Possibilità di prevenzione con statine delle complicanze degli interventi coronarici percutanei

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1 5 Attualità Recenti Prog Med 2012; 103: 5-10 Possibilità di prevenzione con statine delle complicanze degli interventi coronarici percutanei Simona Mega, Annunziata Nusca, Giuseppe Patti Riassunto. In pazienti con malattia coronarica la terapia ipolipemizzante con statine ha dimostrato di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari. Studi in vitro ed in vivo hanno evidenziato un azione LDL-indipendente di questa classe di farmaci, in grado di modulare la funzione endoteliale, l infiammazione e la trombosi. L infarto miocardico periprocedurale e la nefropatia indotta da contrasto dopo procedure di rivascolarizzazione percutanea (PCI), che si associano ad una prognosi peggiore nel follow-up a lungo termine, sono entrambe complicanze dovute a meccanismi patogenetici infiammatori. Studi randomizzati hanno dimostrato un effetto benefico a breve termine del pretrattamento con statine nella riduzione del rilascio peri-procedurale di marker cardiaci nei pazienti sottoposti a PCI. La terapia con statine prima di una PCI elettiva riduce infatti l infarto miocardico periprocedurale nei pazienti con angina stabile. Un carico con alte dosi di atorvastatina previene il danno miocardico anche in pazienti con sindromi coronariche acute sottoposti a PCI precoce (<48 ore). In pazienti già in terapia cronica con statina, un ulteriore carico di statina ad alto dosaggio si associa ad una significativa riduzione a 30 giorni di eventi cardiaci avversi maggiori. La terapia con statine al momento della PCI ha infine dimostrato di ridurre significativamente l incidenza di nefropatia indotta da contrasto. Tutte queste evidenze supportano una somministrazione precoce di statine ad alte dosi in tutti i pazienti da sottoporre a rivascolarizzazione percutanea coronarica allo scopo di ottenere benefici di tipo pleiotropico da tali farmaci. Parole chiave. Angina cronica stabile, infarto miocardico, procedure percutanee di rivascolarizzazione coronarica, sindromi coronariche acute, statine. Percutaneous coronary interventions and statin therapy. Summary. Lipid lowering therapy with statins reduces the risk of cardiovascular events in patients with coronary artery disease. Recent in vitro and in vivo studies demonstrated LDL-independent action of this class of drugs, which appears in modulating endothelial function, inflammation and thrombosis. Periprocedural myocardial infarction and contrast induced nephropathy after percutaneous coronary intervention (PCI), associated with worse outcome on short and long term follow-up, are both complications related to inflammatory pathogenetic mechanisms. Randomized studies showed a beneficial effect of short-term statin pretreatment in reducing peri-procedural cardiac markers release in patients undergoing PCI. In fact, statin therapy before elective PCI reduced periprocedural myocardial infarction in patients with stable angina. Furthermore, an acute loading with high-dose atorvastatin prevented myocardial damage in patients with acute coronary syndromes undergoing early PCI (<48 hours). In patients already on chronic statin therapy, a reload with high dose statin was associated with a significant improvement on 30-day cardiac outcome. Finally, statin therapy at the time of PCI significantly decreased the incidence of contrast-induced nephropathy. All these evidences support an upstream administration of short-term, high-dose statins in all patients undergoing PCI, in order to achieve pleiotropic, LDL-independent effects of these drugs. Key words. Acute coronary syndrome, chronic angina, myocardial infarction, percutaneous coronary intervention, statins. Rivascolarizzazione percutanea e infarto miocardico peri-procedurale Le procedure di rivascolarizzazione percutanea mediante angioplastica coronarica (PCI) rappresentano un cardine nel trattamento della malattia coronarica, in considerazione delle numerose dimostrazioni in termini di efficacia non solo dei sintomi ischemici, soprattutto nel breve termine; ma anche nella riduzione di eventi cardiaci maggiori in pazienti opportunamente selezionati. Tuttavia, l infarto miocardico peri-procedurale (PMI) è una possibile complicanza della rivascolarizzazione percu- tanea, che si verifica in percentuali variabili (5%- 50%) nei pazienti sottoposti a PCI, in base alla definizione clinica ed ai valori di laboratorio considerati 1,2. Diversi meccanismi sono stati presi in considerazione come responsabili di un infarto miocardico dopo PCI; essi includono l embolizzazione coronarica distale, il fenomeno del no-reflow, la chiusura transitoria del vaso da dissezione o per spasmo, l occlusione di un ramo collaterale 3. È importante però sottolineare che aumenti lievi di creatinchinasi-mb (CK-MB) e di troponina cardiaca (TnI) sono spesso rilevati anche in seguito a PCI di successo, senza complicanze clinicamente rilevabili. Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Università Campus Bio-Medico, Roma. Pervenuto l 11 ottobre 2011.

