizi, ecc. 23 La lettera b), art. 2, legge 215/92, ammette a fruire dei contributi previsti dalla stessa legge stessa, altre categorie di soggetti individuati attraverso il criterio dell'erogazione dei propri servizi a donne. Più precisamente, la norma fa riferimento a imprese o loro consorzi, associazioni, enti e società di promozione imprenditoriale, anche a capitale misto pubblico e privato, centri di formazione e ordini professionali che promuovono corsi di formazione imprenditoriale o servizi 22 Art. 3 della Legge della regione Abruzzo 22 dicembre 1995, n. 143 in tema di interventi per la promozione di nuove imprese e di innovazione per l'imprenditoria femminile 23 DE CRISTOFARO M.L., Commentario della Legge 25 febbraio 1992 n.215, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1998, p

41 di consulenza e di assistenza tecnica e manageriale riservati per una quota non inferiore al 70% a donne. Dal disposto discende l'irrilevanza della partecipazione femminile alla compagine del soggetto così come le sue dimensioni e natura giuridica. Essenziale, ai fini del trattamento agevolato è anche la natura dei servizi offerti, riconducibili alle due categorie della formazione imprenditoriale e della consulenza e assistenza. Beneficiari dei contributi possono essere, quindi, quei soggetti che possono prestare o prestino dette tipologie di servizi qualunque veste giuridica assumano: imprese individuali, società (di persone, di capitali, cooperative), o consorzi, associazioni, sia riconosciute che prive di personalità giuridica, enti o altri soggetti (ordini professionali, centri di formazione), sia pubblici che privati o a capitale misto (come ad esempio la società per l'imprenditoria giovanile). Restano invece esclusi gli esercenti arti o professioni, ancorché eroghino, in forma individuale o associata, servizi consulenziali a donne. 2.2 LE AZIONI POSITIVE PER INCENTIVARE L'IMPRENDITORIA FEMMINILE Proprio per cercare di superare gli sbarramenti socio-economici indicati, in Italia, seguendo l'esempio della legge 28 febbraio 1986, n.44, che si propone la promozione e lo sviluppo dell'imprenditorialità giovanile, sulla scia di altri interventi legislativi che, pur se non in maniera specifica, promuovono il ruolo delle donne quali titolari di imprese artigiane e di imprese minori, cioè la legge quadro per l'artigianato 8 agosto 1985, n.443, e la legge 5 ottobre 1991, n.317, sugli interventi per l'innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese, il legislatore emana nel 1992, negli ultimi giorni della X legislatura, la legge n.215 con le finalità di promuovere l'uguaglianza sostanziale e le pari opportunità per gli uomini e le donne nelle attività autonome ed imprenditoriali. L'art. 1 contiene un'elencazione non tassativa delle finalità la cui realizzazione 41

42 viene demandata soprattutto alla predisposizione di apposite azioni positive. Le finalità contenute nel 2 comma possono invece considerarsi la scomposizione dell'obiettivo generale perseguito ed indicano contemporaneamente alcuni degli ostacoli e dei comportamenti che più limitano le donne in questo campo. Il legislatore con questo provvedimento si propone espressamente di favorire la creazione e lo sviluppo di imprese al femminile, promuovere la formazione imprenditoriale delle donne e agevolarne l'accesso al credito, nonché favorire la loro qualificazione imprenditoriale e la gestione delle imprese familiari, promuovere la presenza di imprese a prevalente partecipazione femminile nei comparti più innovativi. Il tentativo della legge sull'imprenditoria femminile è quello di superare la logica puramente promozionale limitata a garantire l'assistenza nella fase costitutiva e la concessione di un primo finanziamento alle imprese, che non risolve né i problemi relativi alla conduzione delle stesse dopo la loro nascita, né il problema occupazionale, per pervenire alla fornitura di una serie di servizi che condizionano la sopravvivenza e lo sviluppo delle imprese, soprattutto di quelle di piccola e media dimensione, che non possiedono soggetti dotati delle adeguate professionalità e hanno maggiori difficoltà nell'accesso alle informazioni. Di qui la necessità di azioni specifiche che offrano maggiori opportunità alle donne e colmino il divario esistente tra i due sessi soprattutto nel lavoro autonomo. Anche se le donne risultano maggiormente scolarizzate e possiedono un tipo di istruzione differente rispetto al passato, meno legato a percorsi educativi tradizionalmente femminili ed una qualificazione professionale in molti casi anche manageriale, tuttavia permangono disparità di fatto che ancora oggi non consentono ad esse di avere le medesime opportunità degli uomini. Invero, come si afferma nel Libro Bianco sulla politica sociale europea, il contributo che le donne possono recare ai fini di rivitalizzare l'economia è uno dei motivi per cui la tematica della parità dovrebbe essere considerata un elemento 42

43 chiave di cui tener conto in tutte le principali politiche. 24 Perciò le azioni positive a favore delle donne che intendono intraprendere la libera professione o avviare e migliorare un'attività imprenditoriale, privilegiano la promozione della loro crescita culturale e della loro preparazione manageriale. È innegabile inoltre che lo sviluppo dell'imprenditoria da parte delle donne potrebbe, sia pure parzialmente, supplire alla carenza di lavoro tanto nell'impiego pubblico che in quello privato, soprattutto per le donne non più giovani che si trovano in quella fascia di età in cui vengono superati i problemi collegati alla difficoltà di armonizzare gli impegni della vita professionale con le responsabilità familiari e che potrebbero trovare un'adeguata collocazione proprio nell'ambito della imprenditorialità. 25 Le politiche per il sostegno e la promozione di nuova imprenditoria femminile, nell'ottica della legge n. 215/1992, configurano un tentativo ambizioso di far emergere gli aspetti più innovativi delle capacità imprenditoriali delle donne, incentivando quelle iniziative che riguardano settori produttivi non tradizionali e che possono avere un impatto sull'innovazione complessiva del tessuto delle imprese. Tra gli ambiti di intervento previsti dalla legge n. 215/1992, rientra anche lo sviluppo della presenza femminile attiva e qualificata nella impresa familiare dove è auspicabile lo svolgimento da parte della donna di un ruolo attivo nella gestione e organizzazione di tale tipo di impresa. Altro obiettivo di primaria importanza è quello della formazione e qualificazione professionale delle imprenditrici. 26 Ora tale impegno prioritario per incentivare nuova imprenditorialità femminile è stato giustamente sancito dalla legge n. 215/1992, che costituisce il completamento della politica di azioni positive, già previste per il lavoro 24 Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, La politica sociale europea, Uno strumento di progresso per l'unione Europea sociale, DGV, Libro Bianco 27 Luglio 1994, p DE CRISTOFARO M.L., Interventi normativi per armonizzare responsabilità familiari e obblighi professionali delle lavoratrici, in Rivista degli infortuni e delle malattie professionali,1996, p.203 ss. 26 Cfr. BATTISTONI L. e CATTANI C., Pari Opportunità e formazione professionale: creazione e gestione d'impresa da parte di donne, in Osservatorio ISFOL, n. 2/1988 p. 58 ss. 43

44 subordinato e ammesse al finanziamento pubblico ai sensi della legge 125/1991. Da un lato, la politica delle azioni positive può essere considerata come un mezzo di difesa della donna tendenzialmente più debole dell'uomo nel mercato del lavoro 27, cioè di rimozione degli ostacoli socio-economici che la penalizzano; dall'altro lato essa può essere utilizzata come strumento di riabilitazione ambientale, cioè di miglioramento delle condizioni di vita, a partire dall'ampliamento dei livelli di partecipazione delle donne ai processi produttivi e decisionali, valorizzandole come soggetti di cambiamento dell'organizzazione economica e del contesto culturale. La dizione azioni positive ricomprende, quindi, tutte le misure atte a rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la piena realizzazione delle pari opportunità tra lavoratori e lavoratrici; esse, pertanto, sono azioni di promozione e valorizzazione delle capacità professionali femminili, sinora non adeguatamente riconosciute e valorizzate AGEVOLAZIONI, INCENTIVAZIONI E FORME DI FINANZIAMENTO L'art. 4 della Legge 25 febbraio 1992, n.215 prevede incentivazioni per la promozione di nuove imprenditorialità femminili e per l'acquisizione di servizi reali e definisce le condizioni di natura soggettiva ed oggettiva cui è subordinata l'erogazione dei contributi a valere sulle disponibilità del Fondo nazionale per lo sviluppo della imprenditoria femminile di cui all'art. 3 della stessa legge. Sotto il profilo soggettivo, per la concessione degli incentivi, vengono individuate due categorie di destinatari, corrispondenti ai soggetti beneficiari già indicati in precedenza e di cui all'art. 2 della citata legge. Gli indicati soggetti hanno accesso alle seguenti tipologie di incentivi: 1) contributi in conto capitale a fondo perduto fino al 50 per cento delle 27 CEE, Libro Verde. La politica sociale europea: opzioni per l'unione, Bruxelles 1993, p Cfr. DE CRISTOFARO M.L., Le azioni positive a due anni dall'approvazione della legge n. 125/91, in Rivista giuridica del lavoro, I, 1993, p. 365 ss. 44

45 spese relative ad investimenti in impianti ed attrezzature sostenute successivamente al 22 marzo 1992: a) per l'avvio o per l'acquisto di attività commerciali e turistiche o appartenenti al settore dell'industria, dell'artigianato, dell'agricoltura, del commercio o dei servizi; b) per progetti aziendali connessi all'introduzione di qualificazione e di innovazione di prodotto, tecnologia od organizzativa. 2) contributi fino al 30 per cento delle spese sostenute per l'acquisizione di servizi c.d. reali destinati all'aumento della produttività, all'innovazione organizzativa, al trasferimento delle tecnologie, alla ricerca di nuovi prodotti e di nuovi mercati per il collocamento dei prodotti, all'acquisizione di nuove tecniche di produzione, nonché per lo sviluppo di sistemi di qualità. I servizi si intendono acquisiti ove: a) sia stato stipulato apposito contratto di fornitura; b) il relativo costo sia stato interamente fatturato all'impresa acquirente; c) l'impresa richiedente abbia effettuato pagamenti pari ad almeno il 60 per cento del costo agevolabile oggetto della fatturazione. I soggetti che beneficiano dei fondi per l imprenditoria femminile non possono: ottenere o richiedere altre agevolazioni nazionali, regionali, comunitarie; cedere o vendere i beni oggetto dell agevolazione per i cinque anni successivi alla data di concessione della facilitazione, senza che ne sia data immediata comunicazione all'amministrazione competente; perdere i requisiti relativi alla presenza femminile in base ai quali si è ottenuta l agevolazione per i cinque anni dalla data di concessione. E inoltre obbligatorio comunicare velocemente ogni cambiamento che comporti il venir meno dei requisiti previsti. La richiesta dei fondi per l imprenditoria femminile deve essere in linea con le tracce previste dai modelli appositamente predisposti e devono essere in regola con 45

