Istituto di istruzione superiore per l agricoltura Vincenzo Dandolo Sede di Lonato del Garda (Bs) LO SPIEDO BRESCIANO

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1 Istituto di istruzione superiore per l agricoltura Vincenzo Dandolo Sede di Lonato del Garda (Bs) LO SPIEDO BRESCIANO STEFANO MORANDI CLASSE VL A.S. 2016/2017

2 Descrizione Piatti Tipici Bresciani Valorizzazione Attività Produttive) Poesia San Martino ( Italiano ) Rabbits ( Inglese ) Tipologie Di Spiedo ( Storia )

3 PREMESSA Esistono diversi modi di cuocere la carne degli animali e, soprattutto, la selvaggina, che, essendo un tipo di carne particolare, richiede alcune accortezze. Fra questi spicca per sue caratteristiche e per il fatto di raggiungere un risultato finale quasi sublime, un antico sistema di cottura delle carni, tipico della provincia bresciana, detto allo spiedo. Ciò che fornisce alla carne un sapore e un aroma tutto particolare è la cottura a fuoco lento, che avviene accanto alla fiamma viva del fuoco o al calore delle braci, di pezzi di animali, infilzati con cura, su una robusta asta di legno o di metallo che gira su sé stessa. Lo spiedo è da considerare un piatto le cui origini risalgono lontano nel tempo, forse ancora ai primi cacciatori che gustavano la carne degli animali uccisi, resa più tenera e digeribile dal fuoco. In seguito gli uomini, mentre miglioravano le loro capacità cognitive, vennero sempre più apprezzando il gusto dei cibi e, per rendere le carni sempre più appetibili scoprirono la cottura lenta e uniforme come quella data dallo spiedo. Geograficamente, questo modo di cuocere le carni è presente nella parte continentale dell Italia, un territorio nel quale le tradizioni popolari si avvicinano molto a quelle dell Europa centrale e nordica, come si comprende facilmente dal nome di questa delizia del palato. Il nome dello spiedo, infatti, deriva dal latino medievale spetus, parola di origine longobarda che si ritrova anche nel francese espiet e nell inglese spit, tutti termini che, allora, si riferivano ad un arma bianca, in uso presso le soldataglie nordiche fino al XVI secolo, che veniva brandita contro il nemico o per procurarsi il cibo. Essa era costituita da un asta di frassino, un legno molto resistente e flessibile, della lunghezza di circa due metri che, ad un estremità, montava un affilatissima punta in ferro, il cui uso poteva essere legato ai combattimenti o alla caccia. In questo secondo caso veniva usata soprattutto per cacciare un animale selvatico piuttosto aggressivo come il cinghiale.

4 DESCRIZIONE GENERALE Nella provincia bresciana, per la facilità di procurarsi selvaggina abbondante, il modo di cuocere la carne allo spiedo si diffuse, inizialmente nella parte alpina e prealpina e lungo le vallate espandendosi, successivamente anche in altre zone. Nelle valli Camonica e Trompia, per la presenza di minerale di ferro, e l acquisita capacità nella lavorazione dei metalli, è sempre esistita la tradizione delle armi, come lo è tuttora, e l ampia diffusione della caccia ne è la prima conseguenza. L abbondante uso nell alimentazione della selvaggina cacciata e il desiderio di diversificazione nell assunzione degli alimenti ha sicuramente indotto le persone, abitanti in quei luoghi, ad escogitare i sistemi più ingegnosi e fantasiosi per gustarla nel modo migliore. Tradizionalmente i più raffinati cultori dello spiedo sono considerati i Triumplini ai quali, in un secondo tempo, quasi seguendo una immaginaria linea verticale, si sono aggiunti la città di Brescia e il territorio a sud di essa: la Bassa Bresciana La selvaggina che veniva infilzata nello spiedo, secondo l antica tradizione era costituita da uccelli di taglia minuta, i preferiti erano quelli detti dal becco fine (i primi ad essere stati proibiti dalle autorità), cinciallegre, capinere, tordi, scriccioli, ballerine (boaròte), pettirossi e passere scopaiole (mulinéra). Stanti i divieti ora si è passati anche ai granivori, come i passeri, e ad altri volatili di taglia maggiore come le quaglie e le cesene (gardéne), ma il risultato dal punto di vista del gusto e del sapore, non sembra esattamente rispecchiare quello di un tempo. Frammezzati agli uccelli andavano messi i mumbulì, involtini, costituiti da fettine di lonza di maiale battute e arrotolate in cui si inseriva salvia e pancetta. Alcuni fanno invece uso di fette di coppa, uno dei saporiti salumi anch essi forniti da un animale generoso come il maiale. In altre zone del Bresciano la purezza iniziale dello spiedo è sempre stata contaminata dalla presenza e dall aggiunta di altre carni fornite dagli animali da cortile o allevati in cascina. In ogni caso, nel corso degli anni anche lo spiedo di origine triumplina, stanti le continue proibizioni delle autorità competenti circa la caccia agli uccelli di piccola taglia, quelli dal becco gentile, ha dovuto adeguarsi al nuovo sentire e al diffondersi della sensibilità animalista, modificando la sua composizione e le diverse varietà di carni utilizzate. Ovviamente anche il sapore originario ha subito qualche cambiamento, perché la nuova composizione della carne da cuocere, infilzata a pezzi sull asta, ora costituita da costine di maiale, pollo, coniglio e, in alcune zone, per la felicità dei bambini, da patate, con le fette che non devono tassativamente superare il centimetro, ha portato ad uno stravolgimento del sapore e dell aroma che non possono più essere gli originari. Trattandosi di un piatto autunnale ed invernale, lo spiedo era cucinato all interno delle abitazioni, sul camino che serviva anche come fonte di calore per chi vi abitava. I gentiluomini di campagna come i conti rurali, ad esempio, numerosi nel Bresciano, organizzavano battute di caccia nei loro possedimenti mentre coloro che non avevano altra possibilità, o non possedevano armi da fuoco, cacciavano di frodo, con il vischio, l archetto, il ferzello (sfersèl) o si servivano presso i numerosi roccoli che, con un ingegnoso sistema di reti,