2 6 Recenti Progressi in Medicina, 103 (1), gennaio 2012 Il significato clinico dell aumento dei marker cardiaci dopo PCI è ancora incerto; tuttavia, numerosi studi hanno dimostrato una significativa associazione tra PMI e peggioramento della prognosi al follow-up a lungo termine. Cavallini et al. 4, in un ampio studio prospettico multicentrico (n=3494), hanno dimostrato un aumentata mortalità a due anni nei pazienti con un elevazione post-procedurale della CK-MB (7,2% vs 3,8% in pazienti con normali valori di CK-MB post-procedura; Odds Ratio, OR: 1,9, IC 95% 1,3-2,8, p<0,001), osservando anche che il grado di aumento del CK-MB predice in modo indipendente il rischio di morte (OR: 1,04, 95% CI 1,01-1,07, p=0,009). Una metanalisi di Ioannidis et al. 5, condotta su 7 studi (n= pazienti), ha evidenziato come qualsiasi incremento di CK-MB oltre il limite superiore di normalità (ULN) dopo PCI si associa ad un incremento della mortalità e, in particolare, un aumento di CK-MB da 1 a 3 volte era correlato ad un eccesso di mortalità dell 1,7% a 1 anno, mentre l eccesso di mortalità saliva al 2,8% per aumenti di CK-MB da 3 a 5 volte ed al 7,4% per un aumento >5 volte. I meccanismi alla base dell aumento della mortalità nei pazienti con infarto miocardico post-procedurale non sono ancora completamente noti; da un lato la necrosi miocardica PCI-correlata potrebbe avere conseguenze sfavorevoli sulla funzione ventricolare sinistra e sulla stabilità elettrica; d altra parte, un aumento dei marcatori cardiaci dopo impianto di stent potrebbe correlarsi ad un elevato pattern di instabilità della placca e ad un incremento dello stato infiammatorio, definendo quindi pazienti con profilo di rischio più elevato. Il ruolo dell infiammazione nella patogenesi del danno miocardico peri-procedurale è stato confermato anche da una serie di studi che hanno documentato il ruolo prognostico degli incrementi della proteina C reattiva (PCR) dopo procedura coronarica percutanea, in termini di complicanze cardiovascolari precoci e tardive 6,7. Le statine nella prevenzione dell infarto peri-procedurale post-rivascolarizzazione Diverse strategie terapeutiche sono state sviluppate nel tentativo di ottenere una riduzione della complicanza rappresentata da PMI. Infusione di nitrati 8, beta-bloccanti intracoronarici 9, inibitori della glicoproteina IIb/IIIa (GPIIb/IIIa) 10 e adenosina 11 sono stati proposti, ma solo gli inibitori GP IIb/IIIa sono utilizzati nella pratica clinica corrente per questo scopo. In considerazione della patogenesi del PMI, recentemente sono state studiate le statine in questo contesto. Il beneficio di questa classe di farmaci, essenzialmente legato ai loro effetti pleiotropici, è stato dimostrato in diversi studi osservazionali e randomizzati. Chan et al. 12, nel 2004 hanno evidenziato in un ampia serie di pazienti (n=5025) che il trattamento cronico con statine al momento della rivascolarizzazione mediante PCI si associava ad una riduzione significativa della mortalità ad un follow-up a breve (30 giorni) e medio termine (6 mesi). Gli stessi autori hanno dimostrato in 1552 pazienti sottoposti a PCI elettiva o urgente che il pretrattamento con statine preveniva l infarto periprocedurale e rappresentava un predittore indipendente di ridotta mortalità ad 1 anno in presenza di elevati valori pre-procedurali di PCR (HR 0,44, p=0,039). Questi risultati sono stati confermati da Hermann et al. 13 in uno studio non randomizzato su 296 pazienti sottoposti a PCI in trattamento con statine da più di una settimana; il gruppo di pazienti pretrattati con statine aveva una minore incidenza di incremento postprocedura di CK-MB>3 volte il limite di normalità rispetto al gruppo non pretrattato (0,4% vs 6%, p=0,03), con riduzione di circa il 90% delle complicanze ischemiche peri-procedurali. Lo studio AR- MYDA (Atorvastatin for Reduction of Myocardial Damage during Angioplasty) 14 è stato il primo trial prospettico randomizzato, placebo-controllato, a doppio cieco, a dimostrare un effetto benefico