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Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia Facoltà di Scienze della Comunicazione e dell Economia Corso di Laurea Specialistica in Economia e Gestione delle Reti e dell Innovazione Il commercio internazionale Rassegna teorica di alcune tra le più importanti teorie economiche riguardanti il commercio internazionale e verifica empirica in riferimento a Stati Uniti e Cina Economia Internazionale Anno Accademico 2005/06 Prof. Andrea Ginzburg Relazione a cura di: Fabio Ruini Matricola nr. 7496

Produttività del lavoro e vantaggi comparati: il modello ricardiano Tra i vari modelli teorici del commercio internazionale proposti dagli economisti nel corso degli anni, un posto d onore spetta sicuramente a quello elaborato dallo studioso britannico David Ricardo ai primi del 1800. Secondo la sua tesi, i motivi che spingono due Paesi a commerciare tra loro sono principalmente due: trarre vantaggio dalle proprie differenze: ciascun Paese produce ciò che sa produrre relativamente meglio; realizzare economie di scala nella produzione: producendo una gamma limitata di beni, la si produce in quantità maggiore ed in maniera più efficiente rispetto a quello che si potrebbe fare dovendo suddividere le risorse in una più variegata gamma di beni. Il concetto essenziale sul quale si basa l analisi di Ricardo è quello del vantaggio comparato, che andiamo subito a descrivere. Il concetto di vantaggio comparato Per comprendere il concetto di vantaggio comparato, occorre prima di tutto introdurre quello di costo-opportunità. Quando un economia ha la possibilità di produrre più di un bene, inevitabilmente si trova a dover affrontare un trade-off, dovendo scegliere una certa combinazione dei diversi beni da produrre. Possiamo definire come costo-opportunità del bene A in termini del bene B, il numero di unità del bene B che sarebbe possibile produrre utilizzando le risorse impiegate per la produzione di un certo numero di unità del bene A. Ad esempio, se negli Stati Uniti possiamo ipotizzare un costo-opportunità di 10 milioni di rose pari a 100'000 computer, è ragionevole supporre che esso sia inferiore in Sud America e pari, ad esempio, a 30'000 computer. E evidente come questa differenza nei costi-opportunità offra la possibilità di una riorganizzazione internazionale della produzione che sia vantaggiosa per entrambi i Paesi. Se infatti gli USA decidessero di cessare la coltivazione di rose, potrebbero produrre 100'000 computer in più. Allo stesso tempo, se il Sud America interrompesse la produzione di computer e si concentrasse su quella di rose, il mondo avrebbe comunque i suoi 20 milioni di rose, ma si ritroverebbe con 70'000 computer in più. Questo duplice vantaggio esiste in virtù della specializzazione dei Paesi in quei settori per i quali essi godono di un vantaggio comparato, ossia per i quali il loro costo-opportunità in termini di altri beni è minore rispetto a quello i di altri Paesi. Un economia con un solo fattore Iniziamo l analisi del modello ricardiano ipotizzando l esistenza di un economia in cui esiste un solo fattore di produzione (il lavoro) e dove vengono prodotti soltanto due beni: vino e formaggio. La tecnologia impiegata in questa economia può essere descritta specificando la produttività del lavoro in ogni settore industriale in termini di lavoro impiegato per unità di prodotto, ossia il numero di ore di lavoro necessarie per produrre un chilogrammo di formaggio oppure un litro di vino. Definendo con la quantità L le risorse totali dell economia (la quantità di lavoro disponibile), possiamo considerare a LW ed a LC le quantità di lavoro impiegate rispettivamente nella produzione di un unità di vino e di un unità di formaggio. Ipotizziamo infine di essere in presenza di una perfetta mobilità intra-nazionale ed in assenza di mobilità internazionale.

La frontiera delle possibilità produttive Avendo a disposizione una quantità limitata di risorse, per produrre una quantità maggiore di un bene sarà necessario rinunciare a parte della produzione dell altro bene. Tale relazione è espressa graficamente per mezzo di una frontiera delle possibilità produttive (la retta PF nella figura qui sotto), la quale mostra la quantità massima di vino producibile una volta fissato il livello di produzione di formaggio e viceversa. Definendo QW e QC rispettivamente come la quantità di vino e di formaggio prodotte dall economia, i limiti della produzione saranno dunque descritti dalla disuguaglianza: a LC Q C + a LW Q W L Quando la frontiera delle possibilità produttive, come in questo caso, è una linea-retta, il costoopportunità reciproco tra i due beni è costante. Formalizzando con riferimento al formaggio, la produzione di un unità aggiuntiva di questo bene richiede a LC ore di lavoro aggiuntive, ciascuna delle quali potrebbe dare origine ad 1/a LW unità di vino. Ne consegue che il costo-opportunità del formaggio in termini di vino sia pari al rapporto a LC /a LW. Questo costo-opportunità è uguale al valore assoluto della pendenza della retta della frontiera delle possibilità produttive. Prezzi relativi e offerta La frontiera delle possibilità produttive rappresenta le diverse combinazioni di beni che l economia può produrre. Per stabilire quale sarà la combinazione effettivamente prodotta, occorre però considerare i prezzi dei beni e, in particolar modo, i prezzi relativi. Nel modello di Ricardo, essendo il lavoro l unico fattore produttivo disponibile, l offerta di vino e formaggio (che normalmente dovrebbe essere una funzione diretta della possibilità di massimizzare i profitti) è determinata dagli spostamenti del lavoro verso il settore nel quale vengono pagati i salari più alti. Definendo P C e P W rispettivamente come i prezzi del formaggio e del vino, il salario orario nei due settori sarà dato dal valore del prodotto di un ora di lavoro: P C /a LC per il formaggio, P W /a LW per il vino. Con un semplice passaggio algebrico, possiamo vedere come il salario orario pagato nel settore che produce formaggio sia maggiore di quello pagato nel settore che produce vino, se P C /P W >a LC /a LW. Solo nel caso in cui questo rapporto sia uguale, entrambi i beni saranno prodotti contemporaneamente.

