22 maggio 2014 Mercati emergenti: molto più solidi rispetto agli anni 90 Un modello economico basato su bassi costi, massicci afflussi di capitali ma anche politiche monetarie molto espansive messe in atto a livello globale per combattere la recessione hanno contribuito alla rinascita dei Paesi emergenti nell ultimo decennio. Durante questo periodo, prediligere questi mercati e le classi di attività ad essi correlati, come le materie prime, era la cosa giusta da fare. L'annunciato ridimensionamento degli stimoli monetari negli Stati Uniti lo scorso anno, e con esso la prospettata fine della politica dei tassi a zero, ha rappresentato un brusco risveglio per gli investitori. I flussi abbondanti di liquidità dalle Banche Centrali hanno infatti alimentato gli investimenti sugli emergenti anche dopo la crisi del 2008, ma la loro possibile fine ha spostato l attenzione su una realtà diversa. Gli operatori hanno scoperto che alcuni modelli di crescita erano sbilanciati, con eccessiva dipendenza dalle esportazioni e inefficiente allocazione delle risorse in settori a bassa produttività, mentre i governi di alcuni di questi paesi non avevano sufficienti incentivi ad attuare le necessarie riforme strutturali e istituzionali per sostenere la crescita. I mercati azionari emergenti hanno cominciato a sottoperformare quelli globali fin dal 2011, mentre quelli obbligazionari hanno sofferto relativamente meno. Se guardiamo ai rendimenti attesi a lungo termine per tutte le principali asset class, le azioni dei mercati emergenti sembrano offrire le opportunità più interessanti su un orizzonte di 5-7 anni, in base alle valutazioni correnti e in un ipotesi di convergenza dei prezzi verso la loro media storica (mean reversion). D'altra parte, se si ritiene che gli emergenti stiano entrando in una nuova fase di elevata volatilità a causa di una debolezza economica strutturale e di rinnovate tensioni geopolitiche, il divario di valutazione con i mercati sviluppati può essere del tutto giustificato e richiederebbe molto più tempo per essere colmato tiene a precisare Giordano Lombardo, Group CIO di Pioneer Investments che poi aggiunge: In ogni caso non vediamo condizioni simili a quelle che determinarono le crisi degli anni '90. La maggior parte di queste economie e dei loro mercati finanziari hanno compiuto rilevanti progressi da allora e, pertanto, non crediamo che la situazione attuale, per quanto a tratti volatile, sia così pericolosa come lo
era negli anni 90. I recenti investimenti nei mercati emergenti sono venuti da una base di investitori molto più diversificata, che include aziende interessate a sviluppare effettive attività negli emergenti (investimento diretto), nonché investitori privati ed istituzionali che investono soldi dei propri clienti e quindi non a leva. Vale la pena notare che la componente più "stabile" rappresentata dagli investimenti diretti è stata per lo più costante nel decennio, mentre la quota dei flussi globali di portafoglio è risultata molto più volatile ed è aumentata dopo la crisi finanziaria globale. Questo porta a due importanti implicazioni: da un lato la presenza di investitori senza leva finanziaria rende i mercati emergenti meno vulnerabili ad improvvise vendite forzate in caso di crisi, come è avvenuto negli anni '90; dall altro, questa evoluzione non consente di isolare completamente gli emergenti dal cambiamento del sentiment degli investitori, come avviene tipicamente in fasi di repentino mutamento della propensione al rischio sottolinea Giordano Lombardo. Un altro cambiamento rilevante dagli anni '90 è legato alla struttura del debito degli emergenti: ora la situazione appare sostanzialmente diversa dal passato, poiché il debito sovrano in valuta locale è pari a circa il 80% del totale. Chiaramente, non stiamo dicendo che gli emergenti siano completamente immuni da crisi potenziali. Il ruolo crescente dei portafogli globali e la diffusione di nuovi strumenti di investimento, quali ETF e fondi passivi, rendono l area emergente strettamente intrecciata con le condizioni finanziarie globali puntualizza Lombardo che, tuttavia, ritiene che l'evoluzione in termini di dimensione e profondità dei mercati emergenti, nonché i fondamentali migliori (soprattutto in termini di riserve di valuta estera) abbiano reso l area più solida rispetto agli anni '90. Il ruolo dei governi nel rafforzare il sistema finanziario e sviluppare un'ampia base di investitori domestici dovrebbe renderli ancora più resistenti in caso di crisi. Vale la pena notare che le Banche Centrali dei paesi emergenti hanno ancora a disposizione la leva tradizionale della politica monetaria per arginare eventuali crisi, ossia i tassi di interesse, a differenza dei principali paesi sviluppati dove i tassi di riferimento della politica sono pressoché a zero: le misure adottate da Turchia e India nella recente crisi sono un esempio calzante. Nel mondo emergente, inoltre, gli esempi di cambi ancorati a quelli di paesi sviluppati si sono alquanto ridotti e ciò ha attenuato vincoli rivelatisi in passato insostenibili, al punto da creare il presupposto delle precedenti crisi. Altrettanto degno di nota è il fatto che molti paesi emergenti abbiano introdotto obiettivi di inflazione e in generale abbiano condotto la politica monetaria in modo ben più trasparente conclude Giordano Lombardo.
