Università degli studi di Torino Corso di Studi in Matematica Geometria 3 Il Theorema Egregium di Gauss In queste note diamo una dimostrazione del Theorema Egregium di Gauss, che afferma che la curvatura Gaussiana di una superficie è invariante per isometrie, seguendo il percorso del libro Lectures in Geometry, Semester III, Smooth Manifolds di M. Postnikov, Ed Mir, Mosca 1989 (trad. inglese di V. Shokurov). Supponiamo noti i concetti di superficie parametrizzata, prima e seconda forma fondamentale, la definizione della curvatura Gaussiana in termini dell operatore forma e la formula della curvatura in termini delle due forme fondamentali. Per tutti questi argomenti, consultare le dispense Geometria III di Gandini Garbiero. 1 Isometrie e prima forma fondamentale Scopo di questo primo paragrafo è di mettere in rilievo l importanza della prima forma fondamentale nello studio delle isometrie fra superfici. Cominciamo con il definire le applicazioni differenziabili fra superfici e il differenziale di un applicazione (detta anche applicazione tangente). Siano D R e E R due aperti connessi del piano. Indicheremo con (u 1, v 1 ) le coordinate in D e con (u, v ) le coordinate in E. Siano ora ϕ : D M R 3 e ψ : E N R 3 due superfici differenziabili regolari. Una funzione f : M N induce (in modo unico, poiché ϕ e ψ sono biettive sulle loro immagini) una funzione f : D E, data da f = ψ 1 f ϕ, che possiamo scrivere in coordinate come: f(u 1, v 1 ) = (u (u 1, v 1 ), v (u 1, v 1 )) Definizione 1.1. La funzione f è detta differenziabile se è continua, e la funzione f è differenziabile (nel senso usuale di funzione di due variabili). Quando f è biettiva, anche f lo è, e allora poniamo Definizione 1.. La funzione f è un diffeomorfismo se è continua e la funzione f è un diffeomorfismo, e cioè f è differenziabile e la sua inversa è ancora differenziabile. Siano ϕ(ū, v) = P M e Q = f(p ) N. Il differenziale di f in P è una funzione lineare df P : T P M T Q N 1
1 ISOMETRIE E PRIMA FORMA FONDAMENTALE T P M ha base {ϕ u1, ϕ v1 }, e T Q N ha base {ψ u, ψ v }, dove le derivate parziali sono calcolate in (ū, v) e f(ū, v) rispettivamente. Descriviamo la matrice di df P in queste basi. Indichiamo, in modo puramente formale e seguendo le regole usuali del calcolo differenziale, i vettori negli spazi tangenti come: e dϕ = ϕ u1 du 1 + ϕ v1 T P M dψ = ψ u du + ψ v dv T Q N In questa scrittura, ϕ u1, ϕ v1 sono vettori e du 1, sono scalari, le coordinate del vettore dϕ nella base fissata, e analogamente per dψ. Poiché u = u (u 1, v 1 ) e v = v (u 1, v 1 ) saremmo portati a scrivere du = u u 1 du 1 + u dv = v u 1 du 1 + v Questa è in effetti la mappa che vogliamo definire, e cioè, in termini di matrici la funzione lineare df P è data da: u u u 1 du 1 = du v v dv u 1 Questa mappa è ben definita perché, anche se è data in termini delle coordinate locali (u 1, v 1 ), (u, v ), non è nient altro che la mappa d f (ū, v) : T (ū, v) D T f(ū, v) E e sappiamo che il differenziale di una mappa in R è ben definito. Proposizione 1.3. Con le notazioni precedenti, sia x T P M un vettore tangente e sia C una curva su M passante per P tale che il vettore tangente alla curva C in P sia x. Sia f(c) la curva sulla superficie N immagine della curva C. f(c) passa per il punto Q = f(p ) e sia y il vettore tangente a f(c) in Q. Allora df P (x) = y Dimostrazione. Esercizio. Facciamo ora un osservazione importante, che semplificherà molto i calcoli successivi. La matrice del differenziale df P dipende ovviamente dalle parametrizzazioni ϕ e ψ che danno le superfici M e N. Se f è un diffeomorfismo, è sempre possibile effettuare un cambiamento di coordinate (e cioè cambiare le parametrizzazioni locali) in modo che la matrice di df P sia la matrice unità, identicamente in P.