46 la marca da bollo. Per partecipare al bando per i fondi per l imprenditoria femminile è necessario presentare: un modulo di richiesta delle agevolazioni, da redigere come dichiarazione sostitutiva di atto notarile, che includa anche i dati principali dell impresa e sul programma di investimenti; una scheda tecnica che include la descrizione minuziosa dell iniziativa proposta e le indicazioni economico-finanziarie. Tutte le richieste per i fondi per l imprenditoria femminile vengono sottoposte ad un'istruttoria e, se ritenute ammissibili, vengono inserite in differenti graduatorie regionali suddivise nei macrosettori di intervento (agricoltura, manifatturiero e assimilati, commercio, turismo e servizi). Le graduatorie della richiesta dei fondi per l imprenditoria femminile appaiono ordinate in senso decrescente in base ad un punteggio che deriva dai criteri di priorità uniformi sull intero territorio nazionale. E' importante sottolineare anche che le associazioni di categoria come CNA tramite il Comitato Impresa Donna, Confersercenti con il Coordinamento Nazionale dell'imprenditoria femminile, Api, Confindustria,ecc. hanno svolto per ciascuna regione di competenza una vera azione attiva per incentivare l'imprenditoria femminile. Le finalità di tali comitati sono: promuovere lo sviluppo dell imprenditoria femminile sostenendone l affermazione negli ambiti sociali e istituzionali ed agendo direttamente per l adeguamento delle politiche economiche e sociali alle necessità delle imprenditrici del settore terziario; operare per il conseguimento delle pari opportunità, per le donne imprenditrici, per le donne che intendono avviare un impresa e/o inserirsi nel mondo del lavoro autonomo; sostenere con proposte operative lo sviluppo di una autonoma soggettività 46

47 femminile nel mondo del lavoro, nella società e nelle istituzioni; assicurare l effettiva partecipazione delle donne alle scelte ed all azione sindacale; promuovere attività di informazione/formazione progettate per rispondere ai fabbisogni specifici delle imprenditrici e delle aspiranti imprenditrici; promuovere lo scambio di esperienze fra imprenditrici sia a livello nazionale che europeo; operare nell ottica della promozione della cultura di impresa. Per quanto riguarda le forme di finanziamento, importante è nominare il Progetto per l'accesso delle imprenditrici alle fonti di finanziamento elaborato dal Comitato Impresa donna e siglato il 7 dicembre Il Progetto prevede i seguenti servizi: - Informazione alle donne sugli strumenti finanziari, agevolativi e non, a disposizione delle imprese femminili; - Assistenza tecnico-finanziaria volta all'individuazione corretta dei fabbisogni finanziari di un'impresa, all'identificazione dei più idonei mezzi di copertura, alla valutazione del merito di credito dell'azienda ed al reperimento delle risorse finanziarie necessarie; - Utilizzazione di adeguate garanzie costituite da garanzie dei Confidi e da garanzie a valere su fondi pubblici, tenendo conto del potenziamento che queste ultime potranno ottenere sia attraverso la riforma del Fondo L. 662/96, sia attraverso 1'attivazione di una specifica garanzia del Fondo Europeo per gli Investimenti; - Promozione di una stretta collaborazione con le banche mirata a creare disponibilità di risorse finanziarie per le imprese femminili alle migliori condizioni. Nell'ambito dei suddetti servizi ciascun soggetto coinvolto è investito di uno 47

48 specifico ruolo in base ad un accordo con il quale Camere di Commercio, Associazioni di categoria, Banche e Confidi definiscono formalmente le rispettive attività. Il Comitato e le Associazioni informeranno 1'imprenditrice sul ventaglio delle opportunità che ci sono, indicando quali soggetti localmente hanno aderito al suddetto accordo, e segnalando la struttura dei soggetti aderenti all'accordo preposta allo svolgimento dei servizi di assistenza nei confronti dell'impresa interessata ad ottenere un finanziamento, in modo da assicurare la più ampia diffusione sul territorio. I soggetti aderenti all'accordo si impegnano a svolgere attività di supporto tecnico alle imprese, anche in collaborazione con i soggetti gestori dei fondi pubblici di garanzia, volte all'individuazione dei più idonei mezzi di copertura dei fabbisogni finanziari. Individuata la forma più idonea di copertura del fabbisogno finanziario, banche e Confidi procederanno all'esame delle iniziative ed alla eventuale richiesta di ammissione in via preventiva alla garanzia pubblica rispetto alla concessione del finanziamento. In tale contesto, la banca potrà mettere a disposizione delle imprese femminili linee di credito a condizioni di particolare favore, e a limitare la richiesta di garanzie diverse da quelle consortili, pubbliche e personali, anche in considerazione della possibilità di ottenere una copertura di garanzia così ripartita: a) una copertura a valere sul Fondo L. 662/96 ovvero a valere sul Fondo Artigiancassa di cui al D.M. 335/99; b) una copertura complementare alla garanzia di cui al punto precedente, concessa dal Confidi al quale l'impresa sia associata. Ai fini di assicurare la necessaria tempestività ed efficacia dei servizi prestati alle imprese, la concessione dei finanziamenti avverrà entro i tempi massimi di istruttoria previsti dall'accordo. Analoghe considerazioni si applicano alle garanzie concesse dal Confidi, che potrà stabilire condizioni di particolare favore alle imprese femminili, 48

49 impegnandosi a deliberare i propri interventi nei tempi stabiliti dall'accordo. 2.4 I COMITATI PER LA PROMOZIONE DELL'IMPRENDITORIA FEMMINILE La rete dei Comitati per l imprenditoria femminile del sistema camerale per la promozione dell imprenditoria femminile rappresenta una unicità. L atto di nascita della rete dei Comitati che da anni opera oramai in tutto il territorio nazionale è il primo protocollo d Intesa per il sostegno e la promozione dell imprenditoria femminile siglato il 20 maggio 1999 dall Unioncamere 29 e il Ministro delle Attività Produttive che prevedeva la possibilità di costituire un Comitato presso ogni Camera di Commercio. Il protocollo è stato rinnovato il 28 febbraio La composizione e la mission I 98 Comitati sono composti da circa imprenditrici brave, intelligenti, animate da impegno e passione, designate dalle associazioni d impresa e da altre organizzazioni impegnate nella promozione delle pari opportunità. I Comitati sono istituiti presso tutte le Camere di Commercio d Italia, enti autonomi di diritto pubblico che svolgono, nell ambito della circoscrizione territoriale di competenza, funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese. Uno dei punti di forza dei Comitati è dunque proprio quello di essere inseriti all interno del sistema camerale, e quindi di appartenere ad una rete che facilita lo scambio di esperienze e di best practices e la individuazione di progetti e azioni comuni. La rete dei Comitati è infatti una struttura orizzontale, non gerarchica né burocratica, dove la linfa vitale è l informazione, la conoscenza e la circolazione 29 Informazioni rilevate da 49

50 delle idee. Una rete nelle reti, in dialogo e collaborazione incessante con le associazioni d impresa, con le istituzioni locali, con le istituzioni della scuola, della formazione, con il mondo associativo. In questo contesto, i Comitati lavorano per promuovere e valorizzare la presenza delle donne nei luoghi decisionali dello sviluppo economico e la diffusione della cultura imprenditoriale delle donne, con l obiettivo di eliminare le disparità e creare le condizioni per riuscire a raggiungere un'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro e nella vita. Ogni Comitato svolge, sulla base di programmi che definisce d intesa con la Camera, le attività indicate nel Protocollo con lo scopo di sostenere, qualificare e promuovere le imprese femminili. Questi i compiti dei Comitati: a) proporre suggerimenti nell ambito della programmazione delle attività camerali, che riguardino lo sviluppo e la qualificazione della presenza delle donne nel mondo dell imprenditoria; b) partecipare alle attività delle Camere proponendo tematiche di genere in relazione allo sviluppo dell imprenditoria locale; c) promuovere indagini conoscitive sulla realtà imprenditoriale locale, anche con studi di settore, per individuare le opportunità di accesso e di promozione delle donne nel mondo del lavoro e dell imprenditoria in particolare; d) promuovere iniziative per lo sviluppo dell imprenditoria femminile, anche tramite specifiche attività di informazione, formazione imprenditoriale e professionale e servizi di assistenza manageriale mirata; e) attivare iniziative volte a facilitare l accesso al credito anche promuovendo la stipula delle convenzioni previste nell ambito del Progetto per l accesso delle imprenditrici alle fonti di finanziamento ; f) curare la divulgazione nel territorio delle iniziative e delle attività di ricerca e studio sullo sviluppo locale promosse dalle Camere di Commercio; g) proporre iniziative per attivare un sistema di collaborazioni sinergiche con gli enti pubblici e privati che sul territorio svolgono attività di promozione e sostegno 50

51 all imprenditoria femminile in generale. Nell ambito della mission della Camera di Commercio, il Comitato si propone dunque quale soggetto attivo dello sviluppo locale con l obiettivo prioritario di promuovere e sostenere la nascita ed il consolidamento delle imprese femminili. Uno degli obiettivi delle iniziative del sistema camerale è quello di conoscere per programmare al fine di costruire la mappa delle presenze delle imprese al femminile e ad approfondire le loro peculiari caratteristiche. L apporto della conoscenza e del monitoraggio consente di disporre di una bussola per orientare e mirare gli interventi dei pubblici poteri. Per questo è stato costituito l Osservatorio dell imprenditoria femminile dell Unioncamere che, a partire dal dicembre 2003, aggiorna ogni sei mesi i dati statistici quantitativi relativi alle imprese femminili e non femminili consentendo una lettura di genere della realtà produttiva del nostro paese. Per agevolare il lavoro in rete dei Comitati è stato realizzato il portale che ha reso visibili i Comitati e l impegno del sistema camerale e ha contribuito a valorizzare un giacimento enorme di esperienze, di progetti realizzati nei diversi territori; ha evidenziato l esistenza di talenti e di preziosità femminili come risorsa positiva per lo sviluppo complessivo del Paese e anche per la rete camerale. L impegno dei Comitati, infine, sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro che, per le donne, è un nodo cruciale, ha portato alla sigla di un protocollo d intesa tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e l Unioncamere nel 2005, per la promozione della legge dell 8 marzo 2000 n. 53 ( Disposizioni per il sostegno della maternità e paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città ). I Comitati: azioni, progetti e servizi Le moltissime iniziative dei Comitati hanno riguardato prevalentemente: - il sistema del credito e gli interventi per migliorare il rapporto banche impresa; - la formazione e la crescita di una cultura d impresa sperimentando anche 51

