OTTICA DI BASE E SUE APPLICAZIONI
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1 Antonio Adigrat Settembre 2007 OTTICA DI BASE E SUE APPLICAZIONI IN ASTRONOMIA 1
2 1. PREMESSA Quando ci si avvicina alla osservazione del cielo, dopo le prime, meravigliose, sensazioni, si sente la necessità di cominciare a capire un po' meglio come funzionano gli strumenti e perchè l'occhio nudo non riesce a percepire quelle forme che invece l'oculare ci mostra. Quelle che seguono sono delle brevi note che vogliono accompagnare il neofita in quel processo di crescita che è necessario per potersi considerare un astrofilo compiuto, non hanno nessuna pretesa di completezza ne' di esattezza ma hanno solo lo scopo di introdurre alcuni concetti di base e, soprattutto, di stimolare la curiosità e di spingere il lettore ad appofondimenti su testi senza nessun dubbio più completi e decisamente più qualificati. L'ottica è una scienza molto antica che, tuttavia, si è molto evoluta nel corso dei secoli e i modelli che sono stati proposti per tentare di sitematizzarla sono riusciti a spiegare sempre più fedelmente il comportamento della luce. Oggi i modelli che interessano l'astrofilo e che sono universalmente accettati, per i nostri fini, sono sostanzialmente due: l'ottica geometrica l'ottica fisica A rigore si può affermare che l'ottica geometrica è un caso particolare dell'ottica fisica. Senza voler entrare in dettagli e tecnicismi e volendo semplificare si può affermare che l' ottica geometrica è valida nei casi in cui la lunghezza d'onda considerata è molto più grande della lunghezza caratteristica degli strumenti utilizzati per osservarla; se le due lunghezze, invece, sono paragonabili allora occorre far ricorso all' ottica fisica. Per lo studio del comportamento della luce nei casi di interesse degli astrofili è, generalmente, sufficiente conoscere l'ottica geometrica (anche se in alcuni casi diventa fondamentale conoscere alcuni aspetti di base dell'ottica fisica, per esempio quando si vuole valutare il potere risolvente di un obiettivo). Prima di addentrarci, però, nelle leggi che regolano l'ottica è necessario cercare di capire quale sia la natura della luce. 2. LA LUCE La prima domanda che l'astrofilo si dovrebbe porre è cos'è la luce? La luce è un caso molto particolare di un fenomeno molto più generale ben regolato dalle leggi di Maxwell: la radiazione elettro magnetica. Le radiazioni elettro magnetiche non sono altro che una propagazione di campi elettrici e magnetici nello spazio e oscillanti nel tempo, torneremo in seguito su questo argomento. Ciò che ci interessa, per ora, è sapere che il campo elettro magnetico (d'ora in avanti indicato con EMF) si propaga ad una ben determinata velocità ( velocità della luce, d'ora in avanti V L ) che dipende dal mezzo in cui si sta propagando e che è massima nel vuoto (circa 300'000 km/sec). In tutti gli altri mezzi (aria, vetro, acqua,...) la luce si propaga ad una velocità minore che nel vuoto e 2
3 viene definito indice di rifrazione del mezzo n il rapporto tra la velocità della luce nel vuoto e quella nel mezzo considerato (è ovvio, allora, che maggiore è il valore di n in un mezzo minore sarà la velocità della luce che si propaga in esso!) Un altro parametro che è necassario conoscere è la frequenza di oscillazione dell'emf, come sopra accennato i campi elettrico e magnetico, propagandosi nello spazio, oscillano tra un valore massimo e un valore minimo. Il numero di oscillazioni al secondo è detto frequanza di oscillazione f, lo spazio percorso durante un'oscillazione completa è detto lunghezza d'onda l (normalmente la frequenza si indica con la lettera greca mu (ν), mentre la lunghezza d'onda si indica con la lettera greca lambda (λ)). Da quanto sopra detto si capisce come sia possibile e facile passare dalla frequenza alla lunghezza d'onda conoscendo la velocità di propagazione nel mezzo (in generale è nota l'indice di rifrazione n 1 nel mezzo 1, di può calcolare la velocità di propagazione in quel mezzo dalla definizione di indice di rifrazione mediante la formula: v 1 =V L /n 1 (1) dove v 1 =velocità di propagazione nel mezzo 1 V L =velocità di propagazione nel vuotoù n 1 =indice di rifrazione del mezzo 1 nota ora la velocità di propagazione nel mezzo considerato siamo in grado di calcolare l a partire da f o viceversa, infatti sappiamo che l'efm fa una oscillazione percorrendo uno spazio lambda, allora se è noto lambda possiamo calcolare quante