ASSISTENZA PER LA REDAZIONE DEL PROGRAMMA INTEGRATO STRATEGICO DEL TERRITORIO PROVINCIALE ARETINO E INDIVIDUAZIONE DEGLI STRUMENTI DI INTERVENTO CON



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ASSISTENZA PER LA REDAZIONE DEL PROGRAMMA INTEGRATO STRATEGICO DEL TERRITORIO PROVINCIALE ARETINO E INDIVIDUAZIONE DEGLI STRUMENTI DI INTERVENTO CON L OBIETTIVO DI VINCERE LA SFIDA DELLO SVILUPPO ECONOMICO Bologna,

Ricerca commissionata da Via Ristoro d Arezzo, 96 Arezzo www.distretti.arezzo.it A cura di Società di studi economici Strada Maggiore,44 Bologna www.nomisma.it Comitato di Coordinamento Territoriale Roberto Castellucci, Enzo Moretti, Massimo Nibi, Giuseppe Salvini, Lorenzo Zanni Coordinamento scientifico Luigi Scarola Gruppo di lavoro Costanza Arlotti, Massimiliano Bondi, Francesco Galassi, Alessandro Grandi, Paola Piccioni, Marco Sassatelli, Luigi Scarola

Sommario Premessa... 5 PARTE PRIMA: IL CONTESTO DI RIFERIMENTO 1. La situazione competitiva italiana... 7 1.1 Il posizionamento geo-strategico del Sistema Italia nel panorama internazionale... 7 1.2 Il ruolo dei distretti produttivi nel nuovo paradigma industriale... 11 1.3 I sistemi distrettuali e lo sviluppo del Paese... 13 1.4 Le infrastrutture per la competitività... 16 2. Il posizionamento strategico di Arezzo... 21 2.1 Arezzo nel quadro strategico nazionale... 21 2.2 Arezzo nel quadro strategico regionale... 24 3. Il modello aretino... 26 3.1 La mappa settoriale... 26 3.2 L'apertura internazionale... 29 3.3 Le filiere produttive... 32 3.3.1 I sistemi produttivi manifatturieri... 32 3.4 Innovazione e settori emergenti... 39 3.5 Il sistema dei servizi... 43 3.5.1 Il Welfare e il sistema sociale... 43 3.5.2 Le infrastrutture e l ambiente... 49 3.5.3 Il ruolo del turismo... 53 3.5.4 Infrastrutture immateriali e produzione di conoscenza... 60 4. Una mappatura delle politiche attuate e in essere... 69 4.1 Il portafoglio delle azioni e la rete dei protagonisti dello sviluppo locale... 69 5. La matrice Swot... 83 PARTE SECONDA: GLI SCENARI 6. Scenari emergenti: fattori di contesto per Arezzo 2015... 85 6.1 Il contesto geostrategico... 85 6.2 Popolazione e mercato del lavoro... 87 6.3 Le filiere e i distretti produttivi... 89 6.4 Il settore turistico... 92 7. L approccio per simulazioni... 95 7.1 La metodologia utilizzata tra approccio quantitativo e qualitativo... 95 7.2 Una tavola input-output per la provincia di Arezzo... 96 8. Arezzo 2015: traiettorie possibili per il futuro... 103 8.1 Simulazione con ipotesi di bassa crescita... 103 8.2 Simulazione con ipotesi a media crescita... 109 8.3 Simulazione con ipotesi ad alta crescita... 115 8.4 Sintesi delle simulazioni... 121 PARTE TERZA: PRIORITA' E STRUMENTI PER IL PROGRAMMA DI SVILUPPO INTERGRATO 9. Traiettorie per lo sviluppo aretino... 124 9.1 Direzioni e priorità... 124 9.2 La flessibilità delle linee di azione generale... 131

9.2.1 Priorità per la bassa crescita... 131 9.2.2 Priorità per la crescita accelerata... 132 9.3 Lo schema logico delle politiche di intervento... 134 ALLEGATI I progetti bandiera... 140 Il Laboratorio del design... 142 Agenzia a rete per lo sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali e la promozione della competitività territoriale... 162 Azioni integrate per l apertura internazionale... 180 Il modello di governo... 187

Premessa Il sistema economico produttivo della provincia di Arezzo si trova oggi a dover affrontare una fase molto complessa del proprio sviluppo economico, con un processo di riconfigurazione complessiva che implica nuove e consapevoli riflessioni circa le traiettorie di crescita che il sistema locale va intraprendendo. Ad Arezzo, come in molti territori di natura distrettuale, gli attori locali si trovano a dover programmare in un contesto di inedita incertezza dovuta sia al mutamento degli scenari economici internazionali, sia alla consapevolezza che oggi più che mai la fragilità dei sistemi produttivi locali e la scarsità di risorse economiche disponibili, richiedono forti attenzioni nella definizione di policy efficaci ed integrate. Il presente contributo si è posto, quindi, l obiettivo di compiere una riflessione che, partendo dai caratteri peculiari e dalle trasformazioni in atto nel sistema industriale (e non solo) dell area, contribuisca a delineare i mutamenti strutturali del sistema economico ed a tracciare alcune delle direttrici per l avvio di nuovi percorsi virtuosi di sviluppo. È qui utile sottolineare come la realtà economico istituzionale aretina, sino ad oggi, abbia prodotto una cospicua mole di documenti e studi che analizzano, anche in maniera efficace e puntuale, le caratteristiche e la composizione di ciascun ambito sociale, ambientale, infrastrutturale, industriale, turistico e terziario che concorre a determinarne l attuale sistema socio economico provinciale. Attraverso il presente studio si è tentato di spostare il punto di vista verso la costruzione di potenziali futuri scenari competitivi per testare come a parità di policy il sistema aretino reggerebbe e modificherebbe la propria struttura. Da qui una serie di indicazioni di politiche pubbliche attivabili. A fronte di un obiettivo così ambizioso è necessario premettere che il rapporto non può avere e non ha certamente l aspirazione di dare una risposta esaustiva alle problematiche del sistema competitivo e distrettuale con cui il territorio di Arezzo si sta confrontando, quanto, piuttosto, vuole rappresentare un contributo per l avvio di un ragionamento circa le prospettive di crescita e riconfigurazione futura del tessuto produttivo locale ed, in relazione a ciò, di quali potrebbero rappresentare le linee prioritarie di intervento attivabili nel sistema locale anche attraverso l implementazione di un efficiente modello innovativo di governance. La struttura del rapporto ripercorre quelle che sono state le fasi attraverso le quali si è giunti a definire le ipotesi di intervento. Nella prima parte si è riportato il quadro del posizionamento strategico di Arezzo, rispetto a quella che è oggi la situazione competitiva a livello nazionale ed internazionale. Attraverso una analisi dei documenti e degli studi prodotti a livello locale, integrati da una lettura critica delle principali fonti statistiche ufficiali disponibili, dei documenti di programmazione comunitari, nazionali e regionali si sono definiti i punti di forza, di debolezza le opportunità e le minacce per l attuale struttura socio-economica provinciale, ricostruendo altresì il quadro programmatico di riferimento a livello locale ed extra-locale. Nella seconda parte, partendo da quelli che oggi rappresentano gli scenari relativi all evoluzione del contesto geostrategico internazionale, si sono delineate le possibili traiettorie dello sviluppo e della crescita aretina da oggi al 2015, in particolare per ciò che attiene al comparto industriale oggetto principale del mandato. 5

