Mario Barcellona DALL «ILLECITO» AL «DANNO INGIUSTO»: LA RESPONSABILITÀ CIVILE TRA TIPICITÀ E ATIPICITÀ



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Mario Barcellona DALL «ILLECITO» AL «DANNO INGIUSTO»: LA RESPONSABILITÀ CIVILE TRA TIPICITÀ E ATIPICITÀ 1.- La concezione tradizionale: la responsabilità come fattispecie di illecito. 1.1.- Si può dire che il sistema giuridico, nell ambito del diritto privato, sia chiamato a svolgere, grosso modo, tre funzioni fondamentali: (1) Innanzitutto, una funzione che si potrebbe dire attributiva: il diritto provvede ad attribuire le risorse ed a regolare la loro appropriazione ad opera dei privati e questo fa, fondamentalmente, attraverso la disciplina dei c.d. beni giuridici (in quel senso ampio che include non solo le res materiali e immateriali, ma anche le energie, i servizi, nella forma dell obbligazione, ecc.); (2) in secondo luogo, una funzione che si potrebbe dire traslativa: attribuite le risorse e regolata l appropriazione, il diritto organizza la circolazione e distribuzione della ricchezza che ciascuno ha ricevuto o conseguito e questo fa attraverso due discipline fondamentali, quella del contratto e quella delle successioni; (3) infine, una funzione che si potrebbe dire conservativa: il diritto provvede a garantire che la ricchezza e le chances acquisitive, che in sede attributiva ha assegnato a ciascuno, non vengano impunemente distrutte ad opera di altri ed a questo fine prevede dispositivi atti a trasferire ricchezza da chi ne ha cagionato la distruzione a chi ne ha subito la perdita. All espletamento di tale funzione conservativa è, per l appunto, deputata la responsabilità civile. 1.2.- Storicamente, però, la responsabilità civile non è stata sempre compresa in questi termini. Fino a circa cinquant anni addietro, infatti, la responsabilità civile veniva solitamente costruita intorno all idea di illecito. Quest idea rispondeva ad una tradizionale visione sistematica del diritto, quella secondo cui l ordinamento giuridico conosce due tipi fondamentali di atti: - gli atti leciti, ai quali il diritto garantisce effetti tendenzialmente conformi all intento dei soggetti che li pongono in essere; - gli atti illeciti, ai quali il diritto reagisce con una sanzione, che può consistere in una pena pubblica, ossia nella privazione della libertà personale (= illecito penale), o in un risarcimento, ossia nella privazione di una parte del patrimonio di chi li ha commessi e nella sua assegnazione ad un altro soggetto che li ha subiti (= illecito civile). In questa prospettiva, allora, alla responsabilità civile veniva ascritta una funzione fondamentalmente sanzionatoria, volta al duplice scopo di punire il colpevole e di ristorare la vittima. 1.3.- Questa concezione tradizionale della responsabilità civile è entrata definitivamente in crisi, almeno in Italia, intorno alla seconda metà del secolo scorso. Tale crisi è dipesa dai mutamenti intervenuti nei presupposti materiali e ideali che stavano alla base di tale concezione tradizionale. L intera dommatica dell illecito si fondava sulla convinzione che la responsabilità civile - per come risultava disciplinata nell art. 1151 c.c. ab. e, poi, nell art. 2043 c.c. 42 - fosse strutturata come un ordinaria fattispecie giuridica, cioè come uno schema di fatto risultante da 1

una somma di elementi precisi e distinti, la necessaria presenza dei quali nel caso da giudicare fosse verificabile secondo giudizi di conformità del fatto concreto al fatto astratto previsto dalla norma. Tali elementi erano concordemente indicati: (a) nell illiceità della condotta; (b) nel carattere colposo di tale condotta; (c) nel danno; (d) nel nesso di causalità tra condotta e danno. Solo in presenza di tutti e quattro questi elementi si assumeva potesse insorgere l obbligo del risarcimento in capo a chi tale danno aveva causato ed in favore di chi lo aveva subito. Quando questa concezione tradizionale andrà in crisi, ciò che innanzitutto si metterà in discussione sarà, per l appunto, l assunto che la responsabilità civile possa funzionare effettivamente secondo questo paradigma della fattispecie e se ne sosterrà, al contrario, la riconducibilità al diverso paradigma della c.d. clausola generale. Per comprendere le ragioni della crisi di tale concezione della responsabilità civile occorre, inanzitutto, chiarire meglio come si riteneva che tali quattro elementi della fattispecie funzionassero. (a) L illiceità della condotta. Tale requisito rispondeva all idea che nessuno può essere ritenuto responsabile delle conseguenze di un suo comportamento ove tale comportamento non integri la violazione di un obbligo preesistente. Si tratta come è evidente - della determinazione di un generale principio garantistico, proprio delle società liberali dell 800, che trovava la sua più chiara enunciazione nell ambito del diritto penale: nullum crimen sine lege, ossia non si dà sanzione se non per la violazione di una norma che preesista al comportamento da sanzionare. (b) La colpa. Tale ulteriore elemento veniva fatto consistere nell ascrivibilità della condotta illecita ad una volontà riprovevole dell agente. Si tratta, anche in questo caso, della determinazione di un principio generale che attraversava l intera trama del diritto privato, quello secondo cui solo dalla volontà individuale possono sorgere obbligazioni per gli individui. La colpa veniva così compresa e spiegata in senso fondamentalmente soggettivo, ossia come riferibilità dell illecito ad una disposizione riprovevole della volontà dell agente. (c) Il danno. A giustificazione di tale requisito stava la considerazione che, poiché il diritto privato si occupava dell illecito, in luogo o a fianco del diritto penale, allo specifico fine di ovviare al pregiudizio da esso eventualmente causato, l intervento della responsabilità civile richiedeva che la colposa condotta illecita di un soggetto avesse cagionato ad altri il danneggiamento della loro sfera personale o patrimoniale. Perché un tal pregiudizio acquisisse rilevanza si richiedeva, però, che il danno presentasse due caratteristiche: (c/1) che fosse un danno patrimoniale, e cioè consistente in una perdita economica o in un mancato guadagno: la protezione dei beni morali e dei valori ideali (dalla vita all onore) - si argomentava è demandata al diritto penale, mentre al diritto privato compete solo quanto ricade nel campo di ciò che si dà come economicamente quantificabile, di ciò che può, non disdicevolmente, essere tradotto in denaro; (c/2) che fosse un danno antigiuridico, e cioè consistente nella lesione di un diritto soggettivo assoluto: dalla premessa che la responsabilità trova fondamento nell illecito inteso come violazione di un obbligo preesistente, infatti, si riteneva discendesse la sola rilevanza aquiliana dei beni tutelati dall ordinamento attraverso un obbligo erga omnes di rispetto ed astensione. Ciò induceva a sostenere la sola rilevanza dei danni conseguenti a lesioni dei diritti c.d. assoluti (ossia dei diritti reali e della personalità, in quanto entrambi protetti da un tal obbligo generale di rispetto ed astensione) e non anche di quelli conseguenti a lesioni dei diritti di credito (proprio in quanto tutelati esclusivamente nei confronti dei rispettivi debitori, la cui violazione, perciò avrebbe potuto dar luogo soltanto a responsabilità contrattuale). (d) Il nesso di causalità. Perché il danno, patrimoniale e antigiuridico, fosse ascrivibile alla colposa condotta illecita dell agente si riteneva necessario che tra il primo e la seconda intercorresse un nesso di condizionalità, cioè che la condotta costituisse condicio sine qua non del danno. Ciò induceva ad escludere la responsabilità tutte le volte in cui tale nesso risultasse interrotto dall illecito altrui o da un caso fortuito. Ovviamente, nell applicazione concreta le cose non andavano proprio nel modo in cui venivano rappresentate attraverso questi concetti: nessuno di questi concetti, infatti, funzionava realmente nel modo che la dottrina loro accreditava e si lasciava effettivamente ricondurre alla coerenza deduttiva (dall idea di illecito) che essa loro attribuiva. Ma questo modo in cui la responsabilità civile veniva concepita e rappresentata ne influenzava le capacità di espansione alle nuove ipotesi di danneggiamento che più si allontanavano dal modello del damnum corpore corpori datum. Sicchè le potenzialità regolative insite nella disciplina della responsabilità si assottigliavano via via che le fenomenologie del danneggiamento si venivano discostando da un tale modello. 2