5 catturavano gli uccelli di passaggio sul territorio. PREPARAZIONE, COTTURA E DOSI La preparazione dello spiedo necessita di tempo e di pazienza. Gli uccelli vanno spennati, privati delle raspe (zampe) e fiammeggiati per togliere qualche eventuale residuo di piuma rimasto. Un tempo non venivano tolte loro le interiora ed anzi, i più raffinati aspettavano alcuni giorni per effettuare la spiedatura (i frigoriferi non esistevano ancora), perché i volatili cominciassero a sentire ossia a rilasciare quell inconfondibile aroma che porta, successivamente, al loro deterioramento. I gusti di un tempo non erano delicati come ora ma piuttosto decisi, in linea, del resto, con il carattere schietto e aperto della gente di allora. Il becco non va mai tolto agli uccelli perché è caratteristico della specie e da esso si riconosce il genere di volatile. Inoltre è indispensabile per la consumazione perché, siccome l uccello va mangiato per intero e senza lasciare alcuno scarto, nemmeno gli ossicini, lo si deve prendere afferrando il becco con il pollice e l indice della mano, ignorando la forchetta, e iniziare a degustarlo lentamente, assaporandolo in tutte le sue sfumature di sapore. Alla fine il becco è l unico residuo rimasto del volatile ad essere eliminato. La carne da utilizzare deve essere sezionata il giorno prima dell operazione in pezzetti della stessa misura. Successivamente viene posta a marinare, per almeno mezza giornata, in un contenitore pulito insieme a varie spezie (sale, pepe, basilico, limone ed erbe aromatiche varie) che contribuiranno a fornire il tipico aroma e sapore. Al momento di infilzare i pezzetti di carne nell asta dello spiedo, si devono seguire alcune regole che sono fondamentali per la sua buona riuscita. Le carni che impiegano più tempo ad asciugarsi (pollo, anatra, faraona) devono essere collocate al centro delle ranfie, sui lati è meglio porre la carne di coniglio mentre, le estremità sono da riservare alle costine e alla lonza di maiale. Gli uccelli più minuti vanno sistemati verso le estremità mentre quelli di taglia più grande devono essere concentrati nel cuore dello spiedo. Durante questa importante operazione bisogna prestare attenzione ed avere cura di non comprimere troppo i pezzi l uno contro l altro altrimenti la cottura non risulterebbe uniforme: mentre l esterno apparirebbe cotto a puntino la parte interna risulterebbe incompleta. Bisogna anche evitare il problema opposto perché se si lascia troppo spazio tra i pezzetti di carne si rischia una eccessiva secchezza essendo ogni elemento troppo esposto alla potenza calorica.

