EMATOLOGIA AUTOTRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE NELLE EMOLINFOPATIE. direttori della collana Franco Mandelli, Giuseppe Avvisati

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1 EMATOLOGIA 1 direttori della collana Franco Mandelli, Giuseppe Avvisati AUTOTRAPIANTO DI CELLULE STAMINALI EMOPOIETICHE NELLE EMOLINFOPATIE 9 Giovanna Meloni, Marco Vignetti Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia Università degli Studi La Sapienza - Roma

2 EMATOLOGIA DIRETTORI DELLA COLLANA Franco Mandelli, Giuseppe Avvisati Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia Università La Sapienza, Roma ACCADEMIA NAZIONALE DI MEDICINA REDAZIONE P.zza della Vittoria, 15/ Genova Tel. 010/ Fax 010/ edit@accmed.net http: // DIREZIONE Luigi Frati - Stefania Ledda COORDINAMENTO EDITORIALE Gabriella Allavena PROGETTO GRAFICO Giorgio Prestinenzi IMPAGINAZIONE Giuliana Vaglio, Maria Grazia Granata SERVIZIO STAMPA EFFE di Ugo Fraccaroli - Via Cesiolo, Verona 1999 Forum Service Editore s.c.a r.l. P.zza della Vittoria, 15/ Genova Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte del libro può essere riprodotta o diffusa senza il permesso scritto dell'editore

3 INDICE INTRODUZIONE 1 SCREENING PRE-TRAPIANTO 2 LE CELLULE STAMINALI 3 IL CONDIZIONAMENTO 4 LEUCEMIE ACUTE 5 LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA 6 LEUCEMIA LINFOIDE CRONICA 7 LINFOMI NON HODGKIN A ISTOLOGIA AGGRESSIVA 8 LINFOMA FOLLICOLARE 9 LINFOMA DI HODGKIN 10 MIELOMA MULTIPLO 11 MIELODISPLASIE 12 DOPO L AUTOTRAPIANTO: L IMMUNOTERAPIA 13 LE MALATTIE AUTOIMMUNI 14 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 15 BIBLIOGRAFIA GENERALE 16 LE DIAPOSITIVE

4 ABBREVIAZIONI Bu CSE CSP CVC Cy Cya DHAP EBMT ECG EFS GITMO GM-CSF GvHD GvL HIV IFM IFN IL LAK LAP LDH LH LLA LLC LMA LMC LNH MDS MM NK PCR RC SCO SLM TAC TBI TMO VES busulfano cellule staminali emopoietiche cellule staminali periferiche catetere venoso centrale ciclofosfamide ciclosporina schema di polichemioterapia utilizzato nei linfomi, composto da desametasone, citarabina ad alte dosi, cisplatino European Blood and Marrow Transplant Group (Gruppo Europeo di Trapianto di Midollo) elettrocardiogramma sopravvivenza libera da eventi Gruppo Italiano Trapianto di Midollo Osseo granulocyte macrophage colony stimulating factor graft versus host disease graft versus leukemia virus dell immunodeficienza umano Intergruppo Francese Mieloma interferone interleuchina lymphokine activated killer leucemia acuta promielocitica lattato deidrogenasi linfoma di Hodgkin leucemia linfoide acuta leucemia linfoide cronica leucemia mieloide acuta leucemia mieloide cronica linfoma non Hodgkin mielodisplasia mieloma multiplo natural killer polymerase chain reaction remissione completa sangue da cordone ombelicale sopravvivenza libera da malattia tomografia assiale computerizzata irradiazione corporea totale trapianto di midollo osseo velocità di eritrosedimentazione

5 INTRODUZIONE DEFINIZIONE Il primo autotrapianto riportato nel registro italiano del GITMO (Gruppo Italiano Trapianto di Midollo Osseo) risale al 1979, ed è stato eseguito a Pesaro in un paziente affetto da leucemia mieloide acuta. Da allora, e per i primi anni 80, l autotrapianto è stato in linea di massima considerato come alternativa terapeutica al trapianto di midollo allogenico da offrire ai malati che non avevano un fratello HLA compatibile. La procedura di autotrapianto consiste essenzialmente nella reinfusione del midollo osseo, prelevato al paziente in una fase idonea della malattia, per lo più in remissione completa, dopo una chemioterapia ad alte dosi, associata o meno all irradiazione corporea totale. Il trattamento ad alte dosi era eseguito con lo scopo di ottenere una completa eradicazione delle cellule neoplastiche, e la successiva reinfusione di midollo osseo autologo permetteva di superare la barriera più grave della tossicità ematologica, rappresentata dall aplasia midollare irreversibile. Con il trascorrere degli anni, i progressi della ricerca biomedica, sia clinica sia pre-clinica, hanno portato a profonde modifiche delle procedure dell autotrapianto. Le cellule staminali reinfuse dopo la terapia ad alte dosi sono oggi ottenute più frequentemente dal sangue periferico che non dal midollo osseo, e alcuni protocolli terapeutici prevedono la somministrazione sequenziale di due o più cicli di chemioterapia intensiva ognuno seguito da reinfusione di precursori emopoietici per accelerare la risalita di neutrofili e piastrine. Contemporaneamente, i progressi nella terapia di supporto, l acquisizione di una più ampia esperienza nei trattamenti chemioterapici convenzionali e, soprattutto, la disponibilità dei fattori di crescita emopoietici, hanno portato a schemi di chemioterapia fortemente citoriduttivi, simili a quelli utilizzati per l autotrapianto, anche se non seguiti da reinfusione di cellule staminali autologhe. Pertanto, dal punto di vista strettamente biologico, esiste un confine sempre meno netto tra quelle che erano considerate le componenti proprie della procedura di autotrapianto e altri schemi di terapia. A questo proposito, sia a livello nazionale sia internazionale, è in corso un dibattito sulla definizione di ciò che può essere considerato un autotrapianto e ciò che va annoverato nella terapia convenzionale. Una possibile definizione, comunque non ufficiale né definitiva, potrebbe essere quella di trattamento che comporta la necessità della rein- 1

6 fusione di precursori emopoietici per ottenere una ripresa dell emopoiesi. In altre parole, la reinfusione di cellule staminali emopoietiche, ottenute sia da midollo osseo che da sangue periferico, oggi può essere considerata una condizione necessaria, ma non sufficiente, per poter parlare di autotrapianto. 2 E M A T O L O G I A