1.4.- Questa rappresentazione tradizionale della disciplina della responsabilità civile era commisurata a precisi presupposti materiali ed ideali, costituiti fondamentalmente da: (a) una società non particolarmente rischiosa; (b) una ricchezza costituita essenzialmente dai beni immobili; (c) un invasività ancora limitata del denaro e del mercato; (d) il funzionamento di sistemi sociali alternativi di sanzione; (e) l influenza dell idea di fatalità. Nel corso della prima metà del 900 tutti e cinque questi presupposti subiscono radicali trasformazioni. La società del rischio. La caratterizzazione della società contemporanea come società del rischio si produce sulla base di due fattori concomitanti, l introduzione di nuovi rischi e la conoscenza di rischi prima sconosciuti. L introduzione di nuovi rischi procede da due processi: - dallo sviluppo e dalla diffusione della tecnica, che accresce la complessità non solo dei processi produttivi ma anche della vita sociale in generale e dissemina gli uni e l altra di sempre nuove occasioni di incidenti (basti pensare: che una società dove i mezzi di trasporto erano costituiti principalmente da carri, cavalli e carrozze viene soppiantata da un mondo dominato dalle auto, dalle moto, dagli aerei, ecc.; che ad un processo produttivo ancora centrato sul lavoro manuale si viene sostituendo una produzione organizzata attorno alle macchine; che energie, materie infiammabili ed esplosive e, in genere, miriadi di fattori di rischio cominciano ad attraversare, ormai, quotidianamente la vita di tutti; ecc.); - dal carattere reiterato che le attività produttive e quotidiane vengono assumendo, il quale moltiplica il rischio ad esse connesso e rende l intervento di incidenti statisticamente necessario ed inevitabile. Ma la misura del rischio sociale si accresce anche in forza dello sviluppo delle conoscenze scientifiche che scoprono l esistenza di pericoli in attività che prima non si ritenevano rischiose (ad es.: fumo, inquinamento, ecc.) Come può, allora,. il criterio della colpa fronteggiare una tal società del rischio? Che significato può avere andare alla ricerca di un comportamento riprovevole, quando si sappia, a priori, che il danno è, almeno in determinati contesti e a determinate condizioni, statisticamente inevitabile? La nuova forma della ricchezza. La ricchezza, un tempo costituita dalla terra e dagli immobili urbani, assume, ora, forme nuove che non si limitano alla ricchezza mobiliare (credito, azioni, titoli mobiliari, ecc.) ma si estendono a conoscenze, informazioni, reputazione economica, controllo di quote di mercato, ecc. Ma come può il criterio del danno giuridico, quando sia inteso come lesione del diritto assoluto, fronteggiare il bisogno di tutela di tali nuove forme di ricchezza? L espansione del mercato. Lo sviluppo della moderna economia di mercato si presenta non solo come crescita quantitativa delle merci già prima prodotte ma anche come espansione della forma di merce, come inclusione in essa di beni eventuali e valori immateriali che prima non erano considerati suscettibili di valutazione economica, che non erano ritenuti traducibili in denaro: la vita privata, la storia personale, la bellezza, la reputazione personale, l onore, le relazioni affettive e sociali, la cura, ecc. Ma come può il criterio del danno patrimoniale, costruito sull idea che non tutto è tramutabile in denaro, fronteggiare una tal mercantilizzazione della vita, una società nella quale il denaro, da equivalente generale solo delle merci, si presenta, ormai, come equivalente generale pressoché di ogni cosa (proprio perché quasi ogni cosa sembra ormai poter assumere la forma di merce o comunque esser suscettibile di esser tradotta in denaro). Il deperimento dei sistemi sociali alternativi di sanzione. Valori immateriali e beni etici, che non acquisivano rilevanza giuridica nella rappresentazione tradizionale della responsabilità civile, trovavano, tuttavia, soddisfazioni alternative in altri sistemi sociali: dalla riprovazione sociale al duello aristocratico e popolano, ma soprattutto nel sistema penale. Ma la crisi di questi sistemi sociali trasforma in domanda di tutela giuridica quanto in essi trovava prima soddisfazione alternativa. E ciò si traduce in domanda aggiuntiva di tutela aquiliana e, per conseguenza, in un ulteriore ragione di inadeguatezza del criterio del danno patrimoniale. La regressione dell idea di fatalità. Lo sviluppo del sistema di sicurezza e protezione sociale, che ha contraddistinto l intera parabola del Welfare State, ha fatto regredire l influenza che un tempo esplicava sulla società e sulle vicende degli uomini l idea di fatalità, di destino, di disgrazia. Ma su una simile idea si fondava il funzionamento del criterio della colpa e della causalità, e, soprattutto, l accettazione della mancanza di tutela nel caso di assenza di colpa o di interruzione del nesso causale per il fortuito o l altrui illecito. La crisi dell influenza di tale idea si trasforma, allora, in domanda di tutela giuridica del danno che prima si imputava al fato e che, proprio per questo, si accettava rimanesse a carico di chi lo aveva subito. 1.5.- Durante tutta la prima metà del novecento ma anche nel decennio successivo, la dottrina tradizionale tentò di salvare la propria visione della responsabilità attraverso alcune ortopedie concettuali: (a) Escogita l idea di inversione dell onere della prova sulla colpa e di colpa presunta. 3

La responsabilità di padroni e committenti dell art. 2049 è, così, spiegata nei termini della presunzione di una culpa in eligendo; la responsabilità di genitori, tutori, ecc, è spiegata in termini di presunzione di culpa in vigilando o in educando; la responsabilità per l esercizio di attività pericolose è spiegata in termini di inversione dell onere della prova circa la colpa. (b) Escogita l idea della dilatazione dello schema del diritto assoluto. E questo fa sulla base di due percorsi dommatici: attraverso la prospettazione di nuovi diritti soggettivi assoluti a fronte di qualsiasi pregiudizio si mostri meritevole di tutela (diritto all identità personale, diritto all oblio, diritto alla riservatezza, ecc., ma anche diritto al patrimonio, diritto alla libertà contrattuale, ecc.) e attraverso la prospettazione di una tutela esterna, erga omnes (ossia assoluta), degli stessi diritti (relativi) di credito. (c) Escogita l idea della causalità adeguata. E si adopera per tal via a proporzionare la responsabilità a criteri di regolarità causale in grado tanto di escludere la risarcibilità di conseguenze fuori misura che di estendere la tutela aquiliana a conseguenze che con i rigidi criteri dell interruzione del nesso causale o della causalità diretta ed immediata vi sarebbero sfuggite. Ma queste ortopedie non appaiono sufficienti e, verso la fine degli anni 60 del secolo scorso, la concezione tradizionale della responsabilità viene sottoposta ad una critica radicale e, almeno per la dottrina maggioritaria, pressoché definitiva. 4

2.- La nuova concezione della responsabilità: dall illecito alla clausola generale. 2.1.- La svolta viene operata in due direzioni. Nella prima direzione al paradigma unitario fondato sul principio nessuna responsabilità senza colpa si sostituisce un paradigma dicotomico, che limita l operatività della responsabilità soggettiva, ossia fondata sulla colpa, all ambito delle attività biologiche, cioè al campo delle attività individuali proprie della vita quotidiana, e sottopone, invece, le attività d impresa ad una responsabilità oggettiva (e cioè senza colpa), fondata sul criterio del rischio (d impresa). Nella seconda direzione, sottoposta a critica la concezione della responsabilità come fattispecie di illecito, viene proposta la reinterpretazione dell art. 2043 come clausola generale, ossia come proposizione normativa che articola un problema (= il problema della tutela del danneggiato) e indica per risolverlo una direttiva di valore (= l ingiustizia del danno) volta si dice - a rendere operativo il principio costituzionale di solidarietà sociale. Ma mentre la dottrina si dedica ad estendere il nuovo paradigma a sempre nuove e diverse ipotesi di danno, la giurisprudenza rimane ancora per molto tempo divisa tra l utilizzazione del vecchio linguaggio legato all idea dell illecito e l espansione della responsabilità a nuove fattispecie dannose. Cosicché, specie nelle sentenze (ma non solo), il linguaggio della responsabilità civile si mostra ormai un linguaggio confuso: le decisioni appaiono motivate da dommatiche diverse e tra loro contraddittorie, volta a volta mutuate dalla concettualità dell illecito o da quella della clausola generale sulla base di considerazioni fondamentalmente strumentali, ossia utilizzate volta a volta sulla base della facilità con cui permettono di argomentare soluzioni giudicate socialmente accettabili e più persuasive di questa o quella questione aquiliana. 2.2.- La critica del tradizionale principio nessuna responsabilità senza colpa sulla base della teoria del rischio d impresa fu quella che soprattutto scardinò il vecchio impianto concettuale centrato sull idea di illecito. Ma la forma teorica attraverso la quale l assetto tradizionale della responsabilità civile venne radicalmente innovato fu, invece, rappresentata dalla ricostruzione dell art. 2043 come clausola generale. Ciò ha un duplice ordine di spiegazioni: (a) La prima spiegazione è che le ortopedie della vecchia dommatica, costituite dai dispositivi della colpa presunta e dell inversione dell onere della prova, tutto sommato, consentivano operazioni perlopiù finzionistiche ma in grado di far fronte all obsolescenza del criterio della colpa. La dottrina del rischio d impresa, perciò, appariva (ed in larga misura appare tuttora) surrogabile con strumenti interpretativi che ne perseguivano la sostanza senza costringere all esplicito abbandono del linguaggio tradizionale. (b) La seconda spiegazione è che, al contrario, lo schema dell illiceità ed il conseguente requisito dell antigiuridicità del danno si presentavano più rigidi e si prestavano meno ad aprire la responsabilità alla considerazione dei nuovi danni. Precisamente, lo schema dell illiceità e dell antigiuridicità del danno implicava una concezione tipica della responsabilità, ossia un articolazione di tale istituto intorno a ipotesi di danno ritenute, o rappresentate come, tipiche, che nella sostanza profonda era avvertita come ostativa di un espansione della tutela aquiliana considerata ormai ineluttabile. Il paradigma della clausola generale sembrava, perciò, l unica via in grado di assecondare un tal accresciuto bisogno di tutela. Il fatto è che il dispositivo della clausola generale permetteva di intervenire tanto sul piano del superamento della centralità della colpa che sul piano dell ampliamento dei beni ed interessi protetti dalla tutela aquiliana: sul primo piano, consentiva di prospettare la colpa come una semplice variabile della clausola generale, come uno tra i molteplici criteri di imputazione sulla base dei quali il danno poteva essere addebitato ad un soggetto diverso da quello che lo aveva subito; sul secondo piano, permetteva di sostituire al criterio tipico, e almeno apparentemente rigido, della lesione di un diritto soggettivo il filtro elastico dell ingiustizia che sembrava in grado di dar rilevanza a qualsiasi pregiudizio la cui sopportazione venisse avvertita come ormai socialmente intollerabile. La maggior fortuna del riferimento alla clausola generale nasceva, allora, dal fatto che essa proponeva una comprensione ed un funzionamento della responsabilità come struttura aperta, come strumento essenzialmente atipico di rilevazione e riallocazione dei danni destinato ad essere implementato da un giudice, che, da un lato, si dava come il terminale dei nuovi conflitti 5

