Ask the Expert in Obesity, Nutrition and Metabolism Volume 2, N. 4, 2005 Studio ORLICARDIA: orlistat e rischio cardiovascolare in pazienti affetti da sindrome metabolica e diabete mellito di tipo 2 Expert View Aspetti endocrini dell obesità Expert Advice Obesità e comorbilità psichiatrica Selezione dalla letteratura (gennaio - giugno 2005) Efficacia di orlistat: non solo questioni di peso LAP: un nuovo indice per l accumulo di grasso Tumore alla prostata: prognosi infausta nell obeso Le obese sono più allergiche
In questo numero Presentazione 4 Studio ORLICARDIA: orlistat e rischio cardiovascolare in pazienti affetti da sindrome metabolica e diabete mellito di tipo 2 2 Arturo Mastropasqua Expert View Aspetti endocrini dell obesità 5 Sabrina Corbetta Expert Advice Obesità e comorbilità psichiatrica 12 L approccio psichiatrico 12 Ferdinando Pellegrino L approccio psicoterapico 14 Filomena Iorio Selezione dalla letteratura (gennaio-giugno 2005) Efficacia di orlistat: non solo questioni di peso 16 LAP: un nuovo indice per l accumulo di grasso 17 Tumore alla prostata: prognosi infausta nell obeso 17 Le obese sono più allergiche 17
Studio ORLICARDIA: orlistat e rischio cardiovascolare in pazienti affetti da sindrome metabolica e diabete mellito di tipo 2 Didangelos TP, Thanopoulou AK, Bousboulas SH, et al. The ORLIstat and CArdiovascular risk profile in patients with metabolic sindrome and Type 2 DIAbetes (ORLICARDIA) Study. Curr Med Res Opin 2004; 20: 1393-401 Presentazione e commento a cura di Arturo Mastropasqua Responsabile Servizio di Diabetologia e Malattie Metaboliche Correlate, AO G. Salvini Garbagnate Milanese (MI) Premessa e obiettivo dello studio Sindrome X, Sindrome da insulino-resistenza sono i termini usati in passato negli storici lavori di Reaven [1], De- Fronzo e Ferrannini [2] per definire la sindrome metabolica (SM). Tale sindrome è costituita da un insieme di fattori di rischio metabolici di tipo lipidico e non lipidico, ed è strettamente legata all insulino-resistenza, una compromissione delle azioni fisiologiche dell insulina. Lo sviluppo della resistenza all insulina è favorito dall eccesso di grasso corporeo, in particolare dall obesità addominale e dalla sedentarietà. La presenza contemporanea dei fattori di rischio della SM in un paziente aumenta significativamente il rischio cardiovascolare, indipendentemente dai livelli plasmatici di colesterolo LDL. Secondo la definizione proposta nel 2001 dal National Cholesterol Education Program (NCEP), documento ATP III, in un soggetto viene posta la diagnosi di SM qualora siano presenti almeno 3 dei seguenti fattori di rischio [3] : 1) obesità addominale (circonferenza vita): uomini > 102 cm donne > 88 cm 2) trigliceridi: > 150 mg/dl 3) colesterolo HDL: uomini < 40 mg/dl donne < 50 mg/dl 4) pressione arteriosa > 130/> 85 mmhg 5) glicemia a digiuno > 110 mg/dl. per gli uomini e > 80 cm per le donne) e alla glicemia (> 100 mg/dl) [6]. In questo modo l obesità addominale diviene un fattore patogenetico importante e un prerequisito per la diagnosi indipendente dalle altre comorbilità presenti nella SM. Da sottolineare anche il nuovo cutoff della glicemia a digiuno, importato dalle indicazioni dell American Diabetes Association (ADA), che hanno evidenziato la comparsa di complicanze macroangiopatiche già nell intervallo glicemico tra i 100 e i 110 mg/dl. Per ridurre il rischio di eventi cardiovascolari maggiori nei pazienti con SM, alcuni studi, tra i quali quello svolto dal Diabetes Prevention Program, hanno dimostrato l importanza di un intervento sullo stile di vita e di una riduzione del peso corporeo pari al 5-10% (attraverso una dieta controllata, un programma di attività fisica e un trattamento farmacologico che consenta un miglioramento dell