Il rapporto a LC /a LW, come abbiamo visto prima, rappresenta il costo-opportunità del formaggio in termini di vino. Si può quindi concludere che l economia si specializzerà nella produzione di formaggio se il suo prezzo relativo è maggiore rispetto al suo costo-opportunità, mentre si specializzerà nella produzione di vino nel caso contrario. Inoltre, se l economia è chiusa e necessita di entrambi i beni, possiamo inferire che i prezzi relativi dei beni saranno pari al rapporto fra le quantità di lavoro necessarie a produrli. Il commercio internazionale nel modello a un solo fattore Ipotizziamo ora l esistenza di due Paesi, A e B, caratterizzati da una certa configurazione delle variabili relative alla propria industria (per differenziarle, verrà utilizzato un * accanto a quelle riferite al Paese B). L unica assunzione arbitraria che viene fatta su questi due Paesi è che per essi valga la relazione a LC /a LW < a* LC /a* LW, esprimibile anche nella forma: a LC /a* LC < a LW /a* LW. Questa condizione non indica altro se non il fatto che la produttività relativa di A è maggiore nel settore che produce formaggio. Produttività relativa che è di fatto il costo-opportunità del formaggio in termini di vino; siccome abbiamo definito il vantaggio comparato proprio in termini di tale costo-opportunità, ne consegue che il Paese A ha un vantaggio comparato nella produzione di formaggio. L assunzione che abbiamo appena fatto non è priva di spessore. L intuito di un osservatore, infatti, potrebbe essere portato a considerare che il Paese che produrrà formaggio, dipenda dal confronto tra a LC ed a* LC : il Paese con il valore più basso per questo parametro (ossia quello più efficiente) produrrà formaggio. Questo tuttavia non è ciò che ci dice il modello ricardiano, che definisce come vantaggio assoluto la particolare condizione appena citata. Il vantaggio comparato, al contrario, coinvolge le quantità di lavoro impiegate in tutte e quattro le produzioni, non in due soltanto. In assenza di commercio internazionale, i prezzi relativi dei due beni sarebbero determinati, in ogni Paese, dal rapporto fra gli input di lavoro: il prezzo del formaggio sarebbe a LC /a LW in A ed a* LC /a* LW in B. In un modello del commercio internazionale, tuttavia, non sarebbe ragionevole supporre che il prezzo sia determinato soltanto da fattori interni. Se infatti il prezzo relativo del formaggio fosse più alto in B che in A, si verificherebbe un flusso continuo di importazione di formaggio da parte di B, che a sua volta esporterebbe vino in A. Questo processo continuerebbe fino a che non fosse raggiunta l uguaglianza dei prezzi relativi dei due beni in entrambi i Paesi. Il problema che ci si pone ora è quello di determinare il prezzo relativo, ossia il prezzo internazionale del formaggio in termini di vino. La determinazione dei prezzi relativi dopo lo scambio Nello studio dei vantaggi comparati, essendo essenziale non trascurare le relazioni fra mercati distinti (nel nostro caso i mercati del vino e del formaggio), siccome A esporta formaggio per ottenere vino ed il contrario fa B, si rende necessario il ricorso ad un analisi di equilibrio generale. L analisi simultanea dei due mercati è realizzabile osservando non tanto le quantità assolute dei due beni offerte e domandate in entrambi i Paesi, quanto piuttosto le quantità relative. Nella figura inserita alla pagina seguente sono rappresentate la curva RS dell offerta relativa mondiale di formaggio e quella RD della rispettiva domanda relativa mondiale.

L equilibrio generale internazionale viene raggiunto nel momento in cui domanda ed offerta relativa combaciano, ossia nel punto in cui le due relative curve si intersecano. Se è abbastanza semplice decifrare il significato della curva RD (decrescente poiché riflette un effetto di sostituzione, secondo cui all aumentare del prezzo relativo del formaggio, i consumatori acquistano meno formaggio e più vino, facendo diminuire la domanda relativa di formaggio), risulta interessante spiegare la forma a gradino dell offerta RS. Essa sta ad indicare che: per un prezzo relativo del formaggio inferiore ad a LC /a LW, entrambi i Paesi si specializzeranno nella produzione di vino e quindi non vi sarà produzione internazionale di formaggio; per un prezzo relativo del formaggio pari a a LC /a LW, i produttori di A otterranno esattamente lo stesso guadagno dalla produzione di vino e di formaggio (situazione di indifferenza, espressa dalla sezione piatta della curva di offerta); per un prezzo relativo del formaggio superiore a a LC /a LW, il Paese A si specializzerà nella produzione di formaggio, ma fintanto che il prezzo relativo del formaggio è minore rispetto a a* LC /a* LW, il Paese B continuerà a produrre soltanto vino. Per ogni prezzo compreso tra questi due estremi, l offerta relativa di formaggio sarà uguale a: (L/ a LC )/(L*/a* LW ); per un prezzo relativo del formaggio uguale ad a* LC /a* LW, vi sarà situazione di indifferenza per i produttori del Paese B, che potranno produrre vino o formaggio in maniera egualmente utile; per un prezzo relativo del formaggio maggiore di a* LC /a* LW, sia A che B si specializzeranno nella produzione di formaggio e quindi non vi sarà produzione internazionale di vino. Se l equilibrio, come nel punto 1 della figura che abbiamo appena visto, va a trovarsi in un punto compreso nell intervallo a LC /a LW a* LC /a* LW, allora ogni Paese si specializzerà nella produzione del bene per il quale gode di un vantaggio comparato. Se la domanda relativa fosse diversa, ad esempio RD, l equilibrio cadrebbe in un punto diverso (nel grafico, il punto 2), sulla componente indifferente della curva di offerta. In questo caso il Paese B si specializzerebbe nella produzione di vino (prezzo relativo del cibo minore rispetto al costo-opportunità del formaggio in termini di vino), mentre A non sarebbe portato a specializzarsi in alcuno dei due beni. Trascurando per un momento il fatto che uno dei due Paesi possa non specializzarsi completamente, osserviamo che il prezzo relativo dei beni viene a trovarsi in un intervallo avente come estremi i prezzi relativi interni, praticati prima dell apertura al commercio internazionale. In A aumenterà il