52 innovative azioni come quella del mentoring; - l attivazione, d intesa con altri enti e associazioni, di sportelli informativi per le donne che intendano avviare un impresa; - manifestazioni che hanno messo in mostra le imprese delle donne e le donne nelle imprese; - informazione e promozione della legge 53 sui temi della conciliazione tempi di vita e di lavoro; - collaborazioni e scambi di esperienze con altre realtà europee ed extraeuropee. Dopo nove anni di attività dei Comitati si può convenire che l esperienza è stata positiva per il sistema camerale che ha potuto allargare il suo impegno per lo sviluppo con uno sguardo di genere, per i Comitati stessi, le componenti e le associazioni di categoria e, più complessivamente, per le diverse realtà territoriali e nazionali che hanno potuto avvalersi di un contributo prezioso e appassionato. 2.5 LA POLITICA COMUNITARIA: IL CONTRIBUTO DEL FONDO SOCIALE EUROPEO Con l'entrata in vigore dell'atto Unico Europeo, il primo luglio 1987, si è messo in moto un processo innovatore per assicurare i necessari cambiamenti atti a favorire la realizzazione di uno spazio economico comune. 30 Nel preconizzare il grande Mercato senza frontiere per il primo gennaio 1993, l'atto Unico ha posto in particolare l'accento sull'imperativo del rafforzamento della coesione economica e sociale della Comunità, teso ad uno sviluppo armonioso della Comunità stessa. Questa coesione, necessaria per compensare gli eventuali effetti negativi che potrebbero manifestarsi in relazione all'attuazione, di qui alla fine del 1992, del Mercato Unico, implica necessariamente la riduzione delle disparità, degli equilibri tra le regioni sviluppate e quelle in ritardo di sviluppo e una migliore convergenza ed integrazione delle economie degli Stati Membri, per l'auspicato armonioso sviluppo dell'intero territorio comunitario. 30 Articolo 130 A del Trattato CEE, Atto Unico Europeo, Disposizioni recanti modifica dei Trattati istitutivi delle Comunità Europee, Titolo V: La coesione economica e sociale. 52

53 Il perseguimento di questo obiettivo, ovvero il rafforzamento della integrazione economica e sociale, è stato affidato ai fondi strutturali ed a questo fine l'atto Unico ha previsto la loro riforma per accrescerne l'efficacia e coordinare gli interventi tra loro e con gli altri strumenti finanziari esistenti. Tuttavia, la riforma dei Fondi Comunitari a finalità strutturale s'iscrive anche nella continuità degli sforzi intrapresi negli ultimi anni dalla Comunità per rendere l'azione strutturale più efficace, per meglio gestire, in un contesto di bilancio particolarmente limitato, la massa di interventi richiesti. Il dispositivo comunitario degli interventi che hanno finalità strutturale, infatti, sebbene migliorato negli ultimi anni, presentava alcune insufficienze; da qui l'esigenza del cambiamento. La riforma dei fondi strutturali ha segnato quindi una considerevole svolta nelle politiche comuni europee, in particolare nelle cosiddette politiche d'accompagnamento. L'idea guida, alla base della riforma di tali Fondi, è stata quella di farne degli strumenti di sviluppo economico, i cui interventi contribuiscano a favorire il processo di convergenza delle economie e un reale impatto economico. La riforma instaura alcuni grandi principi innovatori e persegue una strategia basata su cinque obiettivi prioritari, ovvero su grandi assi d'intervento. Basandosi su tali principi, la nuova azione strutturale e strategica, tesa a perseguire tali obiettivi prioritari, ovvero a favorire le regioni e le categorie di persone meno favorite dalla comunità, richiede ai Fondi di intervenire: per lo sviluppo e l'adeguamento strutturale di alcune regioni in ritardo di sviluppo (obiettivo 1), per la riconversione delle regioni in declino industriale (obiettivo 2), per lo sviluppo di alcune zone rurali (obiettivo 5b), nonché per contribuire alla lotta contro la disoccupazione di lunga durata (obiettivo 3) e favorire l'inserimento professionale dei giovani nel mercato del lavoro (obiettivo 4). 31 Il Fondo Sociale Europeo (Fse) è uno dei tre Fondi comunitari a finalità strutturale che, con il Fondo Regionale di Sviluppo (Fesr) ed il Fondo Europeo di 31 FRANCHI M., Donne imprenditrici. Le regole del gioco, Milano 1992, p

54 Orientamento e Garanzia (Feoga-Sezione Orientamento), nonché gli altri strumenti esistenti, costituisce un importante mezzo di intervento comunitario per il perseguimento della auspicata coesione economica e sociale prevista dal Trattato. Per il Fondo sociale europeo, in particolare, si tratta oggi della quarta riforma attuata dalla sua creazione e già prevista dal Trattato di Roma per migliorare le possibilità di occupazione dei lavoratori all'interno del Mercato Comune e contribuire così al miglioramento del loro tenore di vita. La sua azione viene quindi ad integrarsi nel contesto del nuovo approccio globale allo sviluppo. Il nuovo iter di preparazione, adozione, sorveglianza e valutazione delle azioni suscettibili di beneficiare del contributo comunitario, teso a garantire l'efficacia degli interventi e basato sulla programmazione pluriennale delle politiche di sviluppo, d'occupazione o riconversione degli Stati Membri, ne fa un importante strumento per la promozione, nell'ambito della Comunità, di coerenti politiche per l'occupazione. Nella stessa logica, si inserisce l'azione di sostegno del Fse in favore delle donne in generale, nonché delle potenziali imprenditrici in particolare. Il suo intervento in loro favore non è un fatto nuovo; ha piuttosto rappresentato una costante nelle scelte politiche della Commissione e nel corso degli anni successivi alla sua creazione, esso ha già avuto un ruolo importante nell'ambito della politica di uguaglianza delle opportunità per la promozione professionale e sociale delle donne, tracciata dalla Commissione alla fine degli anni Settanta. Nonostante una certa nuova apertura nei confronti delle donne, però, gli ostacoli e le difficoltà per l'accesso alla formazione e all'inserimento professionale sussistono ed implicano un proseguimento dell'azione. Ciò spiega la preferenza accordata, negli orientamenti di gestione del Fse 32, alle azioni destinate specificamente alle donne in quanto categoria esposta a particolari difficoltà sul mercato del lavoro. Questa è la ragione della creazione, tra gli assi di intervento del Fse definiti nei quadri comunitari di sostegno per questi obiettivi, di un asse specifico per misure di 32 Cfr. art. 10 del regolamento n. 2052/88. Trattasi di orientamenti di insieme destinati alla definizione delle scelte e dei criteri comunitari. 54

55 formazione destinate alle donne, in vista del loro inserimento nel mondo del lavoro, nell'ambito di professioni nelle quali sono scarsamente presenti. In questo contesto, la formazione in materia di gestione di piccole-medie imprese e cooperative è particolarmente incoraggiata. Le donne disoccupate da lungo tempo, cui sono assimilate le donne desiderose di reinserirsi nel mercato del lavoro dopo una lunga interruzione dell'attività, nonché le giovani alla ricerca di un primo impiego, possono peraltro beneficiare delle diverse misure previste dagli assi di intervento. Tra le iniziative riconosciute come prioritarie figurano le azioni di job creation e di self-employment. La Commissione, consapevole dei numerosi ostacoli e difficoltà che incontrano le donne creatrici o aspiranti creatrici di impresa pregiudizi, mancanza di risorse finanziarie, insufficienti capacità di avviare e gestire la propria azienda problemi costantemente segnalati da rapporti, evocati da esperienze dirette di imprenditrici e da incontri su questa tematica, riconoscendo il carattere prioritario di queste iniziative, ha voluto sottolineare tutta l'importanza che attribuisce alle azioni suscettibili di contribuire alla ricerca di soluzioni, nonché all'inserimento delle donne in migliori condizioni. Crescente appare il peso delle risorse umane nel successo delle imprese, quale fattore strategico, unitamente al management, al saper gestire. Crescente appare l'esigenza di corrispondere alla necessità di progetti formativi per salvare imprese e professionalità interessanti, ai bisogni di formazione, ai vari livelli, per creare un'effettiva cultura d'impresa. In questa prospettiva, la Commissione è andata oltre e, utilizzando la possibilità offerta dal nuovo dispositivo comunitario della riforma dei Fondi strutturali, ha lanciato alcune iniziative comunitarie per il settore risorse umane. Fondandosi sull'art. 11 del Regolamento (Cee) n. 4253/88 del Consiglio, infatti, la Commissione può farsi promotrice di nuovi interventi d'interesse particolare per la Comunità, destinati a completare le azioni definite in accordo con gli Stati Membri e già incluse nei Quadri Comunitari di Sostegno (Qcs), e adattare i 55

56 piani di finanziamento dei Qcs già approvati. Questa apertura ha consentito alla Commissione di precisare i propri intendimenti in materia di sviluppo della politica a favore dell'occupazione a livello comunitario. Le iniziative comunitarie rappresentano oggi, unitamente agli orientamenti per la gestione del Fondo Sociale Europeo, che tracciano le linee direttrici per gli Stati Membri e alla fase dei negoziati per l'elaborazione dei Quadri Comunitari di Sostegno, il nuovo terzo mezzo di cui può disporre la Commissione per influenzare gli interventi strutturali degli Stati Membri in materia di occupazione. Loro caratteristica essenziale e prioritaria è la dimensione comunitaria e il carattere transnazionale delle azioni da realizzare. La Commissione ha posto in tal modo le prime basi di una vera politica comunitaria, in quanto essa promuove queste iniziative in quelle aree e settori che ritiene essenziali e prioritari per la realizzazione del Mercato Unico Europeo. 2.6 ALTRE INIZIATIVE COMUNITARIE A SOSTEGNO DELLE IMPRENDITRICI L'esigenza di assicurare pari opportunità alle donne è ugualmente avvertita in altri Paesi europei e non, che lavorano congiuntamente, al di fuori o ad integrazione degli interventi comunitari (NOW e ILO), sotto svariate forme, per lo sviluppo dell'imprenditoria femminile. Numerose sono le associazioni che si propongono d'agevolare il percorso delle donne verso l'auto imprenditorialità sia attraverso sportelli, incubatori, corsi di formazione, sia ricorrendo a forme di partneriato per facilitarne l'accesso al credito. 33 Di seguito andrò ad analizzare alcune iniziative intraprese per incentivare le donne a creare nuove imprese, iniziando dai Programmi comunitari. 33 DE CRISTOFARO M.L., Commentario della Legge 25 febbraio 1992, n. 215, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 1998, p