7 SCREENING PRE-TRAPIANTO 2 Le procedure per arrivare a eseguire un autotrapianto iniziano ben prima del momento in cui il paziente si ricovera per iniziare il condizionamento; infatti l autotrapianto essendo, nella maggior parte dei casi, un intervento da eseguire in elezione e non in emergenza, deve essere programmato e il paziente va preparato e studiato accuratamente prima di essere avviato al ricovero e alla terapia mieloablativa. Questo aspetto assume un importanza particolare quando la procedura viene eseguita in un centro diverso o addirittura in una città diversa da quella in cui il paziente viene seguito abitualmente. 2.1 STATO DELLA MALATTIA La cosa più importante da verificare è lo stato della malattia. La maggior parte dei problemi per i quali non viene eseguito un trapianto programmato sono legati a questo aspetto. L autotrapianto va eseguito quando esistono delle indicazioni obiettivamente documentate della sua utilità, oppure nell ambito di studi clinici prospettici di valutazione; in entrambi i casi, lo stato della malattia è uno dei fattori determinanti nello stabilire l idoneità del paziente alla procedura. Naturalmente ciò è correlato anche al tipo di patologia; per esempio, allo stato attuale delle conoscenze, un autotrapianto è indicato nelle leucemie acute in remissione completa, ma anche nei linfomi e nei mielomi in remissione parziale. Questo non deve essere considerato come un limite, come una disparità di trattamento tra pazienti fortunati e altri meno fortunati; lo stato della malattia va accertato e confermato immediatamente prima dell inizio della procedura, perché altrimenti il paziente potrebbe ricevere un trattamento non utile per la sua condizione, che lo espone a rischi anche di vita e potrebbe perdere l occasione per ricevere una terapia più corretta che gli offra maggiori probabilità di sopravvivenza. Lo stato della malattia pertanto va prima valutato per definire l indicazione terapeutica; successivamente va ricontrollato al momento del trapianto, soprattutto se passa un intervallo di tempo rilevante (diverso da patologia a patologia) tra il momento in cui è stata fatta la prima valutazione e il ricovero. Infatti non è infrequente che un paziente si 3

8 ricoveri e, al controllo dell aspirato midollare o a un accertamento radiologico, fatti immediatamente prima dell inizio del condizionamento, si scopra che lo stato della malattia è cambiato. Gli esami per effettuare la verifica ovviamente differiscono in rapporto alla diagnosi: nelle leucemie acute sarà sufficiente, nella maggioranza dei casi, un aspirato midollare eseguito non più di una settimana prima dell inizio del condizionamento; nei linfomi andranno valutati gli esami necessari a stadiare la malattia in rapporto alle sue localizzazioni e al suo comportamento. 2.2 SCREENING INFETTIVOLOGICO Il paziente sottoposto a una terapia ad alte dosi corre il rischio di comparsa di complicanze infettive durante il periodo di aplasia. Oggi l impiego di una terapia collaterale estremamente efficace e di colture di sorveglianza hanno permesso di ridurre l incidenza di complicanze letali determinate dalle infezioni batteriche; inoltre, la riduzione del periodo di aplasia, ottenuta con l uso di precursori emopoietici prelevati da sangue periferico e/o dei fattori di crescita, è associata a una minore probabilità di infezioni anche fungine. Dobbiamo però ricordare che il paziente che giunge a un autotrapianto è stato sottoposto, quasi sempre, a uno o più trattamenti chemio e/o radioterapici, che possono aver provocato gravi complicanze infettive, soprattutto fungine, che, anche se apparentemente guarite, sono a rischio di recidiva nel corso di una nuova profonda e prolungata aplasia. Il paziente va pertanto sottoposto a un accurato esame clinico, batteriologico (tamponi, eventuali emocolture dal catetere venoso centrale e da vena periferica), ecografico (per lo studio del fegato e della milza) e radiologico, includente eventualmente anche una TAC total-body con mezzo di contrasto. Tali accertamenti hanno un razionale basato su due aspetti: il primo è la ricerca di eventuali processi infettivi, o di loro esiti; il secondo, che purtroppo è molto spesso poco considerato, è la documentazione delle condizioni basali del paziente, cui fare riferimento nel corso del trapianto. Infatti durante l aplasia, in caso di febbre non rispondente alla terapia antibiotica empirica e in assenza di accertamenti colturali positivi, l identificazione di una lesione dubbia alla TAC può assumere significati diversi se questa era già presente all esame eseguito prima del trapianto o se è insorta successivamente. L eventuale identificazione di lesioni sospette durante lo screening infettivologico non deve essere considerato un criterio di esclusione definitivo dalla procedura autotrapiantologica. La lesione va invece studiata più accuratamente, discussa con il consulente infettivologo, interpretata alla luce della precedente storia clinica. Se esistono dubbi rilevanti sulla sua origine va valutata la fattibilità di un accertamento 4 E M A T O L O G I A

9 diagnostico invasivo. Un classico esempio dell utilità preventiva di uno screening infettivologico è la documentazione di una lesione polmonare esito di un aspergilloma che può portare alla decisione di eseguire ugualmente l autotrapianto, ma sotto terapia antifungina da iniziare al momento della granulocitopenia e da sospendere al momento della risalita dei neutrofili. Il paziente, grazie a uno screening ben fatto, beneficia ugualmente dell autotrapianto, ma riduce i rischi connessi con l insorgenza delle complicanze. Nell ambito dello screening infettivologico va considerato anche lo studio dei virus dell epatite e dell HIV SCREENING METABOLICO E CARDIOVASCOLARE Ovviamente un importanza tutt altro che trascurabile assume anche la valutazione della funzionalità degli organi e apparati. Questo prevede l esecuzione di tutti gli esami emato-chimici per la funzionalità epatica e renale, oltre a un accurato studio cardiologico, con ECG ed ecocardiogramma per la valutazione della frazione di eiezione ventricolare. Questi accertamenti permettono di modificare, in caso di necessità, la terapia di condizionamento, in modo da utilizzare farmaci con diversa tossicità d organo in rapporto alle condizioni del paziente; un esempio abbastanza classico è l impiego del melphalan al posto della ciclofosfamide nel condizionamento dei linfomi, se esiste un rischio di tossicità cardiaca elevato. La Figura 1 mostra un modello di scheda di valutazione dell eleggibilità di un paziente per autotrapianto. In conclusione, lo screening pre-trapianto va eseguito nel periodo immediatamente precedente il ricovero per l inizio del condizionamento; e va concentrato in tempi brevi, perché gli esami eseguiti più precocemente non perdano di significato prima di completare tutti gli altri accertamenti. Non è facile coordinare tutto perfettamente, soprattutto in considerazione della difficoltà di programmare il ricovero con approssimazione sufficiente, ma è uno sforzo importante poiché lo screening, oltre che escludere il paziente dalla procedura trapiantologica, permette di ridurre i rischi di complicanze, anche letali, durante la terapia. 2.4 PRE-DEPOSITO PER AUTOTRASFUSIONE Nei casi in cui è previsto l espianto di midollo osseo, va sempre valutata l utilità di effettuare il pre-deposito di sangue autologo, per 5