prezzo relativo del formaggio (il punto di equilibrio 1 coincide con un prezzo relativo maggiore di a LC /a LW ) e ciò costituisce un incentivo per la specializzazione del Paese in quella produzione. B, al contrario, vedrà diminuire il prezzo relativo del formaggio e sarà conseguentemente disincentivata per quella produzione e portata a passare alla produzione di vino. I vantaggi del commercio internazionale Come abbiamo appena visto, Paesi le cui produttività relative del lavoro sono differenti da un settore all altro si specializzeranno nella produzione di beni diversi. Il commercio internazionale fa sì che entrambi i Paesi coinvolti negli scambi ottengano da essi dei vantaggi. Possiamo spiegare questa affermazione secondo due punti di vista differenti: 1. commercio visto come un metodo di produzione indiretta: il Paese A potrebbe produrre vino direttamente, ma il commercio con B consente di produrre vino, producendo prima formaggio e scambiando quest ultimo con vino: tale produzione indiretta risulta più efficiente rispetto a quella diretta. Questo perché, affinché vi sia equilibrio internazionale ed entrambi i Paesi siano specializzati, vale la relazione P C /P W > a LC /a LW, la quale a sua volta implica che il prodotto (1/a LC )(P C /P W ), ossia la produzione di formaggio scambiata con vino ottenibile da A con un ora di lavoro, sia maggiore rispetto ad 1/a LW, ossia alla produzione di vino ottenibile direttamente con la stessa ora di lavoro; 2. commercio visto come modificatore delle possibilità di consumo di ogni Paese: in un economia chiusa, le possibilità di consumo della popolazione coincidono con la frontiera delle possibilità produttive. Aprendosi al commercio con l estero, queste due rette si modificano permettendo di consumare combinazioni più ampie dei due beni. Salari relativi Ipotizziamo che i nostri due Paesi, A e B, si siano specializzati rispettivamente nella produzione di formaggio e di vino. Se in un Paese è necessaria un ora di lavoro per produrre un chilo di formaggio, allora i lavoratori di questo Paese guadagneranno il valore di un chilo di formaggio per ogni ora lavorata. Supponiamo che in A serva un ora di lavoro per produrre un chilo di formaggio, mentre a B, specializzata nel vino, servano tre ore di lavoro per produrne un litro. Possiamo definire salario relativo dei lavoratori di un Paese, l ammontare che essi ricevono per ora lavorata, rispetto all ammontare ricevuto dai lavoratori dell altro Paese per la stessa ora di lavoro. Fintanto che i prezzi dei due beni sono uguali (prezzo relativo del formaggio uguale ad 1), il salario relativo dei lavoratori del Paese A sarà pari a 3. Questo salario relativo è compreso tra le produttività relative dei due Paesi (A produce vino impiegando due ore di lavoro per litro, B produce formaggio usando 6 ore per prepararne un chilogrammo: A è dunque 1,5 volte più efficiente di B nella produzione del vino, 6 volte più efficiente nella produzione di formaggio) ed è proprio per questo motivo che ogni Paese riesce a realizzare un vantaggio di costo nella produzione di un bene. Grazie al suo minor salario, il Paese B ha un vantaggio di costo nella produzione di vino nonostante la sua minor produttività. A, al contrario, ha un vantaggio di costo nella produzione di formaggio, nonostante il suo maggior salario, perché tale è maggior salario è più che compensato dalla sua maggior produttività. Un modello con molti beni Il modello semplificato che abbiamo visto sinora prevede la produzione/consumo di soli due beni. Esso consente di comprendere molti caratteri essenziali del concetto di vantaggio comparato e del

commercio internazionale, ma per acquistare un maggior grado di realismo è indispensabile comprendere in quale maniera agiscono i vantaggi comparati in un modello con molti beni: Costruzione del modello Supponiamo che il sistema internazionale cui facciamo riferimento sia composto dai soliti due Paesi, A e B, e che in ogni Paese si utilizzi come unico fattore produttivo il lavoro. In ogni Paese è possibile produrre e consumare un numero N di beni diversi, che numeriamo progressivamente da 1 ad N. Identificando la tecnologia di un Paese con il numero di ore di lavoro necessarie alla produzione di un unità di ogni bene, definiamo come a Li le ore di lavoro necessarie per produrre un unità del bene i 1. Supponiamo inoltre che i rapporti tra le quantità di lavoro richieste nei vari Paesi per la produzione dei diversi beni seguano una relazione del tipo: Salari relativi e specializzazione a L1 a * L1 < a L2 a * L2 < a L 3 a * L 3 <... < a LN a * LN La struttura del commercio internazionale (quali beni vengono prodotti e da quale Paese) dipende esclusivamente dal rapporto tra i salari pagati nei due Paesi. Una volta che questo rapporto è noto, possiamo determinare quali beni vengono prodotti da ciascun Paese, seguendo la semplice regola secondo cui i beni saranno sempre prodotti dove è più conveniente produrli. Se indichiamo il salario di A con la lettera w e quello di B con w*, otterremo che produrre il bene i nel Paese A costerà wa Li ; produrlo nel Paese B costerà invece w*a* Li. Come dovrebbe essere intuitivo, il bene i verrà prodotto nel Paese A nel caso in cui wa Li < w*a* Li, in B nel caso contrario. Questa disequazione può anche essere scritta nella forma a* Li /a Li > w/w*, rendendo immediato il parallelo con la relazione che abbiamo mostrato prima: quella catena sarà spezzata in un punto determinato dal rapporto tra i salari pagati nei due Paesi. La determinazione del salario nel modello con molti beni Per determinare il rapporto fra i salari nel caso di un modello con molti beni, è possibile considerare le domande relative di lavoro implicite nelle domande relative dei singoli beni. La domanda relativa di lavoro, infatti, non è esercitata direttamente dai consumatori, ma è una domanda derivata, che diminuisce quando aumenta il rapporto tra i salari di A e B. Questa correlazione negativa esiste poiché un aumento dei salari in A ha un duplice effetto: da un lato, il lavoro relativamente più caro fa diventare più cari anche i prodotti e calare, di conseguenza, la domanda mondiale per quei beni; dall altro lato, al crescere del salario un minor numero di beni verranno prodotti in quel Paese, riducendo ancora la domanda di lavoro per quel Paese. La determinazione del salario relativo può essere illustrata con un diagramma come quello proposto nel seguito, dove la curva RD rappresenta la domanda internazionale di lavoro di A relativamente a B, mentre RS è l offerta di lavoro di A relativamente a quella di B. RS è una semplice retta verticale, giacché non dipende da parametri particolari, se non dalla dimensione relativa della forza lavoro di A rispetto a quella di B. La curva RD presenta invece una caratteristica forma a gradini, la quale riflette la condizione secondo cui, ogni volta che il salario relativo di A aumenta, la domanda relativa per beni prodotti in A diminuisce, trascinando con sé la 1 Indichiamo sempre con il simbolo * le grandezze che fanno riferimento al Paese B.

