1. LE TEORIE DELLA DOMANDA DI MONETA 1 2. LA TEORIA DELLE SCELTE DI PORTAFOGLIO 17

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INDICE 1. LE TEORIE DELLA DOMANDA DI MONETA 1 1.1. LA TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA 1 1.1.1. Equazione degli scambi di Irving Fisher 2 1.1.2. La metodologia di Cambridge 4 1.1.3. La teoria quantitativa moderna 5 1.2. LA TEORIA KEYNESIANA 8 1.2.1. La preferenza per la liquidità. 8 1.2.2. I limiti della teoria keynesiana 14 2. LA TEORIA DELLE SCELTE DI PORTAFOGLIO 17 2.1. LA PROPOSTA DI TOBIN 17 2.1.1. Amanti del rischio 21 2.1.2. Avversi al rischio 22 2.2. SCELTE DI PORTAFOGLIO CONSIDERANDO MOLTEPLICI ALTERNATIVE ALLA MONETA 25 2.2.1. La frontiera rendimento rischio considerando due soli titoli rischiosi 27

1. Le teorie della domanda di moneta La domanda di moneta costituisce oggetto di studio di numerosi modelli aventi in comune due caratteristiche generali: l ottimizzazione avviene in un singolo periodo; ogni modello è solamente parziale in quanto viene generalmente considerato un solo motivo per detenere il bene. Questo però non comporta la non applicabilità dei modelli nelle circostanze del mondo reale. Ogni modello può essere utilmente applicato a operatori economici particolari, ad esempio imprese o a persone, ma non può essere applicabile a tutti gli operatori e in ogni circostanza. Due motivi speciali per la detenzione di moneta che rappresentano anche il punto di partenza per un certo numero di teorie sono l utilizzo come mezzo di scambio universalmente accettabile (almeno nell economia interna) e il ruolo come scorta di valore. Il seguente capitolo tratterà le principali teorie tradizionali elaborate per spiegare la domanda di moneta, in particolare la teoria quantitativa di moneta e la teoria della preferenza per la liquidità. Per la prima ci sarà la spiegazione della versione classica e di quella della scuola di Cambridge. In entrambe le formulazioni la moneta è vista essenzialmente come mezzo di pagamento e pertanto, la principale determinante della sua domanda è costituita dal livello delle transazioni. Verrà inoltre esposta anche la riformulazione della teoria quantitativa in chiave più moderna elaborata successivamente da Milton Friedman nel (1956). Per la seconda verrà esposta la sua formulazione da parte di Keynes. Lui accettava l opinione della scuola di Cambridge circa il movente della transazione, ma allo stesso tempo introduce due ulteriori ragioni per detenere moneta: per precauzione e per speculazione. Saranno inoltre riportati, per concludere la spiegazione di tale teoria, i limiti che essa presenta. 1.1. La teoria quantitativa della moneta La teoria quantitativa della moneta afferma che gli agenti economici domandano moneta per far fronte alla mancata sincronia nel mondo reale di incassi e pagamenti. Di fatto, considerando che la moneta in veste di circolante non rende alcun interesse, se le entrate e le uscite monetarie coincidessero nessuno avrebbe motivo di detenere disponibilità 1

liquide infruttifere quando, invece, può acquistare attività sicure con rendimento positivo (nel mondo classico si assumeva un contesto deterministico poiché i fenomeni di incertezza non erano modellati in modo esplicito). Nel caso di asincronia tra incassi e pagamenti, la detenzione di moneta consente di far fronte alle uscite monetarie anche se contemporaneamente non è prevista nessuna entrata. Secondo questa impostazione la domanda di moneta dipende da: - Fattori istituzionali comportamentali, cui esempi sono la distanza temporale tra due incassi successivi e le abitudini di spesa degli agenti in tale periodo. - Fattori di tipo economico, come l importo ottenuto al momento degli incassi, o la quantità di acquisti che si desidera effettuare in un certo periodo. Nel periodo tra due incassi successivi, dati i diversi saldi monetari rilevabili giorno per giorno a causa dei diversi pagamenti giornalieri previsti, si identificherà come domanda di moneta di un agente economico la media dei saldi monetari detenuti nel periodo considerato. La teoria quantitativa della moneta può essere spiegata sia attraverso la versione di Fisher, rappresentante degli economisti classici, che con quella della scuola di Cambridge. In entrambi i casi è stata studiata la moneta considerando il suo ruolo di mezzo di pagamento e quindi, sono stati forniti modelli di domanda della stessa per transazioni. 1.1.1. Equazione degli scambi di Irving Fisher Fisher analizza la domanda di moneta per transazioni partendo dalla seguente identità contabile: MV = PY dove M sta per la quantità di moneta in circolazione; V per la velocità di circolazione, ovvero il numero di volte che la moneta cambia di mano poiché le transazioni comportano uno scambio di moneta; P rappresenta il livello medio dei prezzi; Y corrisponde al numero delle transazioni. Stabilito il significato di ogni variabile, l identità esprime l uguaglianza tra il valore delle transazioni intraprese (PY) e l importo di moneta che cambia di mano (MV) (tale espressione è ovvia quando gli scambi effettuati in un economia hanno come contropartita prestazioni monetarie). 2