10 Figura 1 Richiesta di ricovero per autotrapianto Cognome: Nome: Sesso: Data di nascita: / / Recapito telefonico: / Diagnosi: Data diagnosi: / / Fase di malattia: Assetto Ag/Ab per Epatite B e C Medico proponente: Indicazione all AUTO: Tipo di AUTO: MO SP CVC già posizionato: NO SI Breve sintesi della precedente storia clinica e terapeutica del paziente: Evento: Data / / / / / / / / / / / / / / / / / / Note: Data presentazione richiesta al reparto: / / Firma Data ricovero: / / Firma 6 E M A T O L O G I A

11 disporre di un autotrasfusione in occasione del prelievo. Questa procedura può avere una scarsa rilevanza nei pazienti con leucemia acuta, che hanno per lo più ricevuto un elevato numero di emocomponenti durante i trattamenti chemioterapici prima dell autotrapianto; ma può essere significativa in pazienti con linfomi o con mielomi che hanno ricevuto poche, a volte nessuna, trasfusioni prima del trapianto e che potrebbero riceverne pochissime dopo IL CATETERE VENOSO CENTRALE A questo proposito, possono verificarsi diverse situazioni: 1. il paziente non ha un catetere venoso centrale (CVC) e fa il trapianto con cellule staminali midollari: il CVC va inserito prima del ricovero, in modo da avere un intervallo di tempo (48-72 ore) sufficiente a verificare che sia perfettamente funzionante e che non vi siano complicanze conseguenti all inserimento 2. il paziente non ha un CVC e fa il trapianto con cellule staminali periferiche: deve essere pianificata la scelta di un CVC che possa, eventualmente, essere utilizzato anche per eseguire le aferesi, in modo da ottimizzarne l impiego 3. il paziente ha già un CVC. In questo caso va verificata l idoneità del tipo di catetere con il centro trapianti. Ad esempio, un catetere Porth-Cat non è utilizzabile per l autotrapianto, perché può presentare problemi durante la reinfusione; quasi sempre conviene estrarlo e ri-posizionare un CVC convenzionale. 7

12 LE CELLULE STAMINALI 3 Le cellule da reinfondere possono essere ottenute o da midollo osseo o da sangue periferico dopo mobilizzazione con chemioterapia e/o fattori di crescita emopoietici. Il prelievo di midollo osseo ha rappresentato per anni l unica procedura per ottenere le cellule emopoietiche staminali da utilizzare per l autotrapianto. L esistenza, nel sangue periferico, di cellule staminali in grado di garantire una ricostituzione emopoietica completa era già stata dimostrata, ma la possibilità di ottenerne quantità adeguate per garantire un attecchimento dopo terapia mieloablativa è emersa solo alla fine degli anni 80, quando si è osservata la comparsa di quantità elevate di cellule CD34 + nel sangue periferico di pazienti al momento della ripresa emopoietica dopo chemioterapia da sola o associata a fattori di crescita. Pertanto, sul finire degli anni 80 e nel corso dei primi anni 90, si è andato sempre più diffondendo l autotrapianto con cellule staminali periferiche (CSP) che ha rapidamente dimostrato, in tutte le patologie ematologiche e non, di essere associato a un netto vantaggio in termini di ripresa emopoietica, con riduzione della tossicità del trapianto e riduzione dei tempi di ricovero. La decisione sul tipo di cellule staminali da utilizzare per l autotrapianto può essere legata al tipo di malattia (oggi la quasi totalità degli autotrapianti nei linfomi e nei mielomi viene effettuata con cellule da sangue periferico), ma anche alle condizioni cliniche del paziente considerando che le CSP permettono un attecchimento più rapido e quindi un più breve periodo a rischio correlato all aplasia terapeutica. Riassumendo, i progenitori emopoietici utilizzabili nell autotrapianto possono essere ottenuti tramite le seguenti metodiche: prelievo di midollo osseo: si esegue in anestesia generale o spinale; quindi è indispensabile attivare una sala operatoria. I rischi sono essenzialmente connessi all anestesia generale. Il prelievo si esegue prevalentemente dalle creste iliache posteriori, più raramente da quelle anteriori e solo raramente dallo sterno; aferesi dopo mobilizzazione con chemioterapia e/o fattori di crescita. Negli ultimi anni l impiego delle cellule ottenute da sangue periferico si è rapidamente diffuso, tanto che nei linfomi e nei mielo- 9

13 mi questa procedura ha sostituito quasi completamente l impiego del midollo osseo. I vantaggi sono quelli legati alla possibilità di non dover ricorrere al prelievo in sala operatoria e alla più rapida ripresa emopoietica con riduzione dei tempi di ricovero e dei rischi di complicanze soprattutto infettive. La procedura di mobilizzazione oggi può essere attuata secondo diverse modalità: la più classica è l associazione della ciclofosfamide con un fattore di crescita; in altre condizioni viene impiegato il fattore di crescita da solo, o associato a un ciclo di chemioterapia eseguito nell ambito del protocollo di trattamento prima dell autotrapianto. Attualmente viene utilizzato quasi esclusivamente il prelievo da sangue periferico in tutte le patologie a eccezione delle leucemie acute mieloidi, dove ancora esiste qualche incertezza sulla sicurezza terapeutica dei fattori di crescita e delle CSP. Al riguardo è in corso uno studio internazionale prospettico randomizzato nei pazienti in prima remissione completa (RC). 10 E M A T O L O G I A