aquiliani e delle loro mutate fenomenologie e che, dall altro, appariva come il catalizzatore di una diversa sensibilità sociale e dei suoi nuovi valori. 2.3.- Questo nuovo corso della responsabilità civile si fonda sulla contrapposizione tra regolazione per fattispecie e regolazione per clausole generali. La differenza tra queste due forme di regolazione della responsabilità si rappresenta grossomodo in questi termini: (a) La fattispecie si fa consistere in una somma di elementi analiticamente determinati e compiutamente descritti da una norma, dei quali occorre di volta in volta riscontrare la presenza nel caso concreto; sicchè la produzione dell effetto giuridico disposto da una tale norma dipende esclusivamente dalla ricorrenza nel caso concreto di tutti gli elementi che concorrono a determinare il caso in essa astrattamente descritto, ossia dipende da un mero giudizio di conformità tra la fattispecie astratta prevista dalla norma e la fattispecie concreta sottoposta a giudizio. La regolazione della responsabilità si dice, perciò, affidata alla tecnica della fattispecie, allorché la norma destinata a risolvere i conflitti aquiliani faccia dipendere l insorgere dell obbligo di risarcimento dalla presenza nel caso concreto di tutti gli elementi da essa previsti ed esattamente descritti (= colpa + illiceità + danno patrimoniale e antigiuridico + nesso di causalità). (b) La clausola generale, a differenza della fattispecie, si dice prospetti solo un problema e ne affidi la soluzione ad un apprezzamento che il giudice è chiamato a formulare volta a volta sulla base di una direttiva normativa generale, ossia del riferimento del caso concreto direttamente ad un valore. La regolazione della responsabilità si dice, perciò, affidata ad una clausola generale, quando la norma deputata a risolvere i conflitti aquiliani si limiti come nel caso dell art. 2043 - a prevedere un fatto, la causazione di un danno, e faccia dipendere il risarcimento di chi lo ha subito dalla qualificabilità di tale fatto come ingiusto, ossia da una sua valutazione alla stregua del valore della solidarietà sociale, nonché dalla sua riferibilità ad un soggetto diverso dalla vittima sulla base di un criterio di collegamento variabile, quale la colpa o il rischio. Su questa base, l art. 2043 non è più rappresentato come una norma che analiticamente enumera i diversi elementi della fattispecie di responsabilità; ma come un dispositivo aperto, articolato attorno ad un nucleo costante, costituito dal fatto dannoso e dalla sua ingiustizia, ed a molteplici variabili, costituite dai criteri di imputazione, taluni soltanto dei quali soltanto (= dolo e colpa) in tale norma indicati. Tale ricostruzione della responsabilità perseguiva, fondamentalmente, due obbiettivi: (a) Il primo obbiettivo riguardava i criteri di imputazione del danno, era connesso all idea che il fatto dannoso risultasse collegabile a chi era tenuto a risponderne sulla base di una molteplicità di variabili e consisteva nel presentare colpa e rischio come criteri di imputazione del danno del tutto fungibili e di pari dignità. Con il che ovviamente si destituiva il tradizionale primato della colpa. (b) Il secondo obbiettivo riguardava, invece, il danno ed era connesso all idea che sostituiva la predeterminazione tipica della sua rilevanza (attraverso il rinvio alla categoria chiusa dei diritti soggettivi) con un giudizio ex post che il giudice era chiamato a formulare sulla base di una direttiva generale, che faceva diretto riferimento a valori. Con il che si scardinava il regime di tipicità fondato sulla sola rilevanza della lesione dei diritti soggettivi che si assumeva avesse caratterizzato la responsabilità civile. Ma entrambi questi obbiettivi comportavano, più in generale, un radicale cambiamento della stessa funzione della responsabilità e del suo rapporto sistematico con le altre normative del diritto privato, addirittura quasi un capovolgimento del rapporto della tutela aquiliana con le altre tutele privatistiche: a) Nella concezione tradizionale, lo schema dell illecito e la conseguente tipicità dei danni tutelati dall art. 2043 implicavano un carattere essenzialmente secondario (o sanzionatorio) della tutela aquiliana rispetto alle normative che presiedono all attribuzione delle risorse: la tutela aquiliana presuppone che il bene leso sia già attribuito ad un soggetto in forza di una norma diversa e che la responsabilità sia chiamata a svolgere una funzione sanzionatoria della violazione di tale preesistente norma attributiva e dei divieti ad essa connessi; 6

b) Nella nuova concezione, invece, la clausola generale di responsabilità e la conseguente atipicità dei danni da essa tutelabili implicano un carattere essenzialmente primario (o attributivo) della tutela aquiliana: il rimedio risarcitorio non presuppone più che il bene leso sia fatto oggetto di una precedente espressa tutela attributiva, e dunque appare chiamato ad attribuire ad un tale bene una rilevanza giuridica che altrimenti, almeno nei confronti del danneggiato, gli mancherebbe. In queste nuove concezioni, dunque, la responsabilità civile, invece che come tutela servente delle altre tutele, si propone, piuttosto, come strumento per attribuire rilevanza giuridica a beni e interessi che l ordinamento non ha altrove considerato o che ha considerato a tutt altro fine, e che, perciò sono rimasti altrimenti estranei alla protezione del diritto o alle sue tutele individualizzanti (si pensi, ad es., all ambiente): il giudice sarebbe, così, chiamato ad operare una valutazione comparativa della posizione e dell interesse del danneggiato e della posizione e dell interesse del danneggiante secondo il metro generale dell ingiustizia e per tal via sarebbe deputato a dare ingresso o negare, di volta in volta, la tutela aquiliana. Su questa base, allora, tutto il dibattito, che ormai da quasi cinquant anni travaglia la ricostruzione della responsabilità civile, si è venuto sviluppando, e almeno in parte continua a svilupparsi tuttora, attorno ad una polarizzazione tra tradizione e innovazione che può articolarsi nelle due seguenti sequenze: a) Tradizione = primato della colpa = illecito = carattere secondario/sanzionatorio della responsabilità = tipicità dei beni protetti = struttura chiusa del rimedio aquiliano = esclusiva rilevanza della lesione dei diritti soggettivi assoluti: b) Innovazione = clausola generale = carattere primario della responsabilità = atipicità dei beni protetti = struttura aperta del rimedio aquiliano = rilevanza della lesione di qualsiasi bene che possa qualificarsi come ingiusta secondo il principio di solidarietà = molteplicità dei criteri di collegamento. In breve, l alternativa che tali due sequenze propongono può essere illustrata in questi termini: a) Il carattere secondario o sanzionatorio della responsabilità civile implica che la sua tutela sia subordinata alla violazione di obblighi e doveri preesistenti quali si danno solo in presenza di un diritto soggettivo assoluto; b) Il carattere primario della responsabilità civile implica, invece, che essa si presenti come uno strumento volto a conferire rilevanza a beni e interessi non altrimenti prima considerati dall ordinamento giuridico o da questo considerati a fini general-oggettivi. L alternativa sottesa al carattere primario o secondario della responsabilità dipende, perciò, dal carattere tipico o atipico di questa tutela e tale carattere, a sua volta, dipende dalla subordinazione della rilevanza aquiliana di beni e interessi alla previsione di una previa espressa norma attributiva o, piuttosto, ad un criterio autonomo di valorazione delle aspettative individuali chiamato a svolgere una funzione di protezione sostanzialmente concorrente con il sistema della funzione attributiva. 7

3.- Il problema dell ingiustizia del danno. 3.1.- Orbene, queste coppie oppositive, che presiedono all attuale dibattito sulla responsabilità civile, costituiscono solo delle metafore, ossia delle figure retoriche destinate a rappresentare in modo solo intuitivo, e assolutamente approssimativo, le condizioni di funzionamento del rimedio aquiliano. Tanto la sequenza tradizionale dell illecito che la nuova sequenza costruita a partire dalla clausola generale si mostrano, a ben vedere, del tutto infondate. La sequenza che muove dall idea dell illecito è smentita dalle molteplici ipotesi nelle quali si dà responsabilità del danneggiante pur nell impossibilità di ricondurre il pregiudizio subito dal danneggiato alla lesione di un diritto soggettivo. In realtà, l equazione tra illecito e violazione del diritto soggettivo assoluto si fonda su un vero e proprio qui pro quo: l obbligo generale di rispetto o di astensione, che presiede alla tutela del diritto assoluto e la cui violazione si vorrebbe integrasse l antigiuridicità del danno, in verità, è rivolto a garantire al proprietario (o al titolare di un diritto reale minore) tutte le utilità offerte dalla cosa oggetto del suo diritto rispetto alle pretese di terzi che vorrebbero appropriarsene. Esso, perciò, si limita a vietare il compimento di atti di godimento riservati al titolare del diritto, l uso di ciò che è di altri, e non ha, invece, proprio nulla a che fare con il divieto di danneggiare le cose altrui. E perciò concerne, propriamente, i conflitti appropriativi e non i conflitti aquiliani. La sequenza che muove dall idea della clausola generale, per contro, mostra i suoi limiti allorché è chiamata a discriminare operativamente tra danni da ammettere alla tutela aquiliana e danni destinati a rimanere a carico di chi li ha subiti. Ma quel che è implicato in una tale difficoltà va ben oltre un problema di efficienza del dispositivo normativo o di certezza del diritto. Aggiungendo all elemento del danno l aggettivo ingiusto il legislatore del 1942 intendeva solo ratificare la communis opinio secondo cui doveva ritenersi risarcibile solo il danno contra jus e sine jure. Prevedendo il requisito dell ingiustizia, dunque, quel legislatore non pensava affatto di conferire alla responsabilità civile una funzione diversa da quella già conosciuta sotto la vigenza dell art. 1151 c.c. ab., piuttosto voleva solo ribadirne la preordinazione a conservare sfere giuridiche già autonomamente predefinite dal sistema giuridico. Ciò che, invece, la prospettiva della clausola generale assegna all «ingiustizia» è di presiedere ad una funzione sostanzialmente attributiva rimessa al sentimento sociale e governata dai giudici. Una tale operazione, perciò, interviene su di uno snodo centrale delle funzioni normative, che attiene direttamente al rapporto tra economia e politica: la funzione attributiva, infatti, governa l appropriazione privata delle risorse ed appartiene quindi al senso nucleare di un sistema giuridico, alla «Politica prima», al «Progetto d ordine» in forza del quale esso si istituisce e che in esso si incorpora al di là della lettera di questa o quella disposizione. La determinazione del valore dell «ingiustizia», allora, non può che essere seconda rispetto alla comprensione dell ordine attributivo ed alla ricostruzione delle competenze sulla sua implementazione. L evoluzione giurisprudenziale sull ambito della tutela aquiliana ed il dibattito dottrinale che la ha preceduta ed accompagnata mostrano, dunque, che lo snodo centrale della responsabilità, il luogo ove soprattutto si determina la sua generale funzione normativa ed il suo rapporto con gli altri sistemi di funzioni in cui si articola l ordinamento giuridico è costituito dal problema della sua tipicità o atipicità. E questo problema, nell attuale semantica della responsabilità, si manifesta nel requisito dell ingiustizia che l art. 2043 vuole abbia il danno perché possa darsi ingresso al rimedio del risarcimento. Occorre, allora, chiedersi a quali condizioni, per il tramite dell «ingiustizia», il sistema giuridico abbia inteso subordinare la rilevanza aquiliana di un danno e quali questioni tali condizioni propongano a chi è chiamato ad interrogarsi sulla sua risarcibilità 8