La metodologia implementata è stata piuttosto complessa ed ha unito un approccio di tipo econometrico, attraverso il quale si è giunti ad isolare il sistema di variabili ed i coefficienti ponderali, ad elementi di natura qualitativa che hanno consentito di cogliere anche aspetti non ancora codificati delle dinamiche in corso sia a livello locale, sia a livello internazionale. Delineate le possibili evoluzioni del sistema produttivo di Arezzo, anche attraverso la definizione a livello provinciale di tavole input-output, nell ultima parte del lavoro si sono portate a sintesi le linee di azione generali verso le quali il sistema provinciale aretino dovrebbe puntare. Sulla base della strategia sono altresì stati individuati tre possibili progetti bandiera: la strategia individua infatti l indirizzo e ne delinea un percorso utile per poter raggiungere il risultato desiderato, rappresentando la cornice logica all interno della quale muoversi, i progetti bandiera proposti rappresentano invece dei possibili esempi di come, in presenza di risorse scarse, si possa segnare il primo passo del percorso strategico nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo prioritari. Il lavoro si conclude con una riflessione relativa a come innovare l'attuale modello di governance, al fine di dare maggiore concretezza ed efficacia all azione di governo delineata, sfruttando appieno l elevato livello di collaborazione e di partecipazione politico istituzionale che oggi già esiste nel sistema provinciale di Arezzo. 6

PARTE PRIMA: IL CONTESTO DI RIFERIMENTO 1. La situazione competitiva italiana 1.1 Il posizionamento geo-strategico del Sistema Italia nel panorama internazionale Gli ultimi venti anni di storia sanciscono il recupero delle relazioni economiche internazionali successivo ai conflitti mondiali e alla grande depressione generata dagli shock petroliferi. Il recupero appare testimoniato da un accrescimento del peso del commercio mondiale sul valore della produzione. La stessa dinamica degli scambi di beni e servizi ha registrato mutamenti importanti determinati, soprattutto, da un cambiamento degli attori del commercio internazionale. La liberalizzazione degli scambi, favorita da una politica di apertura dei mercati nazionali sia a livello multilaterale che a livello regionale e dalla contrazione dei costi di trasporto, non ha agito però in modo esattamente simmetrico. Così alcune aree geografiche - e al loro interno alcuni paesi - hanno visto modificato in maniera sostanziale il proprio peso relativo nelle relazioni economiche internazionali. In questo mutato contesto geo-economico, è l oriente del Mondo ad assumere un peso crescente. Gli attori emergenti sono stati in primo luogo le economie asiatiche: negli anni novanta le sei cosiddette tigri asiatiche (Corea, Singapore, Malesia, Indonesia, Taiwan, e Hong Kong); oggi l India e la Cina in particolar modo. Tra le aree decisamente più dinamiche del pianeta, anche le economie in transizione dell Est Europa che, in pochi anni, hanno saputo raddoppiare i propri scambi con l estero. In un contesto di considerevole crescita del benessere mondiale, sono state proprio queste due aree a guadagnare posizioni nelle graduatorie economiche mondiali e a sancire un nuovo incerto - equilibrio generale. Le tendenze recenti confermano le dinamiche di lungo periodo, sancendo il ruolo di un continente, quello asiatico, ed al suo interno, della Cina, nel ridefinire le geometrie economiche mondiali. Il 2006 ha visto infatti l economia internazionale proseguire nella fase di espansione segnando un ritmo eccezionalmente elevato (+5,4%) vicino ai massimi degli ultimi trent anni, raggiunti nel 2004: il prodotto globale, in particolare, è stato sospinto dalle locomotive cinese (+10,7%), indiana (+9%) e russa (+6,5%) 1. 1 Banca d Italia, Bollettino Economico - primo trimestre 2007, n. 48. 7