21/05/2014 Mercati emergenti: ancora opportunità per chi sa selezionare Nonostante alcune criticità, questi paesi restano interessanti per gli investitori. E appaiono decisamente più solidi che negli anni 90 L'ultimo decennio sarà probabilmente ricordato come l'epoca d'oro per i mercati emergenti. Queste economie, uscite dalla crisi degli anni '90, hanno vissuto con successo una storia di ristrutturazione e di forte crescita all'inizio del nuovo millennio. Durante questo periodo, prediligere i mercati emergenti e classi di attività ad essi correlati, come le materie prime, era la cosa giusta da fare. Gli investitori globali hanno puntato sugli emergenti e la diversificazione verso queste asset class ha interessato non solo gli istituzionali, ma anche i privati. L'annunciato ridimensionamento degli stimoli monetari negli Stati Uniti lo scorso anno, e con esso la prospettata fine della politica dei tassi a zero, ha rappresento un brusco risveglio per gli investitori. Gli operatori hanno scoperto che alcuni modelli di crescita erano sbilanciati, con eccessiva dipendenza dalle esportazioni e inefficiente allocazione delle risorse in settori a bassa produttività, mentre i governi di alcuni di questi paesi non avevano sufficienti incentivi ad attuare le necessarie riforme strutturali e istituzionali per sostenere la crescita. La domanda legittima da farsi oggi è se i tempi siano maturi per una rivalutazione positiva dell opportunità di investimento nei mercati emergenti oppure, al contrario, se stiamo attraversando un nuovo ciclo di alta volatilità. Cominciamo col dire che non vediamo condizioni simili a quelle che determinarono le crisi degli anni '90. La maggior parte di queste economie e dei loro mercati finanziari hanno compiuto rilevanti progressi da allora e, pertanto, non crediamo che la situazione attuale, per quanto a tratti volatile, sia così pericolosa come lo era negli anni 90. Se consideriamo la natura dei recenti flussi verso gli emergenti e la loro struttura del debito, notiamo caratteristiche diverse e più incoraggianti rispetto a quanto osservato in occasione di crisi come quelle in America Latina ed Asia di quasi 20 anni fa. All epoca, la maggior parte dei finanziamenti verso l area emergente veniva dalle banche americane ed europee, mentre i recenti investimenti sono venuti da una base di investitori molto più diversificata, che include aziende interessate a sviluppare effettive attività negli emergenti (investimento diretto), nonché investitori privati ed istituzionali. Un altro cambiamento rilevante è legato alla struttura del debito degli emergenti. All epoca delle grandi crisi di quell area una parte importante del debito sovrano era denominato in dollari, fatto che si è rivelato un elemento di instabilità costante. Oggi invece il debito sovrano in valuta locale è pari a circa l 80% del totale. Chiaramente, non stiamo dicendo che gli emergenti siano completamente immuni da crisi potenziali. Il ruolo crescente dei portafogli globali e la diffusione di nuovi strumenti di investimento, quali Etf e fondi passivi, rendono l area emergente strettamente intrecciata con le condizioni finanziarie globali. Per questo motivo, gli emergenti sono potenzialmente molto sensibili agli effetti di una
normalizzazione delle politiche monetarie, in particolare negli Stati Uniti. Tuttavia, riteniamo che l'evoluzione in termini di dimensione e profondità dei mercati emergenti, nonché i fondamentali migliori (soprattutto in termini di riserve di valuta estera) abbiano reso l area più solida rispetto agli anni '90. Il ruolo dei governi nel rafforzare il sistema finanziario e sviluppare un'ampia base di investitori domestici dovrebbe renderli ancora più resistenti in caso di crisi. Le banche centrali dei paesi emergenti hanno ancora a disposizione la leva tradizionale della politica monetaria per arginare eventuali crisi, ossia i tassi di interesse, a differenza dei principali paesi sviluppati. Ma dopo tre anni di performance deludenti, è il momento di investire sugli emergenti? Guardando le stime sui rendimenti reali attesi a lungo termine fatte dai nostri team di ricerca interni, i mercati emergenti sembrano molto più attraenti dei mercati sviluppati, e ciò varrebbe sia per l azionario che per il reddito fisso. Occorre però considerare una serie di altri fattori: dalle condizioni economiche strutturali, agli sviluppi politici nei singoli paesi e tenendo presenti eventuali tensioni geopolitiche come quella che attualmente coinvolge Russia e Ucraina. La