oscillazioni fa in un secondo e, quindi, la frequenza f. Facciamo un esempio, consideriamo un EMF che si propaga nel vuoto con lambda pari a 2cm, vogliamo calcolarne la frequenza f. Poiché il campo si propaga a velocità V L =300'000km/sec, per percorre lo spazio lambda=2cm il campo impiegherà λ/v L secondi (2*10 5 /300'000) cioè circa 6,67*10 11 secondi, pertanto in 1 secondo effettuerà 1/ 6,67*10 11 =1,5*10 10 oscillazioni, e questo è proprio il valore di f cercato, volendo allora semplificare il tutto possiamo scrivere ν=v 1 / λ (2) λ =V 1 /ν (2i) mediante la (2) e la sua inversa (2i) possiamo passare rapidamente da una grandezza all'altra). A questo punto possiamo giustificare la frase iniziale secondo cui la luce è un caso particolare dell'emf, infatti la radiazione elettro magnetica viene classificata in base alla sua frequenza (o lunghezza d'onda) come riassunto nelle tabella 1 e tabella 2. Ma qual è il significato dei numeri riassunti nelle tabella 1 e 2? Per quello che ci interessa, per ora, semplicemente possiamo dire che se il nostro occhio è colpito da un EMF con λ=900mm, per esempio, il nostro cervello non vede niente, se invece il nostro occhio è colpito da un EMF con λ=700nm=7*10 4 mm allora il nostro cervello vedrà un colore rosso! A questo abbaimo già una prima informazione: quello che vediamo appoggiando l'occhio al nostro oculare altri non è che una campo elettromagnetico avente una lunghezza d'onda tra i 400 e i 700nm. 3
4 Occorre ora cercare di capire in che modo la luce si propaga e cosa accade quando incontra qualche ostacolo (che può essere una lente, uno specchio, un filtro, un tappo,...) tabella 1 COLORE LUNGHEZZA D'ONDA (nm) VIOLETTO 420 BLU 470 VERDE 530 GIALLO 580 ARANCIO 620 ROSSO 700 tabella 2 4
5 3. L'OTTICA GEOMETRICA A meno di non usare un telescopio con una aperture dell'ordine del millesimo di millimetro, per quanto detto sopra, si può pensare di poter utilizzare l'ottica geometrica nella grande maggioranze delle situazioni di nostro interesse. Per poter capire come lavorano specchi e lenti utilizzando l'ottica geometrica occorre conoscere solo pochissimi concetti di base: la luce viene vista come dei raggi che si propagano dal corpo che emette radiazione in tutte le direzioni in linea retta finche non incostrano nessun ostacolo; quando un raggio incontra un ostacolo può essere: a) assorbito b) riflesso c) rifratto d) una combinazione più o meno complessa dei tre punti a, b, c. Consideriamo un caso semplice, un raggio di luce viaggia nel vuoto e incontra una superficie di separazione con un altro mezzo (per esempio incontra un pezzo di vetro), il raggio subirà tutte e tre le trasformazioni sopra riportate, sarà infatti in parte assorbito dal pezzo di vetro (che, pertanto si riscalderà), in parte riflesso (cioè tornerà indietro ) e in parte rifratto (cioè attraverserà il pezzo di vetro ma con un angolo diverso da quello di incidenza com vedremo fra un attimo). Cosa significa in parte assorbito, in parte riflesso, in parte rifratto? Significa, semplicemente, che la sua energia iniziale sarà suddivisa in tre parti (normalemente molto diverse fra di loro), unaparte riscalderà il pezzo di vetro, una parte sarà trasportata dal raggio riflesso e una parte dal raggio rifratto. I tre fenomeni di assorbimento, riflessione e rifrazione interessano molto fortemente l'astrofilo osservatore, infatti l'astrofilo dovrà sapere che potrà concentrare i raggi di luce in un punto mediante rifrazione (usando lenti) o riflessione (usando specchi), ma (contrariamente a quanto spesso accade) non dovrà dimenticarsi dell'assorbimento! Per quanto precedentemente detto è ovvio che un raggio perderà tanta più energia quanti più ostacoli incontrerà, è, pertanto evidente cosa accade se utilizziamo un oculare a 4 lenti oppure uno a 9 lenti abbinato ad una barlow a tre lenti e ad una diagonale! A questo punto è arrivato il momento di affrontare le leggi dell'ottica geometrica, esse sono possono essere enunciate in vari modi, quello che ritengo più conveniente è il seguente: Quando un raggio (Ri, raggio incidente) incontra un ostacolo esso potrà essere riflesso e/o rifratto dall'ostacolo stesso, il raggio riflesso (Rs) e il raggio rifratto (Rl) giacciono entrambi nello stesso piano che contiene anche il raggio incidente. Il raggio riflesso formerà con la normale alla superficie dell'ostacolo un angolo Tl pari all'angolo Ti che forma il raggio incidente con la stessa normale. Il raggio rifratto fromerà con la normale alla superficie dell'ostacolo un angolo Ts tale che sia rispettata la seguente relazione (legge di snell): n i *sin(ti)=n M *sin(ts) (3) 5