L identità contabile analizzata esprime la teoria di determinazione del livello dei prezzi. Infatti, attraverso l assunzione delle seguenti caratteristiche del comportamento degli agenti e dell economia, quali: a) V è costante perché dipende da fattori che, almeno nel breve medio periodo, non variano, come le abitudini di spesa degli agenti, i loro schemi di incasso e di pagamento; b) Y rappresenta la quantità di transazioni che corrisponde alla produzione naturale dell economia, ovvero quando le risorse sono pienamente impiegate. Per cui qualsiasi cambiamento percentuale nell offerta di moneta determinerà un uguale cambiamento percentuale nel livello dei prezzi; l uguaglianza ci indica come il livello dei prezzi sia proporzionale alla quantità di moneta in circolazione, con un fattore di proporzionalità pari al rapporto tra V e T: da MV = PY segue infatti P = (V/T) M Dati quindi V e T costanti, un aumento di M comporta necessariamente un proporzionale aumento dei prezzi. L inflazione risulta così un fenomeno esclusivamente monetario. Con tale impostazione è possibile ricavare una teoria della domanda di moneta solo indirettamente. Infatti, dati V e T, per ogni livello di P esiste una sola quantità di moneta compatibile con il desiderio degli agenti di effettuare gli scambi. La domanda reale di moneta è pari al rapporto T/V, e risulta quindi rigida rispetto al livello dei prezzi: da MV = PY segue infatti M/P = T/V La domanda nominale di moneta, dipende invece dal livello dei prezzi: da MV = PY segue M = P (T/V) Una volta ottenuta la domanda di moneta, bisogna comunque tener conto che le due assunzioni alla base della formulazione Fisheriana non hanno trovato riscontro dall evidenza empirica poiché, né la velocità di circolazione della moneta è costante, tantomeno il sistema economico è caratterizzato sempre da condizioni di pieno impiego. Nonostante ciò, tale teoria propone una relazione tra moneta e prezzi che rientra tra le poche regolarità empiriche forti dell economia. Infatti, è stato osservato statisticamente che il tasso di crescita medio della moneta in circolazione e il tasso di inflazione sono correlati con valore pari a 1 se si considera un campione sufficientemente ampio di paesi, 3

in un periodo sufficientemente lungo. In realtà, la Teoria Quantitativa della Moneta va oltre la semplice correlazione tra le due variabili poiché esprime anche la direzione di casualità dalla moneta ai prezzi. Infatti, la correlazione sarebbe osservabile anche nel caso contrario in cui è il livello dei prezzi che incide sulla moneta. 1.1.2. La metodologia di Cambridge La formulazione della scuola di Cambridge differisce da quella Fisheriana perché esprime direttamente una teoria della domanda di moneta. Essi derivano la cosiddetta equazione delle scorte dalla massimizzazione di una funzione di utilità. Tale funzione, che esprime le preferenze degli agenti economici, si caratterizza per la considerazione della moneta tra gli argomenti. Infatti, la scuola di Cambridge riconosce che gli individui possono desiderare di detenere moneta per le stesse ragioni generiche per cui possiedono beni, ovvero perché produce utilità o soddisfazione: l utilità deriva dall utilizzo della moneta come mezzo di scambio nelle transazioni. L equazione ottenuta dal processo di ottimizzazione vincolata (gli agenti devono rispettare un vincolo di bilancio) è la seguente: M + = kpy da cui si evince che la domanda di moneta dipenderà dal reddito monetario PY, il quale è definito dal prodotto del livello dei prezzi P per il reddito reale Y, secondo un certo coefficiente di proporzionalità k. Quest ultimo esprime la frazione del reddito monetario che gli agenti desiderano detenere sotto forma di scorte monetarie e si caratterizza per essere: - inversamente proporzionale alla velocità di circolazione della moneta: più moneta viene detenuta, meno velocemente la moneta circola, dati determinati scambi da effettuare. - non costante cosi come assunto da Fisher: k dipende esplicitamente dalla quantità di moneta complessivamente a disposizione. Se questa aumenta, diminuisce l utilità marginale del detenere saldi monetari aggiuntivi e quindi k scende. 4

Con l equazione delle scorte rispetto a quella degli scambi, si passa inoltre da un concetto di flussi monetari, necessari per effettuare gli scambi in un certo periodo, ad uno stock di domanda di una determinata attività. 1.1.3. La teoria quantitativa moderna Nel 1956, Milton Friedman ha rielaborato in chiave più moderna la teoria quantitativa. Mentre gli economisti classici si chiedevano le ragioni che spingono a detenere moneta, lui si concentrò su quali siano i fattori che ne determinano la quantità richiesta. Friedman discute la funzione dell utilità e il vincolo di bilancio in termini molto generali. Per la funzione di utilità non propone nessuna funzione esplicita, ma si limita a notare che vi sarà un utilità marginale decrescente della moneta e che tutte le altre attività e passività finanziarie, compresi i beni reali, possono costituire un alternativa al possesso di moneta e apparire pertanto come argomento nella funzione di utilità. Per quanto riguarda il vincolo di bilancio, Friedman indica che l importo massimo che un individuo può convertire in moneta è dato dalla sua ricchezza finanziaria netta e da quella fisica. La prima corrisponde alla ricchezza finanziaria lorda meno le passività finanziarie (es. le anticipazioni bancarie), la seconda comprende i beni durevoli di consumo e per la casa. In linea di principio, nella ricchezza finanziaria netta rientrerebbe la ricchezza umana considerata sotto forma di valore attuale scontato del reddito futuro da lavoro. Di fatto, nella definizione del vincolo di bilancio, Friedman tiene conto di tale ricchezza poiché la considera tra le determinanti della domanda di moneta attraverso il rapporto fra la ricchezza umana e quella non umana. In tal modo però, si discosta dalle convenzioni sociali che al contrario non considerano la ricchezza umana data l esistenza dell incertezza circa il futuro che limita l ambito entro cui l individuo può cambiare il reddito futuro da lavoro per aumentare il possesso di moneta. Nella Teoria Quantitativa della Moneta non esiste alcuna procedura formale di massimizzazione. Friedman, per capire da cosa dipenda la richiesta di moneta, presenta un elenco di variabili che possano entrare nella funzione di domanda. Attraverso i dati a livello macroeconomico stima i coefficienti delle determinanti introdotte e verifica quali risultino più importanti. Le variabili sono: 5

a) Il prezzo dei beni che la moneta può acquistare, indicato dal livello generale dei prezzi (P), il cui reciproco misura il potere di acquisto della moneta stessa, e quindi il suo valore come mezzo di pagamento; b) La variazione attesa del livello generale dei prezzi, dato che la moneta può essere domandata oggi per essere utilizzata come intermediario degli scambi in una data futura, -. / 0 1.+02 +3 14 c) Il rendimento della moneta (rm) e delle attività ad essa alternativa, come obbligazioni (rb) ed azioni (re); d) La ricchezza di un agente (W) e la sua composizione tra ricchezza patrimoniale e non patrimoniale (ricchezza umana ottenuta con la capitalizzazione di redditi da lavoro), dato che agenti con ugual ricchezza, ma di diversa fonte possono razionalmente compiere scelte distinte: Friedman indica con la lettera w la quota della ricchezza patrimoniale sul totale; e) Le preferenze dell agente (u), come il grado di avversione al rischio espresso dalla curvatura della funzione di utilità. È possibile allora scrivere la domanda di moneta così come segue: m + = f[p, 1 dp ; P dt, W, w, u, r A, r B, r ; ] Per poter stimare una domanda di moneta macroeconomica sono necessarie alcune ipotesi tecniche semplificatrici come: - l assunzione di una dispersione costante nel tempo dei valori delle variabili intorno alla media, - l assunzione del tasso di rendimento della moneta pari a zero, - l approssimazione del valore della ricchezza attualizzando, con la media dei rendimenti, il reddito permanente in termini nominali (Y). Si avrà allora: M + = F[P, 1 dp ; P dt, Y, w, u, r B, r ; ] Considerando il postulato di razionalità degli agenti, la funzione di domanda di moneta deve risultare lineare nel reddito nominale e nei prezzi affinché gli agenti non soffrano di 6

