Lezione 2. p[kg] = h[cm] - 100

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1 Lezione 2 Evidentemente non ha senso porsi il quesito se una grandezza è piccola o grande rispetto ad un altra se le due grandezze non hanno le stesse dimensioni. In generale non sempre le relazioni che utilizziamo sono equidimensionali. In altri termini se si cambiano le unità di misura delle grandezze in esame non sempre le relazioni restano invariate. Esistono relazioni empiriche che non hanno queste proprietà, anche se tali relazioni, specialmente nel nostro settore, sono molto rare ed il loro uso, in genere, denuncia la mancanza di un consistente modello del fenomeno che l equazione descrive. Se non vi viene in mente una relazione che non sia equidemensionale vi propongo un banale esempio. Si sostiene che il peso di un individuo in kg dovrebbe essere pari alla sua altezza in centimetri diminuita di 100. Quindi: p[kg] = h[cm] E evidente che queste relazione non è equidemensionale e non si conserva per esempio se misuriamo l altezza in metri e il peso in grammi, né tanto meno se il peso è misurato in libbre e l altezza in piedi. In effetti i termini presenti nella relazione non hanno tutti le stesse dimensioni! Noi faremo l ipotesi di avere a che fare solo con relazioni ed equazioni equidimensionali. Dimostreremo in seguito, ma è intuitivo di per sé, che ogni equazione equidemensionale può essere trasformata in una equazione tra numeri che coinvolge quindi solo grandezze che non hanno dimensioni. Ma prima di passare alla teoria generale cominciamo a prendere confidenza con il problema su di un caso concreto. Immaginiamo la semplice equazione del moto di un corpo rigido (se volete puntiforme lanciato verticalmente dalla superficie di un corpo celeste (la terra, per esempio di raggio R sulla cui superficie è data l accelerazione di gravità g. L equazione è (3: d 2 x * dt *2 gr 2 = ( R + x * 2 E la semplice applicazione della prima legge di Newton F = ma, dove: 1

2 F = G mm ( R + x * 2 e l accelerazione è, evidentemente, la derivata seconda dello spostamento x *, che abbiamo misurato a partire dal raggio R del corpo celeste. Dividendo per m e ponendo g = GM si ottiene l equazione (3. Questa equazione potrebbe descrivere anche il moto di una particella lanciata con una certa velocità iniziale della superficie del sole, e descrivere quindi la dinamica di una fiammata solare (solar flear. In generale noi sappiamo che se la velocità iniziale non è troppo grande tale moto sarà caratterizzato da una continua decelerazione del proiettile fino a raggiungere un altezza massima h dalla quale esso comincia la sua discesa. E evidente che l altezza massima dipende dalla velocità iniziale. Naturalmente se tale velocità è abbastanza grande (maggiore della cosiddetta velocità di fuga il proiettile non ritorna più sulla superficie del corpo originario. Noi siamo interessati, per scopi didattici ovviamente, al caso in cui la velocità iniziale del corpo sia abbastanza piccola (vedremo in seguito rispetto a che! e fingeremo di ignorare che in realtà l equazione è facilmente direttamente integrabile come in seguito mostreremo. Vogliamo dunque sfruttare il fatto che la velocità iniziale è piccola, ma apparentemente tale velocità non compare direttamente nell equazione ma solo nelle condizioni iniziali che sono appunto: x( 0 = 0; x ( 0 = V; Per mettere ordine cominciamo a dare all equazione, che è evidentemente equidimensionali, una forma in cui compaiono solo grandezze adimensionali. Il procedimento generale è quello di sostituire le variabile dipendenti e indipendenti con altre che siano adimensionali dividendo le variabili originari per opportune costanti delle stesse dimensioni. Per esempio per la distanza x* una scelta immediata e quella di introdurre la variabile dimensionale y=x * /R, con il ché l equazione diventa d 2 y dt *2 = g ( 2 R 1 + y 2

3 Bisogna ancora rendere dimensionale la variabile indipendente t. In effetti tra i parametri del problema il primo tempo caratteristico che possiamo immediatamente (ma ingenuamente identificare è VR -1, e quindi possiamo introdurre la nuova variabile τ = t * VR -1 con il chè si ha: d 2 dt *2 = R 2 V 2 d 2 dτ 2 In conclusione l equazione diventa ε d 2 y dτ = y con: ε = V 2 Rg ( 2 Quando la velocità iniziale è piccola rispetto a R g, il parametro adimensionale ε è piccolo e quindi potremo tentare di trovare una soluzione approssimata con le tecniche che stiamo provando a sperimentare. Si noti che ora le condizioni iniziali sono: y( 0 = 0; y ( 0 = 1; Prima di andare avanti facciamo qualche considerazione. Il procedimento usato è del tutto generale, si potrebbe dimostrarlo, ma non ne vale la pena ora: rendendo adimensionali le variabili, l equazione assume una forma in cui compaiono solo grandezze adimensionali, naturalmente se l equazione originale era equidimensionale! Dall operazione derivano combinazioni adimensionali delle grandezze in gico, come ε per esempio, che chiameremo prodotti adimensionali. Torneremo in seguito diffusamente su questo aspetto. In principio la scelta delle grandezze di riferimento caratteristiche mediante le quali rendere dimensionali le variabili è del tutto arbitraria. Fortunatamente essa non è unica; se ciò non fosse nel nostro caso saremmo nei pasticci. Infatti nell approssimazione ε 0 (cioè V molto piccolo essa diventa: 1 = 0 ( 1 + y 2 3