57 IL PROGRAMMA NOW Rilevante importanza assume l'iniziatica Comunitaria Now, la cui creazione è stata decisa dalla Commissione nel luglio del Approvata nel dicembre successivo, Now si propone come obiettivo di fornire un contributo al problema dell'uguaglianza di opportunità per le donne nel campo dell'occupazione e della formazione professionale. In particolare, si propone di contribuire: alla valorizzazione e promozione delle qualificazioni delle donne, al cambiamento della cultura d'impresa per un più facile loro accesso alla creazione di attività imprenditoriali o cooperative, al loro reinserimento nel mercato regolare del lavoro, onde ovviare alle situazioni d'esclusione o di precarietà lavorativa. 34 L'Iniziativa Now interviene specificamente quale incentivo alla imprenditorialità femminile, sostenendo la creazione di imprese o di cooperative da parte delle donne, tramite aiuti alla creazione di attività indipendenti e aiuti all'assunzione, e rafforzando la loro formazione professionale. La nuova misura, tesa a migliorare la situazione delle imprenditrici, ad agire sulla mentalità, a dare alle donne la possibilità di approfittare completamente dei benefici derivanti dalla crescita economica e dallo sviluppo tecnologico, appare come strumento suscettibile di dare un nuovo valido contributo alla soluzione delle problematiche, in particolare delle imprenditrici. Gli ostacoli che incontrano le donne per accedere ai ruoli imprenditoriali su un piede di parità con gli uomini, sono sempre molto elevati e la Commissione ha ritenuto necessario dedicare loro misure specifiche. Il Programma Now sostiene azioni modello capaci di avere un effetto moltiplicatore e in grado di promuovere lo sviluppo di occupazione femminile. Loro caratteristica essenziale è la possibilità di essere validamente applicate ai diversi contesti nazionali europei. Il miglioramento della situazione delle donne, il loro inserimento nel mercato del lavoro, con migliori condizioni, è una dimensione essenziale della strategia per la coesione economica e sociale della Comunità. Da qui l'importanza, l'esigenza di 34 MERLO G., Formazione e lavoro femminile: il contributo del Fondo Sociale Europeo, Franco Angeli, Milano 1996, p

58 creare e promuovere una vera cooperazione europea, basata sulle collaborazioni tra Stati Membri, sullo scambio del proprio saper fare e delle reciproche esperienze. La nuova iniziativa è parte integrante del Terzo Programma d'azione per l'uguaglianza delle opportunità del quale persegue gli obiettivi. Obiettivo centrale del Terzo Programma, che trova in Now il supporto e sostegno più adeguato, è l'inserimento delle donne nel mercato del lavoro. Sono i fondi strutturali, ma più particolarmente ed essenzialmente il Fse, a finanziare, di concerto con gli Stati membri della Cee, l'iniziativa Now, le cui misure specifiche devono essere elaborate in modo da assicurare una sinergia tesa a rinforzare l'efficacia dei programmi di formazione professionale, in particolare nelle regioni in ritardo di sviluppo. Ai fini della loro ammissibilità ai finanziamenti comunitari, le varie azioni concepite nell'ambito del programma Now dovranno soddisfare contemporaneamente due tipologie di criteri: i criteri generali propri del Fse, relativi alle categorie di persone, ai tipi di azioni, alle categorie di spesa, ai tassi di intervento, nonché i criteri particolari propri dell'iniziativa Now, ovvero: essere destinate esclusivamente alle donne ed essere transnazionali; debbono quindi prevedere scambi di esperienze da parte di formatori e di tirocinanti tra più Stati Membri; lo sviluppo di azioni o programmi comuni; il trasferimento del knowhow; ogni progetto deve peraltro essere collegato ad uno dei cinque obiettivi prioritari. Le misure ammissibili nell'ambito del programma Now si articolano in tre grandi categorie di base, a cui si affiancano alcune misure complementari. Innanzitutto, azioni d'orientamento e consulenza: sono specificamente e ed esclusivamente destinate a facilitare il reinserimento professionale delle disoccupate di lunga data, ivi comprese le donne, ad esse assimilate, che desiderano reinserirsi dopo una lunga assenza dal mercato del lavoro. Il Fse provvede al loro finanziamento su tutto il territorio comunitario. Nel contempo, si attuano azioni di formazione preliminare e formazione professionale: il ruolo della formazione è noto e importante; essa si prefigge il superamento degli handicaps iniziali, inerenti alla più o meno prolungata assenza dal mercato del lavoro, siano 58

59 essi di carattere psicologico od inerenti ad una insufficiente preparazione di base. Sono considerate prioritarie le azioni concordate tra le parti sociali nelle imprese e gli organismi di formazione professionale. Ciò allo scopo di favorire la formazione relativa ad occupazioni corrispondenti alle effettive esigenze delle imprese o comunque richieste dal mercato del lavoro, l'ingresso nel quale risulta così agevolato. Peraltro, risulterebbe raggiunto anche l'obiettivo di coinvolgere maggiormente imprenditori e sindacati nei programmi di formazione destinati alle donne. Infine vengono promosse iniziative di sostegno all'occupazione, nelle due specificità d'intervento: da un lato, la creazione di attività indipendenti,; dall'altro, l'aiuto all'assunzione in posti di lavoro con caratteri di stabilità e di nuova concezione. Queste forme di intervento ben si prestano allo sviluppo locale dell'occupazione. Esse sono peraltro del tutto coerenti con le nuove strategie che, basate sulla gestione delle risorse umane come fattore fondamentale di sviluppo, sono tese ad incoraggiare la volontà di creazione, a promuovere lo sviluppo di imprese o cooperative nell'ambito dell'economia locale, a creare o rinforzare la compartecipazione tra istituti, centri di formazione professionale e università al fine di mobilitare e coordinare le reciproche energie e conoscenze. In questo contesto interviene, a fianco del Fse il Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale (Fesr), che sostiene in particolare l'aiuto alla creazione di servizi aventi il compito di aiutare le donne ad accedere alle strutture esistenti, concepite per facilitare la creazione di attività artigianali o di piccole-medie imprese. Le misure complementari, finanziabili dal Fse, nonché dal Fesr, riguardano in particolare le condizioni di accoglienza di bambini, ovvero la creazione di asili nido, tenuto conto che la carenza di queste strutture rappresenta un ostacolo alla partecipazione delle donne alla formazione e al mercato del lavoro, e favorisce la segregazione dalle posizioni occupazionali. I provvedimenti complementari riguardano inoltre le misure di assistenza tecnica quali, a titolo esemplificativo, gli aiuti alla creazione e allo sviluppo di 59

60 strutture di sostegno, reti o partenariati transnazionali; oppure gli aiuti al trasferimento di esperienze da un contesto locale a quello nazionale e comunitario. Quindi, la Commissione, adottando l'iniziativa Now ha confermato il proprio interesse rivolto alla problematica dell'occupazione e della formazione femminile, esprimendo la propria volontà di continuare ad operare per una politica a favore delle donne. IL PROGRAMMA ILO E' un programma volto a promuovere 1'imprenditorialità femminile, avviato già nel 1987 nel quadro della politica comunitaria in favore dell'occupazione femminile e previsto nella Risoluzione del Consiglio delle Comunità Europee del 21/5/ L'obiettivo di tale programma è quello di incoraggiare le donne nella creazione di imprese, cooperative, attività commerciali, iniziative sociali ed ambientali in cui sia le funzioni direttive sia la maggioranza dei posti di lavoro siano riservati alle donne. Particolare attenzione è rivolta alle donne più svantaggiate come le emigranti, le handicappate, le disoccupate e coloro che devono mantenere la famiglia. Questo programma prevede due tipi di iniziative eleggibili: 1) Sussidi per lo sviluppo di un progetto imprenditoriale innovatore. Per ottenere questo contributo, le candidate devono dimostrare di avere le competenze necessarie per gestire un'impresa e di averle acquisite mediante una giusta formazione o con 1'esperienza; esse devono, inoltre, fornire la prova di aver compiuto i necessari passi presso gli organismi locali di sostegno alle imprese. Ogni anno è concesso un numero limitato di sussidi a candidate che dispongano di una buona preparazione ed abbiano elaborato un progetto innovatore che presenti aspetti interessanti in un'iniziativa europea. 2) Sussidi alla creazione di posti di lavoro nelle imprese di recente formazione. 35 Pubblicata sulla GUCE C 142 del 31 maggio

61 Le donne titolari della propria impresa, creata da non più di due anni, possono concorrere per questo sussidio ILO a condizione che siano stati creati due posti di lavoro a tempo pieno per le donne. Per essere ammissibili le imprese devono dimostrare la propria redditività ed il loro carattere innovatore in ambiti specifici, quali: - iniziative rispondenti ai bisogni di località svantaggiate o di determinati gruppi sociali; - iniziative transnazionali, come filiali comuni, import-export, servizi di affari internazionali, ecc; - iniziative rurali che producano un prodotto o un servizio di tipo nuovo; - iniziative nei settori in via di sviluppo. Beneficiarie di tale iniziativa sono tutte le donne interessate nel setup di business, come richiesta essenziale, che desiderano creare occupazione retribuita per altre donne. Il programma ILO ha avuto un effetto trainante nel senso che ha permesso lo sviluppo di iniziative innovative, in particolare mediante la consulenza per le imprese e l'accesso al credito, ma anche perché ha contribuito a sviluppare uno spirito imprenditoriale tra le donne. 61

62 CAPITOLO 3 IL FARE IMPRESA AL FEMMINILE: I RISULTATI OTTENUTI FINO AD OGGI 62

63 3.1 COME E' CAMBIATO IL PROFILO DELLE LAVORATRICI INDIPENDENTI L aumento delle donne che guidano un impresa o gestiscono una attività indipendente costituisce un fenomeno rilevante e diffuso, che riguarda molti paesi, anche nelle aree del mondo meno sviluppate. In alcuni paesi in via di sviluppo, l affidabilità delle donne nella conduzione di attività autonome rappresenta addirittura il principale elemento di forza per contrastare la povertà, in grado di attivare a livello locale processi economici virtuosi. 36 Negli Stati Uniti, il National Women s Business Council ha rilevato nel marzo 2005 che è titolare d'impresa una donna ogni diciotto e che il numero delle imprese di cui è titolare una donna mostra una dinamica doppia rispetto a quella delle altre. I tassi di crescita risultano più elevati tra le imprese femminili più forti, quelle che hanno un fatturato pari o superiore a un milione di dollari e una dimensione di cento o più addetti. Tuttavia, nonostante questa espansione impressionante, la maggior parte delle imprese femminili americane è ancora di dimensioni molto ridotte (meno di 10 dipendenti), e deve affrontare molte difficoltà, tra le quali il National Women s Business Council individua come prioritarie l accesso al credito, ai mercati, ai networks, alla formazione e all assistenza tecnica, oltre alla persistente necessità di legittimazione. In Europa, a partire dalla fine degli anni Ottanta, una delle misure di contrasto alla disoccupazione ritenute più innovative ed efficaci è stata la promozione dell autoimpiego e dell imprenditorialità, che ha dato luogo a una proliferazione di provvedimenti nazionali e regionali in favore di nuove imprese, con particolare riferimento a quelle giovanili e femminili. 37 L attenzione per questo fenomeno, soprattutto nell ottica dell inserimento e reinserimento lavorativo delle donne, si è rafforzata in Europa e in tutto il mondo nell ultimo decennio, come attesta il 36 CNEL, Rapporto sul mercato del lavoro 2003, Roma, Luglio 2004, p. 113 e ss 37 L International Labour Organizzation ha promosso il programma Women s Enterpreneurship Development and Gender Equality, per favorire l accesso delle donne a risorse, opportunità, mercati, luoghi di decisione e meccanismi di controllo. Anche l Ocse ha avviato piani d azione e, con il Programma LEED, ha promosso nel 2004 ricerche regionali sulle imprese femminili nello sviluppo. Vedi e 63