Tab. 1.1 - Distribuzione geografica delle esportazioni e delle importazioni mondiali (di merci) 1983 1993 2003 2004 1983 1993 2003 2004 Esportazioni (in miliardi di $) Importazioni (in miliardi di $) Mondo 1.838 3.670 7.342 8.907 1.881 3.768 7.623 9.250 Quote Mondo 100 100 100 100 100 100 100 100 America del Nord 16,8 18,0 15,8 14,9 18,5 24,5 22,7 21,8 Stati Uniti 11,2 12,7 9,9 9,2 14,3 16,0 17,1 16,5 America Centro Meridionale 4,4 3,0 2,9 3,1 3,8 3,3 2,5 2,6 Brasile 1,2 1,1 1,0 1,1 0,9 0,7 0,7 0,7 Argentina 0,4 0,4 0,4 0,4 0,2 0,4 0,2 0,2 Europa 43,5 45,4 46,1 45,3 44,2 44,8 45,4 44,8 Economie in transizione.. 1,5 2,7 3,0.. 1,2 1,7 1,9 Africa 4,5 2,5 2,4 2,6 4,6 2,6 2,2 2,3 Sud Africa 1,0 1,0 0,7 0,5 0,8 0,5 0,5 0,6 Medio oriente 6,8 3,4 4,1 4,4 6,2 3,3 2,6 2,7 Asia 19,1 26,1 26,1 26,8 18,5 23,3 23,0 24,0 Cina 1,2 2,5 6,0 6,7 1,1 2,8 5,4 6,1 Giappone 8,0 9,9 6,4 6,4 6,7 6,4 5,0 4,9 India 0,5 0,6 0,8 0,8 0,7 0,6 0,9 1,1 Sei tigri asiatiche 5,8 9,7 9,4 9,7 6,1 9,9 8,1 8,5 Australia e Nuova Zelanda 1,4 1,5 1,2 1,2 1,4 1,5 1,4 1,4 Fonte: WTO, International Trade Statistics, 2005. Alla spinta fornita da questi paesi, si è accompagnata una crescita delle principali economie industrializzate, in primis degli Stati Uniti (+3,3%) e dell Area euro (+2,6%) segnando un progresso superiore alle aspettative più rosee formulate sino ai primi mesi dell anno passato - e dal confermato vigore del Giappone. Il centro propulsore della crescita degli scambi internazionali è, così, saldamente collocato in Asia. Alla rilevante espansione delle importazioni di Cina e India si è associata la ripresa del Giappone. In generale tutta l Asia sud-orientale ha segnato ritmi molto sostenuti di incremento del commercio, anche per effetto della sempre più intensa integrazione produttiva intra-regionale. Una tra le conseguenze è che la Cina, in particolare, di recente è risultata l unica tra le grandi economie esportatrici a guadagnare posizioni nelle graduatorie internazionali. La preminenza del suo ruolo nello scacchiere internazionale è confermata da un avanzamento anche in termini di importazioni. In questo nuovo contesto l Italia sembra faticare a trovare una collocazione competitiva solida, che le permetta di giocare un ruolo vincente nel confronto con gli altri competitors mondiali. I segnali di questa difficoltà si moltiplicano, così come le interpretazioni dei motivi. Gli accenti vengono di volta in volta su una produttività del lavoro che cresce meno che altrove, sul ritardo tecnologico dovuto alla specializzazione produttiva e alla modesta strutturazione delle imprese, sino al venire meno delle possibilità di svalutazioni monetarie, per citare le ragioni più largamente condivise 2. Gli effetti più evidenti sono la perdita di quote di mercato internazionali, scese dal 3,9% del 1996 al 3,1% del 2005, e la contrazione del contributo alla crescita economica che viene dalla domanda estera, sceso nello stesso periodo dal +4,2% al +0,4% 3. 2 OCSE, Economic Survey of Italy 2005; Banca d Italia, Relazione annuale sul 2005. 3 Rapporto ICE 2005-2006 L'Italia nell'economia internazionale. 8

Tab. 1.2 - I primi venti esportatori mondiali di merci (1) Graduatoria 2004 2004 2005 1. Germania 1 9,9 9,3 2. Stati Uniti 2 8,9 8,7 3. Cina 3 6,5 7,3 4. Giappone 4 6,2 5,7 5. Francia 5 4,9 4,4 6. Paesi Bassi 6 3,9 3,9 7. Regno Unito 8 3,8 3,6 8. Italia 7 3,8 3,5 9. Canada 9 3,4 3,5 10. Belgio 10 3,3 3,2 11. Hong Kong 11 2,9 2,8 12. Corea Sud 12 2,8 2,7 13. Russia 15 2,0 2,4 14. Singapore 13 2,2 2,2 15. Messico 14 2,0 2,1 16. Taiwan 17 2,0 1,9 17. Spagna 16 2,0 1,8 18. Arabia Saudita 19 1,4 1,7 19. Malaysia 18 1,4 1,4 20. Svezia 20 1,3 1,3 Somma dei 20 paesi 74,5 73,4 Mondo 100,0 100,0 (1) Secondo la graduatoria del 2005 Fonte: elaborazioni ICE su dati FMI-DOTS. Tab. 1.3 - I primi venti importatori mondiali di merci (1) Graduatoria 2004 2005 2004 1. Stati Uniti 1 16,0 16,1 2. Germania 2 7,5 7,2 3. Cina 3 5,9 6,1 4. Giappone 4 4,8 4,8 5. Regno Unito 5 4,9 4,7 6. Francia 6 4,9 4,6 7. Italia 8 3,7 3,5 8. Paesi Bassi 7 3,4 3,3 9. Belgio 9 3,0 3,0 10. Canada 10 2,9 3,0 11. Spagna 11 2,9 2,8 12. Hong Kong 12 2,7 2,6 13. Corea Sud 15 2,4 2,4 14. Messico 13 2,2 2,2 15. Singapore 14 1,8 1,9 16. Taiwan 17 1,8 1,7 17. India 16 1,0 1,2 18. Australia 19 1,1 1,2 19. Russia 18 1,0 1,2 20. Austria 20 1,3 1,2 Somma dei 20 paesi 75,3 74,6 MONDO 100,0 100,0 (1) Secondo la graduatoria del 2005 Fonte: elaborazioni ICE su dati FMI-DOTS. 9