delle statine nella prevenzione del danno miocardico dopo PCI. In questo studio un totale di 153 pazienti statin-naïve con angina stabile sono stati randomizzati a ricevere placebo (n=77) o atorvastatina 40 mg (n=76) a partire da 7 giorni prima dell intervento programmato. L end point primario era l infarto miocardico, definito come aumento post-procedurale del CK-MB>2 volte il limite superiore di normalità. L incidenza di infarto miocardico peri-procedurale è stata del 5% nei pazienti pretrattati con atorvastatina e del 18% nel gruppo placebo (p=0,025). Un aumento di CK-MB al di sopra del limite superiore della norma si è verificato nel 35% dei pazienti nel gruppo placebo rispetto al 12% nel gruppo atorvastatina (p=0,001); analogamente, una percentuale maggiore di pazienti con un aumento della troponina I e della mioglobina era osservata nel braccio d controllo. L analisi multivariata dimostrava che il pretrattamento con atorvastatina era indipendentemente associato ad un più basso rischio di incremento di CK-MB post-procedurale (OR 0,19, IC 95% 0,05-0,57). Questi risultati sono stati poi confermati da studi successivi. Nel protocollo randomizzato di Briguori et al. 15, il trattamento con statine (atorvastatina nel 29% dei pazienti, pravastatina nel 29%, simvastatina nel 39% e fluvastatina nel 3%) più di 3 giorni prima della PCI ha determinato un efficace prevenzione del PMI (CK-MB>5 volte il limite di normalità) in 451 pazienti sottoposti a PCI elettiva (8% vs 15,6% nel gruppo senza statine; p=0,012). Negli stessi pazienti era presente un aumento post-intervento di TnI>5 volte ULN in una percentuale minore nel gruppo statine rispetto ai controlli (23,5% vs 32%; p=0,043). Una meta-analisi di Mood et al. 16 condotta su 6 studi randomizzati ha mostrato una ridotta incidenza di infarto miocardico in pazienti sottoposti a PCI e pre-trattati con statine (3% vs 5,2% nei pazienti non pretrattati; p< ); l incidenza di mortalità ad un follow-up massimo di 45 mesi è

3 S. Mega, A. Nusca, G. Patti: Possibilità di prevenzione con statine delle complicanze degli interventi coronarici percutanei 7 stata del 2.3% nel braccio con statine rispetto al 3% nel gruppo placebo. Tuttavia, in tutti gli studi precedentemente descritti la somministrazione di statine era stata iniziata da 3 a 7 giorni prima della procedura; il più recente studio randomizzato NAPLES II 17, condotto su 668 pazienti trattati con PCI elettiva, ha dimostrato che anche una singola dose ad alto carico (80 mg) di atorvastatina somministrata entro 24 ore prima della PCI produceva una riduzione del 40% del tasso di PMI; in particolare, l incidenza di un aumento di CK-MB>3 volte ULN era del 9,5% nel gruppo atorvastatina e del 15,8% nel gruppo controllo (p=0,014). Un analisi post-hoc ha suggerito che l effetto cardioprotettivo di atorvastatina era più pronunciato nel sottogruppo di pazienti con elevati livelli basali di PCR. Le statine nella prevenzione degli eventi cardiaci maggiori dopo interventi percutanei coronarici Il vantaggio delle statine nella prevenzione del danno miocardico peri-procedurale sembra essere ancora più elevato nei pazienti affetti da sindrome coronarica acuta sottoposti a PCI, nei quali si osserva disfunzione endoteliale, nonché un aumento del carico trombotico e della quantità di cellule infiammatorie nella placca, con conseguente maggiore produzione locale e sistemica di marker infiammatori e citochine. Pertanto, questi pazienti hanno un rischio più elevato di fenomeni trombotici ed embolici a partenza dalle lesioni coronariche vulnerabili durante la procedura di rivascolarizzazione percutanea. Un trattamento precoce e aggressivo con statine potrebbe migliorare la funzione endoteliale ed attenuare lo stato pro-infiammatorio associato alla sindrome coronarica acuta ed amplificato dall impianto dello stent, prevenendo l incidenza di PMI e la ricorrenza di eventi clinici avversi durante il follow-up. Diversi studi osservazionali hanno valutato l impatto positivo del pre-trattamento con