Introduzione all'idealismo tedesco e Johann Gottlieb Fichte

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Introduzione all'idealismo tedesco e Johann Gottlieb Fichte 1762 1814 0. NOTE INTRODUTTIVE SULL'IDEALISMO TEDESCO L Idealismo è stato spesso interpretato, anche dai suoi stessi esponenti, come la più autentica filosofia di quell'ampio movimento culturale che fu il Romanticismo. Questo non è del tutto esatto: Il Romanticismo ha elaborato una sua propria filosofia cui anche alcuni idealisti hanno attinto nell ultima fase del loro pensiero (in particolare Fichte e Schelling). Non è corretto, altresì, sostenere che Idealismo e Illuminismo siano in netta antitesi, anche se così sono spesso stati presentati. Anzi: poco alla volta alcuni autori hanno portato l illuminismo kantiano alle soglie dell Idealismo. Certo, però, l Idealismo portava con sé degli elementi innovativi e peculiari. Vediamone alcuni: 1. L Idealismo si propone la ricerca di un principio filosofico fondativo del pensiero, che non rimanga in determinati limiti (come invece accade in Kant), ma che sia un principio assoluto determinato a reggere tutto il pensabile, non solo il pensiero razionale-scientifico, ma anche ciò che viene detto irrazionale o metafisico. 2. Non pago di tale allargamento, l Idealismo immagina questo Principio non solo come regola di pensabilità, ma anche come produttivo del reale, di ciò che esiste e anche di ciò che potrebbe esistere. Esso non è, dunque, solo presupposto gnoseologico, ma ha carattere generativo rispetto alle cose. Vedremo che l Io di Fichte, la Natura di Schelling, l Idea o il Logos di Hegel sono visti non solo come presupposti formali-gnoseologici, ma proprio come matrici generative della realtà nella sua dimensione ontologica. 3. L idealista non è tanto colui che trascura la realtà, come il senso comune della parola suggerisce, ma colui che accentua l importanza del principio originario del reale cui abbiamo fatto cenno. Egli privilegia questa presenza universale rispetto alle determinazioni particolari e, anzi, ricerca il senso di queste ultime alla luce proprio del principio universale. L idealista è spesso orientato a cogliere la presenza del Principio dentro le cose (che non sono trascurate, dunque). In effetti, uno dei nodi cruciali dell Idealismo è quello del rapporto fra le cose determinate e il Principio che le produce: ciò che è particolare, finito, contingente, viene spiegato tramite ciò che è generale, infinito, essenziale. 1

4. Idealista non è un filosofo necessariamente astratto, né è per forza soggettivista. L idealismo è ben lungi dal privilegiare il soggetto e ancor meno l individuo. Anche quando un idealista, come Fichte, parla di io, questo non va interpretato in senso esistenziale concreto. Si tratta di un Io generalissimo, universale, simile a quello kantiano (io penso, che però attenzione! è solo trascendentale-condizionale e non produttivo). In effetti nell idealismo il soggetto, come noi lo intendiamo, ovvero come singolo individuo, tende ad avere un ruolo assai limitato. Semmai, per molti idealisti, il soggetto ha la prerogativa di possedere un pensiero in grado di pensare (perché congenere con il Principio) i modi e le leggi di produzione del mondo. Spesso, poi, gli idealisti per soggetto intendono proprio il principio, cioè soggetto come subjectum, come essenza sottostante e fondante. A volte soggetto indica anche il carattere dinamico e consapevole del Principio. 5. L idealismo ha, infine, un carattere dinamico, che però si manifesta in termini diversi nei vari autori, un dinamismo evidente soprattutto nella forza del Principio che produce il reale. Un dinamismo, una forza, un processo evidenti nella produzione del reale da parte del Principio. C è un movimento che caratterizza sia le vicende dell oggettività naturale sia quelle della soggettività conoscente. Il tendere, lo streben romantico, è assai presente nel pensiero idealistico. * * * 1. VITA DI FICHTE Fichte compì studi teologici a Jena e Lipsia, in Germania, fronteggiando una situazione di grave indigenza (i genitori erano contadini). Il pensiero di Kant lo entusiasmò e ispirò il suo primo scritto, Saggio di una critica di ogni rivelazione, pubblicato (per intercessione di Kant medesimo) anonimo nel 1792 gli diede precoce fama. Il governo prussiano, assai attento in tema di dottrina religiosa, censurò questo scritto e Fichte, indignato, rivendicò fermamente la libertà di pensiero: atteggiamento che divenne filo conduttore della sua vita e che lo avrebbe portato, per certi versi, a divenire una