illusione monetaria : la domanda di moneta deve variare in modo proporzionale al variare di prezzi e reddito. Analiticamente, questo richiede che per ogni λ si dovrà avere: F[λP, 1 dp ; P dt, λy, w, u, r B, r ; ] = λf[p, 1 dp ; P dt, Y, w, u, r B, r ; ] = λm + Ponendo λ = 1/P, si può ottenere la domanda di moneta in termini reali che risulta essere una funzione del reddito reale Y/P. Infatti: M + P = F[1 dp ; P dt, Y P, w, u, r B, r ; ] In tal modo Friedman ha stimato una domanda di moneta dalla quale si evince la scarsa sostituibilità con altre attività finanziarie. Infatti, i coefficienti associati ai rendimenti di attività alternative erano spesso bassi e poco significativi. Le variabili principali per spiegare la domanda di moneta risultavano quindi reddito e prezzi, in accordo con la teoria classica che enfatizzava il ruolo di mezzo di pagamento. La funzione stimata appariva inoltre piuttosto stabile, consentendo l utilizzo della politica monetaria ai fini della stabilizzazione ciclica. Si noti che la riproposizione anche formale della teoria quantitativa si può ottenere dalla funzione λm + = F[λP, / 0 +0 2 +3, λy, w, u, r B, r ; ] Ora ponendo λ = 1/Y. Si ottiene M + Y = F GP Y, 1 dp ; P dt, w, u, r B, r ; H Poiché Y indica il reddito nominale, se si definisce con V(.) = 1 / F (.) la velocità di circolazione della moneta come una funzione di un numero limitato di variabili, in modo formalmente equivalente alla teoria quantitativa si ottiene: M + V(. ) = Y Questa equazione, che esprime la condizione di equilibrio sul mercato della moneta, consente di spiegare la famosa affermazione monetarista che la moneta è l unica cosa che conta nell economia. Infatti, da MV(.) = Y segue che il reddito nominale è 7

determinato dallo stock di moneta in circolazione per la velocità di circolazione. Se varia la quantità di moneta ci sarà di conseguenza una variazione del reddito pari alla velocità di circolazione. Ipotizzando che la funzione in oggetto sia sufficientemente stabile, è noto il valore del moltiplicatore della moneta: dy/dm = V(. ) In conclusione, dalla funzione ricavata si osserva che, nel breve periodo e fintanto che la capacità produttiva è sottoutilizzata, la politica monetaria ha effetti reali: variazioni dell offerta di moneta inducono variazioni del reddito nominale che dipendono sia da cambiamenti nel valore reale della produzione e del reddito che dalla variazione dei prezzi. Tuttavia, una volta raggiunta un livello di equilibrio caratterizzato dal pieno impiego delle risorse, è valida la proposizione di neutralità della moneta, poiché variazioni della quantità di moneta indurranno solo equi proporzionali variazioni nei prezzi. 1.2. La teoria keynesiana La teoria di Keynes nasce dalla considerazione che vi è una per preferenza per la liquidità da parte degli agenti economici per due motivi diversi rispetto alla Teoria Quantitativa della Moneta: per precauzione e per speculazione. La moneta è detenuta per motivi precauzionali in quanto gli incassi e i pagamenti possono variare in modo aleatorio. La moneta è invece detenuta per motivi speculativi, poiché viene considerata come una scorta di valore alternativa al possesso di obbligazioni il cui prezzo è incerto, e di conseguenza posso verificarsi plusvalenze e minusvalenze. Nella scelta fra moneta e obbligazioni, gli individui cercano di massimizzare la ricchezza finale attesa. 1.2.1. La preferenza per la liquidità. La teoria keynesiana si caratterizza nel considerare che la moneta svolga la funzione di riserva di valore oltre alle funzioni di mezzo di pagamento e misura del valore, già evidenziate dalla teoria quantitativa. In tal senso, la moneta rappresenta una tra le tante 8

attività finanziarie che, insieme alle varie attività reali, costituiscono strumenti di allocazione delle disponibilità a disposizione degli agenti. Quindi, la moneta compete allo stesso modo con tutte queste altre attività, da cui si distingue però per il possesso di alcune proprietà in modo caratterizzante. In particolare, la moneta è l attività più liquida in quanto immediatamente spendibile per effettuare transizioni di ogni genere. Per liquidità infatti, si intende la capacità di un attività finanziaria di convertirsi rapidamente a basso costo in moneta circolante e di essere immediatamente spendibile. La moneta possiede tale proprietà in modo caratterizzante, ma non in modo esclusivo. In misura diversa è posseduta infatti, anche da molte altre attività, tanto che è possibile ordinare tutte le attività finanziarie in funzione del loro grado di liquidità, in una scala con al vertice la moneta circolante. Gli agenti economici considerano preziosa la caratteristica di liquidità della moneta tanto da essere disposti a detenere quest ultima anche se in assenza di un rendimento, o comunque a fronte di tassi di rendimento meno elevati rispetto ad attività concorrenti: il differenziale di rendimento rappresenta un costo che gli agenti economici sono disposti a pagare per detenere disponibilità in forma di saldi monetari e quindi, godere dei benefici in termini di servizi di liquidità offerti dalla moneta stessa. Quando gli agenti economici devo decidere se allocare le proprie disponibilità in forma monetaria o in forma alternativa, tengono in considerazione una serie di elementi rilevanti. In particolare, la moneta può risultare più attraente poiché è facilmente e rapidamente trasferibile, a costo zero, e garantisce il valore nominale delle somme investite. Da non sottovalutare è anche il fatto che la moneta si configura come un investimento non particolarmente rischioso, se non per la possibilità di furto o smarrimento durante un viaggio; tuttavia presenta anch essa elementi non positivi, ovvero che non garantisce il valore reale dell investimento a causa della possibile erosione di potere d acquisto dovuta all inflazione ed ha una redditività bassa, o addirittura nulla. In alternativa, ogni individuo può decidere di tenere i propri risparmi ricorrendo ad attività finanziarie di diversa tipologia offerte dai moderni sistemi finanziari. L analisi in dettaglio della scelta di un agente economico razionale relativa alla forma in cui investire la propria ricchezza parte dall ammettere, in primo luogo, solo due strumenti: la moneta circolante e una obbligazione a reddito fisso. La moneta è definita un bene a capitale certo, il cui valore nominale è noto con certezza alla fine del periodo fissato per il possesso. L obbligazione rappresenta per l individuo il bene alternativo 9