La minore capacità di presidio sui mercati mondiale ha senza dubbio influenzato la crescita economica nazionale che negli anni ha subito un forte rallentamento sino a fermarsi nel 2005. Il Pil italiano è passato infatti da una espansione media del +1,9% del periodo 1995-99, al +1,3% di quello 2000-04, contro il +2,6% registrato dall economia statunitense, il +2,1% della Francia, il +2,8% della Gran Bretagna. Tra i principali paesi industrializzati solo la Germania ha avuto dinamiche peggiori (+1,2%), mentre il Giappone ha registrato una crescita pari a quella italiana 4. Neppure la ripresa del 2006 segna un recupero del nostro Paese verso i principali competitors. Se il Pil nazionale cresce del +1,9%, quello dei Paesi industrializzati registra un aumento del +3,2% e quello dell Uem del +2,7%. Nessuna tra le grandi economie continentali, poi, presenta ritmi inferiori a quelli italiani. La Francia è quella meno dinamica (+2%), la Germania e l Inghilterra avanzano su ritmi del +2,7-2,8%, la Spagna addirittura del +3,9% 5. L Italia stenta quindi ad agganciare il mutamento degli equilibri geo-economici mondiali denunciando una sostanziale incapacità di interpretare e valorizzare la propria collocazione geografica, oltre che economica. L essere al centro del Mediterraneo offre infatti all Italia una straordinaria opportunità di sviluppo dei trasporti e della logistica, così come di fare avanzare l industria nazionale su sentieri di internazionalizzazione più compiuta. Questo perché ancora oggi, non troppo diversamente dal passato, l economia nazionale sconta un posizionamento competitivo debole rispetto ad altre piattaforme produttive e perchè il vantaggio comparato delle delocalizzazioni produttive non sembra essersi modificato in maniera sostanziale nel tempo. L indice di attrattività elaborato dalla Heriot Watt University, ad esempio, dalla fine del degli anni novanta ad oggi, registra una crescita di oltre il 30% per i paesi dell est e dell Asia, a fronte di una variazione nettamente più contenuta nell area mediterranea (+10%) e di una sostanziale stabilità nell Europa continentale (+1%). Sintomatico di una trasformazione ancora in divenire è che l intensità e le nuove forme che sta assumendo la divisione internazionale del lavoro, l estensione delle filiere produttive a nuove aree geografiche del pianeta e l avanzata asiatica, ancora non si desumono da molti dati di flusso: basti vedere come il traffico di perfezionamento attivo tende a rimanere costante nel tempo, e come appare già evidente che le merci asiatiche tendano sempre di più a bypassare il nostro paese 6. Nella geometria dei flussi commerciali appare invece chiaro come il nostro paese stia piuttosto integrandosi con le produzioni dei paesi dell Est Europa. Si può quindi affermare che il sistema economico italiano, pur con la debolezza di presentare una debole integrazione con le economie del Far East, e pur con il peggioramento rispetto alle relazioni con il Nordamerica, parte da una posizione di progressiva interrelazione con i paesi emergenti del continente, che dovrebbero registrare una crescita rilevante nei prossimi anni. 4 Oxford Economic Forecasting, World Long-Term economic prospect, 2005. 5 Fonti varie: FMI, OCSE, Commissione Europea. 6 - Venticinque anni di ricerche (1981-2006), Logistica, Istituzioni, Imprese - materiali per il Convegno, CNEL, Roma, 23 novembre 2006. 10

1.2 Il ruolo dei distretti produttivi nel nuovo paradigma industriale Nel corso degli anni si è osservata un progressiva sofisticazione della domanda che ha portato le imprese ad una ricerca continua e accelerata di un innalzamento qualitativo delle capacità cognitive, manageriali ed imprenditoriali. La dimensione globale obbliga le imprese a individuare e presidiare il proprio vantaggio competitivo in un ambiente complesso e che richiede imponenti investimenti in capitale fisico e umano. Ne è disceso un processo di crescente specializzazione verso il proprio core business ed una concomitante esternalizzazione delle fasi della produzione non core. L esternalizzazione di fasi del processo produttivo, va tenuto conto, si inserisce in un contesto produttivo già altamente parcellizzato, storicamente composto da una netta prevalenza di aziende di micro e piccola dimensione. All interno di quello che è un continuum di forme organizzative l Italia partiva (e in larga misura parte) da una situazione di evidente polarizzazione su due estremi: un piccolo nucleo di grandi gruppi integrati (sostanzialmente di estrazione pubblica, seppure oggi parzialmente immessi sul mercato), dalla natura spesso conglomerale, attivi nei servizi, nelle utilities, ed in settori ad elevata dimensione di scala; un esteso tessuto di piccole e piccolissime realtà, che operano su fasi molto limitate del ciclo produttivo, che concorrono su nicchie di mercato in settori a bassa intensità di capitale. Questo è l humus in cui sono nati e si sono sviluppati storicamente i distretti industriali. È in questo sistema che si sta facendo strada la necessità di guadagnare flessibilità di fronte all incertezza di mercati che, a seguito della velocità di innovazione tecnologica, della globalizzazione e, quindi, della sempre maggiore competizione, sono diventati più instabili e turbolenti, ma anche di liberare risorse da investire in capitale fisico e conoscenza. Ne è nato un processo di convergenza che ha visto, da una parte, i grandi gruppi cedere parti non primarie di attività, processo favorito anche da alcune situazioni di crisi aziendale; dall altra, ha segnato l affermazione di un sistema di medie e piccole aziende strutturate, che da alcuni anni sono diventate un motore della crescita economica del paese 7. Il risultato è stato una moltiplicazione di rapporti gerarchici tra imprese. L affermazione sui mercati internazionali in molti casi ha un nome e un cognome di un azienda che si è fatta strada grazie alla sua capacità di competere, nonostante operasse in un settore in difficoltà. Il micro sempre di più tende a divergere dal macro. Ciò deriva dal fatto che negli anni è andato emergendo e rafforzandosi un sistema di imprese leader che, grazie ad una formula competitiva vincente ed alla loro propensione ad approvvigionarsi di molti input produttivi dall esterno, hanno dato vita, animano e governano filiere di prodotto, dando vivacità a molta parte del sistema di fornitura nazionale. È bene sottolineare che, al momento, appare ancora un mutamento in larga misura inespresso e dai confini ancora incerti. Manca un modello di riferimento univoco e stabile, presentandosi 11