64 moltiplicarsi di iniziative e programmi d'intervento promossi dagli organismi internazionali e il crescente aumento sia degli organismi di ricerca che delle associazioni di rappresentanza delle imprenditrici. Anche in Italia l attività imprenditoriale femminile ha assunto una visibilità crescente negli ultimi decenni. Uno studio recente mette in luce che il numero delle donne con ruoli di responsabilità in azienda è cresciuto in modo considerevole a partire dagli anni Settanta, quando circa 193 mila persone si erano registrate presso le Camere di Commercio come imprenditrici, rispetto alle 64 mila del decennio precedente. Negli anni Ottanta il numero delle imprenditrici registrate è triplicato, raggiungendo circa le 600 mila unità, ed è poi raddoppiato arrivando fino al milione e 180 mila iscritte degli anni Novanta. Così, le donne sono giunte a rappresentare oltre il 25% di tutti gli imprenditori italiani. 38 Allo stesso tempo anche in Italia si è verificato un cambiamento significativo del profilo dei lavoratori autonomi, in particolare tra le donne. Nel decennio , infatti, si è modificato ulteriormente, rispetto a quanto già rilevato di recente 39, il peso delle differenti posizioni professionali all'interno dell'occupazione autonoma, soprattutto femminile, introducendo importanti novità nel profilo delle lavoratrici indipendenti. Tab. 1 - Composizione dell'occupazione femminile indipendente v.a. % 2003 v.a. % Variaz v.a. % Imprenditrici 50 2, , ,0 Libere professioniste 120 7, , ,0 Lavoratrici in proprio , , ,5 Socie di cooperative di produzione 43 2,5 72 4, ,4 Coadiuvanti nell'azienda familiare , , ,5 Totale indipendenti , ,0 47 2,7 Fonte: Elaborazioni Cnel su dati Istat, medie annue 38 CASTAGNOLI A.,SCARPELLINI E., Storia degli imprenditori italiani, Torino, Einaudi 2003, pag CNEL, Rapporto sul mercato del lavoro 2002, Roma, Luglio 2003, pag

65 Tale profilo risulta modificato in primo luogo per la crescita consistente delle imprenditrici, che in dieci anni sono passate da 50 mila a 140 mila, segnando un incremento del 180% e giungendo a rappresentare l'8% delle lavoratrici indipendenti. Un aumento rilevante c'è stato anche fra le libere professioniste, più che raddoppiate: in dieci anni sono passate infatti da 120 mila a 288 mila. Una crescita più contenuta ma significativa c'è stata per le socie di cooperative di produzione, che hanno oltrepassato le 70 mila unità. Sono invece diminuite nettamente, e questa è l'altra faccia del cambiamento, sia le lavoratrici in proprio che le coadiuvanti: le prime di oltre il 14% e le seconde di oltre il 18%, per una totale di 240 mila lavoratrici indipendenti in meno, sempre nell'arco di dieci anni. L'immagine che si ricava è dunque quella di un mutamento interno al lavoro autonomo, che ha interessato soprattutto la componente femminile e che è caratterizzato dalla crescita dei profili ad alta professionalità, come mostra appunto l'aumento delle donne nei ruoli imprenditoriali e nelle professioni indipendenti più qualificate, a fronte di una loro riduzione netta nelle attività autonome tradizionali, di tipo manuale e a basso contenuto professionale. La riduzione delle lavoratrici in proprio è concentrata infatti nel settore agricolo, dove è più diffuso il lavoro manuale e poco qualificato: qui, nell'ultimo decennio, il numero delle lavoratrici in proprio si è quasi dimezzato, così come si è fortemente ridotta la presenza di coadiuvanti nelle aziende familiari, che per lungo tempo avevano impersonato un tipico ruolo subalterno, in particolare nel settore agricolo. Per contro, il netto aumento delle libere professioniste, cui è associato un elevato livello di istruzione e di competenze, è quasi interamente concentrato nel settore terziario, dove anche le imprenditrici sono molte di più. Il mutamento è più esteso e profondo di quanto i dati disponibili sulle forze di lavoro Istat consentano di delineare, specie per il fatto che il lavoro - non soltanto 65

66 quello indipendente - costituisce un aggregato sempre meno omogeneo e in continua trasformazione. Se il lavoro autonomo non aumenta più, aumenta invece l autonomia nel lavoro: all innalzamento generale del livello di istruzione e delle competenze viene infatti ricondotta un ampia diffusione di autonomia professionale tra i lavoratori, indipendentemente dalla subordinazione contrattuale. Il grado più elevato di autonomia nell ambito del lavoro dipendente è certamente associato al ruolo di dirigente. Nel decennio , in Italia, le donne che ricoprono questo ruolo sono aumentate sensibilmente, anche se meno delle imprenditrici. Dopo dieci anni, infatti, le dirigenti sono soltanto 31 mila in più, essendo passate da 48 mila a 79 mila, con un incremento che sfiora il 65% ma lascia tuttora su un livello assai basso la quota di donne in questi ruoli. Ciò conferma che per le donne l autonomia e le responsabilità direttive rappresentano mete tuttora raggiungibili più attraverso un percorso di lavoro indipendente che nell ambito di una carriera aziendale. Delineando ora il periodo , la situazione è rimasta stabile. Tuttavia, l'imprenditoria femminile fa registrare una dinamicità maggiore rispetto al totale delle imprese: tra dicembre 2003 e dicembre 2007, infatti, le imprese femminili sono cresciute del 5,84%, ovvero il 2,25% in più rispetto alla crescita totale, pari al 3,59%. Sul territorio, alla data del 31 dicembre 2007, le imprese femminili continuano ad essere concentrate in prevalenza nel centro e nel Sud, nelle Isole, anche se si registra la tendenza verso un parziale riequilibrio. In particolare, le imprese femminili sono presenti soprattutto in Molise, in Basilicata, in Abruzzo e in Campania. Gli incrementi più significativi, sempre al 31 dicembre 2007, si registrano nel Lazio (+10,92%), in Lombardia (+8,60%), in Sardegna (+7,88%), in Campania (+7,66%), in Calabria (+6,64%), in Sicilia (+6,59%). 40 Fonte Rapporto Impresa in Genere

67 Se i tassi di femminilizzazione più elevati si registrano ancora in settori più tradizionalmente caratterizzati dalla presenza femminile, forte è la tendenza da parte delle donne imprenditrici ad invadere anche ambiti tradizionalmente maschili. I settori in cui le imprese femminili sono maggiormente presenti a fine 2007 sono innanzitutto la sanità, i servizi alle persone, seguiti dal turismo, l'agricoltura e il commercio. Quelli in cui si registra la variazione percentuale più elevata di imprese femminili sono la produzione di energia (+59,39%), la sanità (+34,53%) e le costruzioni (+34,50%). Bene anche servizi alle imprese (+24,74%) e i trasporti (+23,32%); rallentano le manifatturiere (+1,15%) e il commercio (+4,01%); crolla il settore dei servizi domestici. In termini assoluti, crescono soprattutto i servizi alle imprese, il commercio e le costruzioni. Come nel decennio precedente, invece, cede il settore tradizionale dell'agricoltura (-4,74%) anche se le imprese agricole femminili calano meno di quelle totali. Si registra inoltre che le imprese femminili più mature appartengono al settore del commercio. Particolarmente significativo il contributo delle donne non italiane all'espansione della base imprenditoriale femminile di ditte individuali tra il 2003 e il Rispetto alla forma societaria, una caratteristica dell'imprenditoria femminile, è il grande numero di imprese individuali, quindi di imprese più semplici, meno strutturate. Il ricorso a questa forma giuridica è stato però stabile dal 2003 (la variazione percentuale è solo dello 0,08%) mentre cresce il peso delle società di capitali con un aumento percentuale dell 83,69%, dei consorzi che aumentano del 39,09%, delle altre forme di oltre il 15% e delle cooperative di poco più del 13%. Il passaggio delle imprese femminili verso le forme giuridiche più complesse come le società di capitali, pur rimanendo i valori assoluti bassi rispetto al dato generale, rappresenta un trend costante nel quinquennio ed è comune all intero sistema produttivo italiano. La forma esclusiva delle imprese femminili è schiacciante rispetto alle altre. 67

68 Questo dato può essere facilmente spiegato con la netta prevalenza di imprese individuali tra le femminili, in cui vi è sovrapposizione tra titolare (donna) dell impresa e impresa stessa, ma anche con la crescente, seppure ancora contenuta, assunzione di ruoli di responsabilità delle donne nelle imprese. La variazione più consistente della forma esclusiva è nella produzione di energia (+75,86%) e nella sanità (+44,35%). Per quanto riguarda le donne che ricoprono ruoli all'interno delle imprese, il quinquennio si è concluso con il fatto che oltre il 20% dei ruoli di presidente del consiglio di amministrazione, presidente di consorzio, consigliere delegato, amministratore delegato e amministratore unico in tutte le imprese italiane è appannaggio delle donne; per quanto riguarda chi fa funzionare un impresa, oltre il 14% dei ruoli di direttore (a vario titolo) è rosa. Le variazioni vanno interpretate nella direzione di una assunzione di responsabilità progressiva dell universo femminile: l incremento delle donne nei ruoli decisionali delle imprese è infatti pari al +2,75%, circa un punto in più dell aumento del numero delle persone totali che esercitano tali funzioni (1,84%). Ciò si deve in buona parte alla massiccia diffusione di forme giuridiche strutturate come le società di capitali e i consorzi. 3.2 SEMPRE PIU' DONNE NEI RUOLI IMPRENDITORIALI: LA SITUAZIONE ATTUALE DELL'ITALIA Da quanto rilevato nel paragrafo precedente, quindi, in Italia l'attività imprenditoriale femminile ha assunto una visibilità crescente negli ultimi decenni. Si tratta di un fenomeno che per un verso viene molto enfatizzato dalla stampa 41, soprattutto negli ultimi anni, ma che per un altro verso è ancora poco studiato. 41 Alcuni articoli comparsi su Il Sole 24 Ore nel 2004: CRIVELLI G., Un milione di donne leader d'impresa, 22 gennaio; GALIMBERTI C., Da operaie a imprenditrici, 7 marzo; DI PILLO L., Imprenditoria rosa in crescita, 10 marzo; VITALE L., Donne manager in crescita per tre società su quattro, 10 luglio. 68