6 Poiché un immagine vale più di mille parole, la seguente figura dovrebbe chiarire definitvamente i concetti su riportati: A questo punto è necessario tentare di capire in che modo i concetti espressi si applicano con i nostri strumenti, un modo molto semplice per farlo è quello di considerare un telescopio newton. Il Newton è, probabilmente, lo schema ottico più semplice tra tutti quelli attualmente utilizzati per i telescopi commerciali (sebbene il primo telescopio mai realizzato sia di un tipo diverso come vedremo in seguito). Lo schema newton consiste, fondamentalmente, in uno specchio (sferico o parabolico) che ha lo scopo di concentrare in un punto i vari raggi (poi vedremo il motivo pe cui è necessario concentrare i raggi ). In prima approssimazione si può affermare che in uno specchio sono trascurabili gli effetti di assorbimento e rifrazione ed ha luogo solo la riflessione dei raggi (ciò non è vero a stretto rigore ma può essere considerata una buona approssimazione per quello che ci interessa spiegare in questo momento). Per le leggi dell'ottica geometrica, pertanto, sappiamo che tutti i raggi che colpiscono lo specchio, allora, saranno riflessi secondo un angolo Ts che, come abbiamo già visto, è pari all'angolo Ti del raggio incidente. Se consideriamo, per ora, solo i raggi parassiali (cioè i raggi paralleli all'asse ottico e non molto distanti da esso) si può dimostrare facilmente che dopo la riflessione tutti i raggi convergono in un punto detto fuoco, si può anche dimostrare che se R è il raggio dello specchio allora la distanza del fuoco tra il punto di intersezione tra lo specchio è l'asse ottico sarà pari a R/2 (distanza focale o focale dello specchio): 6
7 E' importante notare che stiamo parlando di raggi parassiali, nel caso di raggi non paralleli all'asse ottico o distanti da esso occorrerà tenere in considerazione il fatto che, per specchi sferici, in realtà non esiste un solo punto di fuoco, ma ciò è un argomento che sarà trattato nel paragrafo relativo alle aberrazioni ottiche. A questo punto, qualora ci dovessimo trovare a discutere di lunghezza focale di un telescopio newton sapremmo di cosa stiamo parlando! Vediamo, ora, in che modo uno specchio astronomico forma l'immagine sul piano focale: Come vedremo in seguito per poter vedere l'immagine che lo specchio ha formato è necessario utilizzare un oculare! 7
8 Quanto detto per lo specchio si potrebbe ripetere (con un livello di difficoltà leggermente superiore) per le lenti, le lenti infatti possono essere considerate come ostacoli che hanno come unico effetto quello di rifrangere la luce (gli effetti di riflessione e di assorbimento possono essere trascurati). Le lenti sono utilizzate per costruire i cosiddetti rifrattori che, insieme ai newton, sono stati per anni i telescopi più utilizzati dagli astrofili (negli ultimi anni, tuttavia, hanno avuto larga diffusione schemi misti contenenti sia lenti che specchi). A questo punto, però, è necessario abbandonare per un attimo l'ottica geometrica per parlare di un importante difetto delle lenti in ambito astronomico (e non solo). Come detto la luce può essere vista come la propagazione di un EMF con valori di frequenza (e lunghezza ottica) ben determinati (per esempio ad un valore di lunghezza ottica intorno ai 650nm corrisponde la luce rossa). La lue che proviene dalle stelle, però, normalmente non ha un solo valore di frequenza ma è un miscuglio di tutte le frequenze del visibile e pertanto appare ai nostri occhi come luce bianca. Le lenti hanno il difetto (intrinseco e spiegabile mediante lo studio dell'ottica fisica) di concentrare in fuoco diverso i raggi a diversa lunghezza d'onda. Ciò comporta che raggi a lunghezza d'onda molto diversa possono avere valori di lunghezza focale molto diversi e ciò si traduce, per gli astrofili, nel dover decidere quale lunghezza mettere a fuoco (cioè dove mettere l'oculare o un sensore fotografico). Ovviamente se si dovesse decidere di mettere a fuoco nel rosso si avrebbe il blu completamente fuori fuoco e l'immagine che ne risulterebbe sarebbe, nel complesso, molto impastata e priva di ogni dettaglio. Per ovviare a tale problema (abberrazione cromatica) si è ricorso all'uso di due lenti avvicinate fra di loro con indice di rifrazione diverso, la seconda lente