statine nei pazienti con sindrome coronarica acuta nel contesto delle PCI. Chang et al. 18, in una serie di 119 pazienti consecutivi hanno osservato che i pazienti instabili che erano in terapia con statine al momento della procedura presentavano una minore incidenza di necrosi miocardica peri-procedurale rispetto ai pazienti non in trattamento (2% vs 10%, p=0,04), con una più bassa incidenza anche di eventi cardiaci a 6 mesi (19% vs 31%, p=0,015). ARMYDA-ACS (Atorvastatin for Reduction of Myocardial Damage During Angioplasty Acute Coronary Syndromes) 19 è stato il primo trial randomizzato, placebo-controllato, che ha valutato gli effetti di una somministrazione ad alto dosaggio di atorvastatina sull outcome clinico a 30 giorni in pazienti statin-naïve con sindromi coronariche acute sottoposti a PCI in fase precoce (<48 ore). In questo studio, 171 pazienti sono stati randomizzati a ricevere placebo (n=85) o pretrattamento con atorvastatina (n=86; dose di carico di 80 mg somministrata mediamente 12 ore prima della coronarografia, con un ulteriore dose di 40 mg circa 2 ore prima della procedura). L endpoint primario composito era l incidenza a 30 giorni di eventi cardiaci avversi maggiori (MACE: morte, infarto miocardico, rivascolarizzazione del vaso target), che si sono verificati nel 5% dei pazienti nel gruppo atorvastatina e nel 17% di quelli nel gruppo placebo (p=0,01). Questa differenza di MACE ad 1 mese era principalmente determinata da una maggiore incidenza di infarto miocardico periprocedurale nel braccio di controllo (15% vs 5% nel gruppo trattato con atorvastatina, p=0,04) e le curve di Kaplan Meier confermavano una sopravvivenza libera da eventi a 30 giorni significativamente più elevata nel braccio di trattamento con statina. L endpoint secondario, rappresentato dalla percentuale di pazienti con incremento post-procedurale di CK-MB e troponina I al di sopra del limite superiore della norma, è risultato significativamente più basso nel gruppo atorvastatina (CK-MB: 7% vs 27%, p=0,001; troponina I : 41% vs 58%, p=0,039). La cardioprotezione prodotta dal carico di atorvastatina era inoltre proporzionale alla diminuzione dell incremento dei livelli di PCR dopo PCI. L analisi multivariata ha rivelato una riduzione dell 88% del rischio relativo di MACE a 30 giorni (OR 0,12, 95% CI 0,05-0,50, p=0,004) e del 70% del rischio relativo di infarto peri-procedurale nel gruppo atorvastatina: in base a questi risultati, 10 pazienti dovrebbero essere trattati con atorvastatina per evitare 1 infarto miocardico periprocedurale (Number Needed to Treat, NNT=10). Il beneficio osservato in AR- MYDA-ACS sembra maggiore di quello evidenziato in altri trial di grandi dimensioni che hanno utilizzato una dose elevata di statine nelle sindromi coronariche acute, come il MIRACL (Myocardial Ischemic Reduction with Aggressive Cholesterol Lowering: riduzione del 16% del rischio dell endpoint composito primario) 20, l A to Z (Aggrastat to Zocor: 25% di riduzione del rischio) 21 o il PRO- VE-IT (Pravastatin or Atorvastatin Evaluation and Infection Therapy Thrombolysis in Myocardial Infarction: 28% di riduzione del rischio nella popolazione generale e 22% nel sottogruppo PCI) 22. Il vantaggio della somministrazione di una singola dose ad alto carico di statina sulla prognosi dei pazienti con sindrome coronarica acuta sottoposti a strategia invasiva precoce è stato confermato anche nel lavoro di Yun et al. 23 In questo studio, 445 pazienti con sindrome coronarica acuta sono stati randomizzati a 40 mg di rosuvastatina somministrata mediamente 16 ore prima della PCI (n=225) o a nessun trattamento con statine (n=220). L incidenza di infarto miocardico definito come aumento di CK-MB> 2 volte ULN è stata rilevata nell 11,4% dei pazienti nel gruppo di controllo e nel 5,8% di quelli nel braccio rosuvastatina (p=0,035); il picco post-pci di CK-MB e PCR ad alta sensibilità era inoltre significativamente ridotto nel gruppo rosuvastatina, così come l incidenza di MACE a 30 (6,7% vs 15,9%, p=0,002).