sorta di guida morale del suo paese, soprattutto in occasione dell invasione napoleonica. Fondamento della dottrina della scienza, del 1794, è il titolo della sua opera più nota, opera che segna un netto distacco da Kant, con la svolta dal Criticismo all Idealismo. Fichte non pubblicò durante la sua vita altri scritti teoretici, ma, nel corso degli anni, approfondì i temi qui proposti, soprattutto attraverso le sue lezioni. Sempre nel 1794 ottenne la cattedra di filosofia a Jena, dove sarà ispiratore di molti allievi entusiasti. Nel 1799, però, dopo aver pubblicato una Dottrina morale e una Dottrina del diritto, venne accusato di ateismo ed è costretto a lasciare la cattedra. Cominciò così il periodo berlinese del suo insegnamento, durante il quale andarono accentuandosi gli aspetti religiosi del suo pensiero, e qui continuò anche la sua opera di impegno politico e morale. 2

Ricordiamo anche gli scritti Missione del dotto (1794) e Discorsi alla nazione tedesca (1808). I testi delle sue lezioni verranno pubblicati solo dopo la sua morte. 2. PENSIERO All inizio, Fichte riteneva insuperabile la prospettiva non ontologica, ma esclusivamente gnoseologica di Kant. Oggetto della filosofia non è l essere, ma il sapere (dell essere) insieme alla esigenza fondazionale (cioè dare fondamenta solide al sapere) di Kant. Ben presto, però, iniziò la critica: Kant pare ancora legato a un ottica di carattere dogmatico, perché egli presuppone ma non giustifica in alcun modo la cosa in sé. Per Fichte infatti, ammettere che esiste qualcosa indipendentemente da ciò per cui esiste (la coscienza, ndr) è come ammettere qualcosa che si sottrae alla riduzione ad un unico principio capace di spiegare la realtà, qualcosa che si sottrae alla sistematizzazione. Tale principio è, dice Fichte, (1) incondizionato: non può ammettere qualcosa di esterno che lo condizioni e determini. Dunque, in quanto incondizionato, esso non potrà essere una realtà data ma un atto, un attività, perché altrimenti non potrebbe essere primo, assoluto, incondizionato. In secondo luogo dovrà essere un atto che (2) agisce su un contenuto che gli è interno (se ciò su cui agisce fosse ad esso esterno, infatti, questo dovrebbe rimandare a un altro principio...). Tale principio, per Fichte, è esprimibile mediante la formula l io pone se stesso la quale mostra, a suo avviso, il carattere incondizionato e condizionante del principio. Chiamare io la realtà prima e assoluta vuol dire coglierla al suo livello nascente, sorgivo, dove appare come soggettività produttrice e non come frutto di un processo. Questo io è capace di porre (cosa? Innanzitutto se stesso!), dunque ha valore assoluto. Questo io non ha nulla fuori di sé: tutto ciò che ha di fronte (pensate al mondo di fronte alla coscienza, così come all oggetto di fronte al soggetto) non può essere una alterità, anche se tale appare. Tale (apparente) alterità è, non a caso, la stessa soggettività, l io, fattosi contenuto (della propria azione), è la soggettività che prende sé medesima a contenuto della propria azione e della propria riflessione, sdoppiandosi come in uno specchio. Per provare a chiarire tale concezione, Fichte evoca il principio di identità. Il fatto che A è A, che A = A, risulta autoevidente, non ha bisogno di alcuna dimostrazione. Nulla costituisce il fondamento di tale principio, nulla è più chiaro o basilare o fondamentale di esso, sì da poterlo spiegare, giustificare. È dunque l io stesso che in se stesso, senza ricorrere a nulla di esterno fonda la validità di tale principio: A = A appare all io immediatamente chiaro, evidente, evidente in se stesso, senza bisogno di altro. L io pone se stesso è come questo principio matematico. L io pone se stesso (come oggetto) come identico a sé, identico al proprio operare (come soggetto). In questo primo principio di identità è implicito anche l ulteriore e diverso principio della separazione e della opposizione. 3