piuttosto un insieme di possibili organizzazioni strumentali a strategie mutevoli e divaricate, non solo in funzione dei mercati geografici e dei prodotti, ma anche in funzione delle economie esterne, politiche di approvvigionamento e di servizio che le leader intraprendono. La nascita delle imprese leader ha in qualche modo sparigliato il modo di leggere e interpretare il sistema produttivo nazionale. È proprio sulla base di questa fluidità di situazioni, di questa perdita di democraticità dei rapporti tra imprese e di questa dinamicità concentrata in aziende mediamente strutturate che da parte di molti si è dato per superato il modello distrettuale. Da parte di molti studiosi certamente, così come da una politica che ha sempre faticato a ritagliare iniziative mirate alle realtà distrettuali 8. Il dibattito rimane aperto e segue la trasformazione organizzativa del sistema produttivo, sottendendo logiche diversificate e differenziate sia sotto il profilo delle modalità, sia sotto il profilo dei tempi del cambiamento. Anche per questa ragione il decisore pubblico sembra mantenere posizioni fluide, poco dogmatiche, in tema di interventi mirati sui distretti che lasciano sempre una porta aperta pur tardando ad attuare azioni concrete e decise. In tale processo si trovano a confronto situazioni divaricate. Se da un lato appare tramontata l impresa distrettuale classica, prevalentemente coincidente con la fabbrica, con i processi manifatturieri, ma competitiva - seppur con un profilo strategico modesto - grazie a un controllo strettamente personale/familiare, a strutture organizzative piatte e informali, alla forte motivazione, alla snellezza e non burocratizzazione nella conduzione del business; dall altra parte, emerge sempre più netta la presenza di situazioni in cui la crescita delle capacità strategiche di alcune imprese guida, ha assunto e assume una importanza centrale per affrontare la scenario competitivo. Si tratta di imprese che nascono prevalentemente e si sviluppano nei distretti industriali. E sono sempre le aree distrettuali che risultano centrali, perché è al loro interno che sempre più spesso matura questo processo, che assume sempre più frequentemente la forma di una strutturazione di piccole imprese, invece che di una destrutturazione delle grandi. Infatti se il downsizing dei grandi gruppi ha dato vita nel tempo a 2.612 aziende di media dimensione (dato tra l altro in calo dal 1981, quando erano oltre 2.946), il processo di strutturazione in seno ai territori distrettuali ne ha generate 3.720, quando era 1.379 all inizio degli anni settanta 9. In diverse realtà distrettuali convivono oramai realtà imprenditoriali di media e piccola dimensione che hanno saputo costruire un network produttivo sempre più diffuso dal punto di vista geografico e che tende a specializzarsi su delimitati ambiti di attività, ed i follower, ovvero 7 Come i rapporti curati dagli Uffici studi di Mediobanca e Unioncamere sulle medie imprese italiane testimoniano da diversi anni. 8 L identificazione stessa e l iter che ha seguito testimoniano le difficoltà e le incertezze che studiosi e policy maker hanno evidenziato negli anni. Dall anno di promulgazione della legge che riconosce i distretti industriali (L. 317/91) sono passati due anni prima che fossero emanati i decreti di applicazione (D.M. 21 aprile 1993); quasi contestualmente è nato un dibattito che ha portato ad una nuova modalità di individuazione che dopo sei anni è stata incorporata in una nuova legge (L. 140/99). Il risultato è stato il moltiplicarsi di distretti riconosciuti, con mappature molto divaricate tra loro (si veda ad esempio quanto proposto dall IPI) e azioni di policy pertanto molto diluite nei loro confronti. 9 Ufficio Studi Mediobanca, I tratti caratteristici delle medie imprese all italiana, presentazione di Fulvio Contorti, Parma, 25 novembre 2006. 12

coloro che sono rimasti ancorati al distretto e ai suoi rapporti economici e sociali, intessendo semmai relazioni internazionali indirette, mediate dalle aziende leader. Ciò che appare inoltre chiaro, anche in questa fase di trasformazione organizzativa del modello, è che, nonostante la forte inclinazione internazionale, le imprese-rete emergenti dai distretti appaiono frequentemente mantenere un radicamento locale. La presenza di una rete locale si affianca ad una presenza in reti ampie anche globali non solo di produzione, approvvigionamento, commercializzazione, ma anche di acquisizione di know-how, collaborazione con centri di ricerca di eccellenza, ecc. A queste condizioni, l interazione fra imprese leader e distretti rappresenta una delle parti più vitali del capitalismo italiano: realtà emerse o emergenti dai distretti la cui crescita si associa ad una positiva evoluzione dei distretti stessi 10. È grazie a questa nuova geometria organizzativa che i sistemi distrettuali stanno scoprendo come fare vera R&S direttamente (premessa indispensabile per sapere come farla fare anche a terzi) e come ibridare sapere contestuale e sapere codificato; le realtà minori lentamente stanno dando maggiore attenzione al marketing ed alla distribuzione, gli ambiti di maggiore generazione del valore dei settori tradizionali; le catene di fornitura distrettuali si stanno disciplinando e qualificando, dando sempre maggiore priorità ai tempi di risposta al cliente. Si tratta inoltre di una strada proficua anche per le strutture meno avanzate che iniziano ad approcciarsi ai mercati esteri in maniera non occasionale e più matura, non solo cioè legata ad esportazioni finali. 1.3 I sistemi distrettuali e lo sviluppo del Paese Le realtà distrettuali forniscono un contributo indiscusso alla crescita del paese, anche grazie alla loro capacità competitiva di penetrazione sui mercati internazionali. Nel momento in cui il paese ha evidenziato maggiori difficoltà di crescita, ovvero dopo il 2001, lo stesso tessuto distrettuale ha evidenziato segnali di debolezza, pur continuando a garantire un contributo costante su valori esportati, che però faticano a crescere. Sono soprattutto i distretti del Made in Italy a segnare il passo: seppure continuino a generare oltre un terzo del valore esportato dalla manifattura nazionale, dopo il 2001 vedono ridotto il contributo relativo dal 37,1% al 36,2%. Le realtà sono molto variegate sia dal punto di vista merceologico che territoriale, dove alle contrazioni anche significative osservate in Abruzzo, Marche e Toscana, si contrappone l incremento evidenziato dalle aree distrettuali della Basilicata, della Sardegna, del Friuli Venezia Giulia, piuttosto che della Campania o del Piemonte. 10 Considerazioni che emergono dagli studi condotti sul territorio nazionale da Mediobanca e Unioncamere e confermate in alcune realtà distrettuali. In merito si rimanda ad esempio alla ricerca condotta da S.p.a. e Scuola superiore Sant'Anna dal titolo: Analisi e ricerca sulla riorganizzazione dei distretti industriali e dei sistemi produttivi locali, Firenze Regione Toscana, 2006. 13