Cina è l anello cruciale di questa nuova opportunità di investire sugli emergenti, poiché dalla sua crescita dipende gran parte delle fortune economiche di quest area e non solo. La Cina in questo momento pesa per circa il 45% della crescita del Pil globale e molti paesi emergenti abbiano nella Cina il principale mercato di esportazione. Se la Cina sarà in grado di gestire senza traumi la transizione verso un modello di crescita meno fondato sul credito bancario senza incorrere in un atterraggio duro per l economia (il cosiddetto hard landing), l area emergente saprà probabilmente affrontare l'attuale fase senza grandi scosse. La principale preoccupazione degli investitori per la Cina è sul debito: il modello di crescita trainata dagli investimenti ha generato una corsa al debito. Il settore bancario è quasi monopolista nella gestione del rischio di credito, mentre lo sviluppo disordinato di un sistema finanziario "ombra" solleva ulteriori preoccupazioni. Il processo di riduzione del debito cinese, tuttavia, è stato già avviato ed è complementare all ambizioso programma di riforme istituito dalle autorità. Il basso livello del debito dell'amministrazione centrale (30% del Pil) lascia inoltre spazio per una politica fiscale in caso di crisi. E la bassa percentuale di debito detenuto da investitori esteri (circa il 4% in Cina emergente) dovrebbe limitare i rischi di contagio e rendere la Cina meno vulnerabile a deflussi di capitale da parte degli investitori stranieri. Se aggiungiamo che le valutazioni per il mercato azionario sono in realtà molto interessanti, appare fondato esprimere un giudizio positivo sulla Cina, che attualmente è infatti il nostro paese preferito dell area emergente. Per gli altri paesi il quadro è più contrastato. I cosiddetti "cinque fragili " (Brasile, Sud Africa, Indonesia, India e Turchia), nonché l'ucraina (ora sotto i riflettori soprattutto per motivi geopolitici, ma anche con fondamentali deboli) mostrano i segni più evidenti del malessere degli emergenti: ampi disavanzi delle partite correnti e deficit di bilancio, bassa diversificazione del modello economico, clima di investimento per le aziende non favorevole e incontrollata espansione del credito. Per la maggior parte di questi paesi, le valutazioni azionarie sono decisamente basse e già riflettono una situazione di difficoltà. Guardando a questi mercati in una prospettiva dinamica, vediamo diverse opportunità con un ottica di medio termine. Stiamo monitorando con attenzione l'india, dove le elezioni politiche potrebbero essere un catalizzatore per sbloccare l'enorme potenziale di crescita, grazie a riforme economiche e istituzionali e al rilancio di un nuovo ciclo di investimenti. Anche la Russia potrebbe diventare un interessante caso d investimento, grazie alle valutazioni
particolarmente depresse, anche se qualsiasi decisione resta subordinata all evoluzione della crisi Ucraina. Meno positiva è la prospettiva sul Brasile, che ha bisogno di diversificare il sistema produttivo, troppo dipendente dalle materie prime, e di costruire nuove infrastrutture, ma in un anno elettorale l'impegno politico per le riforme sembra essere debole. Per altri paesi asiatici (per lo più dipendenti dalla Cina) lo scenario è più incoraggiante, ma le valutazioni di mercato stanno già scontando migliori condizioni economiche. Anche il Messico, pur appartenendo ad un altra regione, rientrerebbe in questo gruppo. Per concludere, riteniamo che la recente volatilità sugli emergenti possa portare a nuove opportunità di investimento selettive sia per il reddito fisso che per l azionario. Questo punto di vista costruttivo è strettamente legato al nostro scenario di base, ancora moderatamente positivo sugli investimenti rischiosi. In caso di mercati globali fortemente al ribasso, però, dubitiamo che gli emergenti siano in grado di far meglio dei mercati sviluppati. Sull azionario il nostro orientamento è per un graduale aumento dell esposizione, approfittando di fasi di debolezza e volatilità, con una visione a lungo termine che vede questi mercati offrire migliori opportunità di quelli sviluppati. Nel reddito fisso privilegiamo il settore delle imprese, che ancora offre un premio per il rischio interessante. La grande fase di crescita indiscriminata degli emergenti è probabilmente finita, ma crediamo che ci siano ancora importanti opportunità per investitori con una mente aperta e con un approccio attivo basato sull analisi fondamentale. Giordano Lombardo, Group CIO Pioneer Investments