69 L enfasi è posta solitamente sul numero di donne che risultano titolari di impresa o amministratrici di società; ma in realtà, ricoprire una o più cariche all interno di aziende non sempre significa svolgere un ruolo effettivo imprenditoriale o dirigenziale. Cosicché i dati riferiti alla mera dimensione quantitativa del fenomeno, se anche non arrivano a sovradimensionarlo, contribuiscono sicuramente a renderlo indistinto, oscurandone le caratteristiche qualitative. Ma non conviene considerare le imprenditrici una categoria omogenea in quanto al loro interno vi sono figure collocate in posizioni assai diverse, che svolgono - come è ovvio - vari tipi di attività ed esprimono marcate differenze quanto a livelli di scolarità, bagaglio professionale, grado di autonomia, investimento nel lavoro, reddito. 42 Conoscere soltanto il numero delle imprenditrici non basta a capire quale tipo di impresa guidano, con o senza dipendenti, in primo luogo, e quindi a definire quale tipo di ruolo imprenditoriale svolgono, se di questo effettivamente si tratta. La principale fonte utilizzata per studiare il fenomeno imprenditoriale è la banca dati Movimprese curata da InfoCamere, Società consortile di informatica delle Camere di Commercio. Secondo i dati più recenti prodotti da questa fonte sono le nuove capitane d'impresa che nel 2008 sono andate ad ingrossare l'esercito di oltre un milione e quattrocentomila donne imprenditrici. Il bilancio dell'osservatorio dell'imprenditoria femminile, l'indagine semestrale realizzata da Unioncamere sulla base dei dati del Registro delle imprese delle Camere di Commercio, si conferma anche nel 2008 positivo: +0,2% il tasso di crescita dell'universo delle imprese guidate da donne. Ciò che stupisce forse di più è la crescita significativa di iniziative femminili nei comparti ad appannaggio quasi esclusivo della componente maschile: +8,5% quello delle Costruzioni, +6,8% le Attività Immobiliari, che comprende anche il noleggio, l'informatica e la ricerca. 42 FRANCHI M., Api o tartarughe?, in David P. e Vicarelli G., Donne nelle professioni degli uomini, Franco Angeli, Milano 1994, pag

70 Ammontano a le imprese guidate da donne a fine Nel dar vita a una nuova idea d'impresa, sempre più donne scelgono di puntare su una forma giuridica strutturata. Le società di capitali, infatti, rappresentano alla fine dello scorso anno il 14% del totale delle imprese femminili, lo 0,8% in più del Si assottiglia ulteriormente, pur rimanendo prevalente, la componente dell'impresa individuale: le imprese femminili registrate rappresentano il 61,1% del totale, ovvero lo 0,6% in meno del Da segnalare anche il lieve incremento delle Cooperative e l'ulteriore riduzione delle società di persone. 43 Tab. 2 - Imprese femminili per forma giuridica (2008) SOCIETA' DI CAPITALE SOCIETA' DI PERSONE IMPRESE INDIVIDUALI v.a. % v.a. % , , , , , ,7 COOPERATIVE , ,8 CONSORZI 993 0, ,1 ALTRE FORME , ,2 TOTALE , ,0 Fonte: Osservatorio dell'imprenditoria femminile, Unioncamere-InfoCamere In valori assoluti, i maggiori incrementi si registrano nelle Attività immobiliari, noleggio, informatica e ricerca, settore sul quale hanno puntato oltre 10mila imprese femminili in più rispetto al Il settore, che conta oltre 165mila imprese guidate da donne, registra così un aumento del 6,8%. Supera le unità, invece, il saldo attivo di imprese 43 Comunicato stampa Unioncamere, Imprese femminili: oltre 3mila capitane d'impresa in più nel 2008 (1,4 milioni il totale), Roma, 3 aprile

71 femminili nelle Costruzioni, nel quale operano oltre 58 mila imprese rosa. Oltre imprese in più si contano anche nel settore degli Alberghi e ristoranti e più di in quello degli Altri servizi pubblici, sociali e personali, che è l'ambito che registra anche il più elevato tasso di femminilizzazione sul totale delle imprese. In valori percentuali, elevatissimo l'incremento dell'ancora ristretto universo imprenditoriale femminile attivo nella Produzione di Energia (111 le imprese registrate in più rispetto al 2007), mentre le 991 imprese femminili della Sanità e altri servizi sociali rappresentano l'8,8% in più dell'anno precedente. Tab. 3 - Imprese femminili per settori di attività al 31/12/2008 e variazioni rispetto al 31/12/2007 SETTORI VARIAZIONI IN VALORE ASSOLUTO VARIAZIONI IN VALORE % A Agricoltura, caccia e silvicoltura ,9 B Pesca, piscicoltura e servizi connessi ,7 C Estrazione di minerali ,0 D Attività manifatturiere ,2 E Prod. e distrib.energ.elettr. gas e acqua ,0 F Costruzioni ,5 G Comm. ingrosso e dettaglio ,0 H Alberghi e Ristoranti ,9 I Trasporti, magazzinaggio e comunic ,9 J Intermediaz. Monetaria e finanziaria ,5 K Attività immob, noleggio, informatica, ricerca ,8 L Pubblica amministrazione ,0 M Istruzione ,2 N Sanità e altri servizi sociali ,8 O Altri servizi pubblici ,2 P Servizi domestici ,0 X Imprese non classificate ,9 TOTALE ,2 Fonte: Osservatorio dell'imprenditoria femminile, Unioncamere-Infocamere Subiscono invece uno stop le imprese femminili del Commercio, che costituiscono, peraltro, la componente più corposa delle aziende in rosa (assomma 71

72 infatti 423mila imprese), mentre si contrae la presenza femminile nel settore agricolo (5mila imprese in meno, con un calo dell'1,9%), in quello manifatturiero (307 imprese in meno, pari al -0,2%) e, partendo da valori molto contenuti, nell'estrazione di Minerali (12 imprese in meno, pari al -2%). Tab. 4 - Totale imprese e imprese femminili per settori di attività al 31/12/2008 SETTORI TOTALE IMPRESE REGISTRATE Di cui: femminili Tasso di femminilizzazione Composizione % imprese femminili* A Agricoltura, caccia e silvicoltura ,2 18,4 B Pesca, piscicoltura e servizi connessi ,9 0,1 C Estrazione di minerali ,0 0,0 D Attività manifatturiere ,7 10,1 E Prod. e distrib.energ.elettr. gas e acqua ,1 0,0 F Costruzioni ,6 4,1 G Comm. ingrosso e dettaglio ,8 29,6 H Alberghi e Ristoranti ,5 7,2 I Trasporti, magazzinaggio e comunic ,9 1,9 J Intermediaz. Monetaria e finanziaria ,9 1,9 K Attività immob, noleggio, informatica, ricerca ,1 11,6 L Pubblica amministrazione ,9 0,0 M Istruzione ,7 0,5 N Sanità e altri servizi sociali ,4 0,9 O Altri servizi pubblici ,2 8,3 P Servizi domestici ,0 0,0 X Imprese non classificate ,5 TOTALE ,4 100,0 * La composizione % delle imprese femminili è data dal rapporto delle imprese femminili del singolo settore sul totale delle imprese femminili Fonte: Osservatorio dell'imprenditoria femminile, Unioncamere-Infocamere Sono le donne del centro quelle che maggiormente hanno puntato sul fare impresa: nuove imprese si sono infatti insediate in queste regioni, nel solo Lazio (+1,74%). Il Sud non traina più la crescita delle imprese guidate da donne: tra il 2007 e il 2008 è infatti l'unica area del paese a registrare una variazione negativa (-0,13%), 72

73 pari a 652 imprese registrate in meno rispetto all'anno precedente. Il Mezzogiorno resta comunque l'area del Paese con il più elevato tasso di femminilizzazione delle imprese: a fine 2008 è pari al 25,76% (due punti percentuali in più rispetto alla media nazionale), seguito dal Nord-Est (20,9%, due punti in meno della media). Continuano a diffondersi comunque anche le imprese femminili nel Nord- Ovest (722 in più, con un incremento dello 0,2%), mentre le regioni nord-orientali mettono a segno un incremento decisamente più contenuto (sole 64 imprese femminili in più). Crotone, Prato, Roma e Sassari, infine, sono le province in cui, tra il 2007 e il 2008, si sono registrate le più consistenti variazioni percentuali di imprese femminili. Sul fronte opposto, in ben 41 province emerge una contrazione del numero di imprese guidate da donne, compresa tra la minima riduzione di Pesaro e Urbino (8 le imprese femminili in meno) e quella un po' più consistente di Bari (-706 imprese femminili). Roma, Milano, Napoli e Torino si confermano comunque le province con il più elevato numero di imprese femminili. Per estenderci all'anno 2009, nei primi sei mesi dell'anno sono nate circa 40mila imprese individuali con titolare donna (39.284), circa il 30% del totale delle nuove imprese individuali iscritte, e hanno aperto per lo più in Lombardia (12,8%), Campania (10,2%), Piemonte (8,7%) e Lazio (8,7%). E' quanto emerge da indagini condotte dall'ufficio Studi della Camera di commercio di Monza e Brianza. Le imprese femminili crescono grazie anche alle donne immigrate: nei trasporti, magazzinaggio e comunicazioni, registrano dal 2004 un incremento del 52,6%, mentra le italiane negli stessi settori solo dell'1,4%. Forte espansione anche nel commercio: +47%, e in particolare in quello al dettaglio dove le imprenditrici immigrate crescono del 53,4%; e questo sempre a fronte di una diminuzione di quelle italiane (-3,6%) Fonte: Il Sole 24 Ore, Imprese femminili in forte crescita: il Boom di immigrate, 3 febbraio

74 Tab. 5 - Consistenza delle imprese femminili per regioni e ripartizione geografica (2008) Regione e ripartizione geografica Imprese registrate 31/12/2008 imprese % impr. Fem. Femminili su totale Imprese registrate 31/12/2007 imprese % impr. Fem. Femminili su totale Variazioni % Imprese Femminili ABRUZZO , ,68 0,02 BASILICATA , ,19-0,76 CALABRIA , ,57 0,45 CAMPANIA , ,34 0,19 EMILIA- ROMAGNA , ,94 0,59 FRIULI-VEN GIULIA , ,58-2,18 LAZIO , ,89 1,74 LIGURIA , ,09-0,94 LOMBARDIA , ,30 0,60 MARCHE , ,63 0,62 MOLISE , ,70-0,92 PIEMONTE , ,75 0,10 PUGLIA , ,00-0,68 SARDEGNA , ,84 0,39 SICILIA , ,69-0,36 TOSCANA , ,32 0,26 TRENTINO , ,22 0,13 UMBRIA , ,53 0,78 VALLE D'AOSTA , ,42-4,08 VENETO , ,07 0,06 NORD-OVEST , ,85 0,21 NORD-EST , ,78 0,03 CENTRO , ,79 1,03 SUD E ISOLE , ,62-0,13 TOTALE , ,29 0,23 Fonte: Osservatorio dell'imprenditoria femminile, Unioncamere-Infocamere 74

