La bottiglia di vetro e il tappo di sughero Fino alla fine del 1600 le tecniche enologiche erano ancora mancanti dell'ultimo ed essenziale anello: la conservazione in bottiglia del vino finito, con la chiusura del tappo di sughero. I tappi di sughero, già conosciuti alla fine del 1500, appaiono utilizzati per chiudere temporaneamente il cocchiume delle botti, ma non ci sono riferimenti che mostrino una tappatura stagna delle bottiglie. Bottiglie inglesi del XVIII secolo (da "La luce del vino" Catalogo della mostra nazionale. Asti 9-18 settembre 1994") A partire dal 1660 in Inghilterra si cominciano a usare pesanti bottiglie di vetro prodotte da sir Kenelm Digby, chiuse ermeticamente con tappi di sughero, per la produzione di "sparkling Champaigne". Alla fine del 1600 l'utilizzo di bottiglie di vetro e tappi di sughero per la produzione dello Champagne era passata in Francia. Questo tipo di chiusura permetteva anche di conservare più a lungo i vini rossi o chiaretti. Un trattato francese del 1718 dichiarava che ormai si era in grado di conservare il vino per "quatre, cinq et même six ans". In quegli anni quest'uso si affermò anche in Piemonte. A partire dai primi decenni del 1700 si effettuarono acquisti di bottiglie e tappi per imbottigliare il vino alla corte. Appariva ormai chiaro che il vino in bottiglie di vetro ben chiuse aveva una durata ben maggiore di quello esclusivamente conservato in botte, e che per di più era in grado di mantenere le sue caratteristiche organolettiche anche per la durata di 4 o 5 anni. I tappi si acquistavano a Lione. Nel 1717 la corte comprò una "balla di boccioni di liège". Nel 1719 un "ballotto di taponi di nata", nel 1721 un "ballotto di ottomila boccioni di nata". Il vino di bottiglia era ormai sinonimo di qualità e di pregio. Nel 1722 si imbottigliarono 1205 bottiglie del "vino bianco che beve Sua Maestà".
Classe nobiliare e viticoltura Nel 1700 si verificò un fenomeno importante nella storia del vino piemontese. La classe nobiliare si interessò direttamente della produzione vinicola e investìnella viticoltura. Giovanni Michele Graneri "La vendemmia" (Torino, Museo Civico d'arte antica) da: R. Comba "Vigne e Vini del Piemonte Moderno" Cuneo, 1992 Tavola III. Nei patrimoni terrieri delle famiglie nobili, infatti, la presenza di vigneti era un elemento costante: i Rovasenda, gli Scarampi del Cairo, i Doria di Ciriè, e i Provanna di Leinì, i Tana di Santena, i Falletti Barolo, gli Asinari di San Marzano, i Cacherano Osasco di Rocca d'arazzo, i Dalla Valle sono solo alcuni esempi di famiglie nobiliari con ampi possedimenti viticoli. Nei palazzi e nelle cascine adiacenti si trovavano "crotte grandi", "crotte piccole" e "crottini", nei quali erano disposte tine, arbi, carrere, bottali e barili pieni di vino di vario tipo e diversi livelli di qualità. Il vino si consumava nei pranzi di famiglia, si beveva con gli ospiti, si regalava e si vendeva anche, con buon profitto.
La perequazione generale La perequazione fu una delle riforme che ancora oggi fanno ritenere uno dei più grandi principi italiani del 1700. Fu un'impresa trentennale che non ebbe confronto nell'europa di quel periodo e portò alla compilazione di un catasto funzionale e ben strutturato. Poiché una grande parte delle terre piemontesi godeva di franchigie,, assistito da consiglieri e funzionari lungimiranti, si impegnò ad intraprendere una riforma fiscale tendente a ridurre le immunità del clero e della nobiltà, eliminando le esenzioni fiscali irregolari e limitando quelle legali. A questo scopo era necessario avere una stima reale dei beni e delle entrate delle varie comunità. Era pertanto necessario ricorrere a delle precise registrazioni catastali. Di ogni regione veniva indicata l'esatta superficie occupata da prati, risaie, vigne, alteni, boschi, castagneti. Oltre alla quantità si calcolava anche la qualità dei beni, basandosi sulla media dei prodotti degli ultimi dieci anni. Sulla base di questi dati si valutava il carico fiscale. Lo studio dei risultati si protrasse fino al 1730. In seguito a queste rilevazioni il gettito fiscale aumentò, vennero infatti ricondotte al patrimonio allodiale 315736 giornate di terreno. Per quanto riguarda più strettamente il settore viticolo, la perequazione costituisce una fonte molto interessante che permette di ricostruire un quadro generale della distribuzione del vigneto.
La Società Agraria Matteo Ghidoni, detto Dei Pitocchi Zuffa di contadini 1650-60 (?) Nel clima culturale di fine secolo si formò a Torino una prestigiosa associazione culturale: la Società Agraria. Fu istituita ufficialmente il 24 maggio 1785. I suoi scopi erano il progresso, il perfezionamento dell'agricoltura, delle industrie agricole, delle condizioni igieniche e alimentari dei contadini, l'insegnamento, la sperimentazione, la fondazione di istituzioni a giovamento dell'agricoltura. Trattò temi di grande interesse per l'economia piemontese quali la viticoltura, la risicoltura, l'irrigazione, le scuole agrarie gratuite, la concimazione, la meccanizzazione, il calendario georgico, l'allevamento del baco da seta, la produzione di lana. Nel 1788 si ebbe una modifica del nome in quanto ottenne dal suo fondatore, I, il titolo di Reale Società Agraria. Nel 1843 re Carlo Alberto le conferì il nuovo titolo di Reale Accademia di Agricoltura. Ne fecero parte illustri piemontesi ed annoverò tra i suoi membri Camillo Benso di Cavour, Federico Sclopis, Matteo Bonafous, Giuseppe di Rovasenda e molti altri uomini di fama e di cultura.
Il 22 settembre 1713 assunse il titolo di re di Sicilia. La flotta inglese lo portò a Palermo e il 4 dicembre venne incoronato nella cattedrale. Doveva essere una occasione sfarzosa che manifestasse una larghezza regale. Il vino fu uno dei suoi simboli. Nelle registrazioni del "Conto spese casa di SM per il viaggio in Sicilia nell'anno 1713" si può notare che la spesa riguardante il vino è la più alta tra tutte quelle sostenute per gli alimenti. I fornitori erano addirittura banchieri: Audifredi e Boggetti furono incaricati dell'acquisto di vino di Champagne e di Borgogna.