domanda relativa di lavoro. Quando il salario relativo di A cresce fino a raggiungere alcuni particolari punti di soglia, espressi dalla catena di relazioni vista in precedenza, la domanda relativa di lavoro crolla in una maniera ancora più brusca, ad indicare il trasferimento all estero della produzione di un certo bene. La curva RD alterna quindi tratti piatti, nei quali la struttura della specializzazione non cambia, e tratti obliqui, durante i quali avviene lo scostamento produttivo. Il salario relativo di equilibrio è determinato dall intersezione delle curve RD ed RS. In questo esempio, esso assume valore 3, ad indicare che A produrrà mele, banane e caviale, mentre B si focalizzerà sulla produzione di datteri e di focacce. Costi di trasporto e beni non scambiati internazionalmente Il grado di realismo di questo modello può essere ulteriormente aumentato considerando anche gli effetti sul commercio derivanti dai costi di trasporto, i quali ostacolano il movimento dei beni e dei servizi. Per quanto modellizzato sino a questo momento, un bene non può essere prodotto contemporaneamente da più di un Paese. Nella realtà, questa specializzazione estrema è però pressoché inesistente. Vi possono infatti essere casi in cui, dati gli elevati costi di trasporto (o, più in generale, l assenza di forti vantaggi di costo), alcune tipologie di beni divengono non scambiabili internazionalmente, ossia prodotte in proprio da ciascun Paese.

Commercio internazionale e dotazione di risorse: il modello di Heckscher-Ohlin (o teoria della proporzione dei fattori ) Come abbiamo visto nel capitolo precedente, il modello ricardiano del commercio internazionale assume come ipotesi fondamentale l idea che l unico fattore produttivo disponibile sia il lavoro. Diretta conseguenza di ciò è il fatto che la produttività del lavoro sia l unica variabile da prendere in considerazione per spiegare l esistenza di un vantaggio comparato di un Paese in un certo settore. E facile argomentare quanto l ipotesi ricardiana sia piuttosto restrittiva. Heckscher ed Ohlin, due economisti svedesi, sono partiti proprio da questo presupposto per sviluppare un diverso modello del commercio internazionale, nel quale i vantaggi comparati sono determinati dall interazione fra le risorse di cui i Paesi dispongono (l abbondanza relativa dei fattori di produzione) e le tecnologie di produzione (le quali influenzano l intensità relativa con cui i fattori della produzione sono utilizzati nei diversi settori). Descrizione del modello di Heckscher-Ohlin Supponiamo l esistenza di due Paesi, A e B, le cui economie sono entrambe in grado di produrre due tipi di beni, seta e cibo, utilizzando, per ciascuna tipologia di bene, tutti e due i fattori di produzione disponibili, ossia terra e lavoro. Il lavoro e la terra sono disponibili nelle due economie in quantità limitate. Questo fa sì che, in ogni Paese, ciascun settore debba scegliere una certa combinazione degli input da utilizzare per ottenere un corrispondente ammontare di seta o di cibo. La combinazione scelta, dipende dal prezzo relativo dei fattori di produzione. Ad esempio, nel caso della produzione di cibo, la combinazione di input scelta dipende dal costo relativo della terra e del lavoro: se la rendita della terra è alta e i salari sono bassi, gli agricoltori sceglieranno di produrre utilizzando molto lavoro e poca terra. Al contrario, se la rendita è bassa ed i salari alti, i proprietari terrieri decideranno di investire maggiormente in terra, piuttosto che in manodopera. Ovviamente relazione analoga vale per il settore della stoffa, dove i produttori dovranno fronteggiare un trade-off tra i due fattori. Questa relazione è dimostrata dalla figura qui sotto, dove la retta CC rappresenta le scelte terralavoro nella produzione di stoffa e la retta FF quelle nella produzione di cibo. Siccome FF è a destra rispetto a CC, si dirà che la produzione di cibo è ad alta intensità di terra, mentre quella di stoffa è ad alta intensità di lavoro. A parità dei prezzi dei fattori, quindi, la produzione di cibo impiegherà sempre un maggior rapporto terra-lavoro rispetto alla produzione di stoffa.

Prezzi dei fattori e prezzi dei beni Ipotizzando un alto livello di concorrenza, il prezzo di ciascun bene risulta essere uguale al suo costo di produzione. Il costo di produzione, a sua volta, dipende dai prezzi dei fattori: all aumentare della rendita della terra, a parità delle altre condizioni, il prezzo dei beni prodotti usando terra aumenterà. L importanza del prezzo di un particolare fattore nella determinazione del costo di un bene è una funzione diretta di quanto quel fattore è utilizzato per produrre quel bene. Ad esempio, quanto maggiore è il costo relativo del lavoro (espresso dal rapporto tra salario e rendita), tanto maggiore deve essere il prezzo relativo del bene ad alta intensità di lavoro (ossia, la stoffa). Questa relazione è espressa, mediante la curva SS, nel grafico seguente: Unendo insieme gli ultimi due grafici che abbiamo visto, possiamo ottenerne un terzo, che ci mostra indirettamente il legame tra i prezzi dei beni ed il rapporto terra-lavoro. Dato un certo prezzo relativo della stoffa, sappiamo che ad esso corrisponde un certo rapporto salario/rendita. Il rapporto salario/rendita può essere a sua volta messo in relazione con il rapporto terra/lavoro utilizzato rispettivamente nella produzione di stoffa e di cibo. Ne consegue che, come messo in evidenza dal grafico che segue, un aumento del prezzo relativo della stoffa provocherebbe, da un lato un incremento del rapporto salario/rendita, dall altro un aumento dei rapporti terra/lavoro impiegati. Questo secondo effetto avrebbe luogo in entrambe le produzioni, sia per quella di stoffa, sia per quanto riguarda quella di cibo.