1 ISOMETRIE E PRIMA FORMA FONDAMENTALE 3 Un esempio ovvio è quando u = u 1, v = v 1, e cioè f è l identità (a meno di cambiare il nome delle variabili). In questo caso anche f è già l identità. In generale abbiamo un diagramma commutativo: D ϕ M f E ψ N f Poiché f è un diffeomorfismo, anche f lo è, e può essere interpretato come un cambiamento di coordinate. Il diagramma precedente può essere allora riscritto come: D M ϕ ḡ=id D E ψ N f In queste nuove coordinate, le parametrizzazioni sono ϕ = ϕ, ψ = ψ f e f è rappresentata da ḡ cioè l identità. Quindi in queste coordinate si ha in ogni punto P M: [ ] 1 0 df P = 0 1 Gli spazi vettoriali T P M, T Q N sono dotati di un prodotto scalare, indotto da quello di R 3 e vogliamo studiare sotto quali condizioni l applicazione lineare df P sia un isometria di spazi vettoriali. Sia dunque e x = ϕ u1 du 1 + ϕ v1 T P M df P (x) = ψ u du + ψ v dv T Q N la sua immagine. Calcoliamo la lunghezza di quest ultimo vettore, dove E, F, G sono i coefficienti della prima forma fondamentale di N: df P (x) = E (du ) + F du dv + G (dv ) [ u = E du 1 + u ] [ u + F u 1 + G [ v u 1 du 1 + v ] f u 1 du 1 + u ] [ v du 1 + v ] u 1 Svolgendo i calcoli si ottiene che i coefficienti dei termini du 1, du 1 e dv1 sono rispettivamente: ( ) ( ) u u v v E + F + G u 1 u 1 u 1 u 1 ( u u u v E + F + v ) u v v + G u 1 u 1 u 1 u 1 ( ) v E ( u ) + F u v + G
1 ISOMETRIE E PRIMA FORMA FONDAMENTALE 4 Dunque df P è un isometria (di spazi vettoriali) se questi coefficienti sono rispettivamente uguali a E 1, F 1, G 1. In particolare, se f è rappresentato in coordinate locali da f tale che df P sia la matrice unità, allora si ha che df P è un isometria se e solo se E 1 = E, F 1 = F, G 1 = G (a meno dei nomi delle variabili). Enunciamo questa proprietà come segue: Proposizione 1.4. Sia f : M N un diffeomorfismo. Le applicazioni lineari df P sono isometrie di spazi vettoriali (per ogni P ) se e solo se esistono coordinate locali su M e N tali che E 1 = E, F 1 = F, G 1 = G (a meno dei nomi delle variabili). Vogliamo ora definire il concetto di isometria fra superfici. Di solito un isometria è una funzione che conserva le distanze fra i punti. Poiché la distanza fra due punti su una superficie è definita come l estremo inferiore delle lunghezze delle curve che congiungono i due punti appare ragionevole definire il concetto di isometria mediante la lunghezza delle curve. Diamo quindi la seguente: Definizione 1.5. Sia f : M N un diffeomorfismo fra le superfici M e N. f è una isometria se per ogni curva C tracciata su M si ha l(c) = l(f(c)) dove f(c) è la curva su N immagine mediante f di C e l(c) è la lunghezza della curva C. È chiaro che una isometria (secondo questa definizione) conserva le distanze fra i punti. Osserviamo anche che l ipotesi che f sia un diffeomorfismo non è (troppo) restrittiva in quanto una funzione che conserva le distanze è comunque iniettiva e quindi biettiva con la sua immagine. La vera restrizione è che chiediamo che l inversa sia ancora differenziabile, e cioè che il differenziale df P sia invertibile in ogni