75 3.3 LE PERFORMANCE DELLE IMPRESE GUIDATE DALLE DONNE Le manager ai vertici delle imprese italiane a guida femminile generano più ricavi e profitti dei colleghi in vetta alla maggioranza delle aziende. 45 Non solo. Se nei consigli di amministrazione siede almeno una donna, il rischio di default o crisi aziendale è minore. Lo afferma una ricerca Cerved basata su uno dei maggiori database del nostro Paese. E i dati, oltre ogni immaginazione, confermano quanto già appurato a livello internazionale dagli studi Catalyst e McKinsey: le imprese a guida femminile hanno performance gestionali e finanziarie superiori alla media di settore. Catalyst, organizzazione no-profit impegnata dal 1962 per incoraggiare lo sviluppo di ambienti di lavoro inclusivi a vantaggio delle aziende e delle donne che lavorano, ha svolto un indagine da cui è emerso che le aziende con un alta rappresentanza di donne nei Consigli di Amministrazione ottengono risultati finanziari significativamente superiori, in media, rispetto alle aziende con una minore rappresentanza di donne. L indagine The bottom line: corporate performance and women's representation on boards'', del 2007, ha dimostrato l esistenza di una forte correlazione tra la diversità di genere in azienda e le performance finanziarie realizzate. Le aziende con un alta presenza di donne nei CdA rispetto a quelle con percentuali basse di donne hanno performance migliori del 53% per quanto riguarda il Return on equity (un indice globale dei risultati economici dell'azienda e della capacità dell'azienda di attrarre capitali), del 42% superiore per quanto riguarda il Ritorno sulle vendite e del 66% superiore per quanto riguarda il Ritorno sui capitali investiti, cioè quanto bene l azienda genera cash flow relativo al capitale investito nel suo business. 46 La conciliazione è la chiave di volta per i cambiamenti, in ogni luogo. 45 Fonte: Il Sole 24 Ore, LA POSTA L., Se il potere è donna i conti dell'azienda vanno meglio, 06 marzo ANELLI L., Le donne migliorano i risultati delle aziende, Marzo

76 Quindi le manager, che nella crisi stanno tenendo meglio il timone e scalano posizioni, ora alzano la testa. Il complesso delle imprese che ha mantenuto il fatturato oltre i 10 milioni nel 2001 e nel 2007, ha accresciuto i propri ricavi nell arco temporale considerato a un ritmo del 6,7% all anno. In media, le società guidate da un uomo hanno aumentato più velocemente i ricavi rispetto a quelle con un capo donna (6,8% contro 6,2%); questa differenza non ha però a che fare con le capacità manageriali dei capi d impresa ma dipende dalla diversa composizione dimensionale delle società che hanno un capo uomo rispetto a quelle che hanno un capo donna. I dati spaccati per classe dimensionale indicano infatti che le società femminili sono cresciute più di quelle maschili in ogni fascia di fatturato considerata (dell'8,8% contro l 8,6% tra quelle con ricavi superiori ai 200 milioni, del 7,7% contro il 6,5% tra quelle con ricavi compresi tra i 50 e i 200 milioni, del 3,6% contro il 2,7% tra quelle con ricavi compresi tra 10 e 50 milioni); è quindi solo la bassa presenza di donne al vertice delle grandi imprese (quelle cresciute più velocemente) a spiegare il dato medio. 47 Non solo, a parità di fatturato, le imprese guidate da donne crescono più velocemente di quelle guidate dagli uomini, ma tra i capi donna è più frequente la possibilità di trovare imprese emergenti. I settori in cui è più frequente la presenza di un capo donna sono quelli dell istruzione, della sanità e dell assistenza sociale (il 22,9% delle imprese hanno al vertice una donna), le attività ricreative e gli altri servizi (13,2%), l industria tessile e dell abbigliamento (11,3%), il commercio e i servizi ricettivi (10.4%), la carta, l editoria e la stampa (10%). Viceversa, i settori caratterizzati dalla minore frequenza di donne capo sono le utilities (solo il 3,3% delle imprese non ha a capo un uomo), le industrie estrattive (6%), la meccanica e i mezzi di trasporto (6,9%), le costruzioni (7,1%), il recupero 47 Fonte: ROMANO G., Le donne al comando delle imprese: il fattore D, Marzo

77 e il riciclaggio dei rifiuti (7,5%). Come evidenziato già dalle statistiche relative alla presenza degli amministratori, emerge anche nel caso dei capi donna una forte concentrazione tra le società minori: complessivamente, il 9,2% delle imprese che nel 2007 ha realizzato ricavi superiori a 10 milioni di euro ha al vertice una donna; la percentuale è però solo del 3,8% tra le società con ricavi oltre i 200 milioni, del 6,5% tra quelle che hanno conseguito un fatturato compreso tra i 50 e i 200 milioni e del 9,9% tra quelle della fascia inferiore di fatturato. Rispetto alle imprese guidate da un uomo che nel 2007 hanno superato i 10 milioni di fatturato, il 49,5% è rappresentato da società che nel 2001 non erano ancora nate (il 19%) o che realizzavano ricavi inferiori alla soglia di 10 milioni (il 30,5%); calcolata sul complesso delle società con al vertice una donna, questa percentuale è superiore, pari al 51,5% (il 16,7% delle imprese si trovava sotto la soglia nel 2001 e il 34,8% non era ancora nata). Le società con un capo donna si caratterizzano anche per una migliore capacità di generare profitti: in media, le imprese femminili realizzano 6,9 euro di margini operativi lordi ogni 100 euro di fatturato, contro i 6,5 euro delle aziende maschili. La maggiore capacità di generare profitti è confermata per le imprese minori (6,2% contro 5,6%) e per quelle della fascia milioni (8% contro 6,3%), mentre tra quelle con fatturato oltre i 200 milioni, le società maschili superano quelle femminili (6,9% contro 6,6%). È maggiore anche la quota di imprese femminili in grado di chiudere l esercizio in utile: l 80,6% delle società guidate da donne ha chiuso il bilancio con un utile di esercizio, contro l 80% di quelle con a capo un uomo. La differenza è maggiore per le imprese appartenenti alle fasce superiori di fatturato: di 3,5 punti percentuali per le imprese maggiori (86,5% contro 83%), di 3,3 punti per quelle con ricavi tra 50 e 200 milioni (85,2% contro 81,9%), mentre è solo di 0,3 per quelle con ricavi tra 10 e 50 milioni. 77

78 Nonostante una più marcata concentrazione nelle fasce minori di fatturato, il grado di rischio delle imprese guidate dalle donne è sostanzialmente allineato con quello delle aziende con un capo maschio. I rating del gruppo Cerved-Centrale dei Bilanci, un indice di sintesi del grado di solvibilità di un azienda basato su un modello statistico-econometrico che tiene conto di analisi di bilancio e di altre variabili qualitative o di eventi storici di rischiosità associati all impresa, indicano che il 27,4% delle società femminili appartiene alle classi di rischio 1 e 2 (alle quali corrisponde la minima probabilità di default). Tra le imprese maschili, la percentuale è di poco superiore, del 28,2%. Il 2,8% delle società guidate da donne rientra nelle classi di rischio 6 e 7, quelle caratterizzate da una maggiore probabilità di insolvenza, una percentuale pari a quella che si riscontra quando il capo è un uomo. In particolare, un analisi econometrica condotta su un insieme di circa 24 mila imprese indica che, controllando per una serie di caratteristiche relative all impresa, quando il board è costituito in prevalenza da donne la probabilità di rientrare in una classe di rating peggiore si riduce di una percentuale pari a circa il 15% rispetto ai casi in cui le donne sono in minoranza o assenti dal Cda. D altra parte, i dati indicano che la presenza di donne nei consigli d amministrazione è associata a una minore percentuale di imprese in crisi o che hanno chiuso i battenti. Considerando le 18 mila imprese che nel 2001 superavano i 10 milioni di euro di fatturato con un board composto da almeno due componenti, solo una percentuale vicina al 13% delle società dove le donne occupavano la maggioranza o la totalità delle poltrone di comando è entrata in crisi (in liquidazione, in procedura concorsuale, in fallimento) o non è più attiva; la stessa percentuale calcolata sul complesso delle 18 mila imprese è pari al 22%. 78

79 3.4 IL QUADRO EUROPEO In Europa, a partire dalla fine degli anni Ottanta 48, una delle misure di contrasto alla disoccupazione ritenute più innovative ed efficaci è stata la promozione dell'autoimpiego e dell'imprenditorialità, che ha dato luogo a una proliferazione di provvedimenti nazionali e regionali in favore di nuove imprese, con particolare riferimento a quelle giovanili e femminili. L'attenzione per questo fenomeno, soprattutto nell'ottica dell'inserimento e reinserimento lavorativo delle donne, si è rafforzata in Europa e in tutto il mondo nell'ultimo decennio, come attesta il moltiplicarsi di iniziative e programmi d'intervento promossi dagli organismi internazionali e il crescente aumento sia degli organismi di ricerca che delle associazioni di rappresentanza delle imprenditrici. La Strategia Europea per l'occupazione (SEO) fu avviata a partire dal Consiglio straordinario sull'occupazione di Lussemburgo (novembre 2007). Successivamente, nel Consiglio Europeo straordinario di Lisbona (marzo 2000) venne avviato un coordinamento tra i vari aspetti delle politiche economiche dell'unione Europea al fine di perseguire un obiettivo estremamente ambizioso: portare in dieci anni l'europa ad essere l'economia basata sulla conoscenza più dinamica e competitiva del mondo, in grado di raggiungere livelli di crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e con una maggiore coesione sociale. Purtroppo, l'impostazione di politica economica prevista a Lisbona non ha però conseguito i risultati sperati. La crescita dell'economia europea non solo non ha accelerato, ma ha preso a rallentare a partire dal La gravità della situazione è stata indicata con chiarezza dal rapporto Facing the Challenge. The Lisbon Strategy for Growth and Employment, elaborato per la valutazione della strategia di Lisbona a metà del decennio da un gruppo di lavoro guidato dall'ex primo ministro olandese Wim Kok e reso pubblico nel novembre CNEL, Rapporto sul mercato del lavoro 2003, Roma, Luglio 2004 p