14 IL CONDIZIONAMENTO 4 La terapia di condizionamento è ovviamente il momento fondamentale nella procedura autotrapiantologica. Infatti, mentre nel trapianto allogenico una componente significativa dell azione antitumorale è legata alla cosiddetta reazione del trapianto contro la leucemia (graft versus leukemia - GvL), nel trapianto autologo l azione immunomediata è molto meno definita, e la massima attività contro la malattia resta affidata al condizionamento. Questo concetto è tanto più valido quando si effettua una procedura di purificazione in vitro (il purging ), poiché il ruolo del purging verrebbe annullato dall impiego di un condizionamento poco efficace nell eradicazione della malattia. Il ruolo del condizionamento sarebbe pertanto quello di giungere a una eradicazione della malattia attraverso l uso di farmaci attivi a dosaggi più elevati di quanto si usi nella terapia convenzionale. In realtà oggi sappiamo che, nella maggior parte dei casi, non è possibile ottenere una vera e propria eradicazione della malattia, bensì una condizione definita di malattia minima residua. Per questo la possibilità di modulare un attività immunologica nei confronti delle cellule tumorali residue dopo il trapianto ha acquistato negli ultimi anni un ruolo molto rilevante e il tentativo di provocare una GvL è tuttora tra gli obiettivi più ambiti della ricerca biologica e clinica nell autotrapianto. Comunque, l eradicazione della malattia con il condizionamento è un obiettivo da perseguire in alcune patologie come: le leucemie acute, in cui l autotrapianto si esegue in remissione completa, e probabilmente alcuni tipi di linfomi, quando la terapia ad alte dosi si fa per consolidare o per completare un trattamento chemioterapico convenzionale. Probabilmente diverse sono le considerazioni da tenere presenti in patologie quali le leucemie linfoidi croniche, i mielomi, la leucemia mieloide cronica, i linfomi a basso grado, patologie nelle quali l obiettivo dell eradicazione della malattia non può essere preso in considerazione nemmeno sul piano teorico. Qui il condizionamento ha realmente lo scopo di provocare una citoriduzione massima nei confronti della massa tumorale, con la conseguenza di favorire una ripresa dei cloni cellulari sani rispetto a quelli patologici e di prolungare la sopravvivenza. Ancora diverso è il ruolo della terapia di condizionamento nel trattamento delle malattie in fase florida ; in questi casi la terapia viene eseguita con lo scopo di ottenere una risposta completa o parziale, spesso nell ambito di un programma che prevede una terapia posttrapianto, quale un secondo autotrapianto, o una immunoterapia. 11

15 In questi casi la scelta del condizionamento va valutata tenendo in considerazione anche la tollerabilità e la tossicità dei farmaci alla luce della successiva terapia programmata, spesso a breve distanza. Recentemente, alcuni gruppi stanno utilizzando schemi terapeutici basati su cicli di chemioterapia seguiti da reinfusione di CSP somministrati in sequenza a breve distanza; la reinfusione di CSP permette una più precoce risalita dei granulociti e quindi consente di ridurre i tempi di intervallo tra un ciclo e l altro. Queste procedure sono convenzionalmente definite trapiantino, e non vengono considerate come un autotrapianto vero e proprio. Il condizionamento va scelto sempre considerando attentamente gli effetti collaterali in termini di tossicità extra-ematologica, poiché deve consentire la somministrazione di diversi farmaci in un intervallo di tempo relativamente breve senza tossicità proibitiva. Un ultima considerazione tra quelle di carattere generale riguarda l inclusione della irradiazione corporea totale (TBI). Storicamente, il condizionamento per il trapianto autologo è derivato da quello dell allogenico, basato quindi sull associazione della TBI con la ciclofosfamide (Cy). Successivamente un gruppo americano di Baltimora ha utilizzato, nelle leucemie acute mieloidi, uno schema basato sull uso del busulfano (Bu) al posto della TBI. Questo schema, successivamente modificato con riduzione della Cy da 200 a 120 mg/kg allo scopo di ridurre la tossicità, ha l indubbio vantaggio di permettere il trattamento autotrapiantologico anche a centri che non hanno la possibilità di eseguire la TBI. Anche in patologie come i linfomi non Hodgkin (LNH) e il mieloma multiplo (MM), in cui l autotrapianto viene eseguito più frequentemente, l impiego o meno della TBI ha rappresentato per anni un elemento di valutazione e di discussione importante specialmente in età pediatrica, dove i danni delle radiazioni sono più rilevanti, e nell età più anziana. In realtà, se si escludono forse le leucemie linfoidi acute (LLA), non esistono studi prospettici che abbiano dimostrato una superiorità di un trattamento di condizionamento in rapporto all impiego o meno della TBI. Al contrario, le valutazioni eseguite fino a oggi, in particolare nella leucemia mieloide acuta (LMA), hanno permesso di documentare che non ci sono differenze rilevanti, tanto che in quasi tutti gli studi cooperativi pluricentrici il condizionamento suggerito è quello con BU + Cy. Nei linfomi non Hodgkin ad alto grado (eccetto il linfoma linfoblastico) e nel morbo di Hodgkin, la TBI nel condizionamento non trova quasi mai indicazione, poiché può compromettere la possibilità di impiegare una successiva radioterapia di consolidamento su una massa residua o in una zona di malattia bulky. 12 E M A T O L O G I A