insulino-resistenza) [7]. Lo studio ORLICARDIA (The ORLIstat and CArdiovascular risk profile in patients with metabolic sindrome and Type 2 DIAbetes) si è proposto di valutare in pazienti affetti da SM e da diabete mellito di tipo 2 l effetto di orlistat 120 mg tid, inibitore della lipasi pancreatica, associato a dieta ipocalorica sul profilo di rischio cardiovascolare. Pazienti e metodi Tra questi fattori, l obesità è quello più frequente; negli Stati Uniti si calcola che attualmente il 20% della popolazione sia obeso, e tale percentuale è destinata ad aumentare. In continua crescita è anche la prevalenza di diabete mellito, condizionata dallo stile di vita sedentario e da un alimentazione ricca di lipidi e ipercalorica [4]. Secondo il NHANES (National Health and Nutrition Examination Survey), negli Stati Uniti è affetto da SM il 22% circa della popolazione generale e il 42% dei soggetti con età compresa tra i 60 e i 69 anni [5]. Inoltre il diabete mellito rappresenta, secondo l ATP III, un fattore di rischio cardiovascolare indipendente; esso determina una probabilità > 20% di sviluppare un evento cardiovascolare maggiore nei 10 anni successivi alla diagnosi, peraltro posta in genere con un ritardo di 4-7 anni dall esordio della malattia. Recentemente l IDF (International Diabetes Federation) ha rivisto la definizione di SM, restringendo i valori relativi all obesità addominale (circonferenza vita: > 94 cm Lo studio prospettico, multicentrico, randomizzato in aperto, controllato con placebo e della durata di 2 anni è stato condotto in Grecia in tre strutture ospedaliere. Dei 134 pazienti arruolati, 126 sono stati randomizzati a orlistat 120 mg tid o placebo in un rapporto numerico di 3 a 1. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a dieta ipocalorica personalizzata, inferiore di 500 kcal rispetto al fabbisogno giornaliero dei singoli soggetti. I pazienti erano affetti sia da SM, definita secondo i criteri stabiliti dall NCEP-ATP III, sia da diabete mellito di tipo 2 in trattamento con ipoglicemizzanti orali. Dallo studio sono stati esclusi i pazienti affetti da diabete di tipo 1, malattia vascolare sintomatica, dislipidemie gravi, scompenso glicometabolico, malattie gravi renali, epatiche, respiratorie, gastrointestinali e i soggetti che utilizzavano in concomitanza farmaci che possono indurre variazioni di peso corporeo. Endpoints primari dello studio erano le modifiche del 2
Studio ORLICARDIA: orlistat e rischio cardiovascolare peso corporeo, della circonferenza vita, della glicemia e dell insulinemia a digiuno, del profilo lipidico, dell indice di resistenza insulinica (homeostasis model assessment, HOMA) e dell emoglobina glicata. Gli esami di laboratorio sono stati eseguiti in un laboratorio di riferimento con cadenza di 8 settimane. La valutazione del rischio di eventi cardiovascolari è stata effettuata tramite il motore di ricerca UKPDS, che permette di stabilire il rischio di malattia coronarica non fatale e fatale e di infarto nei 10 anni successivi in pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2, nei quali si ignora la presenza di malattia cardiaca. Risultati Dei 126 pazienti inclusi nello studio, 94 (età media: 58 ± 12 anni) sono stati randomizzati al trattamento con orlistat 120 mg tid, 32 (età media: 57 ± 11anni) con placebo. Al termine dei 6 mesi di studio, nei pazienti trattati farmacologicamente è stata osservata una perdita di peso significativamente superiore rispetto a quella raggiunta con la sola dieta ipocalorica ( 6% vs 2,5%; p < 0,0001). Nel gruppo in trattamento attivo, inoltre, la percentuale di pazienti che hanno mantenuto la perdita di peso superiore al 5% è stata significativamente superiore rispetto a quella del gruppo di controllo (67% vs 19%; p < 