6 LA COTTURA Se si considera il numero delle ore impiegate e la costante attenzione richiesta, la cottura rappresenta una fase piuttosto delicata per la buona riuscita del piatto. Il periodo durante il quale la carne, da cruda e quasi insapore, si trasforma, con un lento processo, in un cibo gustoso, succulento e sprigionante aromi è cruciale per la buona riuscita ed il successo o l insuccesso finale, per cui, di solito, lo spiedo viene affidato a mani sicure ed esperte. Un tempo lo spiedo veniva piazzato all imboccatura di un largo camino nel quale ardeva un fuoco vivo, ed un familiare esperto e disponibile, oppure un servo, faceva girare a mano l asta oltre ad inumidire continuamente le carni con il condimento che colava nella leccarda sottostante allo spiedo. Dopo circa un ora dall inizio, aveva luogo la salatura delle carni che doveva essere abbondante ed effettuata, possibilmente, con sale non marino ma con salgemma. Fra le contaminazioni recenti va segnalata l abitudine da parte di alcuni spiedatori anche esperti, di innaffiare le carni, quando manca circa un ora al termine della cottura, con dei liquori secchi, fra i quali il preferito sembra essere, stranamente, il whisky scozzese, una bevanda alcoolica che non esprime la cultura né lo spirito della zona e che non si può sicuramente considerare tipica del territorio. La legna da bruciare veniva scelta fra la più carica di aromi come il ginepro, in montagna, oppure con i tralci delle vecchie viti che la gente si procurava quando venivano estirpati i vigneti, ormai poco produttivi, per fare posto alle barbatelle e ai nuovi impianti. Attualmente per la cottura allo spiedo si seguono principalmente due modalità: A Fiamma Questa tipologia di cottura, in auge nei tempi passati, è sempre meno diffusa perché richiede l uso di un attrezzatura antica e delicata (per la sua descrizione dettagliata si rimanda più avanti). Inoltre bisogna possedere un largo camino che esiste soltanto nelle case tradizionali, un tempo abitate dalla piccola nobiltà di campagna, che ha dato il nome di caminata alla stanza più grande e accogliente. Il vantaggio rispetto ad altri sistemi riguarda il tempo previsto che risulta più ridotto. A Tamburo Attualmente rappresenta la tipologia di cottura più diffusa, effettuata in un apposito contenitore chiuso, in lamiera zincata, con un braciere alimentato a carbonella. Si tratta, in definitiva, di un attrezzatura che comprende dai quattro agli otto schidioni piazzati parallelamente tra di essi e fissati, alle loro estremità, ad una sorta di tamburo anch esso metallico, da cui il nome del sistema, che gira su sé stesso utilizzando l energia elettrica. Ha il vantaggio che, essendo mobile, si può facilmente spostare. Esistono esemplari nei quali il moto è, invece, fornito da una molla che viene caricata appositamente con la sua chiave, secondo il principio della suoneria di cui erano dotate le vecchie sveglie. Al di sotto delle aste che girano e che portano, infilate, le prese, ci sono le braci e, accanto, la leccarda che raccoglie il condimento colaticcio da riversare, di tanto in tanto, sopra le carni, perché rimangano succulenti e non si secchino eccessivamente.

7 DOSI Nella preparazione dello spiedo se si desidera la piena soddisfazione degli appetiti di tutti i commensali oppure che, alla fine, non ne avanzi un eccessiva quantità, si deve obbligatoriamente tenere conto del numero dei presenti al convivio. Normalmente si considera che ognuno dei partecipanti deve poter disporre di un adeguata quantità di pezzi di carne di vario tipo, che in gergo vengono definiti prese, il numero delle quali, in genere, è calcolato non superiore a otto per ciascuno. Fra queste non possono assolutamente mancare gli uccelli che devono seguire l aurea regola del tre, ormai, purtroppo ridotti ad uno, in molti casi, per le note leggi proibizioniste. Naturalmente, così come gli organizzatori possono variare il genere di spiedo, la scelta di una diversa proporzione fra le diverse carni in base ai propri gusti personali e a quelli dei partecipanti, essi possono stabilire anche la dimensione e la quantità più ragguardevole o meno delle prese a disposizione, anche se solitamente non sembra si superino gli 80 grammi ciascuna. Il condimento principale è rappresentato dal burro vaccino e si considera una buona proporzione l uso di un chilogrammo di questo ottimo condimento solido ogni cento prese. L erba aromatica per eccellenza è la salvia che va inserita con sapienza fra le carni. In alcuni paesi, non solo nel Bresciano, forse per rendere più leggero e digeribile lo spiedo che, già di per sé, si presenta di sostanza, e per andare incontro alle esigenze degli intolleranti al lattosio, viene usato l olio al posto del burro. Probabilmente si tratta di una variazione introdotta di recente da salutisti. E importante che la quantità di sale debba essere saggiamente misurata con variazioni in più o in meno a seconda dei gusti personali, delle tradizioni e degli usi locali. Lo spiedo, nell ambito della cottura dei cibi, non solo può essere ritenuto un rito, quasi una forma d arte, ma all atto della sua consumazione può rappresentare un momento conviviale tra i più pieni e gioiosi in cui la gente si ritrova insieme con i parenti, le persone più care oppure con gli amici più divertenti e generosi.