Le difficoltà sembrano quindi addensarsi sulle aree a maggiore vocazione distrettuale, facendo invece emerge un avanzamento nei territori con una minore tradizione. Tab. 1.4 Contributo dei distretti alle esportazioni delle regioni nel Made in Italy, esportazioni di manufatti italiani (valori percentuali e miliardi di euro) 1995 2001 2002 2003 2004 Media 2005 1995-2005 Media 1995-01 Media 2001-05 Piemonte 17,5 24,3 23,3 22,6 22,2 22,3 22,0 21,7 22,6 Lombardia 40,2 41,3 39,7 40,4 40,9 40,7 41,0 41,3 40,4 Veneto 48,8 49,9 49,4 47,3 48 45,8 48,5 49,0 47,6 Friuli Venezia Giulia 39,6 43,2 41,6 43,2 43,4 42,7 41,3 40,5 42,7 Emilia Romagna 28,6 29,2 29,1 28 27,7 28,4 28,5 28,6 28,3 Toscana 43 47 45,1 42,5 40,2 41,9 44,9 46,3 42,4 Marche 63,5 63,6 60,3 54,5 53 56 60,5 63,1 56,0 Abruzzo 52,2 37,1 36,7 35,5 33,6 33 41,6 45,6 34,7 Campania 36,6 36,4 35,9 36,8 35,6 32,2 34,3 33,9 35,1 Puglia 14,5 10 10,8 12,4 9,8 9,1 12,6 13,8 10,5 Basilicata 77,4 86,8 90,4 94,4 92,3 90,2 86,6 83,6 91,8 Sardegna 5 10,6 11,2 9,1 9,8 11,4 9,4 8,9 10,4 Totale Made in Italy 36,4 37 37,7 37,6 37,6 38,1 38,1 37,1 36,2 Totale manufatti 29,7 30,4 31 30,9 30,6 30 30,4 29,9 29,7 Valore esportato 192,3 265,5 261,5 254,5 273,8 288,3 238,5 220,8 269,5 Fonte: elaborazioni su dati Ice-Istat.. La lettura delle tendenze non deve però mettere in secondo piano l entità del contributo e quindi l importanza per le diverse economia locali delle realtà distrettuali. In regioni come le Marche dove oltre la metà delle esportazioni derivano da tali aree appare infatti difficile pensare ad una rilancio che non interessi i sistemi di impresa distrettuali. Lo stesso appare evidente anche in regioni come il Veneto, la Toscana, la Lombardia, il Friuli Venezia Giulia e al sud la Basilicata con il suo distretto del mobile 11. La difficoltà di identificare in maniera sufficientemente esaustiva e univoca la natura di distretto industriale, definizione resa ancora più complessa dalla evoluzione stessa vissuta da molte di tali realtà, è probabilmente una delle ragioni che ha reso difficoltoso disegnare delle politiche ad hoc, a livello nazionale soprattutto. Ed è forse da questa incapacità che è scaturita un attenzione a intermittenza sui distretti e sulle politiche dedicate, ed alcune contraddizioni di indirizzo. La loro importanza per il rilancio del paese ha generato una nuova discussione 12, che nel 2005 ha riportato l attenzione sui distretti industriali anche da parte del legislatore nazionale all interno della legge finanziaria di quell anno 13. Essa tuttavia rimandava la finalizzazione delle ipotesi di intervento ad un confronto tecnico-politico successivo. Il primo pilastro della politica industriale nazionale seguente, la Legge finanziaria 2007, raccoglie questo indirizzo e, tra le disposizioni che consentono di finanziare azioni di sistema per il 11 Ice, Osservatorio sull internazionalizzazione dei distretti industriali, n.1 luglio 2006. 12 Si pensi ad esempio alla proposta di intervento avanzata da Sylos Labini nel 2005 in seno al CNEL. 13 In particolare negli artt. 357-366. 14

recupero di competitività del sistema produttivo, cita espressamente la definizione di un sistema di incentivi per i distretti produttivi 14. Non di tale avviso sembra essere invece il secondo pilastro nazionale, il ddl Industria 2015 (nella sintesi disponibile a giugno 2007) 15, all interno del quale sono esplicitati i nuovi indirizzi per la politica industriale nazionale. Il ministero competente (quello dello sviluppo economico), sembra spingere in una visione divergente. Oltre ad avere sospeso il tavolo di discussione nato per l attuazione delle disposizioni contenute nella Finanziaria del 2005, produce un documento nel quale non si fa menzione ai distretti industriali tra gli asset per il rilancio della competitività nazionale. La strategia del ddl Industria 2015 indica piuttosto le nuove reti di impresa come strumenti per favorire da un lato, lo sviluppo di nuove produzioni nei settori ad alto contenuto tecnologico; dall altro la riqualificazione e il rafforzamento dei sistemi di piccola e media impresa, senza dare loro però un vincolo territoriale definito. Si punta a reti di imprese sensibilmente legate tra loro, ma con connotazioni ancora da definire puntualmente 16. All interno di tale quadro per certi versi contraddittorio, ma soprattutto in divenire, la Regione Toscana sembra avere fatto una scelta di campo più decisa relativamente alle politiche distrettuali. A partire dal Programma Regionale di Sviluppo (PRS) 2006-2010, dove si individua nei sistemi locali di piccole e medie imprese presenti nel territorio, nel mondo dell artigianato, nel movimento cooperativo, nelle singole imprese di medie e grandi dimensioni, gli elementi su cui intervenire in una logica di sistema a rete a scala regionale. Per questo nel PRS si sviluppa una proposta, adottata nel luglio del 2007 nel Piano Regionale dello Sviluppo Economico 2007-2010 (PRSE), di proiettare la politica industriale regionale nell ambito di un Distretto Integrato Regionale (PIR 1.3) 17. Cosa si debba intendere con questo termine è definito all interno dell asse 3 del PRSE 18 come complesso di azioni integrate finalizzato alla creazione e al consolidamento di un sistema di relazioni fra i sistemi territoriali locali produttivi (distretti industriali, sistemi produttivi locali, poli di produzione, cluster tecnologici) intesi quali poli di competitività, un distretto costituito dalle eccellenze settoriali integrate e aperto al coinvolgimento di altre realtà produttive e economiche 14 Con la finanziaria (commi 889-891) può essere riconosciuto un contributo statale in favore dei distretti produttivi adottati dalle regioni per un ammontare massimo del 50% delle risorse pubbliche complessivamente impiegate in ciascun progetto. 15 http://www.attivitaproduttive.gov.it/pdf_upload/documenti/phpgdquiw.pdf 16 Nel dettaglio, il Governo, su proposta del Ministro per lo Sviluppo economico (insieme al Ministro dell economia e al Ministro della Giustizia) è delegato ad adottare decreti legislativi per: - definire le forme di coordinamento stabile di natura contrattuale tra imprese (aventi distinti centri di imputazione soggettiva) idonee a costituire in forma di gruppo paritetico o gerarchico una rete di imprese; - definire i requisiti di stabilità, di coordinamento e di direzione necessari al fine di riconoscere la rete di imprese; - definire, anche con riguardo alle conseguenze di natura contabile e impositiva, gli effetti giuridici della rete di imprese, eventualmente coordinando o modificando le norme vigenti in materia di gruppi e consorzi di imprese; - prevedere, con riferimento alle reti che comprendono imprese aventi sede legale in diversi paesi, una disciplina delle reti transnazionali, eventualmente distinguendo tra reti europee e reti internazionali; - prevedere che ai contratti possano aderire anche imprese sociali ed enti senza scopo di lucro che non esercitino attività d impresa. 17 Regione Toscana, Programma Regionale di Sviluppo 2006-2010, proposta approvata dalla Giunta il 30 maggio del 2006. 15