punto. Scriviamo in dettaglio cosa significhi essere un isometria. La curva C è data da una funzione α : [a, b] D della forma: u 1 = u 1 (t), v 1 = v 1 (t) a t b e quindi su M la curva è data dalla parametrizzazione ϕ(α(t)). La sua immagine su N è data da f(ϕ(α(t))) = ψ( f(α(t))). Possiamo scrivere la parametrizzazione f(α(t)) : [a, b] E come u = u (t), v = v (t) a t b dove naturalmente (u, v ) = f(u 1, v 1 ). La condizione che la curva C e la curva f(c) abbiano la stessa lunghezza si scrive quindi come: = b a b a E 1 (t)u 1 (t) + F 1 (t)u 1 (t)v 1 (t) + G 1(t)v 1 (t) dt E (t)u (t) + F (t)u (t)v (t) + G (t)v (t) dt Con questa definizione è possibile dimostrare il seguente importante teorema:
1 ISOMETRIE E PRIMA FORMA FONDAMENTALE 5 Teorema 1.6. Un diffeomorfismo f : M N è un isometria se e solo se il differenziale df P : T P M T Q N, dove Q = f(p ), è un isometria di spazi vettoriali per ogni P M. Dimostrazione. Possiamo supporre che il diffeomorfismo f sia rappresentato in coordinate locali dall identità ( f = id). In questo caso le curve C e f(c) hanno la stessa parametrizzazione. Se il differenziale di f è un isometria, per quello che abbiamo osservato prima si ha E 1 = E, F 1 = F, G 1 = G. Dunque gli integrali che esprimono le lunghezze di C e f(c) sono identici (a meno dei nomi delle variabili) e quindi f conserva le lunghezze di tutte le curve e cioè f è un isometria. Per dimostrare l implicazione opposta, supponiamo ancora che f sia rappresentato in coordinate locali dall identità. Allora per ogni parametrizzazione regolare (u(t), v(t)) di una curva C su M si ha: = b a b a E1 (t)u (t) + F 1 (t)u (t)v (t) + G 1 (t)v (t) dt E (t)u (t) + F (t)u (t)v (t) + G (t)v (t) dt Notiamo che per l ipotesi fatta su f si ha u 1 = u, v 1 = v, e quindi non usiamo gli indici per distiguere le coordinate locali. L identità precedente vale per ogni estremo superiore di integrazione b. Derivando allora rispetto a b (e sostituendo poi b con t) si ha E 1 (t)u (t) + F 1 (t)u (t)v (t) + G 1 (t)v (t) = E (t)u (t) + F (t)u (t)v (t) + G (t)v (t) Questa identità deve valere per tutte le curve, e in particolare per le curve della forma u(t) = u 0 + αt, v(t) = v 0 + βt, t < ɛ dove (u 0, v 0 ) D è arbitrario, α, β sono due numeri reali arbitrari e ɛ è sufficientemente piccolo (in modo che il segmento descritto da queste equazioni parametriche sia tutto contenuto in D). Calcolando allora per t = 0 si ottiene che per ogni α, β si ha: E 1 α + F 1 αβ + G 1 β = E α + F αβ + G β dove E 1,... sono i valori delle funzioni E 1 (t),... nel punto (u 0, v 0 ). Questo è possibile solo se E 1 = E, F 1 = F, G 1 = G e quindi i differenziali df P sono delle isometrie per ogni P. Combinando i risultati fin qui ottenuti (Proposizione 1.4 e Teorema 1.6) abbiamo: Teorema 1.7. Due superfici M e N sono isometriche se e solo se è possibile trovare delle coordinate locali su di esse in modo che le prime forme fondamentali delle due superfici coincidano. Se abbiamo due superfici per cui, nelle parametrizzazioni assegnate, le prime forme fondamentali coincidono allora le due superfici sono isometriche. Però,