Per mettere a fuoco adeguatamente le questioni che il requisito dell «ingiustizia» del danno solleva, occorre superare due radicati pregiudizi che attengono, rispettivamente, alle forme in cui il diritto moderno sviluppa la propria funzione attributiva e alla struttura dei conflitti aquiliani. 3.2.- Il primo pregiudizio è quello secondo cui la funzione attributiva si dà solo nella forma del diritto soggettivo. In realtà, il diritto soggettivo non è affatto la sola forma in cui il diritto moderno provvede alla attribuzione normativa di ricchezza/valori ed all organizzazione dell appropriazione privata delle risorse. Quest idea nasce da un modo approssimativo di intendere la funzione attributiva, e cioè dall idea che il sistema giuridico determini una volta per tutte ed in via tipica le risorse da sottoporre ad appropriazione privata e che faccia questo con il dispositivo correlato del diritto e dell obbligo tipico del diritto soggettivo, ossia attribuendo al titolare del diritto un potere e gravando tutti gli altri di un simmetrico divieto di interferire nel suo esercizio. In realtà, questo paradigma vale solo per le c.d. res corporales (e per i diritti monopolistici sui c.d. beni immateriali: diritto d autore, brevetto, segni distintivi, ecc.), dove il diritto fa luogo ad attribuzioni esclusive e permanenti. Ma al di fuori di questo ambito non vige affatto un regime di assoluta indifferenza giuridica, bensì una pluralità di schemi attributivi, che danno luogo ad attribuzioni che, stipulativamente, si possono definire - precarie e/o concorrenti, le quali, tuttavia, sono fatte oggetto di sicura tutela giuridica. Un esempio di ciò è costituito dal regime del mercato, dove vige un paradigma per il quale al permesso dell uno si contrappone (non il divieto, ma) il permesso degli altri: i comportamenti appropriativi di un operatore del mercato subiscono la concorrenza dei comportamenti appropriativi degli altri operatori, senza, però, che questo significhi che l attività appropriativa di un tal operatore non sia giuridicamente protetta verso l agire concorrente degli altri. E un altro esempio, altrettanto eloquente, è dato dal c.d. lucro cessante: esso dipende, evidentemente, da attività di scambio con altri, ma non si dà alcun diritto a che questi altri concludano tali scambi dai quali possa scaturire un tal utile; il c.d. lucro cessante consiste, perciò, in una mera chance di appropriazione o - più esattamente - nella libertà di perseguire un guadagno che non integra, però, un diritto verso i soggetti che dovrebbero permetterne la realizzazione; e tuttavia la sua risarcibilità è espressamente sancita dall art. 1223 cc. Il vero è, più in generale, che nei sistemi giuridici moderni la libertà, e cioè il permesso di fare e di non fare, si dà come generale dispositivo attributivo: in essi, è suscettibile di appropriazione, e perciò costituisce una risorsa giuridica suscettibile di attivare la funzione conservativa della responsabilità, ogni utilità, ogni valore possa trarsi dal un qualsiasi esercizio del permesso, ossia del potere generale di fare e di non fare. Questo, se si vuole, si può anche rappresentare dicendo che, accanto alla forma dei diritti soggettivi che assicura attribuzioni esclusive e permanenti, il sistema giuridico assolve alla sua funzione di regolare l attribuzione e l appropriazione delle risorse mediante altre situazioni soggettive che si possono dire concorrenti e/o precarie, a misura che i poteri appropriativi da esse conferiti ai privati presentano, per l appunto, carattere concorrente e/o precario,: - concorrente, a misura che non escludono l esercizio di analoghi poteri appropriativi di altri, e/o - precario, a misura che l appropriazione attuale di un utilità da parte di un soggetto esclude, sì, che altri soggetti ne possano rivendicare o impedire il godimento, ma non esclude affatto che tali altri soggetti gli subentrino non appena si interrompa il suo agire appropriativo. Quel che conta è, però, che siano chiare le coordinate normative sulla base delle quali tali situazioni soggettive si determinano (che non consistono tanto in espresse previsioni 9

normative ma nelle implicazioni appropriative già insite nel principio di libertà) e la latitudine che esse di conseguenza assumono (che copre, in potenza, l intero spazio di ciò che, seppur implicitamente, può dirsi giuridicamente permesso, lecito, l intero campo dell agere licere). Da questo modo di operare della funzione attributiva nei sistemi giuridici moderni scaturiscono i seguenti corollari: (a) salta il limite tradizionale del diritto soggettivo in quanto forma esclusiva dell attribuzione; (b) salta anche il venerabile assioma secondo cui non si da attribuzione se non in forza di una norma espressa che la preveda; (c) il permesso anche implicito, la libertà, acquisisce, in potenza, un valore normativamente attributivo; (d) la sfera giuridica di ciascuno va oltre la ricchezza appropriabile attraverso l uso e lo scambio delle cose fatte oggetto di attribuzioni monopolistiche (= diritti assoluti, reali e personali, e diritti sulle c.d. opere dell ingegno) e fin anche oltre la ricchezza appropriabile attraverso il fare altrui dovuto (= diritti di credito), (e) ed include anche tutto il valore d uso e di scambio appropriabile attraverso l esercizio della propria libertà, ossia attraverso il fare proprio permesso sebbene non garantito da un simmetrico obbligo altrui di astenersi da un fare analogo (ad es.: libertà di impresa e di concorrenza, ecc.) e il fare altrui comunque appropriato/appropriabile sebbene in forme non giuridicamente coercibili (ad es.: clientela, ecc.); (f) sicchè costituisce risorsa giuridica ed è oggetto della funzione attributiva tutto il valore ricavabile dal proprio (e dall altrui) potere generale di fare e di non fare. Dunque, là dove si crede ci sia solo un mero interesse di fatto, in realtà c è sempre un potere appropriativo conferito dall ordinamento giuridico, e si pone sempre, perciò, un problema di conservazione delle utilità acquisibili attraverso il suo esercizio. 3.3.- Il secondo pregiudizio, cui ancor oggi, per lo più, soggiace l analisi dei problemi della responsabilità civile, è quello secondo cui l ingiustizia del danno consiste in un unica questione: quella - che prima si è esaminata - della appartenenza del valore distrutto a chi ne richiede il risarcimento. In realtà, le cose non stanno proprio così. Se non è vero che solo la lesione dei diritti soggettivi (assoluti) trovi tutela nel rimedio aquiliano, è anche vero, però, che non ogni danno scaturente dalla perdita di un valore o di un utilità individualmente appropriabile possa ritenersi sempre giuridicamente risarcibile. Il problema dell ingiustizia si disarticola, infatti, in due distinti interrogativi: - il primo - come si è visto - è inteso a verificare l appropriabilità del valore distrutto da parte di chi ne ha subito la perdita, - il secondo, invece, è rivolto a stabilire se il valore perduto risulta giuridicamente protetto verso il tipo di aggressione cui è ascrivibile la sua distruzione. Segnatamente, il primo interrogativo concerne - come si è visto - la pertinenza del danno ad un interesse, ad una potere appropriativo che rientri nella sfera giuridica del danneggiato, ossia concerne l accertamento di quello che, nel linguaggio della tradizione, era detto il carattere contra jus del danno. Ma perché la lesione di un tale interesse, di un tal potere appropriativo possa dar luogo al risarcimento occorre, ancora, un secondo vaglio inteso a verificare se la protezione di tale interesse, di tale potere si dia anche nei confronti del danneggiante e del comportamento di questi che lo ha pregiudicati. A tale secondo problema corrisponde l accertamento di quello che, nel linguaggio della tradizione, era detto il carattere sine jure del danno. E la soluzione di tale ulteriore problema dipende dalle diverse forme che i conflitti aquiliani possono assumere a ragione della loro stessa struttura. 10