4 Che evidentemente non ammette soluzioni. La soluzione per ε = 0 è molto importante perché essa è il primo passo del procedimento, che abbiamo detto metodo perturbativo, che ci consente di trovare successive approssimazioni sempre migliori della soluzione. Anche in questo caso, così come abbiamo fatto per le equazioni algebriche, esso consiste in linea di principio nell immaginare la soluzione chiamiamola x - funzione sia della variabile indipendente (t, per esempio che del parametro piccolo ε e cercarne uno sviluppo del tipo (4: x( ε, t = x 0 ( t + εx 1 ( t + ε 2 x 2 ( t +... Se manca x 0 (t il procedimento non può svilupparsi. Evidentemente nel caso precedente abbiamo sbagliato la scelta delle grandezze caratteristiche! Proviamone un altra: z = x* R τ 1 = t * Rg 1 Infatti anche Rg 1 ha le dimensioni di un tempo. Con questa scelta si ha: d 2 z 1 = dτ 1 ( 1 + z 2 z( 0 = o; z ( 0 = ε 1 2 Anche questa scelta è inopportuna in quanto la soluzione per ε = 0 ha posizione iniziale e derivata prima nulle e quindi può dare solo soluzioni negative! Abbiamo bisogno di un criterio per scegliere le grandezze caratteristiche! In effetti il criterio c è ed è il seguente. Se noi vogliamo poter con sicurezza far tendere ε a zero senza che il problema degeneri dobbiamo essere sicuri che tale parametro sia l unico arbitro dell ordine di grandezza dei termini in gioco. Ciò richiede che i termini che coinvolgono le variabili dipendenti e indipendenti siano tutti di ordine di 4

5 grandezza unitario cioè non si discostino molto dal valore unitario. Prendiamo in considerazione la distanza x*; qual è il suo presumibile ordine di grandezza se ε è sufficientemente piccolo? Se ε è piccolo x* sarà abbastanza piccolo rispetto ad R e quindi per valutarne l ordine di grandezza possiamo assumere che la decelerazione del proiettile si mantenga costante al valore g che ha sulla superficie S del pianeta. In tal caso, come sappiamo dal moto uniformemente accelerato, il proiettile arriverà a fermarsi dopo un tempo pari V/g. Per valutare la distanza percorsa in tale tempo moltiplichiamolo per la velocità media che è (V+0/2 e otteniamo un valore di V 2 /2g. Trattandosi di una stima, evidentemente, è assurdo conservare il valore 1/2 e possiamo concludere che x* max deve essere dell ordine di V 2 /g. Scegliamo questa distanza come lunghezza caratteristica e poniamo x = gx * t = t * T V 2 Con T ancora da definire. L equazione diventa V 2 T 2 g d 2 x dt = g *2 ( xε A questo punto se vogliamo che la nuova accelerazione sia anche essa di ordine unitario dobbiamo imporre V 2 /T 2 g 2 1ed ottenere: T = V g L equazione diventa: d 2 x dt 2 1 = ( 1 + εx 2 con: x( 0 = 0; x ( 0 = 1 e: 5

6 ε = V 2 Rg In questa forma il problema all ordine zero non perde significato: d 2 x 0 dt 2 = 1 E ci da x 0 = t 2 O anche: 2 + t x 0 * = g t *2 2 + Vt * Che è il moto di un corpo uniformemente accelerato (decelerato, in effetti! che ci attendevamo! La differenza è che ora il problema è predisposto per consentirci di determinare successive approssimazioni migliori di quella trovata, perché abbiamo una soluzione all ordine zero. Proviamo a calcolare una migliore approssimazione della nostra soluzione. Ponendo la (4 nella nostra equazione, a primo membro otteniamo: x 0 + ε x O( ε 2 Bisogna sviluppare anche il secondo membro in potenze di ε: f (ε = ( 1 + εx 2 = f (0 + f ε 0 ε + O( ε 2 = 1 + 2x 0 ε + O( ε 2 Eguagliando i termini con le stesse potenze di epsilon si ottengono i due sistemi: x 0 = 1 x 0 = 0 x 0 = 1 e x 1 = 2x 0 x 1 ( 0 = 0 x 1 ( 0 = 0 6

7 Dal primo si ottiene la soluzione all ordine zero già trovata: x 0 = t t e dal secondo: x 1 = t 3 3 t 4 Per cui: 12 x( t,ε = t t + ε t 3 3 t 4 + O ε 2 12 ( Il secondo termine, per ε piccolo e t di ordine di grandezza unitario si ricordi come abbiamo scalato il tempo! è effettivamente piccolo, il ché giustifica la nostra approssimazione iniziale e ci dà anche un termine correttivo. All ordine 0 il tempo impiegato a raggiungere la massima distanza dal suolo, che si ottiene annullando la derivata della soluzione x 0 (t, è t m =1. La corrispondente distanza massima è x m =1/2. Una correzione a questi valore si può ottenere trovando il tempo t m che annulla la derivata prima all ordine ε: t m ε t 2 m t 3 m = 0 3 tenendo conto che anche t m và sviluppato in potenze di ε: t m = t 0m + εt 1m + O( ε 2 Si trova t 1m = 2/3, e quindi t m = ε +... x m = ε +... Se proseguiamo fino all ordine ε 2, si ottiene: 7

8 t m = ε ε O( ε 3 x m = ε ε O( ε 3 E facile immaginare ora come la storia continua: x m = 1 2 n= 0 ε 2 n o anche: x m = 1 2 ε che è appunto la soluzione esatta. 8

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