La conclusione che è possibile trarre è dunque che una variazione dei prezzi relativi provoca un aumento dei salari ed una diminuzione delle rendite, tramite un abbassamento del rapporto salario/rendita. Risorse e produzione Supponiamo che il prezzo relativo della stoffa sia dato e che l economia debba impiegare pienamente le risorse disponibili di lavoro e di terra. Com è possibile determinare l allocazione delle risorse tra le due industrie e, di conseguenza, l output dell economia? Un modo possibile è utilizzare un rettangolo, dove il lato più lungo corrisponde all offerta totale di lavoro dell economia, mentre l altezza rappresenta l offerta totale di terra. Un qualsiasi punto interno al rettangolo (come il punto 1 all interno della scatola rappresentata qui sotto) determina l allocazione delle risorse tra le due industrie. Ricordando l ipotesi secondo cui il prezzo relativo della stoffa é dato e, di conseguenza, lo sono anche i rapporti terra/lavoro relativi alle due industrie, il punto di allocazione delle risorse si ottiene tracciando due rette all interno del rettangolo: la prima, con origine nel punto O C e pendenza pari al rapporto terra/lavoro nella produzione di stoffa; la seconda, con origine nel punto O F e pendenza pari al rapporto terra/lavoro nella produzione di cibo. Il punto in cui queste due rette si intersecano corrisponde al punto di allocazione delle risorse. Dati i prezzi della stoffa e del cibo, dunque, è possibile determinare quante risorse vengano impiegate nella produzione di ciascun bene e, di conseguenza, la produzione di ciascun bene. Si osservi che la retta che trae origine in O C è più inclinata rispetto a quella che origina in O F, in quanto la produzione di cibo utilizza un maggior rapporto terra/lavoro (alta intensità di terra). Cosa succederebbe nel caso di un aumento dell offerta di terra nell economia? La scatola che abbiamo tracciato risulterebbe essere più alta, con lo spostamento del punto O F in O F 2. La retta che parte da questo nuovo punto, pur conservando la stessa pendenza della retta precedente, andrebbe ad intersecarsi con la retta originante in O C in un punto di allocazione delle risorse diverso rispetto a quello individuato precedentemente.

Il significato del nuovo punto di equilibrio è chiaro: le quantità di lavoro e di terra impiegate nella produzione di stoffa diminuirebbero. Si può quindi concludere che un aumento dell offerta di terra nell economia, a parità di prezzi, porta ad una riduzione della produzione del bene intensivo in lavoro. Terra e lavoro non più utilizzati per la produzione di stoffa vengono ora impiegati nella produzione di cibo, che aumenta in maniera più che proporzionale rispetto all aumento dell offerta della terra. Tale risultato è evidente osservando la figura proposta qui di seguito: E possibile infatti notare che l aumento dell offerta di terra disponibile, a parità di lavoro, fa allargare la frontiera delle possibilità produttive, in maniera sbilanciata a favore della produzione di cibo (aumento non neutrale). Dunque, un economia con un alto rapporto terra-lavoro produrrà più cibo che stoffa. La regola generale che ne deriva è che un economia tenderà a produrre i beni intensivi nei fattori di cui essa è relativamente ben dotata. Effetti del commercio fra economie a due fattori Ora che abbiamo esaminato la struttura produttiva di un economia a due fattori, possiamo studiare cosa accade quando due economie di questo tipo commerciano tra di loro. Ipotizziamo di essere in presenza di due Paesi, A e B, le cui economie sono del tutto uguali, salvo differenziarsi per quanto riguarda la dotazione di risorse: il rapporto tra offerta di lavoro ed offerta di terra è più alto in A che in B (in A vi è abbondanza relativa di lavoro, in B di terra).

Prezzi relativi e struttura del commercio internazionale Poichè la stoffa è un bene prodotto con alta intensità di lavoro, la frontiera delle possibilità produttive del Paese A appare spostata verso l esterno se confrontata con quella del Paese B, in direzione della stoffa piuttosto che del cibo. Per qualsiasi prezzo relativo, il paese A produrrà quindi un rapporto stoffa/cibo più alto rispetto a B. L offerta relativa di stoffa sarà dunque maggiore in A (curca RS) rispetto a quella di B (curva RS*), come mostrato dalla figura seguente: Se non vi fosse commercio internazionale, il punto di equilibrio per il Paese A si troverebbe nel punto 1, mentre per B sarebbe nel punto 3. Il prezzo relativo di equilibrio sarebbe in sostanza più basso in A che in B. Con il commercio internazionale, tuttavia, il prezzo relativo della stoffa tende a convergere in un punto intermedio rispetto ad 1 e 3, quale può essere il punto 2 evidenziato dal grafico. L aumento del prezzo relativo della stoffa nel Paese A fa sì che il Paese consumi una minor quantità di quel bene e ne produca di più. Viceversa in B, la diminuzione del prezzo relativo fa sì che si consumi più stoffa rispetto a prima, ma se ne produca di meno. Il Paese A diventa quindi un esportatore di stoffa, mentre B un importatore. La proposizione generale che ne segue è che ogni Paese tende ad esportare i beni nella cui produzione si utilizzano più intensamente quei fattori che nel Paese stesso sono relativamente più abbondanti. Commercio internazionale e distribuzione del reddito Un aumento del prezzo della stoffa fa aumentare il potere d acquisto del lavoro in termini di entrambi i beni e riduce il potere d acquisto della terra in termini di entrambi i beni. Esattamente il contrario accade nel caso di un aumento del prezzo del cibo. I proprietari dei fattori di cui un Paese ha una dotazione relativamente abbondante traggono dunque beneficio dall apertura al commercio internazionale, mentre i proprietari del fattore scarso ne sono danneggiati. Il pareggiamento dei prezzi dei fattori Il commercio tra i Paesi A e B fa sì che i prezzi relativi dei beni convergano verso un unico valore. Tale convergenza innesca a sua volta una tendenza verso un totale pareggiamento dei prezzi dei fattori. Questo processo è facilmente comprensibile riprendendo in mano la figura 4.3: l uguaglianza del rapporto P C /P F, infatti, fa sì che per i due Paesi sia uguale anche il rapporto salario/rendita. Da un punto di vista teorico, questo fenomeno si spiega con il fatto che il commercio internazionale permette di scambiare indirettamente i fattori produttivi dei Paesi

coinvolti. I beni esportati dal Paese A, ad esempio, incorporano più lavoro dei beni che A importa. In questo modo, A esporta lavoro, incorporandolo nelle proprie esportazioni ad alta intensità di lavoro. Il contrario accade per B, i cui beni esportati incorporano una quantità maggiore di terra rispetto a quelli importati e, di conseguenza, è come se B esportasse terra.