Se l io pone se stesso, vuol dire che l io pone se stesso come altro da sé. Esso, infatti, pone sé non come soggetto, ma come oggetto (quale è in quanto prodotto dall attività dell io, posto dall attività dell io ). Dunque nel principio dell io si deve pensare simultaneamente l identico e il diverso, l uguale e l opposto: l io in quanto puro atto e identità assoluta e l io in quanto si oggettiva e si oppone a sé. Ne risulta una forma di opposizione nella quale l io risulta sdoppiato. L io, ponendosi, si pone come soggetto e come oggetto, in termini fichtiani come io e come non io. Sotto questo ultimo profilo l io per Fichte si manifesta come natura, come inconscio, come tutto ciò che è presente alla coscienza sotto l aspetto dell esteriorità e dunque come mondo. Si ha così che l esteriorità risulta una produzione dell io stesso. La contraddizione tra le due posizioni dell io deve però venir risolta: ciò accade con il terzo principio, il principio di ragione. In accordo con tale principio, il non-io è negazione non dell io stesso, ma solo di una parte di lui. L io assoluto, infinito e illimitato, viene a trovarsi limitato e in sé diviso dal suo atto autoponente, dunque, come già detto, oppone sé a se stesso: oppone sé come soggettività a sé come oggetto, oggetto che viene colto come limite e ostacolo all estrinsecazione della soggettività stessa. - Il processo attraverso il quale l io, ponendo se stesso, si autolimita è incondizionato. In quanto soggetto che si condiziona da sé, dunque, l io è l assoluto stesso: è quell assoluto di cui la coscienza, che è finita, ha coscienza. La coscienza è coscienza (anche) dell assoluto e tuttavia è finita. Qualcosa, che pure è prodotto dall io, può porsi come limite, esterno ed altro rispetto all io stesso. Ma come può l io esibire alla coscienza come altro da sé ciò che invece le appartiene? Fichte si appella a una facoltà che chiama immaginazione produttiva alla quale attribuisce la produzione non cosciente di quanto sta davanti alla coscienza e che le sta di fronte come natura. Così Fichte giustifica il punto di vista comune, secondo il quale la natura è esterna alla coscienza, ma giustifica anche l esigenza che l io sia il produttore di tutto il reale, la natura: la produce in modo pratico (sul terreno dell agire fattivo) e in modo libero (incondizionato). 3. LA DIMENSIONE ATTIVA E ETICA DI FICHTE Nelle successive elaborazioni dell opera Fondamento della dottrina della scienza, Fichte si muoverà verso una filosofia della pratica, verso un pensiero tutto centrato sull azione e sulla libertà. In effetti già l io assoluto è libertà, perché agisce da sé incondizionatamente. L io (personale, quello del singolo uomo) e la coscienza, dunque, sono costitutivamente chiamati alla libertà e con essa ad un continuo agire: un agire consistente non tanto nel compiere atti determinati quanto nel superare tutte le posizioni (inevitabilmente limitate) e ciò in direzione di quell Assoluto nel quale la coscienza si riconosce (almeno come ideale regolativo). Questo continuo tentativo di oltrepassamento caratterizza in senso fortemente etico il pensiero di Fichte. L agire della coscienza è agire morale, innanzitutto per il valore che tale agire ha in se stesso: lo sforzo di superare determinazioni finite e limitanti. In secondo luogo, la moralità consiste nel proposito della coscienza di sottomettere gli impulsi e le inclinazioni alla voce della ragione. 4

L infinito, come criterio orientativo di tale cimento, diviene l ordine etico del mondo. Ordine non positivo e dato, ma come obiettivo da perseguire senza sosta, in un processo che riguarda innanzitutto il rapporto fra l uomo e gli altri uomini. È un processo mai concluso e in via di continuo perfezionamento. In quanto ideale, l infinito è lo scopo della moralità. In quanto reale, l infinito è l assoluto, è Dio stesso. Il pensiero di Fichte oscilla sempre tra questi due poli. Ciò spiega l opposizione che si trova tra le prime edizioni della Dottrina della scienza e quelle più tarde e la continua insoddisfazione di Fichte della esposizione del suo pensiero. Dunque ora è attaccato come ateo (quando accentua il primo aspetto) ora si dice che il suo pensiero ha una svolta in senso religioso (quando accentua il secondo). 4. INTERPRETAZIONE DELL ARTE E RIFLESSIONE SUL PERFEZIONAMENTO UMANO; MISSIONE DEL DOTTO La perseveranza con cui Fichte rielaborò la Dottrina della scienza ha fatto sì che l attenzione si concentrasse solo su questa opera, mettendo in ombra altri aspetti del suo pensiero. Ne Sullo spirito e la lettera della filosofia Fichte affronta il problema dell arte. Lo spirito di un opera è altra cosa dalla sua lettera: tale spirito è come ciò che anima e vivifica la materia, dunque l artista rende l umanità consapevole in modo eminente del principio animatore del tutto. Tale principio, che gli artisti colgono immediatamente e lo trasmettono, è oggetto di un sentimento che può essere rafforzato e affinato tramite un opportuna educazione. Su tale compito deve riflettere la pedagogia, come si vede ne La missione del dotto e i Discorsi alla nazione tedesca. Bisogna che l uomo si lasci pervadere dall impulso potente che lo porta al perfezionamento