16 LEUCEMIE ACUTE LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA Con i moderni schemi di polichemioterapia e le migliorate terapie di supporto, è oggi possibile ottenere percentuali di RC in circa il 70% dei pazienti di età inferiore a 60 anni e in circa l 80% dei bambini con LMA. Tuttavia, la remissione non significa guarigione e la terapia postremissionale rappresenta un presidio fondamentale per ottenere l eradicazione della malattia e la possibile guarigione del paziente. Quale sia la miglior terapia post-remissionale è tuttora materia di discussione; in particolare non è ancora perfettamente chiarito il ruolo delle procedure trapiantologiche e della chemioterapia nella strategia terapeutica globale della LMA. I risultati di studi retrospettivi, basati su esperienze di singoli centri o di gruppi cooperativi, hanno suggerito una superiorità terapeutica delle procedure trapiantologiche nei confronti della chemioterapia soprattutto in termini di rischio di recidiva, ma le procedure trapiantologiche, in particolare l allotrapianto, sono associate a un rischio di mortalità particolarmente elevato e quindi, in ultima analisi, la sopravvivenza libera da malattia (SLM) determinata dalle diverse terapie post-remissionali non è significativamente diversa. Tutto ciò ha portato negli ultimi anni a diversi studi prospettici internazionali nell ambito di gruppi cooperativi, che a random valutavano le diverse terapie post-remissionali, nel tentativo di identificare il trattamento migliore e/o gruppi di pazienti che potessero beneficiare delle diverse terapie. Fondamentalmente gli studi sono stati strutturati in maniera abbastanza simile nel senso che dopo la RC tutti i pazienti eleggibili per età che avevano un fratello compatibile venivano avviati ad allotrapianto, mentre gli altri venivano randomizzati ad autotrapianto e/o chemioterapia e/o sospensione del trattamento. Globalmente i risultati di questi studi sia negli adulti sia nei bambini hanno dimostrato quanto già suggerito dagli studi retrospettivi: l allotrapianto è sicuramente la terapia che offre maggiori possibilità di guarigione ed è associato a un basso rischio di recidiva, l autotrapianto presenta un rischio di recidiva superiore a quello dell allotrapianto, ma sicuramente inferiore a quello della chemioterapia convenzionale. Anche tenendo conto di questi dati, non si deve però sottovalutare la possibilità di poter curare un paziente dopo la recidiva, possibilità che è estremamente remota nei pazienti che hanno già effettuato un trapianto, a differenza di quanto si può ottenere nei pazienti che hanno ricevuto solo chemioterapia. Pertanto, nella scelta della migliore terapia post-remissionale nei pazienti con LMA in prima RC di età <60 anni non si può prescindere 13

17 dall analisi dei risultati che con il trapianto non solo allogenico, ma anche autologo, si possono ottenere in seconda RC: più del 30% dei pazienti trapiantati in seconda RC ha la possibilità di divenire lungosopravvivente libero da malattia. In conclusione, il ruolo dell autotrapianto nei pazienti in prima RC di età <60 anni è tuttora in valutazione; in particolare si sta cercando, sia attraverso metanalisi sia con nuovi studi prospettici, di identificare dei criteri utili per selezionare i pazienti che possono beneficiare di terapie diverse in base a diversi fattori di rischio. Al contrario, nei pazienti in seconda o successiva RC l autotrapianto è considerato la terapia di scelta in assenza di donatore compatibile nei pazienti <60 anni e risultano sinora improponibili e impossibili studi di confronto con la chemioterapia. La problematica più attuale nell ambito della procedura autotrapiantologica nella LMA, soprattutto considerando la tossicità ancora legata alla procedura, è rappresentata dalla valutazione dell impiego di precursori emopoietici prelevati da midollo o da sangue periferico. Negli ultimi anni, grazie all impiego dei fattori di crescita emopoietici, sono state messe a punto tecniche di mobilizzazione che hanno permesso un sempre più ampio impiego delle CSP come supporto dopo terapie ad alte dosi. Il vantaggio delle CSP nei confronti delle cellule staminali midollari è rappresentato essenzialmente dalla loro capacità di determinare un più veloce attecchimento con rapida ripresa dell emopoiesi e conseguente riduzione della tossicità e della durata dell ospedalizzazione. Mentre nelle malattie linfoproliferative acute e croniche è ormai codificato l impiego di CSP, nelle LMA il loro impiego è ancora raccomandato nel contesto di studi clinici controllati di confronto con il midollo nei pazienti di età inferiore a 60 anni. Sulla base di dati retrospettivi del Gruppo Europeo di Trapianto di Midollo (EBMT) è emerso come anche nelle LMA l impiego delle CSP determini una più rapida ripresa dell emopoiesi, ma ancora non si può sicuramente affermare che non sia associato a un aumentato rischio di recidiva. Pertanto la validità dell impiego delle CSP nei confronti del midollo deve essere analizzata sulla base di studi randomizzati, quale quello attualmente in corso dell EORTC-GIMEMA (protocollo AML10). Nei pazienti di età superiore a 60 anni, l utilizzazione delle CSP può permettere l estensione dell indicazione alle alte dosi di chemioterapia in pazienti altrimenti non eleggibili a procedure di autotrapianto. 5.2 LEUCEMIA ACUTA PROMIELOCITICA La leucemia acuta promielocitica (LAP), fino a pochi anni fa considerata la forma più grave di LMA sia negli adulti sia nei bambini, è oggi, 14 E M A T O L O G I A

18 grazie all introduzione nei protocolli chemioterapici dell acido retinoico, la leucemia mieloide in cui si hanno non solo le percentuali più elevate di remissioni complete, ma anche le maggiori probabilità di sopravvivenza libera da malattia, tanto che circa il 70% dei pazienti di nuova diagnosi trattati ha la possibilità di guarire. La scelta della migliore terapia post-remissionale nella LMA promielocitica, sia in prima che in seconda RC, è legata alla persistenza o meno dell alterazione genetica che è alla base della malattia e quindi risulta indispensabile il monitoraggio molecolare della malattia minima residua. Risultati di numerosi studi hanno chiaramente dimostrato come la persistenza o la ricomparsa, durante la remissione morfologica della malattia, della positività del test con la metodica della polymerase chain reaction (PCR) per il gene ibrido PML/RARa è predittiva di recidiva ematologica entro breve tempo, mentre la ripetuta negatività di tale test si associa con lunghe sopravvivenze libere da malattia e quindi guarigioni. Al momento attuale, il raggiungimento e il mantenimento di una biologia molecolare negativa è universalmente riconosciuto come il principale obiettivo terapeutico nei pazienti con LAP. Tenendo conto di questi risultati, quando il trapianto allogenico e il trapianto autologo trovano indicazione nei pazienti con LMA promielocitica? In un primo momento sembrava logico indirizzare alle procedure trapiantologiche (allotrapianto se presente un fratello compatibile e autotrapianto in assenza di donatore): a. tutti i pazienti in prima RC nei quali persisteva l alterazione molecolare alla PCR; b. tutti i pazienti in seconda RC indipendentemente dalla persistenza o meno della positività del test. Recentemente, da uno studio del nostro gruppo, è nuovamente emersa la necessità delle indagini di biologia molecolare nell indirizzare la strategia non solo terapeutica ma anche trapiantologica nei pazienti con LAP in seconda RC. Nella nostra esperienza i pazienti con biologia molecolare positiva al momento dell espianto sono tutti recidivati; pertanto l autotrapianto in tale situazione non trova indicazioni. Viceversa, in presenza di una biologia molecolare negativa e di fattori di rischio per tossicità, anche in presenza di un fratello compatibile, l autotrapianto dovrebbe dare risultati clinici migliori rispetto all allotrapianto LEUCEMIA LINFOIDE ACUTA Nella LLA le procedure autotrapiantologiche trovano indicazione inferiore rispetto alla LMA. Complessivamente, più del 70% dei bambini e circa il 40% degli adulti ha, con gli attuali schemi di polichemioterapia, 15