Economie di scala, concorrenza imperfetta e commercio internazionale Abbiamo visto in precedenza come siano fondamentalmente due le ragioni che fanno sì che due Paesi commercino tra di loro: le differenti dotazioni di risorse o di tecnologia, che danno luogo a vantaggi comparati, nonché la presenza di economie di scala (spesso definite anche come rendimenti crescenti ). Nell analisi di queste ultime si pone una serie di problemi che dobbiamo ora affrontare. In particolare, considerare l esistenza di rendimenti crescenti, implica il riconoscere la presenza di mercati di solito imperfettamente concorrenziali. Economie di scala e commercio internazionale: uno sguardo preliminare Nella realtà, molti settori industriali sono caratterizzati dalle cosiddette economie di scala. Tecnicamente, si parla di economie di scala (o rendimenti crescenti) quando la produzione è tanto più efficiente quanto maggiore è la scala produttiva. Si è in presenza di rendimenti crescenti, ad esempio, se il raddoppio della quantità di inputs della produzione provoca un aumento più che doppio dell output prodotto. Dato questo presupposto, è facile argomentare sul perché le economie di scala costituiscano un incentivo allo sviluppo del commercio internazionale. In presenza di rendimenti crescenti, possiamo infatti facilmente ipotizzare che 30 ore complessive di lavoro producano di più se concentrate in un unico Paese, piuttosto che suddivise in due o più Paesi. Se ogni Paese produce solo alcuni beni, allora ogni bene può essere prodotto su di una scala più ampia di quanto non sarebbe possibile se ogni Paese tentasse di produrli tutti e l economia mondiale può, dunque, ottenere una quantità maggiore di ciascun bene. Il commercio internazionale, in generale, permette ad ogni Paese di trarre vantaggio dalle economie di scala, senza per questo dover rinunciare alla varietà dei beni di consumo offerti sul mercato interno. Economie di scala e struttura di mercato Per analizzare gli effetti delle economie di scala sulla struttura del mercato deve essere chiaro quale tipo di aumento di produzione è necessario per ridurre il costo medio. Possiamo infatti distinguere tra economie di scala esterne, che si verificano quando il costo unitario dipende dall ampiezza del settore (ma non necessariamente dalla grandezze della singola impresa) ed economie di scala interne, che si verificano quando il costo unitario dipende dalla grandezza di una singola impresa, ma non necessariamente da quella del settore. I due tipi di economie di scala esistenti hanno differenti implicazioni sulla struttura di mercato dei settori industriali coinvolti. Un settore dove vi sono solo economie esterne sarà caratterizzato da molte piccole imprese in regime di concorrenza perfetta. Le economie interne di scala, al contrario, danno alle grandi imprese un vantaggio di costo rispetto a quelle piccole e ciò genera una struttura di mercato di concorrenza imperfetta. Nonostante entrambe queste economie siano importanti per il commercio internazionale, esse hanno, come abbiamo appena visto, implicazioni diverse sulla struttura di mercato. Per questo motivo le analizzeremo separatamente, a partire da un modello basato sulle economie di scala interne. La teoria della concorrenza imperfetta In un mercato perfettamente concorrenziale, le imprese operano come price-takers. Esse, non avendo dimensioni sufficientemente grandi per poter influenzare il mercato nel suo complesso, possono vendere la quantità desiderata del bene che producono, senza timore che ciò causi un abbassamento del livello di prezzo di quel bene.

Le cose sono differenti quando soltanto poche imprese producono un certo bene. In questo caso si parla di concorrenza imperfetta, poiché le imprese sono consapevoli di poter influenzare il prezzo dei propri prodotti e di poter vendere di più soltanto riducendo il prezzo finale. La concorrenza imperfetta è caratteristica sia di mercati in cui ci sono solo pochi produttori, sia di mercati in cui il prodotto di ciascuna impresa è visto dai consumatori come sostituto, ma fortemente differenziato rispetto a quello dei competitors. L impresa opera quindi come price-setter (o price-maker ), ossia determina il prezzo del proprio prodotto. Quando le imprese non sono price-takers, ossia il mercato non è perfettamente concorrenziale, è necessario sviluppare un sistema di strumenti addizionali per descrivere il loro comportamento. La struttura di mercato più semplice da esaminare e che vedremo nella prossima sezione è quella del monopolio puro, dove un impresa non è in competizione con altre imprese. La teoria del monopolio Osserviamo la figura sottostante, nella quale sono tracciate tra le altre: la curva di domanda D, inclinata negativamente, che si trova di fronte ad un impresa monopolistica. L inclinazione negativa mostra come il prezzo del bene prodotto dall impresa diminuisca quando essa cerchi di venderne una quantità maggiore; la curva MR del ricavo marginale che l impresa ottiene dalla vendita di un ulteriore unità di prodotto. Per un impresa monopolistica il ricavo marginale è sempre inferiore al prezzo, poiché per vendere un ulteriore unità di bene l impresa deve diminuire anche il prezzo delle unità (non marginali) che avrebbe comunque venduto; questo fa sì che la curva MR giaccia al di sotto della curva di domanda D. Per quanto riguarda la relazione tra il prezzo che il monopolista ottiene per ogni unità di bene ed il ricavo marginale, notiamo immediatamente che il ricavo marginale è sempre inferiore rispetto al prezzo. Può essere interessante analizzare in quale modo sia quantificabile tale differenza: essa dipende innanzitutto da quanto l impresa stia già vendendo (un impresa che non vende molte unità di un bene non avrà una grossa perdita se diminuisce il prezzo fissato per quelle unità) ed inoltre da qual è l inclinazione della curva di domanda (la quale ci dice di quanto il monopolista deve diminuire il prezzo per vendere un unità addizionale di prodotto). Se assumiamo che la curva di domanda dell impresa sia lineare, la dipendenza delle vendite complessive dell impresa dal prezzo fissato infatti può essere rappresentata da un equazione del tipo: Q = A BP