IL THEOREMA EGREGIUM 6 se le prime forme fondamentali non coincidono, le superfici potrebbero lo stesso essere isometriche (esempio: elicoide e catenoide) e non è semplice in generale trovare le (eventuali) coordinate locali che stabiliscono l isometria. Abbiamo quindi bisogno di un invariante più semplice che sia in grado di stabilire se due superfici NON sono isometriche. Questo invariante è la curvatura Gaussiana, di cui parleremo nel prossimo paragrafo. Il Theorema Egregium Sia M una superficie regolare, e sia P M un suo punto. Ricordiamo che l operatore forma in P è l endomorfismo S P : T P M T P M definito da S P (x) = N (t 0 ) dove N è il campo vettoriale normale alla superficie M, e la derivata è fatta lungo una curva passante per P con vettore tangente x. Se [ a11 a 1 a 1 a ] è la matrice di S P nella base {ϕ u, ϕ v } abbiamo le formule: dove a 11 = Gl F m EG F, a 1 = Gm F n EG F, è la prima forma fondamentale e a 1 = Em F l EG F a = En F m EG F E = ϕ u ϕ u, F = ϕ u ϕ v, G = ϕ v ϕ v l = N ϕ uu, m = N ϕ uv, n = N ϕ vv è la seconda forma fondamentale (vedi Geometria III, p. 73 75). Per definizione la curvatura Gaussiana K è il determinante dell endomorfismo S P e quindi è una funzione a valori reali K : M R che non dipende dalle coordinate locali. Usando le formule precedenti per calcolare il determinante e semplificando si ottiene la formula K = ln m EG F che mostra come la curvatura Gaussiana dipenda dalla prima e dalla seconda forma fondamentale. Sappiamo che la prima forma è invariante per isometrie, ma questo non è vero per la seconda forma (esempio: piano e cilindro). Per ottenere il Theorema Egregium faremo vedere che in realtà K dipende solo dai coefficienti della prima forma e dalle loro derivate. Sia N = ϕ u ϕ v il campo normale della superficie M. Poiché N 1, ϕ u ϕ v le derivate N u, N v (calcolate in P ) sono ortogonali a N e quindi appartengono
IL THEOREMA EGREGIUM 7 al piano tangente T P M. Ricordando che, per definizione di operatore forma, si ha S(ϕ u ) = N u, S P (ϕ v ) = N v possiamo scrivere: N u = F m Gl EG F ϕ u + F l Em EG F ϕ v (1) N v = F n Gm EG F ϕ u + F m En EG F ϕ v () I vettori {ϕ u, ϕ v, N} formano una base di R 3, e inoltre ϕ u N = ϕ v N = 0. Possiamo perciò scrivere i vettori derivate seconde come segue: ϕ uu = Γ 1 11ϕ u + Γ 11ϕ v + ln (3) ϕ uv = Γ 1 1ϕ u + Γ 1ϕ v + mn (4) ϕ vv = Γ 1 ϕ u + Γ ϕ v + nn (5) dove i Γ k ij sono funzioni di u, v che sono detti simboli di Christoffel o coefficienti della connessione. Per prima cosa osserviamo che i coefficienti di N che compaiono sono i coefficienti della seconda forma fondamentale. Per dimostrarlo basta calcolare i prodotti scalari ϕ uu N,... e usare la definizione di seconda forma fondamentale. Calcoliamo ora i termini Γ k ij. Derivando rispetto a u e v la relazione E = ϕ u ϕ u, si ottiene: ϕ uu ϕ u = 1 E u, ϕ uv ϕ u = 1 E v e allo stesso modo derivando G = ϕ v ϕ v si ha: ϕ uv ϕ v = 1 G u, ϕ vv ϕ v = 1 G v Derivando ora F = ϕ u ϕ v, e usando le relazioni precedenti si ottiene: ϕ uu ϕ v = F u 1 E v, ϕ vv ϕ u = F v 1 G u Moltiplicando