disponibile che garantisce un rendimento superiore a quello della moneta, ma anche rischioso poiché le variazioni dei tassi di interesse di mercato incidono sul suo prezzo. Di conseguenza, le obbligazioni non offrono, se non vincolandosi ad attenderne la scadenza contrattuale, certezza del valore nominale dell investimento effettuato. Infatti, nel caso in cui un individuo debba liquidare prima della scadenza il proprio investimento, non avrebbe garanzia di ottenere una somma uguale o superiore di quella corrisposta al momento dell acquisto del titolo stesso. In questo senso, se da un lato il titolo obbligazionario offre un maggior rendimento rispetto alla moneta, dall altro esso presenta anche una maggiore rischiosità, relativa alla possibile eventualità di perdite (o guadagni) in conto capitale associati alla variazione nel tempo del corso del titolo stesso. La moneta assicura contro tali rischi, pur a fronte di rendimenti minori (o nulli). È ovvio allora che un agente economico sceglierà tra titoli o moneta, o una loro combinazione, in base alle preferenze nei confronti di rischio e rendimento atteso. Naturalmente, un aumento del tasso d interesse spinge l investimento nei titoli remunerativi riducendo la domanda di moneta e viceversa, una maggiore rischiosità percepita sui mercati spinge più individui a detenere le proprie disponibilità in forma liquida. Le principali previsioni della teoria di Keynes sono, in primo luogo, che gli individui non detengono un portafoglio diversificato di beni, ma possiedono o solo obbligazioni o solo moneta. In secondo luogo, solamente nel caso della domanda aggregata, la funzione di moneta risulta tendente al basso rispetto al tasso d interesse. Infine, la teoria prevede anche la nota trappola della liquidità, ovvero quando, in certe circostanze, l elasticità della domanda di moneta rispetto al tasso d interesse risulta infinita. La teoria keynesiana della preferenza per la liquidità è stata sintetizzata con efficacia da James Tobin (1958). Egli analizza il problema di scelta di un singolo individuo con a disposizione una certa somma (W) che può decidere di allocare tra due attività alternative, la moneta (M) e un titolo obbligazionario (B). Quest ultimo è caratterizzato da un certo valore nominale indicato con P e paga, al termine di ogni periodo, una cedola proporzionale al valore nominale e indicata con c. Inoltre, alla scadenza pattuita, il titolo rimborsa l intero valore nominale. Per un titolo con scadenza ad n anni, il valore di mercato (V) all inizio del periodo può calcolarsi attualizzando la serie dei futuri flussi di pagamento che il titolo stesso genera. 10

Assumendo per semplicità un tasso di interesse di mercato costante nel tempo, il valore sarà: V = cp (1 + R) + cp (1 + r) M +... + cp cp + (1 + r) (NO/) (1 + r) N Per semplicità di calcolo, Tobin assume che il titolo in questione eroga una rendita perpetua, cioè paga una somma costante per un periodo infinito di tempo. Assumendo cp = 1 euro, è facile verificare che il valore di mercato di tale titolo, per n che tende ad infinito, diviene 1/r: V = 1 (1 + r) + 1 (1 + r) M +... + 1 1 +... = P (1 + r) (NO/) 1 + r Q 1 1 1 1 + r = P 1 1 + r Q 1 + r = 1/r r Il valore di mercato di un titolo analogo, ma che paga una cedola costante esattamente pari al tasso di interesso corrente (cp=r), sarà 1. Il valore dello stesso titolo, calcolato in un periodo futuro, dipenderà invece dal tasso di interesse che sarà in vigore in quel momento. In particolare, definendo con r e le attese sul tasso di interesse futuro, il prezzo futuro del titolo in questione può scriversi così: V = cp r ; = r r ; Per il soggetto in esame scegliere di investire in moneta significa ottenere un rendimento nullo e conservare il valore nominale delle proprie disponibilità. Viceversa, investire nel titolo obbligazionario consente di ricevere (r) come rendimento in conto interesse esponendosi però, se l orizzonte temporale di riferimento è di un periodo, al rischio di perdite o guadagni in conto capitale. Quindi, considerando il titolo con valore di mercato pari a 1, e definendo con (g) la differenza percentuale tra prezzo futuro atteso e prezzo corrente del titolo, avremo g = r/ r e 1. Il guadagno complessivo derivante dall investimento in titoli (G), sarà allora definibile come la somma del guadagno in conto interessi (r) e del guadagno o perdita in conto capitale (g): G = r + g = r + r/ r ; 1 A questo punto, per capire in modo banale la scelta di investimento dell agente economico, che avviene sotto il vincolo M + B = W, si assume una certezza, chiaramente eroica, nelle aspettative relative al valore futuro del tasso di interesse. Si 11