ha lo scopo di modificare l'inclinazione dei raggi in modo da tentare di farli convergere quanto più possibile (su questo concetto sono basati i moderni rifrattori acromatici), un ulteriore evoluzione del concetto si è avuta con l'introduzione dei cosiddetti rifrattori apocromatici che, tuttavia, tengono conto anche di altri tipi di aberrazione oltre a quella cromatica (si veda, a tal proposito, la definizione di apocromaticità di Abbe secondo cui un obiettivo è da considerarsi apocromatico se concentra nello stesso punto almeno i raggi con tre lunghezze d'onda ben distanti fra loro ed è corretto per l'aberrazione sferica e coma per almeno due lunghezze d'onda delle tre), gli apocromatici, in genere ma non necessariamente, sono realizzati mediante l'utilizzo di tre lenti, in ogni caso sui concetti di aberrazione ottica dei vari tipi torneremo in seguito. A questo punto è d'obbligo chiarire una questione fondamentale su cui, a volte, gli astrofili mostrano dei tentennamenti! Nel caso in cui si intenda utilizzare il telescopio per fare fotografia si deve tenere sempre presente il problema dell'aberrazione cromatica (ovviamente non nel caso di riflettori puri!), molte volte, però, si sente dire che, poiché si utilizza un sensore in bianco e nero tale problema non dovrebbe sussitere. E' ovvio che ciò non ha alcun senso in quanto la luce bianca, come detto, è somma di tutte le frequenze e, pertanto, al sensore arriveranno frequenze intorno al rosso e frequenze intorno al blu e se non saranno a fuoco nello stesos punto l'immagine sarà in ogni caso sfocata e impastata! 8
9 Anticipiamo ora un altro concetto che verrà meglio discusso in seguito, un metodo pratico per limitare molto l'aberrazione ottica in rifrattori acromatici è quello di utilizzare lunghezze focali molto spinte, ciò, però, comporta gravi problemi di gestione del telescopio in quanto si avrà a che fare con tubi molto lunghi e pesanti. A questo punto dovremmo essere in grado di distinguere uno riflettore da un rifrattore e dovremmo conoscere i concetti base che ne regolano il funzionamento, ma a questo punto ci dovremo anche porre la seguente domanda: perchè il telescopio mi mostra oggetti (seppur di dimensioni apparenti considerevoli, maggiori di quelle della luna per esempio) che l'occhio non riesce a vedere? Per rispondere a tali domande dovremo passare al paragrafo successivo. 4. LA MAGNITUDINE STELLARE L'occhio umano è un organismo molto complesso e non è intenzione di queste brevi note tentare di spiegarne i meccanismi, tuttavia (semplificando in maniera estrema) possiamo accontentarci di sapere che all'interno del nostro ochhio vi sono alcuni recettori (coni e bastoncelli) che se colpiti da una radiazione con frequenza nel range del visibile e con un energia sufficiente trasmettono un impulso che il cervello interpreta come un segnale luminoso. In particolare i coni sono specializzati per la visione diurna e dei colori e sono concentrati nella zona centrale dell'occhio, i bastoncelli invece sono specializzati nella cisione notturna e sono molto più sensibili dei coni, essi sono concentrati nella zona periferica dell'occhio. Osservando, di notte, al telescopio, gli oggetti più deboli saranno visti con più facilità dai bastoncelli e, quindi, saranno visti con più facilità se non si osservano direttamente ma se si osserva puntando l'occhio in una zono un po' più lontana dell'oggetto da osservare, in tal modo l'oggetto debole colpirà l'occhio nella zona periferica e sarà più facile rilevarlo (visione distolta). Per inciso è opportuno sottolineare che, a meno di oggetti particolarmente luminosi, non sarà mai possibile distinguere i colori degli oggetti osservati proprio ina quanto i recettori specializzati nella visione die colori sono anche i meno sensibili. A questo punto è ovvio che, qualunque sia la sensibilità dei recettori, maggiore è l'energia che li colpisce maggiore sarà la sensazione di luminosità percepita. E' altrettanto ovvio, allora, che per far crescere l'energia che colpisce i recettori sarà necessario cercare di far crescere il numero di raggi che li colpisce, e il modo più semplice per farlo è proprio quello di concentrare in un punto il maggior numero di raggi possibile e il metodo più semplice per farlo è avere un obiettivo quanto più grande possibile! E' necessario, ora, introdurre il concetto di magnitudine apparente. Con magnitudine apparente si indica la luminosità di una stella (o di un qualsiasi altro oggetto astronomico) percepita da un osservatore posto sulla terra. Ogni stella emette un certo numero di fotoni (o raggi) nell'unità di tempo, tali raggi attraversano lo spazio e arrivano ai nostri occhi, a seconda del numero di fotoni emessi e della distanza della stella noi percepiremo una maggiore o minore luminosità (naturalmente a parità di fotoni emessi noi vedremo una stella più brillante se è più vicina e a parità di distanza sarà più luminosa la stella che 9