19 la possibilità di diventare lungo-sopravvivente libero da malattia, mentre nei pazienti ad alto rischio (prime RC con caratteristiche prognostiche negative, recidive precoci e soprattutto pazienti resistenti, sia bambini sia adulti), solo l allotrapianto offre qualche probabilità di guarigione, con circa il 20 30% di lungo-sopravviventi. Recentemente un gruppo francese ha condotto uno studio prospettico avviando i pazienti in seconda RC con donatore compatibile ad allotrapianto e randomizzando gli altri ad autotrapianto o a chemioterapia. La sopravvivenza globale a 5 anni è stata del 48% per i pazienti allotrapiantati contro il 35% per gli altri, con nessuna differenza tra autotrapianto e chemioterapia. Anche nei pazienti ad alto rischio (presenza del cromosoma Philadelphia (Ph), elevato numero di globuli bianchi, età >35 anni, RC tardiva) il vantaggio dell allotrapianto nei confronti dell autotrapianto (e della chemioterapia) è stato particolarmente evidente: rispettivamente, 44% di sopravvivenza verso 20%. Nella LLA l autotrapianto trova sempre meno indicazione anche nei bambini. Nei pazienti in prima RC i dati di studi retrospettivi o prospettici non mostrano una superiorità rispetto a moderni schemi di polichemioterapia. Pochi studi hanno valutato il ruolo della strategia trapiantologica nella terapia post-remissionale, ma sempre più si tende ad avviare i bambini con caratteristiche di rischio all esordio [quali le traslocazioni (9;22) o (4;11)] ad allotrapianto. Anche nei pazienti in seconda o successiva RC, se la recidiva è precoce, è indicato il trapianto allogenico, poiché con l autotrapianto si ha un elevatissimo rischio di recidiva; solo nei pazienti recidivati dopo una lunga prima RC, schemi di chemioterapia intensiva associati o meno ad autotrapianto possono risultare in sopravvivenze non significativamente inferiori. Anche in tale situazione mancano però studi controllati prospettici tra autotrapianto e chemioterapia. Finora risultati promettenti con l autotrapianto sono stati ottenuti solo nelle recidive isolate extraematologiche in particolare meningee, soprattutto nei bambini. 16 E M A T O L O G I A

20 LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA 6 La leucemia mieloide cronica (LMC) è a tutt oggi una delle patologie in cui la guarigione definitiva può essere raggiunta solo con l impiego del trapianto allogenico. Esistono però delle indicazioni molto precise a tale procedura e la possibilità di ricorrere ai donatori non familiari (da registro) e al sangue da cordone ombelicale (SCO) ha solo di poco aumentato la proporzione di pazienti che possono essere considerati eleggibili per tale terapia. Pertanto, anche se l interferone (IFN) ha profondamente modificato la strategia terapeutica non trapiantologica delle LMC, resta l attenzione a percorrere strade alternative per i casi in cui il trapianto di midollo osseo (TMO) allogenico non è fattibile. Una di queste è l autotrapianto, che va comunque considerato come una terapia sperimentale, e come tale va eseguita nell ambito di protocolli di studio prospettici ben pianificati. Il primo impiego dell autotrapianto nelle LMC risale a oltre 19 anni fa, quando questa procedura è stata utilizzata in pazienti in crisi blastica con lo scopo di ottenere una seconda fase cronica. Dopo un certo entusiasmo iniziale, però, è presto emerso che la durata della seconda fase cronica era sempre breve, con un vantaggio terapeutico assolutamente non apprezzabile. Anche tentativi sperimentali di doppio autotrapianto, il primo per ottenere la seconda fase cronica e il secondo per consolidare il risultato, si sono rivelati deludenti, sia per l elevato prezzo in termini di tossicità sia per la durata della seconda fase cronica, comunque breve. Pertanto, allo stato attuale delle conoscenze, la crisi blastica di LMC non può essere considerata una indicazione per l autotrapianto. Altri gruppi hanno poi valutato il trapianto autologo in prima fase cronica, sia all esordio sia dopo un periodo di trattamento con IFN. I risultati sono stati incoraggianti, e vengono riportate lunghe durate di fase cronica, seppure in piccoli gruppi di pazienti. In realtà però non esistono studi prospettici, controllati o randomizzati che abbiano verificato l effetto dell autotrapianto nei confronti di trattamenti standard (quali l IFN); pertanto non disponiamo oggi di dati sufficienti per valutare il ruolo dell autotrapianto anche in questa fase di malattia. Un approccio particolare è stato seguito dal gruppo di Genova, che ha valutato la possibilità di mobilizzare e prelevare cellule Ph negative con un trattamento chemioterapico (eseguito anche con scopo citoriduttivo), per eseguire successivamente un autotrapianto con cellule Ph negative. 17

21 Questo progetto ha confermato la possibilità di prelevare cellule Ph negative da un paziente con LMC, tanto più efficacemente quanto più il trattamento viene eseguito precocemente dopo la diagnosi; peraltro questa osservazione era già stata documentata in passato da altri gruppi. L efficienza di un simile approccio, in termini di sopravvivenza e di durata di fase cronica, non è però ancora documentata. In conclusione, l impiego dell autotrapianto nelle LMC resta a tutt oggi da considerare un trattamento fattibile, ma non di provata efficacia e dovrebbe essere eseguito solo nell ambito di protocolli clinici sperimentali, possibilmente cooperativi e multicentrici di fase III. Attualmente, nell ambito dell EBMT, è iniziato uno studio prospettico di confronto tra autotrapianto ± IFN e IFN da solo. 18 E M A T O L O G I A