dove Q è il numero di beni venduti dall impresa, P è il prezzo unitario, A e B sono costanti (B rappresenta l inclinazione della curva di domanda). In questo caso, il ricavo marginale può essere espresso come: MR = P Q B il che implica: P MR = Q B La differenza tra prezzo e ricavo marginale è dunque una funzione delle vendite iniziali Q e dell inclinazione della curva di domanda B. Maggiori sono le vendite iniziali, inferiore è il ricavo marginale, poiché la diminuzione di prezzo costa di più all impresa. Maggiore è l inclinazione della curva di domanda (ossia, maggiore è la caduta delle vendite per ogni dato aumento di prezzo), più vicino è il ricavo marginale rispetto al prezzo del prodotto. Nell ultima figura sono tracciate anche altre due curve che non abbiamo ancora descritto: la curva AC dei costi medi di produzione delle imprese. L inclinazione negativa riflette l idea che vi siano economie di scala tali da ridurre il costo di produzione al crescere delle dimensioni d impresa; la curva MC dei costi marginali dell impresa, ossia il costo di produzione di un unità aggiuntiva di output. L inclinazione negativa è dovuta al fatto che il costo medio è una funzione decrescente della quantità prodotta (presenza di economie di scala). E possibile mettere in relazione il costo medio con il costo marginale, analogamente a quanto abbiamo fatto con prezzo e ricavo marginale. Ipotizziamo che i costi dell impresa siano dati dalla seguente funzione lineare: C = F + cq dove F sono i costi fissi (in quanto tali, indipendenti dal livello di produzione) e c il costo marginale. I costi fissi F sono la fonte delle economie di scala, poiché essi sono tanto più spalmabili a livello di costo fisso unitario, quanto più è maggiore la scala produttiva. Il costo medio dell impresa segue infatti la relazione: AC = C Q = F Q + c secondo la quale esso decresce all aumentare di Q. Il costo medio cresce all infinito al tendere della produzione a zero e tende, al contrario, al costo marginale per livelli produttivi molto alti. Il livello di produzione che permette la massimizzazione del profitto del monopolista viene individuato dal punto in cui si intersecano le curve AC e MC, ossia uguagliando il ricavo marginale al costo marginale.

La teoria della concorrenza monopolistica Nel mondo reale, i profitti monopolistici sono fortemente contesi dagli altri soggetti economici esistenti. Proprio per questo motivo, in presenza di economie interne di scala si assiste alla presenza di oligopoli, strutture di mercato dove sono presenti molte imprese, ciascuna di esse sufficientemente grande da poter influire sul prezzo, ma nessuna con un potere di monopolio assoluto. E complicato studiare il comportamento delle imprese in regime di oligopolio, poiché le politiche di prezzo praticate dalle imprese sono interdipendenti 2. Più semplice analizzare invece un particolare caso di oligopolio, noto come concorrenza monopolistica, che si basa su due ipotesi chiave per aggirare il problema dell interdipendenza delle strategie di pricing delle imprese: la differenziazione del prodotto fa sì che ogni impresa detenga un potere di monopolio per il particolare prodotto che vende in un certo settore. Una piccola variazione di prezzo non provoca una fuga dei consumatori; ogni impresa prende i prezzi fissati dai rivali come dati. In altre parole, l impatto del suo prezzo sui prezzi praticati dalle altre imprese è nullo. In sostanza, pur essendo in condizioni di oligopolio, ciascuna impresa si comporta come se fosse una monopolista. Un modello di base per l analisi della concorrenza monopolistica Ipotizziamo l esistenza di un settore industriale che comprende un certo numero di imprese, le quali producono beni differenziati (ossia, non esattamente uguali tra loro), ma che sono l uno il sostituto dell altro. Ogni impresa è dunque monopolista per il suo particolare prodotto, ma la sua domanda varia in funzione del numero di prodotti simili disponibili sul mercato (ossia, dalla numerosità delle imprese operanti nel settore) e dai prezzi praticati dalle altre imprese. Dall equazione seguente, dove S sono le vendite complessive del settore, n il numero di imprese presenti, b il parametro che misura la sensibilità della quota di mercato dell impresa al prezzo da essa fissato, P il prezzo praticato dall impresa e P* quello medio dei competitors : Q = S[ 1 b(p P*)] n notiamo come la relazione sia decrescente per quanto riguarda la prima variabile (all aumentare del numero di imprese, il rapporto 1/n, ossia la quota di mercato di ciascuna impresa, diminuisce) e crescente per la seconda (al crescere del prezzo medio dei concorrenti, la differenza P-P*, che fa parte del termine negativo dell equazione, decresce). Ipotizziamo inoltre che le vendite complessive del settore (variabile S) non siano influenzate dai prezzi praticati dalle imprese, ossia che l ampiezza del mercato sia data e non modificabile: ogni impresa può dunque guadagnare nuovi clienti soltanto strappandoli alle altre imprese. Immaginiamo che, nonostante esse producano e vendano prodotti in qualche modo differenziati, tutte le imprese siano simmetriche, ossia abbiano identiche funzioni di domanda e di costo. In questo modo, per analizzare il settore, non dobbiamo determinare nient altro che non siano P* ed n. 2 Gli studi svolti da Axelrod sul Dilemma del prigioniero, dove un algoritmo genetico è stato in grado di identificare la Tit-For-Tat come migliore strategia possibile per il gioco iterato, potrebbero costituire un interessante punto di partenza per lo studio di questa struttura di mercato.

Per farlo, sono sufficienti tre passaggi: 1. Relazione tra numerosità del settore e costo medio: essendo tutte le imprese simmetriche, in equilibrio esse fisseranno lo stesso prezzo (P = P*) e, di conseguenza, la funzione di domanda diventerà Q = (S/n). La produzione di ogni impresa è dunque una quota 1/n delle vendite complessive del settore. Come abbiamo visto precedentemente, il costo medio dipende inversamente dalla quantità prodotta dall impresa (rendimenti crescenti), quindi: AC = F Q + c = n F S + c Maggiore è il numero delle imprese nel settore, maggiore è il costo medio, poiché minore è la produzione di ciascuna di esse. 2. Relazione tra numerosità del settore e prezzo: il prezzo scelto dalla singola impresa dipende dal numero di imprese presenti nel settore. In generale, quanto maggiore è la numerosità del settore, tanto maggiore è la concorrenza e dunque l incentivo alla riduzione dei prezzi. Possiamo riscrivere la funzione di domanda come: Q = ( S + SbP*) SbP n Questa equazione ha la stessa forma di quella generica Q = A B * P, con A = (S/n + SbP*) e B = Sb. Riprendendo in mano la formula per il ricavo marginale, MR = P Q/B e sostituendo B, otteniamo: MR = P Q Sb La condizione di massimizzazione del profitto (ricavo marginale uguale al costo marginale), ci porta ad ottenere, riordinando un po i termini, un espressione per il prezzo fissato dall impresa: P = c + Q Sb Avendo però ipotizzato che tutte le imprese fissino lo stesso prezzo, ciascuna di esse venderà una quantità pari a S/n. Sostituendo a Q questa frazione, otteniamo infine la relazione tra il numero complessivo di imprese ed il prezzo scelto singolarmente: P = c + 1 bn Da essa possiamo notare come, al crescere del numero delle imprese presenti nel settore, minore è il prezzo fissato da ogni impresa. 3. Numerosità in condizione di equilibrio: la figura di apertura della pagina successiva mostra le due curve CC e PP, corrispondenti rispettivamente al costo medio ed al prezzo fissato dalle singole imprese in funzione della numerosità del settore cui appartengono.