8 STORIA TIPOLOGIE DI SPIEDO DESCRIZIONE DELLO SPIEDO LEONARDESCO A FIAMMA La storia dello spiedo è molto antica e, pur risalendo a parecchi secoli fa, le prime attestazioni scritte si hanno soltanto in epoca medievale. Risale al periodo rinascimentale, invece, il progetto di spiedo illustrato da Leonardo da Vinci e contenuto nella raccolta che custodisce le sue carte, nota come Codice Atlantico, al folio 5 verso a. In realtà il genio toscano aveva progettato anche un altro tipo di spiedo, azionato da un complesso cinematismo a ingranaggi messi in rotazione da un motore a pesi. In ogni caso questo spiedo, che richiama, per qualche aspetto, il girarrosto, è dotato di un particolare congegno che sfrutta uno dei più noti principi della termodinamica. L aria che si trova sopra il fuoco acceso, riscaldandosi,diventa più leggera per cui comincia a salire verso il camino che accoglie anche i fumi. Nel suo movimento ascensionale fa ruotare una ventola a forma di elica, fissata sulla sommità di un asta posta verticalmente all interno del camino. Il moto rotatorio verticale impresso all asta viene, quindi, trasformato in orizzontale mediante un pignone a lanterna fissato all estremità inferiore dell asta, che, a sua volta, ingrana una ruota dentata montata su un albero orizzontale. Questo movimento viene trasmesso da una puleggia ad un albero che porta il girarrosto accanto al focolare. In questo modo, dapprima in modo lento poi, con l aumento della velocità causata dall aria ascensionale, riscaldata da un fuoco vivace, lo spiedo inizia a girare da solo senza che nessuno debba imprimergli altra energia. PRESENZA DEL GIRARROSTO DETTO DI LEONARDO DA VINCI Per quanto se ne sa, in tutta la Lombardia esisterebbero soltanto tre esemplari dello spiedo illustrato da Leonardo Vinci ma, probabilmente, preesistente ad esso e, quindi, non progettato dal genio vinciano. Di questi, uno risulta presente presso il ristorante La Torre di Caino (BS). Un tempo il luogo di sosta e di ristoro, quand era soltanto un osteria posta lungo una via frequentata, forniva un pasto caldo ai mandriani transumanti quando, in autunno inoltrato, raggiungevano i verdi pascoli della Bassa Bresciana per svernare con i loro armenti e, al ritorno, all annuncio della primavera, quando si rimettevano in cammino per guadagnare gli alti pascoli della Valle Sabbia e di Bagolino (BS). Durante la sosta le vacche, i vitelli e gli altri animali che costituivano la mandria, alloggiavano nelle ampie stalle ora trasformate nella sala da pranzo e nelle autorimesse del ristorante. I mandriani, dopo il lungo cammino, sdraiati nella paglia, riposavano accanto ai loro preziosi animali. Dai proprietari, l antico spiedo, tuttora ben funzionante, è considerato un