0,0001). Parallelamente al calo ponderale, nei soggetti trattati con orlistat è stata osservata una riduzione significativa della circonferenza vita ( 7,2% vs 2,3%; p < 0,0001), della glicemia a digiuno ( 24,5% vs 1,2%; p < 0,0001), dei livelli di colesterolemia totale ( 11,2% vs 0,9%; p < 0,0001), del colesterolo LDL ( 13,7% vs 2,1; p < 0,0001), di HbA1c ( 19,8% vs 10,3%; p < 0,0001) e dell uricemia ( 27,4% vs 11,1%; p = 0,0002). Nei pazienti che hanno ricevuto orlistat sono inoltre state osservate riduzioni (anche se non significative tra i due gruppi) rispetto al basale dei valori di insulinemia, dell indice HOMA, del colesterolo LDL, dei trigliceridi e della pressione arteriosa. Questi risultati hanno permesso di rivalutare, dopo il trattamento, l appartenenza dei pazienti alla SM secondo i criteri NCEP-ATP III. Al termine dello studio, solamente il 65% dei pazienti trattati con orlistat rientrava nei criteri di definizione della SM, e il 41% presentava 4-5 fattori di rischio associati alla malattia [91% (p < 0,0001) e 53% (p = 0,0173), rispettivamente per i pazienti sottoposti soltanto a dieta ipocalorica]. Questo era dovuto alla drastica riduzione della circonferenza vita e della pressione arteriosa al di sotto dei valori soglia definiti dall NCEP-ATP III. Infine, nel gruppo trattato con orlistat è stata calcolata una riduzione del rischio di eventi cardiovascolari stimati a 10 anni del 50% (vs 4,5% nel gruppo di controllo; p < 0,0001). I pazienti hanno ben tollerato orlistat e gli eventi avversi gastrointestinali sono risultati transitori e risolvibili con aggiustamenti posologici. Discussione Lo studio ORLICARDIA ha dimostrato che il trattamento per 6 mesi con orlistat consente di modificare significativamente e in modo più prolungato, rispetto alla sola dieta ipocalorica, i fattori di rischio cardiovascolari in pazienti affetti da SM e da diabete mellito di tipo 2. In particolare, la riduzione della circonferenza vita, secondaria al calo ponderale stabilizzato intorno al 6% del peso iniziale, indica come l azione del farmaco sull obesità viscerale addominale rappresenti un importante fattore predittivo di insulino-resistenza, anche quando è ancora presente una normale tolleranza al glucosio. D altra parte, l aumento di grasso viscerale si accompagna a tutte le alterazioni metaboliche tipiche dell insulino-resistenza, quali la ridotta tolleranza al glucosio, l alterato profilo lipidico [con aumento delle VLDL (very low density lipoprotein) e dei trigliceridi, riduzione delle HDL], l elevata pressione arteriosa e l aumento dei livelli del PAI-1 (plasminogen activator inhibitor), del fibrinogeno e della microalbuminuria. Il ruolo del grasso viscerale, inoltre, è decisivo nelle complicanze metaboliche e vascolari. L aumento del rilascio di acidi grassi liberi (free fatty acid, FFA) dal tessuto adiposo viscerale e omentale, per incremento della lipolisi indotta dalle catecolamine, accelera il turnover e l ossidazione degli FFA stessi e dei lipidi in generale. L effetto lipotossico degli FFA induce insulino-resistenza a livello epatico e muscolare e influenza negativamente la secrezione insulinica da parte delle -cellule; l effetto finale è lo sviluppo di diabete mellito. Il tessuto adiposo è ormai riconosciuto come un organo endocrino, capace di sintetizzare e produrre molecole che possono interferire sul metabolismo intermedio, quindi sull azione insulinica. L aumentata produzione di TNF- da parte del tessuto adiposo sembra costituire la tappa decisiva dell insulino-resistenza presente nell obesità, favorendo a livello dell adipocita la lipolisi e la liberazione degli FFA, l aumento della produzione di leptina e la riduzione dell espressione di adiponectina e dei PPAR (peroxisome proliferator activated