Le due curve, i cui andamenti sono stati descritti nelle righe precedenti, si intersecano nel punto E, al quale corrisponde un numero di imprese n 2 ed un prezzo ottimale P 2, esattamente uguale al costo medio AC 2. E facile dimostrare come mai E costituisca il punto di equilibrio del modello. Supponendo che n sia più piccolo di n 2, così come nel caso di n 1, il prezzo fissato dalla singola impresa è P 1, decisamente superiore rispetto al costo medio AC 1. Le imprese che operano nel settore godono dunque di un profitto monopolistico, che verrà prontamente attaccato attraverso l ingresso di nuovi competitors. Al contrario, nel caso in cui il numero di imprese, ipotizziamo n 3, sia maggiore di n 2, il prezzo di vendita P 3 sarebbe più basso dei costi medi AC 3 e ciò provocherebbe alle imprese delle perdite che le farebbero uscire dal settore. Limiti del modello di concorrenza monopolistica Nella realtà pochi settori industriali possono essere descritti dal modello della concorrenza monopolistica. Il sistema di mercato più comune è l oligopolio, dove un numero limitato di imprese è in effettiva competizione ed è consapevole che le proprie azioni influenzano il comportamento dei competitors. Il modello della concorrenza monopolistica, ad esempio, esclude due tipi di comportamenti che spesso possono presentarsi in situazioni di oligopolio: comportamento collusivo: ogni impresa può fissare il prezzo ad un livello più alto rispetto a quello che dovrebbe massimizzare il profitto, aspettandosi che gli altri faranno altrettanto. In questo modo aumentano, a spese dei consumatori, i profitti di tutte le imprese; comportamento strategico: le imprese possono far temporaneamente diminuire i profitti, seguendo una strategia finalizzata a condizionare il comportamento dei concorrenti nel modo desiderato. Ciò è raggiungibile ad esempio installando capacità produttiva aggiuntiva, inutilizzata, per scoraggiare potenziali nuovi entranti. Concorrenza monopolistica e commercio internazionale L applicazione del modello della concorrenza monopolistica al commercio internazionale, si fonda sull idea che gli scambi internazionali provochino un ampliamento del mercato. In presenza di scambi, ciascun Paese può spingersi verso una specializzazione più estrema ed al tempo stesso aumentare la vastità di prodotti disponibili per i consumatori. Il modello di concorrenza monopolistica può essere utilmente sfruttato per dimostrare in che modo il commercio internazionale migliori il trade-off tra scala e varietà.

Gli effetti di un aumento della dimensione del mercato In mercati più grandi vi sono di solito più imprese e più vendite per ciascuna di esse; i consumatori ricevono offerte a prezzi più bassi e con una maggiore possibilità di scelta rispetto ai consumatori che acquistano in mercati piccoli. E possibile spiegare questo fenomeno osservando nuovamente le equazioni che originano le due curve CC e PP. La curva CC dei costi medi è data dalla formula: AC = n * (F/S) + c. Un aumento delle vendite totali S riduce il valore del rapporto F/S e, di conseguenza, comporta un abbassamento dei costi medi per ogni dato numero di imprese n. Ciò è spiegato dal fatto che i costi unitari decrescono all aumentare della scala di produzione. La curva CC, all aumentare di S, riduce la sua inclinazione. La curva PP dei prezzi fissati dalle imprese, data dalla formula P = c + 1/(b*n), rimane invece immobile, in quanto in essa non entra in gioco la quantità prodotta/venduta. Lo scostamento della curva CC comporta l individuazione di un nuovo punto di equilibrio rispetto a quello identificato precedentemente con la lettera E. Il nuovo punto di equilibrio corrisponde ad un livello dei prezzi minore rispetto a P 2 e ad un maggior numero di imprese (nuovo valore di n maggiore rispetto a n 2 ). Economie di scala e vantaggio comparato Un mercato integrato funziona in maniera più efficiente rispetto a tanti mercati separati. Il nostro modello di concorrenza monopolistica assume che il costo di produzione sia lo stesso in entrambi i Paesi coinvolti nello scambio e che essi avvengano a costo zero. Con tali ipotesi, non possiamo stabilire dove saranno geograficamente localizzate (ossia come si suddivideranno tra i due Paesi) le imprese che costituiranno questo mercato integrato. Per farlo, occorre abbandonare l analisi di equilibrio parziale considerata fino a questo momento e pensare a come le economie di scala interagiscono con il vantaggio comparato al fine di determinare il sistema degli scambi internazionali. Ipotizziamo un economia mondiale formata da due Paesi, A e B, ciascuno dei quali in possesso dei due fattori di produzione disponibili al mondo, lavoro e capitale. Supponiamo che il rapporto capitale-lavoro sia più alto nel Paese A, ossia che esso disponga di un abbondanza relativa di capitale. L economia mondiale è formata da due solo settori: alimentare e manifatturiero, il primo a maggiore intensità di lavoro, il secondo a maggiore intensità di capitale. Come abbiamo visto nel capitolo dedicato al modello di Heckscher-Ohlin, se i due settori fossero in regime di concorrenza perfetta, il Paese A si specializzerebbe completamente nella produzione di manufatti (maggiore intensità relativa di capitali) e B in quella di cibo. In questo modo, A produrrebbe ed esporterebbe una quantità di manufatti pari, in valore, alle importazioni di cibo provenienti da B (che, comportandosi in maniera inversa, si è specializzato nella produzione alimentare, divenendo esportatore netto). Ipotizziamo però che il settore manifatturiero non sia perfettamente concorrenziale, ma che sia caratterizzato invece da concorrenza monopolistica e che dunque le imprese producano beni differenziati. Anche in questo caso A rivestirebbe il ruolo di esportatore netto di manufatti ed importatore netto di cibo, ma, all interno del Paese B, non avrebbe luogo una specializzazione completa con conseguente abbandono del settore manifatturiero. Questo perché, essendo i beni differenziati, i consumatori di A non si accontenterebbero della produzione interna, ma importerebbero anche una certa quantità di beni manufatti prodotti in B. Vi sarebbe dunque un