4.- La struttura dei conflitti aquiliani: conflitti da incompatibilità occasionale e conflitti da incompatibilità modale. 4.1.- In generale, i conflitti aquiliani risolvono problemi di coesistenza: essi, infatti, dipendono da interferenze tra la sfera garantita ad un soggetto e l attività di un altro soggetto che, di per sé, è ordinariamente reputata dal diritto del tutto lecita e permessa. I conflitti aquiliani si caratterizzano, perciò, come conflitti tra una sfera soggettiva e un altrui attività di per loro compatibili che, solo sotto determinate condizioni, si rendono incompatibili. Ciò fa sì che tali conflitti non possano essere regolati attraverso un dispositivo simmetrico che correli al costante potere dell uno il divieto assoluto dell altro. Essi, piuttosto, possono essere regolati solo attraverso criteri di gerarchizzazione relativa, ossia attraverso criteri che facciano prevalere l istanza conservativa (inerente alla sfera interferita) o l istanza permissiva (propria dell attività interferente) a seconda delle condizioni in cui si verifica l interferenza che è esitata in danno. Segnatamente un criterio siffatto è strettamente relativo ai tipi di problemi da cui scaturisce l incompatibilità di quel che risulta ordinariamente compatibile. La ordinaria compatibilità tra sfera interferita e attività interferente è determinata: - o dal fatto che esse normalmente non interferiscono (ad es.: portare in braccio un vaso pregiato appena acquistato e fare jogging); - o dal fatto che, al contrario, la loro interferenza è assolutamente fisiologica, cioè prevista e voluta dall ordinamento, poiché la sua produttività sociale compensa il sacrificio delle posizioni individuali interferite (ad es., concorrenza tra imprenditori). Per conseguenza la loro incompatibilità può discendere: - o dal fatto che ricorrono occasionalmente circostanze che determinano un rischio di interferenza che in loro assenza non si darebbe (ad es.: fare jogging dinanzi l uscita di un grande magazzino durante la vigilia di natale); - o dal fatto che l interferenza programmata assume modalità bandite, ossia modalità per le quali cessa di essere socialmente produttiva e diviene, invece, socialmente improduttiva (ad es.: fare concorrenza in modo sleale). Donde una duplice struttura dei conflitti aquiliani: (a) quella dell incompatibilità occasionale; e (b) quella dell incompatibilità modale. A questi due distinti tipi di incompatibilità si riconnettono tipi di problema diversi, che richiedono criteri differenti di soluzione: (a) L incompatibilità occasionale pone il problema della congiuntura di tempo e/o di luogo che rende possibile l interferenza, ossia delle circostanze che rendono rischioso ciò che ordinariamente non lo è o non lo è in misura apprezzabile; essa, quindi, pone un problema di rischio; (b) L incompatibilità modale pone il problema delle forme che rendono l interferenza inaccettabile, incoerente rispetto allo scopo per cui è promossa dal sistema giuridico; essa pone, perciò, un problema di disfunzionalità sistemica. Per conseguenza: (a) I problemi di rischio, posti dall incompatibilità occasionale, vanno risolti con criteri di amministrazione del rischio intesi a discriminare situazioni di rischio tollerabile e situazioni di rischio intollerabile, quali sono, ad es., i criteri della colpa e del c.d. rischio d impresa; (b) I problemi di disfunzionalità, posti dall incompatibilità modale, vanno risolti con criteri di dimensionamento funzionale delle interferenze intesi a distinguere conflitti produttivi da conflitti improduttivi, quali, ad es., i criteri del dolo, della scorrettezza professionale, ecc. I due tipi di conflitti aquiliani, che si sono così definiti, rievocano in qualche misura i due modelli di responsabilità che, nell attuale dibattito, si dividono l area del rimedio aquiliano: rispettivamente, quello della c.d. responsabilità del passante e quello della c.d. responsabilità da contatto(o di buona parte delle fattispecie ad essa ricondotte). 11

Rispetto a tali modelli l articolazione proposta presenta molteplici evidenti vantaggi: esclude il carattere paradigmatico, e dunque determinante, del modello dei conflitti occasionali (= la responsabilità del passante) per la ricostruzione di struttura e ratio del rimedio aquiliano; ricostruendo la responsabilità extra-contrattuale secondo un paradigma duale, riconosce, per converso, al modello dei conflitti modali (= la responsabilità da contatto, da status, da violazione di obblighi di protezione, ecc.) un carattere altrettanto generale; e, non ultimo, mostra il carattere trasversale di tale modello a misura che come appresso si vedrà ne comprende la riferibilità anche alla lesione di diritti assoluti. Ma soprattutto l articolazione proposta permette di superare l impropria ibridazione della responsabilità extracontrattuale con paradigmi e schemi della responsabilità contrattuale che ne oscurano struttura e ratio. Essa mostra, segnatamente, che la situazione di contatto (= qualcosa di simile alla special relationship del Common Law o a talune situazioni coperte dagli schutzpflichten del sistema tedesco) non è un presupposto speciale che assimila talune ipotesi di responsabilità aquiliana alla responsabilità contrattuale ma designa semplicemente un ordinaria condizione di insorgenza dei conflitti modali che, per riferirsi a conflitti specificamente preventivati ed anzi addirittura programmati dall ordinamento, suppongono la non-estraneità di danneggiante e danneggiato, il darsi tra essi di un campo relazionale prefigurato e regolato quanto alle possibili, e per lo più inevitabili, reciproche interferenze. Mostra, ancora, che la buona fede/correttezza, che talvolta può essere chiamata a dirimere tali interferenze, non è primaria, non si origina di per sé dalla situazione di contatto o dallo status di taluno dei suoi protagonisti, ma è secondaria, si origina da una precedente scelta attributiva e dall istanza conservativa che vi si riferisce ed è, perciò, positivamente chiamata solo a distinguere tra interferenze produttive e interferenze improduttive (= è dall esigenza di garanzia di un attribuzione di ricchezza o di chance di acquisirla che discende la determinazione delle interferenze che buona fede e correttezza fanno dire bandite). Mostra, di conseguenza che l affidamento non costituisce un fondamento speciale di siffatte ipotesi di responsabilità ma semplicemente un modo ridondante di esprimere l istanza conservativa che ad esse presiede, i limiti che le vengono dal carattere modale dei conflitti in cui tali ipotesi si iscrivono e, soprattutto, le condizioni materiali della loro configurabilità (= non si dà responsabilità se non si possa dire che l agire del danneggiante che in tali ipotesi è per lo più immateriale e/o indiretto sia stato causa, sia stato determinante della scelta negativa del danneggiato o, in genere, del suo pregiudizio). E mostra, infine, che la responsabilità che può derivare da interferenze bandite è integralmente riconducibile ad una logica extra-contrattuale, a misura che in essa il risarcimento non è chiamato a surrogare un risultato modificativo/incrementativo del patrimonio programmato da un atto di circolazione della ricchezza (o da un imperativo legale ridistribuivo) ma solo a ricostituire per equivalente là ove già si trovava una ricchezza distrutta (o una chance acquisitiva impedita) e così solo a ripristinare un patrimonio diminuito. Tutto questo cambia radicalmente il modo nel quale sono solitamente affrontati i problemi dell ingiustizia del danno: - Nessuno di tali problemi si risolve attribuendo al requisito dell ingiustizia questo o quel significato o evocando la Costituzione e il principio di solidarietà o la giustizia e il sentimento sociale; - Tutti tali problemi, invece, dipendono dalla loro impostazione secondo il paradigma che si è esposto e che prevede: (a) la disarticolazione del giudizio aquiliano in due distinti problemi: è il valore distrutto attribuito al danneggiato? e è tale valore protetto anche verso l attività che ne ha provocato il danneggiamento? (b) l impostazione del primo di tali problemi secondo il dispositivo generale della funzione attributiva che assume la libertà, il potere generale di fare a forma generale dell appropriazione privata delle risorse; (c) l impostazione del secondo di tali problemi secondo i dispositivi discendenti dalla struttura, rispettivamente, dei conflitti occasionali e dei conflitti modali. Se si vuole, si può anche dire, allora, che l ingiustizia del danno dipende da un giudizio comparativo tra la posizione del danneggiato e quella del danneggiante. Ma purchè sia assolutamente chiaro che un tale giudizio comparativo non implica alcun reale bilanciamento giudiziale degli interessi, alcun ineffabile apprezzamento comparativo che il giudice sarebbe chiamato ad operare tra la meritevolezza dell interesse leso dalla condotta dell agente e la meritevolezza dell interesse sottostante l attività che lo ha pregiudicato. Il che implica almeno due cose: - la prima è che tale comparazione è integralmente racchiusa in una cifra propriamente sistematica, ossia in una cifra che non richiede alcun riferimento a valori meta-positivi e che non interpella in alcun modo il sentimento di giustizia dell interprete o la sua sensibilità verso il sentire sociale diffuso ma solo la sua capacità di comprendere le rationes del sistema giuridico e di enuclearne in modo adeguato i principi; 12