tratta di una ipotesi semplificatrice, anche criticata dalla teoria delle scelte di portafoglio, che permette appunto banalmente di risolvere il problema di scelta poiché, conoscendo il valore di tutte le variabili, il soggetto avrà convenienza ad investire in titoli se G > 0, in moneta se G < 0, e sarà indifferente se G = 0. La condizione G = 0 definisce un certo valore del tasso di interesse corrente che Tobin chiama tasso critico. In tal caso, vi è indifferenza nell investire in moneta e titoli, poiché entrambe le scelte danno un rendimento complessivo nullo in termini nominali. Tale tasso critico dipende dalle attese circa il tasso futuro di interesse, risultando pari al suo valore attuale: infatti, se G = 0 segue che r crit = r e / (1 + r e ) Bisogna comunque sottolineare che il valore del tasso critico è soggettivo, e per questo diverso per ogni agente, poiché gli individui non hanno necessariamente le stesse aspettative circa il valore futuro del tasso di mercato. Questo comporta che l assunzione eroica di certezza delle aspettative deve essere considerata a livello del singolo agente, e la domanda di moneta keynesiana a scopo speculativo va vista come una domanda microeconomica. Per ogni individuo la domanda di moneta sarà nulla se il tasso di interesse corrente è superiore al suo tasso critico (infatti in questo caso G > 0), sarà pari all intera disponibilità di ricchezza se il tasso corrente di interesse sarà minore del tasso critico (G < 0), è sarà indeterminata per r = r crit = r e / (1 + r e ). Poiché all aumentare del tasso corrente sempre meno agenti si aspettano un tasso di interesse superiore a quello corrente, con conseguente preferenza ad un acquisto posticipato dei titoli, si evince una relazione inversa tra domanda di moneta e tasso di interesse di mercato che si può ottenere solo aggregando a livello dell intera economia le scelte individuali. A livello macroeconomico, si può allora disegnare la domanda di moneta speculativa, risultante dalla teoria keynesiana della preferenza per la liquidità, come nella figura che segue: 12

Osservando il grafico è possibile notare due casi caratteristici di tasso d interesse corrente: - Il tasso è così elevato che nessun agente dell economia sarà disposto a detenere moneta, ma tutti sceglieranno di investire solo in titoli. - Il tasso è così basso che tutti gli agenti decidono di detenere moneta, perché si attendono un aumento del tasso di interesse in futuro e quindi una riduzione del prezzo a cui acquistare titoli. Quest ultimo caso corrisponde al fenomeno della trappola della liquidità, ovvero quando la domanda di moneta risulta infinitamente elastica rispetto al tasso di interesse e quindi, considerando solo il canale tasso di interesse come meccanismo di trasmissione degli impulsi all economia reale, qualsiasi politica monetaria perde efficacia come strumento di stabilizzazione delle fluttuazioni del reddito. Nel caso della trappola infatti, una variazione dell offerta di moneta, assunta esogena, non è in grado di far ridurre il tasso di interesse che ha già raggiunto il suo valore minimo. Non si può quindi avere nessuno stimolo agli investimenti ed alla spesa per consumi durevoli. Infine, confrontando la teoria keynesiana con quella classica è possibile constatare la presenza di un distacco netto: mentre la prima teoria considera il tasso d interesse come una grandezza essenzialmente di carattere monetario, dato che il suo valore di equilibrio può pensarsi ottenuto dall intersezione tra una offerta esogena di moneta e una domanda decrescente rispetto al tasso, la seconda ritiene che il tasso di interesse sia determinato in equilibrio sui mercati reali dall uguaglianza tra risparmi e investimenti. 13

1.2.2. I limiti della teoria keynesiana La teoria keynesiana è stata oggetto di diverse critiche per alcuni limiti che presenta e che verranno di seguito esposti: 1. La rigida separazione tra moneta transattiva e speculativa: Keynes scrive una domanda di moneta che risulta ottenuta dalla somma algebrica delle due componenti, rispettivamente dipendenti dal reddito e dal tasso di interesse. Poiché nella realtà la moneta svolge contemporaneamente più funzioni, questa caratteristica viene a mancare se nella formulazione della domanda di moneta si utilizza la somma algebrica (che crea quindi distinzione tra la componente transattiva e speculativa) e lo si fa non per semplificare l esposizione. Questo limite può essere superato se si deriva una domanda di moneta a scopo transattivo in cui conti anche il tasso di interesse, come nel modello cash in advance o nel modello delle scorte di Baumol. Il modello delle scorte di Baumol: si tratta di un modello molto semplice usato per evidenziare alcuni aspetti molto realistici della scelta di detenere moneta da parte di un singolo individuo. Infatti, si assume che un agente debba effettuare, in un certo periodo, un certo ammontare di transazioni (T) con l utilizzo esclusivo di contanti. La copertura di questi pagamenti avviene con l accredito, all inizio di ogni periodo, del proprio stipendio in un conto corrente bancario che rende un tasso di interesse pari a r sulle somme ivi detenute. Tuttavia, dato che i pagamenti vengono effettuato in contanti, questo agente dovrà disinvestire periodicamente alcune somme per provvedere alle transazioni. Si assume che ogni operazione di disinvestimento abbia un costo fisso, rappresentativo per esempio del tempo perduto per recarsi al luogo di prelievo e dell eventuale commissione praticata dalla banca stessa. Il nostro agente si trova così di fronte ad un chiaro trade-off. Se disinveste l intera somma necessaria ad effettuare i pagamenti (T), sopporterà bassi costi di disinvestimento, ma rinuncerà all interesse corrisposto sulle somme detenute in banca. Se invece detiene gran parte dei saldi in banca, dovrà pagare i costi delle varie operazioni di disinvestimento. Il modello assume anche che i pagamenti siano distribuiti in modo uniforme nel periodo considerato, il che implica che la somma disinvestita (C) di volta in volta sia costante. A questo punto, il nostro agente sceglierà l ammontare ottimo da disinvestire (o il 14