italiane 19. La connotazione territoriale resta nel disegno regionale, aprendo però a forme reticolari di respiro non locale, ma piuttosto con una scala di interesse regionale, 20 aperta a relazioni esterne. Quale interesse rivesta la riorganizzazione dei distretti industriali e dei sistemi produttivi locali per la Regione Toscana è desumibile dall impegno finanziario previsto. Nel solo 2007 questo asse dovrebbe intercettare infatti oltre 85 milioni di euro, il 46,9% delle risorse destinate all attuazione del PRSE per quell anno (181,5 milioni). Tale quota sale nell intero periodo al 47,7% del totale per un ammontare dedicato ai soli sistemi produttivi locali di oltre 352 milioni di euro su un totale che sfiora i 739 milioni di euro di fondi pubblici. Complessivamente si stima un contributo del PRSE per 0,12 punti di PIL regionale all anno su un orizzonte di medio-lungo periodo 21. 1.4 Le infrastrutture per la competitività E opinione consolidata in letteratura che in assenza di reti e nodi di trasporto efficienti non possa esistere competitività 22. I network infrastrutturali sono senza dubbio essenziali per incoraggiare l insediamento delle aziende, ma anche permettere una ottimale organizzazione di impresa e permettere quei fenomeno di sviluppo reticolare anche se su scala globale di cui si è accennato più sopra. Ma le infrastrutture non generano solo esternalità funzionali al mondo della produzione: non è solo il movimento delle merci a beneficiare di una armatura infrastrutturale efficiente. Anche la mobilità dei cittadini ne trae giovamento, fatto che migliora la qualità della vita oltre a favorire la competitività economica, due fattori che devono andare necessariamente di pari passo in una economia avanzata. È questa l idea che muove anche l Unione Europea quando destina una parte rilevante dei fondi di coesione (Fesr e Fse) alla creazione di infrastrutture. Gli interventi non vengono infatti definiti prendendo in considerazione la sola realizzazione dell opera, ma considerando l impatto potenziale che essa avrà sulla vita economica e sociale e sull ambiente circostante. Finalità rilevanti diventano quindi la creazione e il sostegno delle attività locali e dell occupazione che l infrastruttura può generare e la riduzione del danno all ambiente naturale e antropico. Il tutto in un quadro di sviluppo armonico dei territori. Se senza infrastrutture efficienti è assodato non si possa competere, come è largamente condivisa l opinione che l infrastruttura non è solo un bene in quanto tale, non altrettanto chiaro è quale sia 18 Regione Toscana, Piano Regionale Dello Sviluppo Economico (PRSE) 2007-2010, Firenze, aprile 2007. 19 Regione Toscana, Piano Regionale Dello Sviluppo Economico (PRSE) 2007-2010, p. 83. 20 L idea è quella di attivare e generare un effetto distretto su scala regionale, Regione Toscana, Piano Regionale Dello Sviluppo Economico (PRSE) 2007-2010, p. 83. 21 Andrea Gennai, Subito vantaggi all edilizia del Piano di Sviluppo Il Sole 24 Ore Centro Nord, 11 luglio 2007; Regione Toscana, Piano Regionale Dello Sviluppo Economico (PRSE) 2007-2010. 22 A partire dalla fine degli anni Ottanta sono stati condotti numerosi studi che analizzano la relazione esistente tra la dotazione di infrastrutture e lo sviluppo economico di un territorio. In tutti è riconosciuta l esistenza di un forte legame tra infrastrutturazione e crescita economica di un area. Per una rassegna si veda ad esempio Istat, Le infrastrutture in Italia - Un analisi provinciale della dotazione e della funzionalità, 2006. 16

la soglia oltre la quale il deficit infrastrutturale determina evidenti danni alla competitività o alla qualità della vita. In Italia la situazione appare quanto mai controversa anche in ragione di una lacunosità delle informazioni che solo di recente l Istituto Nazionale di Statistica ha aiutato a superare, fornendo un contributo utile a valutare una situazione da tutti percepita come critica, ma il cui stato reale è ancora poco conosciuto. L immagine che ne emerge è quella di una rete dei trasporti senza gravi ritardi, come dotazione media, dalla situazione europea, ma condizionata negativamente da colli di bottiglia concentrati in alcuni territori snodo, fattore che pesa in maniera sostanziale sulla percezione della rete e sulla sua adeguatezza oggettiva rispetto alle necessità di traffico. A ciò va aggiunto il grado di congestionamento della rete che peggiora ulteriormente il giudizio di efficienza. Ad un livello di congestionamento medio superiore alla situazione continentale, con punte in Lombardia, Lazio e Campania (la Toscana è linea con il dato nazionale), si va a sommare una dotazione che appare lacunosa in molte parti della penisola. Procedendo da Nord, in particolare, in Lombardia e Trentino Alto Adige, in Toscana, e in Sicilia, e che nel complesso evidenzia un ampio squilibrio tra Nord e Sud del Paese. Il divario tra le due ripartizioni territoriali si attesta intorno ai 26 punti, con una punta in Campania il cui indice di dotazione è del 35% più basso rispetto a quello della Lombardia. Fig. 1.1 - Il grado di congestionamento della rete stradale Fonte: elaborazioni REF su dati Eurostat; Istat. 17