continuo e alla realizzazione dell ideale. L uomo, rendendosi capace di tanto, pone la condizione della palingenesi, ovvero della futura rigenerazione dell umanità. Questo non è un progetto utopico: Fichte è anzi acutamente consapevole dell ineludibile contrasto fra bene e male, verità ed errore che caratterizza l uomo. Tale consapevolezza, però, non produce rassegnazione, al contrario Fichte mostra grande fiducia nelle possibilità dell uomo. Alla figura del dotto, in particolare, Fichte affida il compito filosofico-sociale più alto: quello di mostrare in prima persona i modi di una graduale realizzazione del perfezionamento morale. Il dotto deve guidare sia con il pensiero che con l esempio concreto il processo di maturazione dell uomo. Fine ultimo dell uomo è proprio il perfezionamento morale (di sé). Nessuno può operare felicemente per il ravvedimento morale altrui se egli stesso non è un uomo retto. Non si insegna solo con la parola, ma in modo più efficace con l esempio. Più di tutti è il dotto ad essere debitore del buon esempio. 5. LO STATO COMMERCIALE CHIUSO E L IDEA DI NAZIONE Il perfezionamento dell uomo può avere luogo solo a patto che esso collabori con gli altri uomini. Migliorarsi è un diritto: come Kant, Fichte ritiene che l unico ordinamento politico radicalmente ingiusto è quello che rifiuta di potersi modificare. C è però anche il dovere di recare il proprio contributo al bene di tutti. 5

Nel suo tempo, e anche fra i suoi discepoli, era piuttosto diffusa la convinzione che la divisione del lavoro e la specializzazione delle funzioni fosse una assurda restrizione e una rinuncia alla pienezza umana. Fichte invece sostiene che solo sviluppando capacità specifiche il singolo può contribuire allo sviluppo umano. Nel Fondamento del diritto naturale (1796-1797) e nello Stato commerciale chiuso (1800), Fichte delinea il modello di uno Stato sociale fondato sul presupposto che il diritto all attività significa più diritto al lavoro che diritto alla proprietà. Innanzitutto, nessuno deve vedere messa in pericolo la propria sussistenza dalla sfrenata concorrenza altrui, la quale produce sempre maggiore disuguaglianza. Per Fichte, se il diritto al lavoro non è garantito la società non è costituita: gli uomini si troverebbero così nello stato di natura, di guerra di tutti contro tutti. Per evitare questo deve esistere una comunità all interno della quale un potere forte vigili sul comportamento di tutti, in modo da scoraggiare chi voglia allargare in modo illecito le proprie attività. La funzione costrittiva della legge, del resto, si applica solo sull operare esterno dell uomo, senza proporsi (né sarebbe possibile) di premere sulla sua coscienza. È questa la ragione per la quale il diritto viene da Fichte distinto nettamente dalla morale, la quale, come anche la religione, è di stretta pertinenza personale. Comunque, sotto la coazione dello Stato, gli uomini si abitueranno a vivere secondo giustizia, tanto che alla fine lo Stato medesimo diverrà superfluo. Il corpo sociale, così rigidamente strutturato, è composto da individui miranti ciascuno alla tutela dei propri diritti. L altro modello che Fichte delinea è quello fondato sul principiovalore del popolo o della nazione ove a tenere insieme gli uomini non è il vincolo della legge, ma il senso di una continuità spirituale e di una missione. Nazione per eccellenza, anzi popolo originario, è per Fichte il popolo tedesco. Mentre le altre comunità dell Europa hanno a suo avviso, nel corso dei secoli, perduto o corrotto i loro caratteri (ad esempio la lingua) i tedeschi sono rimasti identici a loro stessi. Lo spirito che li ha spinti a lottare prima contro l Impero romano e poi contro il Papa deve animarli anche nella lotta contro Napoleone, emergendo così come il popolo egemone in Europa. Per queste dottrine, che sono esposte soprattutto nei Discorsi alla nazione tedesca (1808), Fichte è stato spesso dichiarato un antesignano del nazionalismo tedesco. I Discorsi vennero effettivamente letti in quello spirito, anche se molto tempo dopo la loro stesura. I contemporanei ne ebbero una ricezione differente. Fichte non pensò mai a un dominio politico della Germania sull Europa, anche perché l espansione dei tedeschi li avrebbe costretti alla mescolanza con altri popoli. Fichte, poi, riteneva che al di sopra delle divisioni fra i popoli vi fosse una sorta di repubblica dei dotti della quale dovrebbero entrare a far parte tutti gli uomini di cultura e di libera intelligenza. È, questo, un principio cosmopolitico di chiara matrice settecentesca. 6