22 LEUCEMIA LINFOIDE CRONICA 7 Le esperienze finora riportate in letteratura non sono numerose e riguardano piccoli numeri di pazienti. Sono state utilizzate alte dosi di chemioterapia e/o radioterapia e cellule staminali da midollo o da sangue periferico. Quale sia il migliore condizionamento è ancora materia di discussione anche se si tende a evitare l impiego della TBI in pazienti già gravemente compromessi per la malattia di base. Sono state utilizzate varie metodiche di purificazione, con utilizzazione, nei pazienti autotrapiantati con cellule midollari, di anticorpi monoclonali specifici e con l impiego, su sangue periferico, di sofisticate apparecchiature che permettono la selezione in negativo o in positivo dei precursori emopoietici. Il trapianto autologo nel paziente con leucemia linfoide cronica (LLC) non è ancora una strategia terapeutica ben codificata; esso deve essere considerato solo nel contesto di studi clinici controllati in pazienti giovani che, per caratteristiche di rischio, sono trattati aggressivamente e ottengono una buona risposta alla terapia. Particolarmente deludenti viceversa sono i risultati dell autotrapianto nei pazienti refrattari. Il problema più importante rimane attualmente quello dell identificazione dei pazienti che, senza correre rischi di tossicità proibitiva, possono trarre vantaggio da una procedura ancora non obiettivamente giustificata sulla base dei risultati disponibili derivati da piccoli studi pilota. L obiettivo terapeutico principale è quello di ottenere un aumento della durata di sopravvivenza nei confronti di altre terapie nuove e non ablative con le quali l approccio trapiantologico deve integrarsi in una strategia terapeutica globale. Sarebbero pertanto di estremo interesse studi prospettici cooperativi con una corretta stratificazione dei pazienti in base ai diversi fattori prognostici non solo clinici, ma anche biologici; questo eviterebbe il proliferare di piccoli studi che, sebbene possano portare a risultati molto promettenti, non permettono di definire la validità terapeutica del trapianto nella LLC. 19

23 LINFOMI NON HODGKIN A ISTOLOGIA AGGRESSIVA 8 Nei linfomi non Hodgkin (LNH) a istologia aggressiva l impiego dell autotrapianto è particolarmente esteso, tanto che il numero complessivo degli autotrapianti per LNH riportato dal registro nazionale italiano del GITMO rappresenta circa il 30% del totale degli autotrapianti per tutte le patologie, compresi i tumori solidi. Sempre nei linfomi ha avuto luogo, tra il 1994 e il 1995, la più significativa rivoluzione nel campo dell autotrapianto: il passaggio dall impiego quasi esclusivo del midollo osseo all utilizzazione quasi esclusiva di CSP. Le indicazioni per l autotrapianto nei linfomi a istologia aggressiva sono state studiate molto accuratamente negli ultimi anni: pertanto è ormai possibile fornire delle linee guida sufficientemente definite in questa patologia, differenti in rapporto alle diverse fasi di malattia. 8.1 LINFOMI IN RECIDIVA Negli anni 80, i risultati ottenuti da singoli centri con l autotrapianto nei pazienti in recidiva si sono dimostrati presto incoraggianti rispetto a quanto si otteneva con la terapia convenzionale, in particolare nei casi in cui la malattia conservava la sua chemiosensibilità (recidive chemiosensibili ). L approccio metodologico utilizzato, su base internazionale, per valutare l efficacia dell autotrapianto, può senz altro essere considerato un modello esemplare di metodologia clinica sperimentale: dopo le prime indicazioni positive, provenienti da piccole esperienze di singoli centri, sono stati condotti studi retrospettivi molto ampi, con lo scopo di verificare i primi risultati su casistiche più numerose e meno selezionate. I dati emersi da questi studi retrospettivi confermavano l ipotesi di efficacia dell autotrapianto e sono stati la base per progettare uno studio prospettico randomizzato internazionale, in cui l autotrapianto è stato valutato nei confronti di un trattamento con chemioterapia convenzionale. Al termine di questo studio, durato 21

24 diversi anni, è stato possibile concludere che l autotrapianto, in questa determinata categoria di pazienti, LNH in recidiva chemiosensibile, permette di ottenere risultati migliori della chemioterapia impiegata, il DHAP, in termini di sopravvivenza globale e di sopravvivenza libera da eventi. Acquisito questo come un dato certo, gli studi attuali sono indirizzati più che altro al miglioramento delle procedure: 1. identificazione di schemi terapeutici più efficaci e tollerabili per: a. ottenere la migliore risposta possibile prima del trapianto, b. ampliare i criteri di eleggibilità al trattamento; 2. valutazione dell immunoterapia dopo il trapianto per il controllo della malattia minima residua; 3. impiego di metodiche di purging con l obiettivo di eliminare o quanto meno ridurre ulteriormente la malattia minima residua. 8.2 LINFOMI REFRATTARI E RECIDIVE NON CHEMIOSENSIBILI Minore chiarezza esiste sulle indicazioni nei pazienti refrattari o in recidiva non più rispondenti alla chemioterapia. Anche se i risultati dei diversi studi indicano sempre una probabilità di sopravvivenza libera da eventi oscillante tra il 10 e il 20%, questo non può comunque essere considerato un dato soddisfacente. Gli attuali orientamenti, in assenza di alternative valide, sono diretti a identificare criteri di rischio che permettano di decidere anticipatamente l indicazione all autotrapianto in pazienti in prima RC prima della recidiva, oppure a valutare farmaci sperimentali con l obiettivo di modulare la multi-drug resistance responsabile della resistenza al trattamento, nel tentativo di ristabilire una sensibilità alla chemioterapia. 8.3 LINFOMI CON RISPOSTA PARZIALE DOPO LA PRIMA LINEA Questa categoria di pazienti è considerata ad alto rischio e fa parte di quel gruppo in cui si ritiene indicato attuare una intensificazione della terapia senza attendere una progressione di malattia. Studi retrospettivi hanno suggerito che l impiego precoce dell autotrapianto può essere utile. Però, contrariamente a quanto è accaduto nei pazienti in 22 E M A T O L O G I A