80 Le indicazioni fornite dal rapporto Kok sono state fatte proprie dalla Commissione europea con la comunicazione Lavoriamo insieme per la crescita e l'occupazione. Un nuovo slancio per la strategia di Lisbona (COM, 2005/24). Nel marzo 2005 quindi 49, la Commissione Europea, a seguito della deludente performance riscontrata nella relazione di metà percorso di Kok, ha proposto un forte rilancio della strategia di Lisbona, ponendo un'enfasi ancor più forte su conoscenza e innovazione come motori trainanti per la crescita dell'unione Europea. Un nuovo e più forte investimento nella ricerca, nell'innovazione e nel capitale umano costituisce, secondo la Commissione, un fattore determinante per il raggiungimento degli obiettivi di crescita economica e di aumento dell'occupazione, quali condizioni fondamentali per la salvaguardia dello stesso modello di società su cui è costruita l'unione: un modello basato sul concetto di uno sviluppo sostenibile e sull'idea di una migliore protezione sociale e un più elevato tenore di vita per le generazioni presenti e future. 50 Sugli obiettivi strategici della rinnovata Agenda di Lisbona sono stati concentrati tutti i mezzi a disposizione a livello nazionale e comunitario, compresi i Fondi strutturali (FESR, FSE, Fondo di coesione), il nuovo fondo per lo sviluppo rurale (FEASR) e il fondo per la pesca. In questo ambito, la nuova generazione di programmi nazionali e regionali (programmazione ) è stata orientata ad integrare gli obiettivi di competitività con quelli di convergenza, concentrando le risorse sulla costituzione delle condizioni territoriali adeguate all'attrazione, alla generazione di innovazione e al rafforzamento dei sistemi economici territoriali. La Commissione Europea ha lanciato la rete europea per la promozione dell'imprenditorialità femminile (WES). Essa è composta da trenta paesi europei (UE, Islanda, Norvegia e Turchia). I delegati alla rete centrale rappresentano i governi nazionali e delle istituzioni con la responsabilità di promuovere 49 DI SILVESTRE S., MAZZA M.F., PICCA B., Women in Innovation 1 - Strategie, reti, esperienze, in occasione di Research to Business, Aprile Cfr. Commissione Europea, Attuare il programma comunitario di Lisbona: Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, Potenziare la ricerca e l'innovazione Investire per la crescita e l'occupazione: una strategia comune [COM (2005)] 80

81 l'imprenditorialità femminile. 51 WES mira a promuovere l'imprenditorialità femminile, tra cui: 1. aumentare la visibilità delle attuali imprenditrici; 2. creare un clima favorevole per le imprenditrici; 3. aumentare il numero di donne neo imprenditrici; 4. aumentare la dimensione di donne che già gestiscono imprese. I mezzi utilizzati da WES servono per il raggiungimento di vari obiettivi: 1. per essere un interlocutore verso l'unione Europea; 2. per cooperare con le reti già esistenti e le organizzazioni; 3. per il benchmarking, scambio di informazioni e pratiche; 4. per progetti comuni. WES è una rete gestita dalla Commissione europea DG Imprese e industria. E' stato avviato dalla Svezia ed è stato istituito e avviato dal Commissario Liikanen nel mese di giugno Esso è composto dai rappresentanti dei governi responsabili per la promozione delle donne imprenditrici nei loro paesi. WES pubblica un rapporto annuale che presenta le attività svolte dai governi nazionali, al fine di promuovere l'imprenditorialità femminile. L'ultimo rapporto risale a Settembre 2008 inerente alle attività dell'anno Venti paesi membri hanno contribuito a questa relazione. Nel 2007 la rete WES ha contribuito in modo significativo a una migliore conoscenza circa l'imprenditoria femminile in un gran numero di Stati membri. Oltre alle attività effettuate a livello nazionale e regionale, i paesi WES sono stati 51 L'International Labour Organizzation ha promosso il programma Women's Enterpreneurship Development and Gender Equality, per favorire l'accesso delle donne a risorse, opportunità, mercati, luoghi di decisione e meccanismi di controllo: 52 European Commission, The European Network to Promote Women's Entrepreneurship (WES). Annual Activity Report 2007, Settembre

82 coinvolti in progetti comuni e seguiti da un importante numero di richieste di informazioni e di contatti in rete da tutto il mondo. La rete WES ha tenuto una riunione a Bruxelles l'8 ottobre 2007, dove è stato discusso lo stato di avanzamento delle attività nazionali volte a promuovere l'imprenditoria femminile. La rete ha inoltre individuato le aree prioritarie su cui i lavori futuri dovrebbero concentrarsi. Nel corso della riunione WES i membri hanno notato che la rete WES è l'unica arena per lo scambio di informazioni e pratiche relative alla promozione dell'imprenditoria femminile, nonché un importane canale per lo scambio di esperienze e conoscenze dei partecipanti e la Comunità Europea. Nella relazione sono stati riportati alcuni esempi di azioni positive dei Paesi membri: in Islanda il Ministero degli Affari è al lavoro per cambiare l'atteggiamento nei confronti delle donne imprenditrici. Una società privata di servizi finanziari è stata istituita nel 2007; l'azienda è diretta da donne ed è concentrata sulle donne e il loro potenziale. Il Ministero dell'economia in Slovenia ha sviluppato un programma per incentivare l'imprenditorialità principalmente destinato alle donne imprenditrici. Il programma include il sostegno alle potenziali imprenditrici e alle imprese già esistenti. Nel marzo del 2007 la Spagna ha approvato una nuova legge - Legge organica per un'efficace uguaglianza dei sessi - che mira ad eliminare tutti i tipi di discriminazione in particolare nel settore dell'attività economica. Un programma di sensibilizzazione ed incoraggiamento all'imprenditorialità delle donne è stato lanciato nel Anche la Svezia ha lanciato un nuovo programma di Promozione dell'imprenditorialità femminile con un budget di circa trentadue milioni di euro. L'obiettivo è quello di aumentare il tasso di start-up delle donne imprenditrici e sostenere la crescita delle donne proprietarie di società. La Turchia ha aumentato il sostegno alle donne imprenditrici come soluzione ad un elevato tasso di disoccupazione femminile. Sono stati costituiti programmi di formazione, incubatori e progetti speciali finanziati dall'unione Europea. 82

83 Nel Regno Unito ci sono ormai più di un milione di lavoratrici autonome con un incremento del 17% dal Tra le iniziative che vale la pena citare vi è il supporto svolto da un organismo indipendente che mira a far diventare il Regno Unito leader di diversità collegando le donne proprietarie con le imprese multinazionali. 3.5 UNO SGUARDO ALLA REGIONE EMILIA ROMAGNA Le imprese femminili in Emilia Romagna crescono dal 2003 al 2007 di oltre il 5,3%, arrivando a unità. Sono prevalentemente concentrate nei settori tradizionalmente femminili legati quindi ad una economia di territorio che assicura coesione sociale e qualità. Interessante tuttavia appare una crescita delle presenze femminili in settori considerati maschili. 53 Anche per le donne si contrae la quota nelle socie di capitali ed aumenta invece la presenza in ruoli gestionali, tendenza che come già visto non appartiene solamente al genere femminile ed è in parte collegabile all invecchiamento della popolazione e alla strutturazione dell impresa. Dal punto di vista economico e patrimoniale le imprese femminili presentano indici di redditività positivi per tutte le dimensioni economiche. Le imprese di maggiore dimensione si concentrano soprattutto nei settori della meccanica e del commercio all ingrosso, mentre i ricavi maggiori si trovano nelle imprese del tessile e del comparto alimentare. Aumenta anche la presenza di donne immigrate. Per le imprese artigiane 54 su cui fra l altro si sono indagati 4 aspetti: dimensione, accessibilità al credito, innovazione e conciliazione, emerge una buona propensione all innovazione ed in particolare di processo, propensione che non 53 Programma Regionale Imprenditoria Femminile, DI SILVETSRE S., BONANNO S., MAZZA M.F., MINARELLI M., Imprenditoria Femminile in Emilia-Romagna: traiettorie di sviluppo e processi di valorizzazione, Bologna 24 ottobre Ci si riferisce all indagine qualitativa inserita nel volume Women in Innovation 2 a cura di Mazza, Picca, Di Silvestre - Giugno 2008 Regione Emilia Romagna. 83

84 sembra influenzata dalla dimensione micro e piccola dell impresa. Per le cooperative in regione Emilia - Romagna, il dato significativo è relativo all aumento di quelle femminili nel triennio pari al 15%, tasso superiore a quello di crescita nazionale. Il settore prevalente è quello della sanità e altri servizi sociali. Dall indagine effettuata nelle società di capitali femminili si evincono alcune tendenze importanti per valutare la tenuta e la solidità delle imprese regionali. Il valore della produzione prodotto dalle imprese femminili nel 2006 è di 2,24 miliardi di euro, il 15% in più rispetto al 2004; decrescono le aziende con euro di fatturato; crescono le aziende medio grandi e aumenta il valore della produzione del 16%. I costi del personale per impresa femminile crescono del 15% e sempre nel 2006 complessivamente le immobilizzazioni immateriali (spese per ReS; brevetti industriali, opere d'ingegno, concessioni, licenze e marchi) ammontano ad oltre 59 milioni di euro pari al 10% rispetto al totale delle immobilizzazioni. Si rivelano performance positive dell indice di disponibilità garantendo una buona liquidità e solvibilità delle imprese femminili (società di capitali). L'indice strutturale relativo alla copertura delle immobilizzazioni mostra come le fonti di finanziamento interne ed esterne riescono a coprire interamente le immobilizzazioni e questo appare un dato in crescita. Le imprese femminili attive crescono in 5 anni di 4.395, equivalente al 5,3%. Si osserva anche un lento ma progressivo aumento dell incidenza delle imprese femminili sul totale delle imprese attive (che passa infatti a livello regionale dal 19,9% del 2003 al 20,3% del 2007). A fine 2007 la distribuzione provinciale delle imprese femminili in regione, vede primeggiare Bologna con il 20,8% pari a imprese, seguita da Modena con il 15,8% (13.747) e Reggio Emilia con il 10,6% (9.271); Piacenza occupa la nona posizione con il 7,3% corrispondente a imprese. 84

85 La distribuzione settoriale dell imprenditoria femminile in regione si concentra nel commercio (28,6%) seguito dal comparto agricolo (18,1%); nel quinquennio le attività manifatturiere (12,1%) cedono la terza posizione ai servizi nel settore immobiliare, informatica e ricerca (14,3%) che da solo assorbe il 65% dell intero volume di crescita delle imprese femminili con un saldo positivo di ben aziende. La forma giuridica più diffusa tra le imprese femminili, pur in riduzione, continua ad essere l impresa individuale con il 67,5% (contro il 71,8% del 2003), ma spicca l aumento significativo delle società di capitale la cui consistenza è passata dalle imprese del 2003 alle del 2007, con un incremento proporzionale del proprio peso sul totale delle imprese femminili in regione dal 5,5 al 10,2% (+85,5%). La popolazione delle imprese femminili esprime realtà imprenditoriali giovani e giovanissime desumibili dall anno di iscrizione nel Registro Imprese: la maggioranza relativa (43,8%) è costituita da imprese iscritte dopo il 2000, cioè con meno di sette anni di attività, a seguire con il 33,9% quelle con meno di diciassette anni di vita; poco più di un'impresa su cinque è stata avviata prima del La Regione Emilia-Romagna ha promosso e co-finanziato dal 2001 tre programmi regionali per l'imprenditoria femminile: I PROGRAMMA ( ,57 di cui di risorse regionali); II PROGRAMMA ( ,60 di cui ,30 di risorse regionali); III PROGRAMMA ( ,80 di cui di risorse regionali). 85

86 Graf. 1 - Imprese femminili in Emilia-Romagna valore assoluto ( ) 55 Graf. 2 - Imprese femminili in Emilia Romagna percentuale ( ) Aumenta l'incidenza delle imprese femminili sul totale delle attive. 55 Fonte: elaborazione Area studi e ricerche Unioncamere Emilia-Romagna su dati del Registro delle imprese 86

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