scalarmente ϕ uu ϕ u, ϕ uu ϕ v e usando le relazioni precedenti si ottiene il sistema E Γ 1 11 + F Γ 1 11 = E u F Γ 1 11 + G Γ 11 = F u 1 E v da cui si vede che Γ 1 11 e Γ 11 dipendono solo da E, F, G e le loro derivate prime. In modo analogo si ottengono tutti gli altri simboli di Christoffel. Non scriviamo in dettaglio il risultato perché non ci servirà. L unica cosa che serve è che tutti i Γ k ij dipendono solo dalla prima forma fondamentale e dalle sue derivate. Calcoliamo ora la derivata terza ϕ uuv e scriviamola in termini della base {ϕ u, ϕ v, N} ϕ uuv = αϕ u + βϕ v + γn Possiamo calcolare in due modi: (ϕ uu ) v derivando rispetto a v la relazione (3) oppure (ϕ uv ) u derivando rispetto a u la relazione (4). In entrambi i casi ci
IL THEOREMA EGREGIUM 8 interessa solo il coefficiente β di ϕ v e tralasceremo gli altri termini. Inoltre scriveremo tutti i termini che dipendono solo dalla prima forma fondamentale solo come (... ), senza calcolare la loro espressione esatta. Dunque dalla (3) si ha: (ϕ uu ) v = [ Γ 1 11ϕ u + Γ 11ϕ v + ln ] v = ( Γ 1 ) 11 v ϕ u + Γ 1 11ϕ uv + ( Γ ) 11 v ϕ v + Γ 11ϕ vv + l v N + ln v Il primo e il quinto termine non contribuiscono a β. Invece e ϕ uv = + Γ 1ϕ v +... ϕ vv = + Γ ϕ v +... dove i termini non scritti non contribuiscono a β. Dunque il secondo, terzo e quarto termine contribuiscono a β solo mediante simboli di Christoffel e loro derivate e dunque in definitiva solo con termini che dipendono dalla prima forma fondamentale. Invece l ultimo termine si scrive: ln v = l F m En EG F ϕ v +... dove il termine non scritto non contribuisce a β. Dunque: β = l F m En + termini che dipendono solo dalla prima forma fondamentale EG F Derivando allo stesso modo la (4) rispetto a u si ottiene invece: β = m F l Em + termini che dipendono solo dalla prima forma fondamentale EG F Uguagliando e portando a secondo membro tutto quello che dipende solo dalla prima forma si ottiene che l F m En EG F m F l Em = dipende solo dalla prima forma fondamentale EG F Semplificando si ha: l F m En EG F m F l Em ln m = E EG F EG F = EK In conclusione, ricavando K abbiamo finalmente che: Proposizione.1. La curvatura Gaussiana K può essere scritta mediante una formula che contiene solo i coefficienti della prima forma fondamentale e le loro derivate (prime e seconde). L espressione esatta può essere facilmente (!) trovata esplicitando tutti i calcoli precedenti. Una formula con un po di raccoglimenti fatti è la seguente: 1 E E u E v K = 4(EG F ) F F u F v G G u G v {( ) ( ) } 1 Ev F u Fv G u EG F EG F v EG F u Come si vede è piuttosto complicata e non è utile nei calcoli. Possiamo finalmente concludere con il
IL THEOREMA EGREGIUM 9 Teorema. (Theorema Egregium di Gauss). Se f : M N è un isometria di superfici (regolari) allora la curvatura Gaussiana di M e di N è uguale nei punti corrispondenti. Dimostrazione. Se f è un isometria, possiamo trovare coordinate locali per cui le prime forme fondamentali coincidono in punti corrispondenti. Dunque per la Proposizione.1 le curvature Gaussiane nei punti corrispondenti sono uguali.