4 8 Recenti Progressi in Medicina, 103 (1), gennaio 2012 Tutti i suddetti trial clinici hanno dimostrato che il trattamento con statine pre-pci può migliorare l esito clinico, riducendo l incidenza di infarto miocardico periprocedurale in pazienti con angina stabile o sindrome coronarica acuta (angina instabile o infarto miocardico senza sopraslivellamento ST). Pochi studi hanno indagato il beneficio di questi farmaci nel contesto di un infarto miocardico acuto con ST sopraslivellato; il trial STATIN STEMI (Efficacy of High-Dose AtorvaSTATIN Loading Before Primary Percutaneous Coronary Intervention in ST- Elevation Myocardial Infarction) 24 rappresenta il primo studio multicentrico, randomizzato, prospettico che ha valutato il pre-trattamento con statine in tale contesto. Pazienti con infarto miocardico con ST sopraslivellato (n=179) hanno ricevuto 80 mg (n=86) o 10 mg (n=85) di atorvastatina al primo contatto medico nel Dipartimento di Emergenza prima della PCI; gli endpoint angiografici di flusso coronarico sia pre- che post-procedura erano significativamente migliori nel gruppo statina ad alta dose. È interessante notare che alcuni lavori sperimentali 25 avevano suggerito una riduzione del beneficio delle statine in termini di miocardio-protezione nella terapia a lungo termine con tali farmaci; tale protezione, tuttavia, poteva essere ricatturata attraverso un ricarico con statina ad alte dosi. D altra parte, un elevata percentuale di pazienti sottoposti a PCI è già in terapia con statine al momento della procedura. Il trial ARMYDA RE- CAPTURE 26, studio multicentrico, randomizzato, prospettico, in doppio cieco, ha indagato se un ricarico acuto con atorvastatina ad alte dosi prima della PCI in pazienti in terapia cronica con statine era in grado di ripristinare gli effetti cardioprotettivi, soprattutto nel contesto delle sindromi coronariche acute. Questo studio ha arruolato 383 pazienti in terapia cronica con statine (>30 giorni) affetti da angina stabile o sindrome coronarica acuta senza sopraslivellamento del tratto ST e sottoposti a PCI, randomizzati a ricevere placebo (n=191) o atorvastatina (n=192, 80 mg di carico somministrati mediamente 12 ore prima della coronarografia, con un ulteriore dose di 40 mg circa 2 ore prima della procedura). L endpoint primario (MACE a 30 giorni: morte cardiaca, infarto miocardico, rivascolarizzazione del vaso target) è stato osservato nel 3,7% dei pazienti nel gruppo atorvastatina e nel 9,4% nel braccio placebo (p=0,037). Questo effetto benefico dell atorvastatina era essenzialmente dovuto alla riduzione dell infarto miocardico peri-procedurale (3,7% vs 8,9%, riduzione di 2,4 volte). L analisi dei sottogruppi ha dimostrato che il vantaggio del ricarico con statina era significativo nei pazienti trattati per un evento coronarico acuto (incidenza di MACE: 3,3% vs 14,8% nel gruppo placebo; OR=0,18, 95% CI 0,10-0,83, riduzione del rischio relativo dell 82%, p=0,027), mentre l incidenza di eventi nei pazienti con angina stabile non era significativamente diversa tra i due gruppi (4% vs 4,9%, p=0,70). L analisi multivariata ha identificato il ricarico di atorvastatina come predittore di diminuito rischio di MACE a 30 giorni (OR: 0,50, IC 95% 0,20-0,80; 50% di riduzione del rischio relativo; p=0,039); in accordo con questi risultati 17 pazienti devono essere ricaricati con atorvastatina al fine di prevenire 1 evento avverso (NNT=17). Una patient-level metanalisi 27 su 13 studi randomizzati ha recentemente confermato il beneficio clinico del pretrattamento con statine nell ambito delle PCI sulla riduzione di infarto miocardico periprocedurale e di MACE. I dati individuali di 3341 pazienti sono stati raccolti e la popolazione divisa in pazienti randomizzati a ricevere alte dosi di statine (n=1692) o nessuna statina/basse dosi di statine (n=1649) prima della PCI. L endpoint primario comprendeva l incidenza di infarto miocardico periprocedurale, definito come un aumento di CK-MB>3 volte il limite superiore