10 emette più fotoni). Le magnitudini stellari sono state definite in modo che a numeri bassi corrispondono luminosità alte e viceversa (in altri termini una stella di mag2 è più luminosa di una di mag7). Per oggetti particolarmente luminosi sono stati introdotti valori di magnitudine negativa. La scala delle magnitudini, però, non è lineare ma logaritmica, ad ogni incremento di magnitudine corrisponde un decremento di luminosità pari a 2.512, in altri termini una stella di mag1 non è 5 volte più luminosa di una di mag6 ma è =100 volte più brillante. Vediamo in che modo le dimensioni dell obbiettivo permettono di vedere stelle con magnitudine alta. L occhio umano, in condizioni di oscurità e dopo averlo fatto ben adattare al buio, riesce a percepire stelle con magnitudine massima intorno a 6. Mediante l uso di uno obiettivo con apertura pari a D l area di raccolta di luce incremente di un fattore (D/d) 2 (dove d è il diametro dell occhio). Poichè, come detto, il valore di luminosità rilevabile dipende dalla quantità di raggi concentrati e quindi dall area di raccolta, è evidente che aumentando D sarà possibile vedere stelle meno luminose. La formula per valutare la magnitudine limite al variare del diametro è la seguente: m lim = Log 10 D (4) D deve essere espresso in mm. Per l occhio umano si avrà (d=6mm) m lim ~ 6.6 Per un obiettivo di 114mm si avrà m lim ~ 13 Per un obiettivo da 200mm si avrà m lim ~ 14.2 Nella grafico è rappresentato un grafico m lim vs. apertura maglimite apertura [mm] 10
11 Ovviamente quanto detto va preso con le dovute precauzioni, in quanto la magnitudine limite visibile dipende da moltissimi fattori (età dell osservatore, allenamento dell occhio, condizioni atmosferiche, trattamento delle ottiche...) Oltre alla magnitudine apparente esiste la magnitudine assoluta, tale parametro è più oggettivo rispetto alla mag apparente in quanto non risente della distanza dell oggetto osservato. Infatti per magnitudine assoluta si intende, sostanzialmente, la magnitudine apparente che si percepirebbe osservando l oggetto da una distanza prefissata (10parsec), è ovvio allora che la mag assoluta dipende solo dalla luminosità intrinseca dell astro. Occorre infine accennare alla differenza tra magnitudine stellare e magnitudine diffusa per oggetti estesi, senza entrare in dettagli e tecnicismi si può affermare che un oggetto esteso di mag X ha una luminosità pari ad una stella di magx che sia stata sfocata fino a raggiungere le dimensioni dell oggetto esteso. 5. IL POTERE RISOLVENTE Per potere risolvente di un obiettivo si intende la minima distanza che due oggetti possono avere per essere percepiti come oggetti distinti, in astronomia tale distanza viene espressa in arco secondi (l arco secondo è la sessantesima parte del primo d arco che, a sua volta, è la sessantesima parte del grado, è necessario anche ricordare che nelle formule normalmente si utilizza, per la misura degli angoli, il radiante, un radiante equivale a 57.3 ). Per capire il concetto di potere risolvente si faccia riferimento all osservazione delle stelle doppie. Immaginiamo di volere osservare una doppia con valore di separazione pari a 50 (il simbolo indica i secondi d arco), qual è il parametro che mi permette di capire se è alla portata del mio strumento? Inutile dire che anche in questo caso l unico parametro che conta è l apertura dell obiettivo! Mediante alcuni semplici ragionamenti (vedi, ad esempio, l esperimento di Young), si può dimostrare che una sorgente puntiforme non genera un immagine puntiforme ma la sua luce sarà distribuita nel piano focale in una serie di anelli concentrici ad un dischetto centrale più luminoso (disco di airy) la cui luminosità decade rapidamente andando dal centro verso l esterno: Disco di Airy Macchia di poisson La distanza tra i vari cerchi e la loro luminosità sono riportate in tabella (si noti, al centro del cerchio più interno la macchia di Poisson). 11
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