- la seconda è che tale giudizio comparativo non può che svilupparsi secondo il paradigma prima illustrato e cioè assumendo la latitudine dell intero campo della libertà, dell agir lecito e articolandosi nei due schemi dei conflitti occasionali e dei conflitti modali. 4.2.- Rimane, ancora, da chiedersi a quali condizioni un conflitto aquiliano rientri nello schema dei conflitti occasionali o in quello dei conflitti modali. In linea generale, la riconducibilità di un ipotesi concreta di danno all uno o all altro tipo di conflitto dipende, essenzialmente, dal modo in cui si connotano rispettivamente la sfera interferita e l attività interferente e, soprattutto, dal modo in cui il diritto, reciprocamente, le tratta. Il modo in cui si connota la sfera interferita vale a determinare, almeno in linea di massima, il tipo di aggressione alla quale, normalmente, essa risulta esposta, lo schema di danneggiamento secondo il quale, ordinariamente, essa può essere pregiudicata: ad es., i tipi di danneggiamento cui sono esposti un auto o l integrità fisica di una persona sono diversi dai tipi di aggressione cui sono esposti la reputazione o un diritto di credito. Il modo in cui si connota la sfera interferita, dunque, incide, in modo rilevante, sul tipo di problema proposto dalla sua lesione e concorre a farlo ricondurre nell un tipo di conflitto aquiliano o nell altro. A sua volta, il modo in cui il diritto tratta l attività interferente rispetto alla sfera interferita può, in egual misura, incidere sulla strutturazione del tipo di problema che la lesione prospetta: ad es., il tipo di problema che propone il danneggiamento subito dal proprietario di un auto ad opera di un ciclista appare del tutto diverso dal tipo di problema che propone il pregiudizio arrecato al proprietario di un fondo da un espropriazione illegittima o dall illegittimo diniego di un permesso di costruire, così come diverso appare il tipo di problema suscitato dal danno arrecato ad un fondo dallo sconfinamento di un escavatore dal tipo di problema proposto dal danno subito dal proprietario a causa della emulativa costruzione di un muro ad opera del proprietario del fondo limitrofo. Il modo in cui il diritto configura l attività interferente e, soprattutto, il modo in cui la tratta in riferimento alla sfera interferita può, dunque, concorrere, in misura decisiva, a determinare il tipo di conflitto aquiliano al quale ciascun caso di danneggiamento va ascritto. Su questa base, si possono prospettare le seguenti alternative: (a) La sfera interferita può connotarsi: - per la sua fisicità/materialità e per il carattere, per lo più, esclusivo e permanente dell attribuzione che in quest ambito le è propria; - per la sua spiritualità/immaterialità e per il carattere, per lo più, concorrente e/o precario dell attribuzione che in questo diverso ambito le compete; Su questa base essa può, rispettivamente, distinguersi in: (a/1) sfera personale fisica (integrità psico-fisica, salute, ecc.) e sfera patrimoniale materiale (res corporales, ecc.) (a/2) sfera personale spirituale (attributi della personalità, ecc.) e sfera patrimoniale immateriale (credito, aspettative, poteri organizzativi, libertà appropriative, ecc.) (b) L agire interferente, a sua volta, può essere ascritto dal diritto: (b/1) all esercizio della libertà general-generica; (b/2) ad un potere specifico di interferenza nelle altrui sfere giuridiche normativamente previsto. In linea di massima, tra le superiori alternative si rinviene una connessione fenomenologica, nel senso che si riscontra, per lo più, che : (a) i conflitti occasionali, generalmente, investono quell ambito ove la sfera interferita sia connotata dalla fisicità/materialità e l agire interferente sia ascrivibile all esercizio della libertà general-generica; (b) i conflitti modali, generalmente, investono quell ambito ove la sfera interferita sia connotato dalla spiritualità/immaterialità e l agire interferente sia ascrivibile all esercizio di un potere specifico di interferenza. Segnatamente, il fatto che i conflitti occasionali siano tendenzialmente circoscritti al primo ambito dipende dalla circostanza che la materialità della sfera interferita e la genericità dell attività interferente determinano, di norma, lo schema di danneggiamento, il tipo di fatto dannoso che la responsabilità è chiamata a fronteggiare, nel senso che il danno si da, ordinariamente, come deterioramento della cosa di uno a cagione dell agire distruttivo di un altro. Rispetto ad un tal tipo di fatto dannoso la responsabilità non può che dipendere dal rischio che si diano le condizioni particolari che rendono di fatto distruttivo un agire altrimenti innocuo e perciò rientrante nell esercizio della libertà general-generica. I conflitti, che si originano dalla lesione di quell ambito della sfera soggettiva connotato dalla fisicità/materialità corrispondono alle tradizionali ipotesi del damnum corpore corpori datum, nonché a quel che oggi, sotto la categoria della responsabilità del passante, si suole indicare come prototipo del problema aquiliano e misura dei suoi confini e della sua ratio. Tali conflitti pongono, perciò, esclusivamente problemi di imputazione dell evento dannoso secondo i criteri della colpa o del rischio: la risarcibilità di un tal pregiudizio, normalmente, dipenderà solo dalla intollerabilità del rischio creato dal comportamento che in concreto lo ha causato (= colpa) o dall attività nell ambito della quale si è verificato. 13

Rientrano in tale schema aquiliano: - i casi di lesione della sfera personale fisica (c.d. diritti alla salute, all integrità fisica, ecc.); - i casi di lesione della sfera patrimoniale materiale (c.d. diritti reali, diritti monopolistici, ecc.). Precisamente, la natura di tali beni esclude, in linea di massima, che si diano nell ordinamento specifici poteri di interferenza: poteri siffatti si risolverebbero, infatti, in inammissibili poteri di distruggere, di ledere materialmente l altrui persona, le altrui cose, ecc. Da questo, verosimilmente, discendeva la vecchia dottrina dell illecito, che rappresentava la responsabilità come limitata alla lesione dei diritti soggettivi assoluti (= diritti reali e diritti all integrità fisica): la corporeità di tali diritti, la loro inerenza a res faceva sì che il risarcimento del loro pregiudizio non proponesse altri problemi che quello della imputabilità della loro lesione alla colpa del danneggiante e che la responsabilità di quest ultimo non potesse essere esclusa che dalla presenza delle tradizionali cause di giustificazione (stato di necessità, legittima difesa, consenso della persona offesa). Così, in effetti, vanno per lo più le cose in presenza di un danno che investa la sfera personale fisica o la sfera patrimoniale materiale. Ma non è affatto detto che lo schema del damnum corpore corpori datum (o quello equivalente della responsabilità del passante) sia necessariamente il solo modo nel quale quest ambito della sfera soggettiva sia esposto al pregiudizio di altrui comportamenti ed attività. Può anche darsi, infatti, che, ad es., la sfera patrimoniale materiale sia esposta a poteri, non propriamente distruttivi, ma ablativi (ad es., espropriazione per pubblica utilità) o preclusivi (ad es., esercizio dei poteri proprietari di un vicino), dipendenti dall attribuzione ad altri di specifici poteri di interferenza in tale sfera ordinariamente assoluta (ad es., poteri ablativi della P.A., poteri proprietari del vicino, ecc.). In questi casi, allora, il conflitto avrà carattere non più occasionale ma modale, giacchè si incentrerà non sul rischio di concomitanze dannose ma sulle modalità di esercizio di siffatti poteri di interferenza. Sicchè la responsabilità dipenderà dal modo eventualmente bandito o socialmente improduttivo nel quale la sfera patrimoniale di taluno sarà stata interferita da atti ablativi (ad es., illegittimità del procedimento espropriativo della P.A.) o da comportamenti che ne precludono in tutto o in parte il godimento (ad es., carattere emulativo degli atti compiuti dal proprietario limitrofo). Sicchè la responsabilità non dipenderà dalla misurazione del rischio creato ma dall implemetazione di criteri intesi a garantire la rispondenza dell interferenza alle ragioni che la giustificano (ad es., l inosservanza del procedimento amministrativo in quanto misura procedurale di garanzia del proprietario, il fine di nuocere dell art. 833, ecc.) Esposta, invece, a conflitti, per lo più modali, è, innanzitutto, la sfera personale spirituale (= diritti all onore, alla reputazione, alla riservatezza, all identità personale, sessuale, ecc., all immagine, ecc.). La struttura incorporea di tale versante della sfera personale fa sì che essa, ordinariamente, possa essere lesa solo da comportamenti che rendano pubblico o falsino ciò che tale sfera riserva all individuo, ossia da comportamenti divulgativi o distorsivi che rendono pubbliche notizie, giudizi, ecc. concernenti la vita di altri o ne alterino l apparenza pubblica. Ma tali comportamenti, per lo più, rientrano nell esercizio di poteri specifici di interferenza giuridicamente previsti e protetti per la loro utilità sociale (= diritto di cronaca, di manifestazione del pensiero, di ricerca scientifica, ecc.). Sicchè la responsabilità, di volta in volta, dipenderà dal modo eventualmente bandito nel quale la sfera spirituale di taluno sia stata interferita dall agire divulgativo o distorsivo di altri e sarà, perciò, rimessa all implementazione di criteri che ne segnino l esorbitanza rispetto all utilità sociale che diversamente lo giustificherebbe, quali quelli della correttezza e della c.d. colpa grave (ad es., correttezza professionale, continenza, completezza dell informazione, imparzialità, ecc.). Ricadono, ancora, nell ambito dei conflitti modali le lesioni della sfera patrimoniale immateriale, costituita dal fare altrui (diritti di credito, aspettative giuridicamente protette, ecc.) o dal fare proprio (libertà appropriative, quali quelle che ineriscono all iniziativa economica, alla libertà negoziale, ecc.; libertà organizzative, quali quelle che ineriscono alla gestione del patrimonio, ecc.). Non è un caso che l irriducibilità di molte delle relative ipotesi di danno al modello della responsabilità del passante abbia spinto ad escogitare per esse figure intermedie (tra responsabilità extracontrattuale e contrattuale) quali quelle della c.d. responsabilità da contatto, da status, da violazione degli obblighi di protezione, ecc. Rispetto ad una tale sfera, le fenomenologie di danneggiamento, infatti, non dipendono da occasionali concomitanze ma si producono necessariamente in un contesto relazionale (= normalmente il mercato ed i rapporti che al suo interno si sviluppano, ma non solo), ove l interferenza è giuridicamente programmata e protetta (ad es., libertà di concorrenza, libertà contrattuale, ecc.) e, a volte, addirittura suscitata dallo stesso danneggiato (ad es., richiesta di informazioni bancarie, finanziarie, commerciali, ecc.). Siffatta sfera patrimoniale immateriale, perciò, risulta, ordinariamente, esposta ad un agire distrattivo del fare altrui (dovuto), ossia da comportamenti atti a distogliere il fare altrui dal destinatario cui sarebbe stato o avrebbe dovuto essere rivolto (ad es., sviamento della clientela, induzione all inadempimento, doppia alienazione immobiliare accompagnata da una trascrizione del secondo acquirente anteriore a quella del primo che impedisce a questi di conseguire l atteso effetto traslativo, ecc.) o ad un agire disinformativo, ossia atto a disorientare l esercizio del potere organizzativo dell altrui sfera patrimoniale (ad es., informazioni di cortesia errate, informazioni commerciali non corrispondenti alla realtà, esercizio di poteri di controllo sulla borsa che manchino i relativi obbiettivi informativi del pubblico, ecc.). 14