numero ottimale di operazioni di disinvestimento) tenendo presente il trade off descritto sopra. Il problema, in termini formali, risulta così: Min CT = tc (T/C) + i(c/2) C Dove CT indica la funzione di costo totale data dalla somma dei costi associati alle operazioni di disinvestimento pari a tc(t/d), mentre (tc) è il costo per ogni operazione di disinvestimento e T/C il numero di disinvestimenti se l intero ammontare di transazioni va effettuato nel periodo in esame) e del costo opportunità associato al mancato guadagno in conto interesse sulla giacenza media relativa alle somme disinvestite: data l assunzione, per semplicità, di pagamenti uniformi, tale costo è pari a i(c/2). La condizione del primo ordine per un minimo è: dct/dc = 0 tc T/C M + i/2 = 0 Da cui, C = (2tc T/i) //M L ammontare ottimo 1 da disinvestire per effettuare le transazioni (C*) risulta una funzione decrescente del tasso di interesse (i), mentre aumenta al crescere dell ammontare di transazioni, sia pure in modo meno che proporzionale dato l esponente minore di 1. Una volta ottenuto (C*), la funzione di domanda di moneta, definita come giacenza media, è semplicemente M d = C*/2 C [ 2 = (tc T/2i)//M, mentre il numero delle operazioni di disinvestimento sarà (T/C)*. Bisogna però precisare che l impostazione del modello ha trattato (C) come una variabile continua, quindi è teoricamente possibile che il rapporto (T/C) non risulti essere un numero intero, cosa ovviamente poco realistica. Di conseguenza, è necessario interpretare la formula teorica ricavata solo come una approssimazione del 1 Poiché la derivata seconda è strettamente positiva, D* è propriamente un minimo della funzione di costo totale. 15

comportamento effettivo di un agente razionale che, nella realtà, dovrà scegliere (C) vincolando il rapporto (T/C) ad essere un numero intero. 2. L assenza, a livello macroeconomico, di qualsiasi possibilità di diversificazione di portafoglio: secondo la teoria keynesiana, un agente economico sceglierà di detenere o solo moneta o solo titoli tranne quando il tasso corrente è esattamente pari a quello critico, per cui la scelta è totalmente irrilevante. Nella realtà, ogni agente detiene simultaneamente sia moneta che altre attività. Un modello in cui questo fenomeno non venga spiegato risulta insoddisfacente. 3. La rilevanza di un solo tasso di interesse dovuta dalla assunzione di perfetta sostituibilità tra tutte le attività finanziarie distinte dalla moneta: nella realtà, esistono più tassi di interesse, e l effetto di una data variazione di tasso sulla domanda di moneta è diverso a seconda del tasso di interesse che si considera. L equilibrio sul mercato delle attività finanziare non può limitarsi a determinare un solo tasso di interesse, ma deve spiegare l intera struttura esistente dei tassi di rendimento associati a diversi strumenti e prodotti finanziari. Vi sono due strade per raggiungere tale scopo: a. Specificare un modello strutturale di domanda ed offerta di diverse attività considerate come imperfettamente sostituibili tra loro, e risolverlo. b. Utilizzare semplici modelli in forma ridotta che partono dalla considerazione di relazioni di equilibrio, o assenza di possibilità di arbitraggio, tra i vari tassi di interesse. 4. La non considerazione della ricchezza come variabile determinante delle scelte finanziarie dei singoli individui, cosa che diviene invece essenziale in un contesto aleatorio, in cui si considera esplicitamente il rischio associato ai diversi investimenti. A questo proposito, vale anche osservare come l assunzione di aspettative certe dei singoli agenti sul valore futuro del tasso di interesse sia molto insoddisfacente, e non consenta una trattazione adeguata dell incertezza associata alle scelte di investimento. Questi limiti vengono superati dalla teoria delle scelte di portafoglio. 16

2. La teoria delle scelte di portafoglio La teoria delle scelte di portafoglio consiste in uno sviluppo della teoria keynesiana nell ambito della domanda di moneta, privilegiando la sua funzione di riserva di valore. In particolare, tale teoria mira a superare uno dei limiti della teoria per la preferenza alla liquidità: la scelta d angolo (tutto moneta tutto titoli) effettuata a livello microeconomico da ogni agente razionale. Infatti, applicando la teoria ad un agente razionale avverso al rischio si ottiene generalmente il risultato della diversificazione di portafoglio, e cioè della razionalità nel decidere di investire il proprio portafoglio individuale parte in moneta e parte in titoli fruttiferi. La moneta viene domandata da agenti razionali per la protezione che offre contro il rischio associato ad investimenti in titoli fruttiferi. D altronde a livello macroeconomico, si conferma il risultato keynesiano di una domanda di moneta a scopo finanziario inversamente correlata con le variazioni del tasso di interesse. 2.1. La proposta di Tobin La teoria delle scelte di portafoglio consiste in uno sviluppo della teoria keynesiana nell ambito della domanda di moneta, privilegiando la sua funzione di riserva di valore. In particolare, tale teoria mira a superare uno dei limiti della teoria per la preferenza alla liquidità: la scelta d angolo (tutto moneta tutto titoli) effettuata a livello microeconomico da ogni agente razionale. Infatti, applicando la teoria ad un agente razionale avverso al rischio si ottiene generalmente il risultato della diversificazione di portafoglio, e cioè della razionalità nel decidere di investire il proprio portafoglio individuale parte in moneta e parte in titoli fruttiferi. La moneta viene domandata da agenti razionali per la protezione che offre contro il rischio associato ad investimenti in titoli fruttiferi. D altronde a livello macroeconomico, si conferma il risultato keynesiano di una domanda di moneta a scopo finanziario inversamente correlata con le variazioni del tasso di interesse. Tobin ci propone un modello in cui un individuo si trova a decidere se investire la propria ricchezza in titoli o in moneta. Un portafoglio, rappresentativo della ricchezza posseduta 17