della norma post-procedura, e MACE a 30 giorni (morte, infarto miocardico, rivascolarizzazione del vaso target). L incidenza di PMI è stata del 7% nel gruppo trattato con alte dosi di statina vs 11,9% nel gruppo di controllo, corrispondente al 44% di riduzione relativa nel braccio di trattamento attivo (OR 0,56, IC 95% 0,44-0,71, p<0,00001), ed un NNT di 20 pazienti trattati per evitare un evento. La percentuale di pazienti con MACE a 30 giorni (compresi PMI) era anche significativamente più bassa nel gruppo statine ad alte dosi (7,4% vs 12,6%, OR 0,56, IC 95% 0,44-0,71, p<0,00001); ed anche se dai MACE totali veniva esclusa la percentuale di PMI, l incidenza di eventi ischemici ad un mese era ridotta nel braccio statine ad alte dosi (0,6% vs 1,4%, con un OR di 0,44, IC 95% 0,19-1,01, p=0,05). Il vantaggio dell uso di alte dosi di statine era indipendente dalla presentazione clinica e veniva mantenuto in vari sottogruppi, con un beneficio maggiore nei pazienti con valori basali elevati di PCR (n=734; riduzione del rischio del 68% di infarto miocardico peri-procedurale vs 31% nei 1861 pazienti con normali valori basali di PCR; p=0,025). In conclusione, in base a queste evidenze, una strategia di pretrattamento di breve termine con statine ad alte dosi si associa ad una riduzione significativa dell incidenza di danno miocardico peri-procedurale e di MACE a 30 giorni e, pertanto, dovrebbe essere fortemente consigliata in tutti pazienti sottoposti a PCI, indipendentemente dalla presentazione clinica e dalla terapia cronica con statine. Statine e prevenzione della nefropatia da mezzo di contrasto La nefropatia da mezzo di contrasto (Contrast- Induced Nephropathy, CIN) è una complicanza relativamente frequente dopo procedure di rivascolarizzazione miocardica percutanea, con un incidenza che può raggiungere anche il 15%. La CIN rappresenta la terza causa di insufficienza renale acquisita in ospedale. La più comune definizione in uso per tale complicanza è un incremento della creatinina (Cr) superiore al 25% del valore basale o 0,5 mg/dl in valore assoluto almeno a 48 ore dalla somministrazione di mezzo di contrasto iodato, esclu-

5 S. Mega, A. Nusca, G. Patti: Possibilità di prevenzione con statine delle complicanze degli interventi coronarici percutanei 9 dendo altre cause possibili; i valori di Cr di solito raggiungono il picco dopo 2-3 giorni e ritornano ai valori di base dopo 5-10 giorni; tuttavia alcuni pazienti progrediscono verso l insufficienza renale acuta e possono richiedere la dialisi. Studi su pazienti che hanno sviluppato tale complicanza dopo impianto di stent coronarico hanno dimostrato come la CIN sia associata ad un eccesso di morbilità e mortalità al follow-up a lungo termine, sia in pazienti con pre-esistente insufficienza renale cronica sia in pazienti con normali valori basali di Cr Per quanto concerne i meccanismi alla base della CIN, un effetto tossico diretto sul rene da parte del mezzo di contrasto è stato dimostrato in studi clinici e sperimentali; inoltre, l attivazione di meccanismi infiammatori ed un aumento dello stress ossidativo indotto dal contrasto a livello del tubulo renale possono rappresentare importanti meccanismi patogenetici. Le statine, mediante i loro effetti pleiotropici di riduzione dello stress ossidativo e modulazione della risposta infiammatoria, potrebbero fornire un ruolo protettivo anche in quest ambito. Un primo studio osservazionale, prospettico 31, condotto dal gruppo di studio ARMYDA ha valutato l effetto di un pre-trattamento con statine sull incidenza della CIN in pazienti sottoposti a PCI. La popolazione era costituita da 434 pazienti consecutivi, di cui 260 in terapia con diversi tipi di statine per una durata variabile prima dell angioplastica, e da 174 pazienti statin-naïve. I pazienti in terapia con statine hanno presentato una minore incidenza di danno renale post-procedurale rispetto al gruppo controllo (3% vs 27%, p>0,0001), con una riduzione del rischio di tale complicanza del 