receptor). In tali condizioni di insulino-resistenza è stata dimostrata una disfunzione endoteliale, che verosimilmente sta alla base dell aterosclerosi e delle complicanze cardiovascolari dell obesità, del diabete e della SM. Responsabili della disfunzione endoteliale sono il metabolismo del tessuto adiposo e l aumentata concentrazione di FFA, che inducono un eccessivo rilascio di sostanze vasocostrittrici, una ridotta vasodilatazione insulino-indotta e un alterato sistema dell ossido nitricomediato. Inoltre, l insulino-resistenza stimola uno stato ipercoagulativo con possibili processi trombotici per ridotta fibrinolisi, secondaria all aumentata inibizione del PAI-1. Da questo scenario, emerge l importanza di una decisa riduzione del grasso viscerale nell indurre un effetto d onda che modifica sostanzialmente il rischio cardiovascolare. Per nulla trascurabili, inoltre, sono i risultati relativi agli indici glicometabolici (glicemia e HbA1c) che, strettamente dipendenti dagli effetti della riduzione dell insulino-resitenza, dimostrano quanto orlistat possa essere considerato un valido ausilio nel trattamento del paziente con diabete mellito di tipo 2 in associazione con altri ipoglicemizzanti. Tali miglioramenti possono essere equiparati a quelli raggiunti in studi simili con acarbosio [8] o metformina [7]. È importante sottolineare che, in questo caso, il trattamento con orlistat deve essere considerato cronico e la condizione di totale carico economico del farmaco sul consumatore ne limita fortemente l uso, come parzialmente si verifica con l utilizzo dell acarbosio. La riduzione del rischio cardiovascolare nel gruppo di pazienti trattato con orlistat viene sostenuta anche dal maggior controllo del colesterolo totale, del colesterolo LDL e della pressione arteriosa. L associazione di orlistat con statine a basso dosaggio potrebbe dimostrarsi una 3
Ask the Expert in Obesity, Nutrition and Metabolism possibilità terapeutica per i pazienti poco tolleranti ai dosaggi elevati di statine. In conclusione, lo studio ORLICARDIA conferma l efficacia di orlistat, abbinato a restrizione calorica e ad attività fisica, non solo nel trattamento del sovrappeso e dell obesità, ma anche nella prevenzione del rischio cardiovascolare nei pazienti affetti da SM e da diabete mellito di tipo 2. Bibliografia 1. Reaven GM. Banting lecture 1988. Role of insulin resistance in human disease. Diabetes 1988; 37: 1595-607. 2. DeFronzo RA, Ferrannini E. Insulin resistance. A multifaceted syndrome responsible for NIDDM, obesity, hypertension, dyslipidemia, and atherosclerotic cardiovascular disease. Diabetes Care 1991; 14: 173-94. 3. National Institutes of Health: Third Report of the National Cholesterol Education Program Expert Panel on Detection, Evaluation and Treatment of High Blood Cholesterol in Adults (Adult Treatment Panel III). Bethesda: MD National Institutes of Health, 2001: NIH Publication 01-3670. 4. Mokdad AH, Ford ES, Bowman BA, et al. Prevalence of obesity, diabetes, and obesity-related health risk factors, 2001. JAMA 2003; 289: 76-9. 5. Ford ES, Giles WH, Dietz WH. Prevalence of the metabolic syndrome among US adults: Findings from the third National Health and Nutrition Examination Survey. JAMA 2002; 287: 356-9. 6. International Diabetes Federation 2005. www.idf.org 7. Knowler WC, Barrett-Connor E, Fowler SE, et al.; Diabetes Prevention Program Research Group. Reduction in the incidence of type 2 diabetes with lifestyle intervention or metformin. New Engl J Med 2002; 346: 393-403. 8. Chiasson JL, Josse RG, Gomis R, et al.; STOP-NIDDM Trial Research Group. Acarbose treatment and the risk of cardiovascular disease and hypertension in patients with impaired glucose tolerance: the STOP-NIDDM trial. JAMA 2003; 290: 486-94. 4