9 attrezzo rarissimo e conservato con ogni cura. SPIEDO A MOLLA La tipologia dello spiedo a molla non può vantare l antichità del metodo che prende il nome da Leonardo da Vinci. Sembra, infatti, che i primi esemplari siano apparsi soltanto verso la fine del XIX secolo o all inizio del Novecento quando si pensò di utilizzare anche per il movimento dello spiedo, l energia accumulata da una molla metallica arrotolata su sé stessa, mediante il caricamento effettuato con una sua apposita chiave. Il lento srotolamento della molla rilascia l energia sufficiente per far girare, per un determinato periodo di tempo, l asta dello spiedo. Un raro esemplare di spiedo a molla, dal lontano 1910, appartiene alla mia famiglia che lo tiene con ogni cura e continua ad utilizzarlo per i pranzi a cui partecipa tutto il parentado. Si tramanda, nei racconti dei vecchi accanto al camino, che lo spiedo venne acquistato da una prozia per dotare l osteria che gestiva e che sembra fosse molto apprezzata, di un attrezzo ritenuto indispensabile per la sua attività e, quindi, per via ereditaria, è giunto alla mia famiglia. Questo esemplare di spiedo, come tutti quelli del suo genere, funziona mediante una manovella che, girata in senso orario, ricarica una molla metallica interna. Più rapidamente si gira la manovella e più veloce gira lo spiedo mentre man mano la molla si srotola anche la velocità di rotazione delle ranfie diminuisce. Non risultando costante la velocità, il meccanismo necessita della saltuaria presenza di un operatore che, mentre ricarica la molla, bagna i pezzi di carne con il liquido condimento a cui si è aggiunto anche del grasso che si è sciolto per il calore e si è raccolto nella leccarda sottostante.

10 ITALIANO Giosuè Carducci Nacque nel 1835 a Valdicastello, in Versilia e trascorse l'infanzia a Bolgheri, un paesino della Maremma toscana dove il padre esercitava la professione di medico condotto. Dal padre ereditò la passione patriottica. Studiò a Firenze e Pisa dove conseguì la laurea in lettere presso la Scuola Normale. Intraprese quindi la carriera di insegnante e nel 1860 fu nominato professore di Letteratura Italiana all'università di Bologna dove insegnò per quarant'anni e dove morì nel Fu il primo italiano a vincere il Premio Nobel per la letteratura nel Nelle poesie di Carducci emerge l'amore per la patria, un innato amore per il bello, per la natura, un'incondizionata adesione alla vita nelle sue espressioni più genuine. Nelle Rime convergono vari argomenti della poesia carducciana: dal tema dell amore (spesso intersecato con quello della morte) alla rievocazione storica, d argomento medievale o più strettamente contemporaneo, cui s aggiunge l'amore del poeta per il paesaggio naturale, in particolar modo maremmano.

11 POESIA SAN MARTINO La nebbia a gl'irti colli piovigginando sale, e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar; ma per le vie del borgo dal ribollir de' tini va l'aspro odor dei vini l'anime a rallegrar. Gira su' ceppi accesi lo spiedo scoppiettando sta il cacciator fischiando su l'uscio a rimirar tra le rossastre nubi stormi d'uccelli neri, com'esuli pensieri, nel vespero migrar. Nella poesia San Martino, Giosuè Carducci, ci presenta il paesaggio autunnale, malinconico, triste e spoglio, con la nebbia, il vento, il mare reso umano dall urlo, il cielo nuvoloso, gli uccelli che migrano. Il poeta si sofferma su alcuni momenti autunnali tipici della terra in cui ha trascorso la sua infanzia, la Maremma toscana. Il giorno di San Martino era molto importante nel contesto della civiltà contadina. In quel giorno, infatti, terminava il lavoro nei campi, si rinnovavano i contratti dei salariati e si provvedeva alla svinatura. Nella poesia il poeta contrappone gli aspetti della natura e i suoi fenomeni alle attività umane nel paese durante l autunno. Il paesaggio autunnale del mese di novembre si pone in contrapposizione all allegria che c è nel borgo per la fine del lavoro nei campi e l inizio del travaso del vino dai tini dove era stato precedentemente messo a fermentare nelle botti. Un momento di riflessione si ha con il paragone tra gli «esuli pensieri» e gli «stormi di uccelli neri» che mette in risalto lo stato d animo inquieto del poeta, il quale vorrebbe poter scacciare le preoccupazioni e allontanarle come si allontanano gli uccelli migratori. Per evidenziare la popolarità e la tradizione dei contadini, dei cacciatori e delle persone comuni, Carducci ha usato nella lirica un