dall individuo, è costituito da una quota di moneta (x) e una di titoli (y) che sommate risultano pari a 1. Ovviamente se x + y = 1, sarà allora x = (1 y). Inoltre, Tobin suppone che le due quote non dipendano dall entità assoluta in dollari della somma inizialmente a disposizione per fini speculativi. Valori negativi di x e y sono esclusi per definizione; solo lo stato e il sistema bancario possono emettere moneta e titoli consolidati. Nello sviluppo della teoria sulle scelte di portafoglio, Tobin (1958) assume che gli individui decidano come investire le proprie disponibilità sulla base del rischio e del rendimento atteso ad una data futura prestabilita associati all investimento. Risulta così necessario calcolare il rendimento atteso ed il rischio di un generico portafoglio unitario (x, y). Mentre la moneta è caratterizzata dal fornire un rendimento nullo, ma anche dall assenza di rischio, questione diversa presentano i titoli. Di conseguenza, il rischio ed il rendimento generico del portafoglio dipendono dall investimento in titoli rischiosi. Tobin suppone che un individuo non sia certo del tasso futuro d interesse sui titoli consolidati; allora l investimento in tali titoli implica un rischio di perdita o di guadagno in conto capitale. Il titolo in particolare avrà un rendimento complessivo pari alla somma della cedola in conto interesse e del guadagno o perdita in conto capitale associati alle variazioni del suo corso. Queste variazioni evidenziano il rischio che un investimento in titoli comporta. Quanto più elevata sarà la quota di ricchezza detenuta in titoli, tanto maggiore sarà il rischio che l investitore si assume. Nello stesso tempo l aumento della quantità di titoli detenuti aumenta il rendimento atteso dallo stesso investitore. Assumendo che questi titoli offrano una cedola in conto interessi costante e pari a (r), il rendimento complessivo di un portafoglio R sarà quindi dato dal rendimento associato ad un titolo per la quota di titoli detenuta nel portafoglio stesso. In formule: 1) R = y (r + g) 0 y 1 Tuttavia, questo rendimento è noto all investitore solo ex post. Al momento di prendere la decisione di investire, l agente non sa quale sarà il prezzo futuro del titolo (o il valore futuro del tasso di interesse). Dovrà formulare una aspettativa, e basare le proprie decisioni sul rendimento atteso (ex ante) e non su quello effettivo. Tobin qui si discosta dalla analisi keynesiana in cui le aspettative sul tasso futuro di interesse erano determinate, da ogni agente, sulla base della conoscenza di un certo livello normale del tasso di interesse, da cui discendeva un certo guadagno o una certa perdita in conto 18

capitale. Tobin, invece, suppone che l investitore sia incerto circa l entità di (g), ma basi le sue azioni su una stima della distribuzione di probabilità del guadagno in conto capitale. Questa distribuzione di probabilità si ipotizza normale, centrata sullo zero ed indipendente dal livello di (r), il tasso corrente sui titoli. Questo è coerente con due assunzioni: 1. Ogni agente riterrà ugualmente probabili sia un guadagno che una perdita in conto capitale indipendentemente dal valore assunto dal tasso. 2. All evento che il prezzo dei titoli rimanga costante (il che implica un tasso di interesse futuro uguale a quello corrente) viene assegnata la probabilità massima (ma diversa da 1). Nell analisi di Keynes invece, si assume la certezza nella previsione sul valore futuro del tasso di interesse assegnando così, per ogni individuo, probabilità 1 alla realizzazione del tasso ritenuto normale a cui corrispondeva un certo guadagno o perdita in conto capitale. Graficamente le due ipotesi si presentano come segue: Nella teoria delle scelte di portafoglio, l assunzione che la distribuzione di probabilità sul guadagno o perdita in conto capitale sia normale implica che il suo valore atteso sia nullo. Gli agenti non avranno dunque aspettative di guadagni o perdite in conto capitale, ed il rendimento atteso di portafoglio sarà allora semplicemente: 2) E(R) = yr Il rischio inerente ad un portafoglio, secondo Tobin, deve essere misurato dalla deviazione standard di R, σr. La deviazione standard è una misura della dispersione dei 19

rendimenti possibili attorno al valore medio µr. Un alta deviazione standard significa, in parole povere, un alta probabilità di ampie deviazioni da µr, sia positive che negative. Una deviazione standard bassa significa bassa probabilità di ampie deviazioni da µr fino a raggiungere il caso estremo di una deviazione standard pari a zero, che indicherebbe la certezza di ricevere il rendimento µr. Così, un portafoglio ad alto σr offre all investitore la prospettiva di ampi guadagni in conto capitale al prezzo di equivalenti prospettive di ampie perdite in conto capitale. Un portafoglio a basso σr protegge l investitore dalle perdite in conto capitale, e parimenti gli fornisce scarse prospettive di guadagni insolitamente elevati. La deviazione standard di R dipende dalla deviazione standard di g, σg, e dalla quantità investita in titoli: 3) σr = yσg Una volta ricavate le espressioni del rendimento atteso e del rischio di portafoglio, la loro combinazione permette di ottenere la cosiddetta frontiera rendimento rischio, il luogo di tutte le combinazioni di rischio e rendimento atteso ottenibili da parte dell agente. Infatti, ottenendo dall equazione 3) y = σr / σg e successivamente sostituendo y nell espressione 2) otteniamo: 4) E(R) = (σr / σg)r = (r/ σg) σr Il rendimento atteso di portafoglio può vedersi come una funzione lineare del rischio totale di portafoglio. Il suo coefficiente angolare è definito dal rapporto tra tasso di interesse e rischio associati alla detenzione dell attività rischiosa. Graficamente risulta come segue: Un agente che desideri un rendimento atteso elevato dovrà necessariamente accettare un adeguato rischio di portafoglio. Ovviamente, la decisione ottimale per ogni singolo agente 20

dipenderà dalle sue preferenze verso rendimento e rischio. Queste preferenze possono essere di diverso tipo e sono rappresentabili attraverso opportune funzioni di utilità i cui argomenti sono il rendimento ed il rischio. Graficamente, la rappresentazione avviene tramite curve di indifferenza. U = U (E(R), σr) L investitore è indifferente di fronte a tutte le coppie (µr, σr) che giacciono su di una stessa curva. È naturale assumere che per un dato rischio gli agenti siano sempre più soddisfatti al crescere del rendimento atteso del portafoglio. In termini formali, questa ipotesi può esprimersi affermando che l utilità marginale del rendimento è positiva. Per l atteggiamento verso il rischio bisogna invece tener conto di qualche considerazione in più. Gli agenti possono infatti dividersi in due grandi categorie: - Gli avversi al rischio, per i quali un aumento del rischio di portafoglio (a parità di rendimento atteso) implica una riduzione dell utilità totale. - Gli amanti del rischio, per i quali un aumento del rischio di portafoglio (a parità di rendimento atteso) implica un aumento dell utilità totale. I diversi livelli dell utilità totale possono essere rappresentati da posizioni diverse nel piano delle rispettive curve di indifferenza, essendo tali curve il luogo delle combinazioni di rendimento atteso e rischio che induco il medesimo livello di utilità. Naturalmente, tali curve avranno forma diversa a seconda dell atteggiamento verso il rischio assunto dagli agenti. 2.1.1. Amanti del rischio Un amante del rischio si distingue per una utilità marginale del rischio positiva, comportando così un andamento crescente delle curve di indifferenza nel piano rischio rendimento. Infatti, per ottenere lo stesso livello di utilità se aumenta il rendimento atteso, necessariamente diminuirà il rischio. Ovviamente curve di indifferenza associate a livelli di rendimento atteso maggiori a fronte dello stesso rischio (o in questo caso, a livelli di rischio maggiori a fronte dello stesso rendimento atteso) esprimono livelli maggiori di utilità. 21