La revisione del 2006 23 della delibera CIPE 2001 non sembra spostare il pendolo, almeno da un punto di vista finanziario. Il documento si sofferma sul trade-off esistente tra i fabbisogni di convergenza e competitività del Paese e i vincoli finanziari 24, sottolineando la necessità di giungere all individuazione di un numero limitato di opere prioritarie selezionate secondo criteri di efficacia nell utilizzo delle risorse. Se si va a vedere la distribuzione territoriale dei finanziamenti per opere, lo squilibrio sembra confermarsi se non rafforzarsi nei prossimi anni. Infatti: il 77% dell investimento complessivo (e il 68% del fabbisogno finanziario), necessario al completamento degli interventi, è localizzato nelle regione del Nord, contro, rispettivamente, il 13% e il 24% nelle regioni del Centro e il 10% e l 8% nelle regioni del Mezzogiorno; nelle stesse regioni del Mezzogiorno, viceversa, è localizzato il maggior numero di interventi contenuti nel Primo Programma delle Infrastrutture Strategiche (21.12.2001) che risultano non finanziati e non approvati dal CIPE, anche se solo in linea tecnica. In considerazione delle priorità individuate dal programmatore, con riferimento alle categorie di interventi di breve-medio termine 25, emerge la prevalente attenzione per le infrastrutture di collegamento terrestre (strade, autostrade e ferrovie), priorità che si scontra con una insanabile carenza di copertura finanziaria. Con una disponibilità che supera il 60% per il Corridoio plurimodale adriatico e per gli allacciamenti ferroviari e stradali dei grandi hub aeroportuali; mentre risultano particolarmente scarse le risorse disponibili per gli hub portuali e il Corridoio Plurimodale Dorsale e Centrale. Il dato finanziario fornisce un importante indizio sulla fattibilità della strategia di riposizionamento nazionale in termini di infrastrutture per lo sviluppo. Rispetto alla riflessione avviata dal Ministero delle Infrastrutture sugli interventi prioritari, la delibera CIPE appare in assoluta coerenza, mostrando però come le scelte di concentrazione delle risorse e degli interventi già prefigurate dal Dicoter siano ancora fuori dalla portata rispetto alle dotazioni finanziarie disponibili. 23 Allegato Infrastrutture al DPEF 2007-2011. 24 Il quadro di copertura del costo degli interventi (alle analisi di aprile 2006 del DPEF) risulta così articolato: a) opere con finanziamento integrale (29,3%); b) opere con finanziamento parziale (51,1%); c) opere approvate in linea tecnica (19,6%). 25 Aggiornati ad aprile 2006. 18

Tab. 1.5 Costo e disponibilità degli interventi di breve-medio termine direttamente connessi alle opere infrastrutturali prioritarie sui nodi (realizzazione prevista entro il 2011), in mio euro (aggiornamento aprile 2006) Infrastrutture strategiche Costo Totale Disponibilità disponibilità /costo (%) Sistema dei Valichi 11.635,731 2.794,000 24,01% Corridoio Plurimodale Padano 35.821,372 13.917,930 38,85% - sistemi ferroviari 17.219,761 6.007,046 34,88% - sistemi stradali e autostradali 18.601,611 7.910,884 42,53% Corridoio Plurimodale Tirreno - Brennero 4.673,853 1.265,608 27,08% - sistemi ferroviari 2.536,000 348,608 13,75% - sistemi stradali e autostradali 2.137,853 917,000 42,89% Corridoio Plurimodale Tirrenico - Nord Europa 47.238,297 16.083,763 34,05% - sistemi ferroviari 21.828,174 8.875,643 40,66% - sistemi stradali e autostradali 25.410,123 7.208,120 28,37% Corridoio Plurimodale Adriatico 2.194,749 1.339,951 61,05% - sistemi ferroviari 742,149 682,240 91,93% - sistemi stradali e autostradali 1.452,600 657,711 45,28% Corridoio Plurimodale Dorsale Centrale 5.091,442 595,932 11,70% - sistemi ferroviari 3.966,142 38,734 0,98% - sistemi stradali e autostradali 1.125,300 557,198 49,52% Corridoi Trasversali e Dorsale Appenninica 23.932,903 3.264,599 13,64% - sistemi ferroviari 3.998,349 134,206 3,36% - sistemi stradali e autostradali 19.934,554 3.130,393 15,70% Piastra Logistica EuroMediterranea della Sardegna 2.086,340 428,340 20,53% Hub Portuali Ancona /Civitavecchia /Taranto /allacciamenti plurimodali Genova- Savona-La Spezia /Trieste piattaforma logistica /Napoli-Salerno Hub Interportuali Gioia Tauro /Nola-Battipaglia-Marcianise /area romana /Segrate /Jesi /centro merci Novara /area brindisina /Catania /Termini Imerese /Livorno-Guasticce /piastra logistica umbra /conca di accesso e attrezzature porto di Cremona 3.286,730 574,903 17,49% 1.664,477 576,813 34,65% Allacciamenti ferroviari e stradali grandi hub aeroportuali 1.649,456 989,761 60,01% Fonte: Delibera CIPE n. 130/2006 Rivisitazione programma delle infrastrutture strategiche 6/4/2006. Un supporto finanziario al superamento del gap infrastrutturale nazionale e quindi a favore del potenziamento del ruolo dell Italia nel Mediterraneo, può venire dall attivazione del cosiddetto Corridoio Meridiano, dispositivo territoriale in grado di alimentare la creazione di una armatura euro-mediterranea di riqualificazione delle risorse, di sviluppo delle accessibilità e delle economie e di promozione delle eccellenze. Il corridoio è inserito nel più ampio quadro della redazione di un Piano Strategico per il Mediterraneo che intende contribuire, nel contesto della programmazione dei Fondi Strutturali 2007-2013, alla definizione di politiche di convergenza verso obiettivi di sviluppo comuni dell'area MEDA. 19

Fig. 1.2 Il Corridoio Meridiano Fonte: Ministero Infrastrutture, Dicoter. La finalità ultima è quella di contribuire al processo di ri-centralizzazione del Mediterraneo in un'ottica di riequilibrio competitivo del sistema integrato Euromediterraneo. Tale finalità appare del tutto coerente con le prospettive di traffico che si prefigurano alla luce della rimodulazione della distribuzione degli asset produttivi mondiali di cui si è scritto in precedenza. L'avvio di un processo di pianificazione strategica per il Mediterraneo si inserisce inoltre nel quadro offerto da un nuovo strumento di prossimità, l`enpi, il quale richiama i paesi del sistema euro-mediterraneo ad una politica di forte convergenza e coalizione sugli obiettivi di sviluppo relativi ai temi strategici per la competitività e la coesione 26. 26 Dall inizio del nuovo ciclo finanziario nel 2007, il supporto finanziario alla Politica Europea di Vicinato (European Neighbourhood Policy, ENP) e i Paesi ENP potranno avvalersi di uno strumento dedicato, l ENPI (European Neighbourhood and Partnership Instrument). Lo strumento ha come obiettivo di favorire lo sviluppo sostenibile e l avvicinamento alle politiche e alla legislazione europee, e di migliorare la capacità di supportare la cooperazione trasnfrontaliera lungo i confini esterni dell UE. L ENPI sostituirà MEDA e TACIS e altri strumenti esistenti come la European Initiative for Democracy and Human Rights (EIDHR). 20