25 recidiva chemiosensibile, gli studi prospettici non hanno confermato in modo univoco queste indicazioni. In due studi randomizzati l autotrapianto non si è dimostrato superiore alla chemioterapia, mentre in un terzo studio comparativo esso è associato a una maggiore probabilità di sopravvivenza. L interpretazione di questi dati è difficile, sia per l eterogeneità dei pazienti, sia perché resta il problema della valutazione della risposta parziale in pazienti con residuo di malattia di fatto inattivo, ma valutati solo con parametri clinico-radiologici, senza accertamento istologico. Attualmente si ritiene che la valutazione della risposta alla terapia di prima linea deve essere condotta utilizzando le tecniche di diagnostica per immagini più sofisticate, quali la risonanza magnetica nucleare e la scintigrafia con il Gallio 68 e che la dimostrazione di un residuo attivo di malattia rappresenti l indicazione all intensificazione della terapia e a trattamenti sperimentali, anche associati all autotrapianto LINFOMI IN PRIMA REMISSIONE Con gli attuali schemi di polichemioterapia un LNH a grandi cellule è guaribile nel 50-60% dei pazienti, con risultati ancora più positivi in determinate categorie di pazienti. Bisogna pertanto ritenere che, allo stato attuale delle conoscenze, la terapia ad alte dosi non ha un ruolo in questa fase di malattia tanto che, se applicata indiscriminatamente quale consolidamento della prima linea, rischia di portare solo a un incremento della tossicità e della mortalità. Il ruolo della ricerca clinica va pertanto indirizzato a identificare, nell ambito di questa categoria, i pazienti con un rischio di recidiva più elevato, nei quali l intensificazione con le alte dosi può essere associata a un vantaggio terapeutico. Nella Tabella 1 sono indicati i fattori prognostici negativi identificati in diversi studi per il LNH. Recentemente, l International Prognostic Index ha contribuito fortemente a standardizzare la classificazione in gruppi prognostici di questi pazienti; naturalmente però con il tempo emergono altri fattori che possono acquistare un peso rilevante per valutare le probabilità di risposta a lungo termine. In conclusione, in questa categoria di pazienti l autotrapianto non andrebbe considerato una terapia di prima scelta, e va eventualmente utilizzato solo in selezionate categorie di pazienti nell ambito di protocolli clinici sperimentali, sulla base di criteri prognostici ben definiti. 23

26 Tabella 1 International Prognostic Index (aggiustato per l età) Fattori prognostici significativi prima della terapia in 1274 pazienti di età ²60 anni: Stadio (I o II vs III o IV) ECOG performance status (0 o 1 vs >1) LDH (normale vs aumentata) Classe Distribuzione RC SLM Sopravvivenza di rischio (%) (%) a 5 anni a 5 anni (%) in pazienti in RC (%) Basso (0-1 fattori di rischio) Basso-intermedio (1 fattore) Alto-intermedio (2 fattori) Alto (3 fattori) 24 E M A T O L O G I A

27 LINFOMA FOLLICOLARE 9 Solo negli ultimi anni l impiego della terapia ad alte dosi è stato considerato anche nei linfomi cosiddetti a basso grado, intendendo in particolare i linfomi follicolari. Questo perché la storia naturale del linfoma follicolare permette lunghe sopravvivenze e normale qualità di vita in una buona parte dei casi, e la valutazione rischio/beneficio era difficilmente considerata favorevole all impiego dell autotrapianto in questa categoria di pazienti. Negli ultimi anni però l impiego delle CSP e il miglioramento nella terapia di supporto, con riduzione di morbilità e mortalità, hanno portato a considerare l autotrapianto anche per una patologia cronica quale i linfomi follicolari. Peraltro anche nell ambito di questa patologia, caratteristica dell anziano, esiste una percentuale di pazienti relativamente giovani che per caratteristiche di rischio ha una prognosi particolarmente sfavorevole. Così, negli anni 90, sono iniziati programmi terapeutici di alte dosi anche nei pazienti con linfoma a basso grado di malignità. Le problematiche più rilevanti sono illustrate nella Tabella 2. La principale è legata ai criteri di identificazione dei pazienti eleggibili; non possiamo dimenticare infatti che i pazienti con stadio I e II hanno una probabilità di sopravvivenza a lungo termine superiore al 70% anche con trattamenti convenzionali e sarebbe pertanto non etico impiegare in questa categoria un trattamento che va comunque considerato sperimentale. Inoltre, anche la valutazione dell efficacia di un approccio rispetto a un altro, se valutato solo in termini clinici (sopravvivenza, sopravvivenza libera da malattia) in assenza di marker biologici di Tabella 2 Terapia ad alte dosi nei linfomi follicolari: problematiche Selezione dei pazienti Fase di malattia Cellule staminali - Sangue periferico - Midollo osseo - Trattamento in vitro Valutazione dei risultati 25

28 malattia, sarebbe pressoché impossibile, dovendosi confrontare con sopravvivenze dell ordine di molti anni anche con terapia tradizionale. Per questi motivi, sin dalle prime esperienze, l autotrapianto nei linfomi follicolari è stato utilizzato in pazienti con fattori di rischio ben identificabili, legati all estensione della malattia (stadio avanzato, localizzazione extra-linfonodali, LDH elevato, compromissione del midollo osseo) o al suo comportamento con la terapia convenzionale (non risposta alla terapia convenzionale). I primi risultati hanno dimostrato comunque una scarsa attività nei pazienti in fase molto avanzata (seconda recidiva e oltre), mentre risultati soddisfacenti venivano riportati in pazienti trattati in fase più precoce (risposte parziali alla prima linea, seconda remissione, completa o parziale). La Tabella 3 riassume, attraverso gli studi più significativi, l evoluzione delle indicazioni all autotrapianto nei linfomi follicolari. Tabella 3 Terapia ad alte dosi nei linfomi follicolari: studi clinici Bastion, 1995 Haas, 1996 Freedman, 1996 Bierman, 1997 Tarella, 1997 No in fase avanzata La malattia midollare residua non influenza la prognosi Migliore resa e composizione delle CD34 Maggiore sensibilità alla terapia in prima RC In prima linea per pazienti in fase avanzata a cattiva prognosi PCR negativa dopo il purging: fattore prognostico favorevole Il numero di linee di chemioterapia precedenti influenza la prognosi Fattibilità in prima linea Alta percentuale di PCR negativi dopo alte dosi in prima linea prima del trapianto (purging in vivo) Le aferesi PCR positive devono essere purgate In questa patologia un ruolo significativo è rappresentato dalla presenza del riarrangiamento BCL2, presente alla diagnosi in una proporzione elevata di pazienti. Lo studio del riarrangiamento nelle varie fasi di malattia permette di monitorare la malattia residua. Recentemente, inoltre, è stato dimostrato che la scomparsa alla PCR della positività 26 E M A T O L O G I A

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