Ora, ordinariamente accade che siffatti comportamenti pregiudizievoli rientrino nell esercizio di specifici poteri giuridici di inferenza attribuiti dal diritto in vista della loro generale utilità sociale (ad es.: esercizio della libertà di concorrenza nel caso del danno concorrenziale e/o della libertà contrattuale correlata al dovere di non ingerenza nell economia del debitore nel caso della lesione del credito mediante induzione all inadempimento, affidamento appositamente istituito dai sistemi di pubblicità immobiliare, relazioni di cortesia, circuiti dell informazione commerciale, funzioni di controllo dei mercati finanziari nel caso del danno da c.d. false informazioni ecc.). Dunque, rispetto alle lesioni di siffatta sfera patrimoniale immateriale ad opera di simili tipi di comportamento il problema della responsabilità non nasce dal rischio di interferenza bensì dal modo eventualmente bandito o socialmente improduttivo nel quale essa si sviluppa, e deve, perciò, essere risolto sulla base di criteri che marchino il travalicamento delle funzioni e dei limiti in ragione dei quali i relativi poteri di interferenza sono ritenuti dall ordinamento socialmente giustificati, quali quelli del dolo, della mala fede e della c.d. colpa grave (ad es., la slealtà della concorrenza, il dolo nell induzione all inadempimento, l aperta preordinazione della seconda vendita e della sua trascrizione al fallimento dell acquisto immobiliare del primo acquirente, il carattere doloso dell erroneità di informazioni fornite per cortesia, il carattere interessato della falsità di informazioni bancarie o commerciali, la smaccata noncuranza degli interessi dei risparmiatori nell esercizio dei poteri di controllo sulla borsa, ecc.). 15

5.- La «clausola generale» come metafora e l «ingiustizia» come mero warning sistemico. Ma se questo paradigma e questo modo di ragionare sulla responsabilità sono fondati, allora, tutte le contrapposizioni sulle quali si regge l'attuale dottrina del rimedio aquiliano vanno senz'altro abbandonate. In primo luogo, va definitivamente abbandonata l'alternativa tra natura secondaria e funzione primaria dell'art. 2043. E' apparso chiaro che l'art. 2043 non può non riferirsi ad una sfera giuridica preesistente, a misura che attraverso la responsabilità il sistema giuridico non può che offrire tutela a valori e chances acquisitive che abbia ritenuto appropriabili dal danneggiato in sede attributiva. Ma è apparso altrettanto chiaro che i divieti desumibili dalle tutele attributive non si identificano nè intercettano in alcun modo i c.d. divieti la cui violazione può rilevare in sede aquiliana e che, perciò, questi ultimi discendono, esclusivamente e direttamente, dall'istanza conservativa positivamente introdotta dall'art. 2043. Per intendersi: lo stesso «dovere di astensione» deducibile dalla tutela proprietaria delle «cose» inibisce solo le aspirazioni appropriative dei terzi, mentre l'«obbligo di rispetto» che deve indurli a desistere dai comportamenti che possano distruggerle non è che una variante linguistica della tutela conservativa apprestata dall'art. 2043. Sicché l'art. 2043 è, allo stesso tempo, norma primaria, in quanto offre una tutela che senza di esso non si darebbe e dalla quale soltanto discendono i c.d. obblighi comportamentali intesi a realizzarla (in via - per così dire - preventiva), e norma secondaria, in quanto tale tutela esso appresta solo per quel che esso stesso ha già fatto oggetto di appropriazione privata. Ed altrettanto da abbandonare sono quelle rappresentazioni alternative della responsabilità che le attribuiscono natura tipica / chiusa o atipica / aperta. Tali rappresentazioni sono il portato di concezioni improprie delle forme in cui si svolge la funzione attributiva del sistema giuridico. Segnatamente, esse muovono, rispettivamente, dall'idea ingenua che la funzione attributiva si esaurisca nella forma del diritto soggettivo e dall'idea affrettata (epperò retoricamente efficace) che, per superare tale limite, si debba mettere in campo qualcosa di diverso come il principio costituzionale di solidarietà o l'appello alla coscienza sociale ed alla creatività giudiziale. In realtà, un'adeguata comprensione del principio nucleare dei sistemi giuridici moderni (= il carattere generalmente appropriativo della libertà e della qualifica di permesso nel campo della patrimonialità) e delle forme molteplici secondo cui in essi si articola la funzione attributiva mostra che tutto ciò cui si vorrebbe conferire tutela extracontrattuale attraverso la solidarietà costituzionale e/o il rinvio ad istanze metagiuridiche o «contestuali» trova già rilevanza aquiliana, per la semplice ragione che costituisce oggetto di attribuzioni normative alla cui conservazione l'art. 2043 è indifferentemente deputato. Non si danno, perciò, in alcun modo «danni meramente economici» che attraverso simili riferimenti acquisiscano valore aquiliano, giacché: o un'utilità è in qualche modo appropriabile da chi ne lamenta il pregiudizio ed allora avrà ingresso al rimedio risarcitorio ovvero essa non è appropriabile ed allora non si vede come si possa immaginare di dover ricostituire in capo a taluno un valore che questi non ha fatto o non avrebbe potuto far proprio. Né, per conseguenza, l'ammissione di un «bene o interesse» alla tutela aquiliana dipende in alcun modo da una qualche interpretazione della c.d. clausola generale di responsabilità o del requisito dell'«ingiustizia» che le darebbe corpo, e tanto meno da una qualche interrogazione del principio di solidarietà degli artt. 2 e 41 cost. 16

Almeno rispetto al problema dei «beni e interessi» ammessi alla tutela aquiliana, dunque, la responsabilità ha necessariamente carattere tipico e chiuso, ma nel senso che essa non può offrire ristoro che a quanto è già fatto oggetto di una precedente attribuzione normativa espressa o implicita. E per questo non coglieva nel segno, ancor prima, l'idea che, contrapponendo al tradizionale contra jus il sine jure e risolvendo esclusivamente in quest ultimo l «ingiustizia» dell art. 2043, suggeriva che la tutela aquiliana si estendesse a qualsiasi pregiudizio anche puramente economico e che la limitazione introdotta da tale nuovo requisito del danno andasse interpretata semplicemente come «mancanza di una causa di giustificazione». L ambito della responsabilità corrisponde, così, ad una elementare razionalità sistemica che rende la tutela conservativa necessariamente coestesa alla funzione attributiva: non si può reintegrare se non qualcosa che già prima si era ricevuto o che si era conseguito la facoltà di acquisire e non si può attribuire alcunché senza garantirne al contempo la conservazione. Per questo verso, allora, primarietà, atipicità e struttura aperta della responsabilità altro non sono che semplici metafore, le quali rispondono alla confusa percezione di una latitudine dell'attribuzione normativa più vasta di quella che si era immaginata la dottrina tradizionale, e che, però, non si è ancora in grado di elucidare. Sicché la mancata focalizzazione dello snodo attributivo dei problemi aquiliani fa imputare alla responsabilità funzioni («primarie», «di attuazione del diritto», ecc., che invece sono state) già svolte dall'ordinamento in sede di disciplina dell'appropriazione. Tutto ciò che è attribuito dall'ordinamento, quale che sia la forma in cui è attribuito, è, per ciò solo, sicuramente rilevante sul piano aquiliano. Ma non tutto ciò che è rilevante sul piano aquiliano ha ingresso al rimedio risarcitorio nella stessa misura ed alle medesime condizioni. Anche sotto questo ulteriore profilo la responsabilità si mostra regolata da una elementare logica sistemica che impedisce di ritenere attribuito, e perciò risarcibile, ciò su cui è dato ad altri di interferire legittimamente ma che, al tempo stesso, fa ritenere aggiudicato, e perciò risarcibile, ciò che da altri è compromesso o distrutto in un modo illegittimo, in un modo che implica un interferenza non consentita. Ingiustizia e solidarietà, perciò, non concorrono in alcun modo neanche a questo secondo aspetto del problema della risarcibilità del danno, e cioè a regolare le condizioni di ingresso alla tutela aquiliana di quanto l'ordinamento ritenga già individualmente appropriabile. Ingiustizia e solidarietà, infatti, sono anche del tutto mute in ordine al modo di discernere rispetto a che tipo di aggressioni lesive possa trovare o meno soddisfazione risarcitoria quel che pure è oggetto di attribuzione normativa. A determinare il criterio che regola l'accesso, ad es., del credito o di un c.d. interesse legittimo alla tutela aquiliana non è una qualche idea della giustizia o del legame sociale bensì il carattere, occasionale o modale, del conflitto che su di essi si può accendere. E, a sua volta, un tal carattere di codesto conflitto non dipende da una qualche idea del giusto o da una qualche concezione del rapporto tra egoismo e altruismo bensì, rispettivamente, dal tipo di compatibilità cui l'ordinamento ha positivamente sottoposto il rapporto tra offerta e domanda di prestazioni e servizi ed il rischio di interferenze che ne discende o dalle condizioni cui positivamente soggiace il potere pubblico di ingerenza nelle sfere private. Ma tutto questo dimostra anche che non si dà alcuna razionalità universale che ingiustizia e buona fede abbiano da attingere dalla o nella o nel confronto con la prassi. La razionalità che distribuisce i conflitti aquiliani tra (in)compatibilità occasionali e (in)compatibilità modali è data dal modo in cui reciprocamente si dispongono sfera interferita ed agire 17