12 linguaggio semplice e di facile comprensione. Nell intera poesia vi è un abbondanza di sostantivi, aggettivi, verbi che, uniti a molte immagini visive (es. tra le rossastre nubi ), acustiche (es. lo spiedo scoppiettando ) e olfattive ( es. l aspro odor de i vini ), rendono nitida e precisa in ogni tratto la descrizione. VALORIZZAZZIONE ATTIVITA' PRODUTTIVE PIATTI TIPICI BRESCIANI La tradizione bresciana vuole che, prima di gustare lo spiedo, si metta a suo agio lo stomaco e lo si prepari ad accogliere con serena gioia il vigoroso e impegnativo piatto fumante. Ecco allora, nell attesa del piattoavvenimento, giungere in tavola una minestrina con una pasta fine come le armiline che ricorda, nella forma, dei piccoli semi, forse di melone, immersa in un sostanzioso brodo di gallina vecchia e con, annegati dentro, fegato, stomaco, cuore e rigaglie dell uccello di cortile, tutti tagliati a strisce sottili. Da non confondersi con la minestra sporca che si cucina la sera per cena e soltanto in occasione della macellazione del maiale, contenente riso, qualche verdurina e una parte di ripieno fresco del salame. Lo spiedo viene accompagnato con la tradizionale polenta di farina gialla (in Veneto si preferisce quella candida di mais bianco). Da qualche anno si è diffuso l uso della polenta detta tiragna o taragna, molto carica di sostanza e di grassi perché vi sono aggiunti, nella cottura, formaggi e burro. Trattandosi dell accompagnamento di un piatto già piuttosto carico di per sé come lo spiedo, non è consigliabile per chi ha la digestione lenta o ha problemi di fegato o di linea. Un piatto famoso nel Bresciano sono i casoncelli (cazonsèi), una pasta ripiena la cui ricetta, riguardo al ripieno, varia da zona a zona e che si possono accostare ad altre specialità simili come gli agnolotti, i ravioli, gli agnolini ecc. La particolarità dei casoncelli, che si possono gustare anche in brodo o con sugo, è di essere serviti, conditi con burro caldo fumante e salvia. Il nome sembra possa essere derivato dal termine calza o calzoni con perdita della lettera L. Il paragone è con la calza della Befana che viene riempita di leccornie così come questa pasta bresciana viene riempita con una molle poltiglia ottenuta macinando cibarie gustose e ricche di aromi. Altro primo piatto tipico della generosa terra bresciana è costituito dalla pasta condita con salmì di lepre detta alla bresciana, classificabile come frutto di cacciagione. I risotti, anche se piuttosto diffusi pure altrove, si trovano tipici nella versione con i funghi e alla pitocca, con il pollo e altri ingredienti. Appartiene alla tradizione più antica la trippa che veniva servita in scodella nelle osterie.

13 Altrettanto tradizionale è la panàda fatta con brodo, pane avanzato, lardo pestato, burro e salvia mentre le mariconde, altro tradizionale primo piatto, sono costituite da palline ricche di vari ingredienti e cotte nel brodo. Tipico della zona di Rovato (BS), che ne rivendica da sempre, la primogenitura, è il manzo all olio, un piatto in umido, eccezionalmente gustoso. Tipico dell alta val Camonica è il cuz di Corteno Golgi (BS), con pezzi di carne di pecora, cotti a lungo in un capace paiolo. Altro ovino cucinato in modo tradizionale è il capretto alla bresciana. Fra i pesci si possono ricordare i filetti di coregone alla gardesana e la tinca ripiena, al forno di Clusane, frazione di Iseo (BS). Non si possono poi non ricordare i piatti a base di rane e di lumache a cui spesso viene accostato un pescetto sgraziato che vive nei fossi d acqua dolce: il ghiozzo meglio conosciuto come bòs oppure boza nella versione femminile. Un gustoso contorno è costituito dal guazzetto di chiodini alla bresciana. Tra i dolci tipicamente bresciani si possono annoverare il bossolà, la focaccia di Breno (BS) e la bertoldina o bertolina.

14 INGLESE RABBITS Rabbits are small furry animals of the mammal family. They are raised for food production or sometimes kept as pets. They have elongate hind legs, and small and short ears. A female rabbit is called a doe, a male rabbit is called a buck. A doe is ready to mate when she is 5/8 months old and a buck is ready at 6/9 months. There is a breeding season from January to June, but young may be born in any month of the year. The young are naked, blind and dealf at birth, and do not leave the nest for three weeks. Rabbits mainly eat a variety of plant food including many crop plants. When you want to breed your rabbits you have to mate rabbits only of the same breed ; Keep only one rabbit in each cage when the rabbit is 3 months or older ; take the doe to the buck's cage, when it is ready to mate you mustn't breed brothers to sisters. You may mate rabbits of the same breed having different colours.

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