90%. I pazienti pre-trattati con statine, inoltre, hanno mostrato livelli post-procedurali di clearance della creatinina più elevati rispetto ai controlli (80±25 vs. 65±19 ml/min; p<0,0001). L analisi multivariata ha rivelato come la terapia con statine prima dell angioplastica coronarica rappresentava un predittore di ridotta incidenza di CIN (OR 0,10), con un chiaro beneficio in tutti i sottogruppi di pazienti, eccetto per quelli con una clearance della creatinina basale <40 ml/min, probabilmente a causa dei molteplici meccanismi non reversibili dell insufficienza renale cronica in stadio avanzato. Un dato interessante era anche rappresentato dall analisi di sopravvivenza a lungo termine; come previsto, la sopravvivenza migliore a 4 anni di follow-up è stata documentata nei pazienti trattati con statine che non avevano manifestato CIN dopo la procedura di angioplastica (95%, p 0,05 vs altri gruppi), mentre la peggior sopravvivenza veniva osservata in quei pazienti non pre-trattati e che avevano sviluppato CIN (53%, p 0,018 vs altri gruppi). Inaspettatamente, invece, la sopravvivenza dei pazienti in terapia con statine e che avevano manifestato un peggioramento della funzione renale dopo la PCI era sovrapponibile a quella dei pazienti statin-naïve e senza evidenza di CIN post-procedurale (72% vs 71%), dimostrando come la prevenzione della CIN mediante trattamento con statine possa effettivamente tradursi in un significativo beneficio clinico a lungo termine. Questi risultati sono stati recentemente confermati dal trial prospettico, randomizzato, multicentrico, ARMYDA-CIN 32. Questo studio ha verificato l ipotesi secondo cui un pre-trattamento di breve durata con alte dosi di statine, possa ridurre l incidenza di CIN dopo un intervento di angioplastica coronarica in pazienti con sindrome coronarica acuta. Pazienti mai trattati con statine (n=241) sono stati randomizzati ad assumere atorvastatina (80 mg, 12 ore prima dell intervento seguiti da una successiva dose di 40 mg pre-procedurali, n=120) o placebo (n=121). L endpoint primario era l incidenza di CIN, definita come un aumento della Cr post-intervento di 0,5 mg/dl o di >25% dal basale: il 5% dei pazienti del gruppo atorvastatina ha sviluppato CIN vs 13,2% di quelli trattati con placebo (p=0,046). Nel braccio atorvastatina i livelli di Cr post-intervento sono risultati significativamente più bassi (1,06±0,35 vs 1,12±0,27 mg/dl nel placebo, p=0,01), la clearance della Cr più alta (80,1±32,2 vs 72,0±26,6 ml/min, p=0,034) ed il picco di PCR dopo l intervento ridotto (8,4±10,5 vs 13,1±20,8 mg/l, p=0,01). L analisi multivariata ha confermato che il pre-trattamento di breve termine con atorvastatina ad alte dosi era indipendentemente associato ad un ridotto rischio di CIN (OR 0,34, 95% CI 0,12-0,97, p=0,043), con un NNT di 12. Fattori predittivi di aumentato rischio renale erano rappresentati da un età >65 anni e dal superamento della dose massima di contrasto teorica da utilizzare (calcolata mediante apposita formula). In ARMYDA-CIN la prevenzione della CIN mediante terapia con atorvastatina ha anche portato ad una significativa riduzione della durata di degenza, con supposti ridotti costi ospedalieri. Questi risultati forniscono un ulteriore supporto alle precedenti evidenze di un ruolo protettivo delle statine nel setting della rivascolarizzazione coronarica percutanea, di pazienti sia stabili che instabili, dimostrando non solo un beneficio in termini di ridotta incidenza di danno miocardico periprocedurale ed eventi cardiaci, ma anche di nefroprotezione. Bibliografia 1. Abdelmeguid AE, Topol EJ, Whitlow PL, Sapp SK, Ellis SG. Significance of mild transient release of creatine-kinase MB fraction after percutaneous coronary interventions. Circulation 1996; 94: Brener SJ, Ellis SG, Schneider J, Topol EJ. Frequency and long-term impact of myonecrosis after coronary stenting. Eur Heart J 2002; 23: Heusch G, Kleinbongard P, Böse D, et al. 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