intereferente, e tale modo, a sua volta, dipende dai regimi appropriativi, cui l'ordinamento ha positivamente sottoposto l'interesse pregiudicato, e dai poteri di interferenza, che l'ordinamento ha positivamente conferito al danneggiante. Il che, poi, corrisponde all'evidenza che (beninteso: a sistema già istituito) non è la prassi che dà razionalità all'ordinamento ma è la ragione sistemica di questo che ordina la prassi. Né in questa direzione si fa un reale passo in avanti riconducendo l ingiustizia al principio di buona fede o di correttezza. Nell idea che sia la buona fede a giuridicizzare gli interessi ritorna il medesimo trompe l oeil che fa ascrivere alla funzione conservativa della responsabilità un compito che, invece, è stato assolto già prima dalla funzione attributiva dell ordinamento. Non è la buona fede a discernere tra interessi rilevanti ed interessi irrilevanti, bensì norme e principi sistemici che presiedono alla determinazione dell ambito di ciò che è individualmente appropriable. La buona fede o la correttezza possono ben essere chiamate (in taluni dei casi riconducibili ai conflitti modali) a discernere le condizioni alle quali un interesse, un valore già di per sé appropriabile riceve protezione da altrui interferenze (ad es., la correttezza professionale nel danno concorrenziale). Ma ed è questo il punto a decidere che la buona fede o la correttezza giochino un tal ruolo non è il principio di buona fede o correttezza, bensì il carattere modale del conflitto in cui tale interesse o valore può essere coinvolto. E, a sua volta, tale carattere del conflitto non dipende dal principio di buona fede o di correttezza, bensì dal regime appropriativo, cui l ordinamento ha positivamente sottoposto tale interesse o valore, e dai poteri di interferenza che, rispetto ad esso, ha attribuito ai terzi in vista di più generali finalità. Neanche su questo piano e neppure mediandola con la buona fede, all'«ingiustizia del danno» dell'art. 2043 si può attribuire alcuna reale capacità selettiva. In realtà, la qualificazione del danno come «ingiusto» è intesa solo ad avvertire che l'esigenza conservativa propria della responsabilità non è assoluta e che l'antinomia, propria dei conflitti aquiliani, tra principio di conservazione e principio permissivo (= la libertà generale e i poteri speciali di interferenza) richiede composizioni sistematiche. L'«ingiustizia», dunque, segnala un problema, ma non offre ad esso alcun criterio di soluzione. E poiché segnala un problema essenzialmente di coordinamento sistematico, essa si limita a richiedere semplicemente un processo di comprensione reciproca e sviluppo sistemico delle confliggenti rationes, espresse rispettivamente dall'istanza conservativa propria della responsabilità civile e dall'istanza dinamica propria del principio di libertà generale e degli altri principi autorizzativi speciali che con il punto di vista conservativo vengono in contraddizione. L'«ingiustizia», dunque, - contrariamente a quel che sembra ormai un senso comune della dottrina della responsabilità - non ha alcun senso sostantivo, né evoca autonomi principi selettivi più o meno positivi, quali la solidarietà, la buona fede o una qualche idea del giusto che l'interprete avrebbe da cercare interrogando sé stesso e la sua tradizione colta, la coscienza sociale evolutiva, ecc. Ma costituisce semplicemente un mero warning sistemico, una sorta di segnale stradale che ingiunge di consultare la mappa dell'ordinamento avvertendo (di quel che, a dire il vero, seppur confusamente già si sapeva sotto il vigore dell'art. 1151 c.c. ab., e cioè) che la corretta applicazione del 2043 richiede una considerazione reciproca di sfera interferita ed attività interferente da condurre su basi sistematiche assolutamente positive. Sicché non aveva poi tutti i torti la Relazione al Re, allorché commentava l'aggettivo «ingiusto», aggiunto al danno nella nuova versione della fattispecie aquiliana, dicendo che esso si limitava a ribadire il vecchio adagio secondo cui il danno, perché sia risarcibile, deve essere arrecato contra jus e sine jure. Ma con queste non secondarie precisazioni: che il danno è contra jus non solo quando attiene alla 18

lesione di diritti soggettivi ma anche quando incide su quel che, comunque ed in qualsiasi forma, l'ordinamento ha attribuito ai privati o ha reso da essi in qualche modo appropriabile; che il danno è arrecato sine jure non solo in assenza di una delle tradizionali cause di giustificazione ma tutte le volte in cui non sia arrecato nell'esercizio di un potere di interferenza e nel rispetto dei suoi limiti funzionali; e che le condizioni di risarcibilità mutano a seconda delle conformazioni della sfera lesa e del potere di interferirla e del conseguente carattere occasionale o modale delle loro (in)compatibilità. Ma tutto ciò consente, infine, di dissipare, anche sotto quest'altro profilo, l'equivoco, ormai sempre più dominante, che dall'«ingiustizia» e dalla «clausola generale» fa risalire all'atipicità della responsabilità ed alla sua apertura verso il metagiuridico. Che nel caso della responsabilità il legislatore si sia esonerato dal procedere a tipizzazioni analiticamente descrittive di tutti i possibili conflitti tra principi antinomici è semplicemente scontato. Ma ritenere che la rinunzia (forzata: v. infra) a simili tipizzazioni comporti anche la scelta di rimettere il rimedio aquiliano ad un «concetto elastico», e dunque un rinvio normativo ad istanze valutative o metagiuridiche costituisce solo un qui pro quo, che va ascritto alla difficoltà che il pensiero moderno ha incontrato, e incontra, a penetrare in una cultura ancora profondamente segnata dalle metafore essenzialistiche e che, per superarle, si è escogitata nuove metafore solidaristiche, che, poi, alle prime hanno spesso finito solo per sovrapporsi. In realtà, la pretesa atipicità dell'art. 2043 risponde non ad una scelta di valore ma ad un inevitabile «limite economico» della tecnica della fattispecie. Questa suppone la preventiva conoscenza e la previa definibilità tanto dei diversi principi suscettibili di venire in rapporto antinomico che degli ambiti problematici ove il rapporto di antinomia si può sviluppare. Questa tecnica diventa, perciò, impraticabile, allorché il campo problematico di un principio sia estremamente generale - com'è, appunto, per il caso del principio conservativo che presiede alla tutela aquiliana - e siano, di conseguenza, altrettanto vasti tanto lo spettro dei principi antinomici che con esso possono entrare in contraddizione che gli ambiti materiali nei quali tale contraddizione si può sviluppare. Solo a questa difficoltà risponde, allora, la formulazione dell'art. 2043. Con essa il legislatore si è limitato a prevedere uno schema di fatto, la causazione di un danno, che designa il tipo di problema proprio della responsabilità ed ha lasciato all'interprete di determinare gli altri filtri del rimedio risarcitorio sulla base dei riferimenti sistematici specificamente proposti dal caso concreto. Precisamente, gli ha lasciato di interpellare la funzione attributiva per verificare se ciò di cui il danneggiato lamenta la perdita poteva essere da questi appropriato e di interrogare la funzione permissiva per verificare se l'interferenza del danneggiante che ha determinato tale perdita fosse o meno, e fino a che punto, consentita. Anche per quest'altro verso, dunque, clausola generale e ingiustizia, e con loro indeterminatezza e atipicità, si dimostrano solo metafore di una, intuita ma non elucidata, complicazione sistematica della struttura della responsabilità, che, di certo, è difficile da dipanare ma che, con altrettanta certezza, non demanda all'interprete operazioni diverse da quelle ordinarie né, tanto meno, gli attribuisce un qualche ruolo speciale. Ma se questo è vero, allora è improprio contrapporre - come da quarant'anni si continua a fare - la (pretesa) clausola generale dell'art. 2043 c.c. alla (pretesa) soluzione casistica dei parr. 823 e 826 del B.G.B. Tali due formulazioni della disciplina della responsabilità non implicano affatto differenti scelte di valore o diversi ordinamenti della materia extracontrattuale, ma rappresentano, al più, misure diverse di approssimazione all'articolazione delle tutele aquiliane, che in nessun modo consentono di contrapporre l'una all'altra in termini, rispettivamente, di atipicità e tipicità. Con il doppio binario del par. 823 e del par. 826 il legislatore tedesco ha appena abbozzato quella distinzione tra conflitti occasionali e conflitti modali che il legislatore italiano si è limitato a segnalare con l'«ingiustizia» e che, prima di lui, il Code Napoleon (come molti altri testi legislativi da esso derivati) aveva racchiuso intuitivamente nell'alternativa di colpa e dolo. Ma questo doppio binario è ben lungi dall'essere in 19

grado di funzionare immediatamente secondo il paradigma tradizionale della fattispecie e della sussunzione. Sicché all'interprete tedesco toccano a me sembra - compiti di ricostruzione della mappa sistemica dei molteplici incroci tra funzione attributiva e funzione permissiva del tutto simili a quelli cui è chiamato l'interprete italiano o francese: nell'un caso e nell'altro il sistema giuridico assegna al suo interprete una funzione di autopoiesi materiale del sistema giuridico, tenendolo ben chiuso entro il recinto delle sue rationes poste e del loro sviluppo meramente autoriflessivo. D'altronde non è seriamente discutibile che problemi aquiliani di un qualche rilievo trovino soluzioni sostanzialmente omogenee tanto nel c.d. sistema casistico tedesco che nelle c.d. clausole generali di derivazione francese. Il che avviene non perché la responsabilità civile obbedisca ad una qualche razionalità universale ma esclusivamente in forza della funzione secondaria che - come si è cercato di dimostrare - essa è chiamata ad assolvere rispetto alle discipline dell'appropriazione privata. E queste discipline, a loro volta, sono essenzialmente omogenee perché in esse si esprime soprattutto il senso nucleare dei sistemi giuridici della Modernità. 20