Analiticamente, la pendenza negativa delle curve di indifferenza di un amante del rischio si ottiene differenziando totalmente la funzione di utilità totale ed assumendo un valore costante di U. Sarà: 5) du = 0 = ^_ ^_ de(r) + dσ ^`(a) ^c a d da cui è facile ricavare: 6) +`(a) = ^_ ^c d +c d ^_ ^`(a) una espressione che ha segno negativo essendo, per un amante del rischio, positive entrambe le utilità marginali. Nella scelta di portafoglio così descritta un amante del rischio non investirà mai in moneta essendo questa attività priva di rischio, e dunque sceglierà sempre di investire tutto in titoli (y=1). 2.1.2. Avversi al rischio Un agente a cui il rischio non piace, avendo una utilità marginale del rischio negativa, sarà caratterizzato da curve di indifferenza con andamento crescente nel piano rischio rendimento atteso. Alle curve di indifferenza più in alto nel piano si associano situazioni in cui l utilità è maggiore. Nella categoria degli agenti a cui il rischio non piace occorre distinguere tra: - Diversificatori: sono coloro che lungo la stessa curva di indifferenza accettano aumenti del rischio di portafoglio solo se compensati da più che proporzionali aumenti del rendimento atteso: le curve di indifferenza saranno quindi convesse. 22

Il diversificatore è l unico soggetto che, attraverso un processo di ottimizzazione, può attuare la diversificazione del portafoglio, vale a dire l investimento della ricchezza in parte sotto forma monetaria ed in parte sotto forma di titoli. Infatti, tale agente selezionerà quella combinazione rendimento atteso rischio tra tutte quelle possibili (sulla frontiera) tale da consentirgli di raggiungere il massimo livello di utilità. Graficamente, la combinazione ottimale rendimento rischio darà definita dal punto di tangenza tra la frontiera rendimento atteso rischio e la curva di indifferenza più elevata (punto A nella figura sottostante). Analiticamente, ciò implica che nel punto di ottimo deve valere l uguaglianza tra le pendenze della curva di indifferenza e della frontiera rendimento rischio: ^_ ^c d = g. ^_ ^`(a) c d Nel diagramma inferiore è possibile riportare la relazione tra rischio totale di portafoglio e quota del portafoglio investiti in titoli. Dato il rischio ottimale di portafoglio σr*, questa relazione determina la quota ottima da investire in titoli (y*) e, per complemento, quella da investire in moneta (x* = 1 y*). 23

La domanda complessiva di moneta del nostro agente diversificatore, pari alla quota ottimale x* moltiplicata per il valore della ricchezza W, risulterà allora essere una funzione del tasso di interesse corrisposto dai titoli, oltre che della loro rischiosità. Infatti, se a parità di σg aumenta il tasso di interesse, nel diagramma superiore della figura appena rappresentata si osserverà una rotazione verso l alto della frontiera rendimento atteso rischio (visto che la sua pendenza è pari a r/ σg). Il nuovo punto di tangenza con la curva di indifferenza più alta sarà ora raggiunto nel punto A^, a cui corrisponde una nuova combinazione ottimale rendimento atteso rischio di portafoglio coerente con una maggiore quota del portafoglio investita in titoli (y^ > y*), e quindi con una minore quota investita in moneta. La domanda di moneta risulta dunque inversamente collegata, anche a livello macroeconomico, con il tasso di interesse. È da precisare che tale risultato non è valido sempre, ma si basa sull assunzione che l effetto sostituzione indotto dall aumento del tasso di interesse, che incoraggia gli agenti a spostarsi verso i titoli, risulti superiore al suo effetto reddito: in base a questo infatti, con l aumento del tasso di interesse aumenta la remunerazione dei titoli che consentirebbe di ridurre il rischio di portafoglio aumentando la quota del portafoglio detenuta in moneta, dato che comunque la percentuale investita in titoli rende di più. Analiticamente, la scelta ottima di un agente diversificatore può derivarsi risolvendo un facile esercizio di massimizzazione dell utilità sotto il vincolo delle possibili combinazioni rischio rendimento atteso ottenibili. Formalmente, Max U (E(R), σ R) Sub E(R) = (r/ σg) σ R (frontiera rendimento atteso rischio) Una volta sostituito il rendimento atteso dalla frontiera nella funzione obiettivo, rimane solo da risolvere un banale problema di massimizzazione libera nella variabile rischio. La condizione di massimo richiede che la derivata prima si annulli e che la derivata seconda sia negativa. - Tuffatori (sono compresi anche gli agenti con preferenze lineari): sono quei soggetti che, lungo la stessa curva di indifferenza, accettano aumenti del rischio di portafoglio purché compensati da aumenti del rendimento atteso meno che proporzionali (esattamente proporzionali). Le curve di indifferenza saranno concave. 24

Consideriamo per semplicità un tuffatore con preferenze lineari, restando inteso che quanto sarà detto rimane valido anche per tuffatori con preferenze non lineari. I tuffatori sono sempre caratterizzati da scelte di angolo, o tutto titoli (come avviene sempre per gli amanti del rischio) o tutta moneta, a seconda rispettivamente che la pendenza all origine delle curve (linee) di indifferenza sia minore o maggiore di quella della frontiera rendimento rischio. 2.2. Scelte di portafoglio considerando molteplici alternative alla moneta La derivazione della domanda di moneta, all interno della teoria delle scelte di portafoglio, è stata effettuata ipotizzando il caso particolare in cui un agente potesse scegliere solo tra moneta ed un titolo rischioso. Nella realtà, tuttavia, ogni agente ha la possibilità di gestire le proprie disponibilità con un numero molto elevato di attività finanziarie le cui caratteristiche di rendimento atteso e rischio sono quanto mai varie. La teoria della domanda di moneta elaborata risulterebbe dunque insoddisfacente qualora non tenesse conto di queste osservazioni realistiche. In realtà, la proposta di Tobin 25