GLI EFFETTI DELL ADOZIONE SUL SISTEMA dei SERVI SOCIO-SANITARI Una ricerca sugli esiti adottivi nel territorio dell Ulss 5 ovest-vicentino Pianezzola Giulia In questi ultimi anni le adozioni nazionali e internazionali sono state caratterizzate da una serie di mutamenti rilevanti. Il progressivo aumento delle dichiarazioni di disponibilità all adozione, unito al parallelo sviluppo dei servizi a protezione dell infanzia in molti dei Paesi di maggior provenienza dei minori adottati, hanno determinato notevoli cambiamenti nello scenario adottivo italiano, soprattutto per quanto riguarda le tipologie dei minori giunti in adozione. Il panorama attuale vede infatti avvicinarsi all adozione bambini sempre più grandi, nella maggior parte dei casi provenienti da paesi stranieri, spesso portatori di esperienze traumatiche rilevanti e di particolari bisogni a livello sanitario. Queste adozioni (definite special needs ) non sono da considerarsi necessariamente problematiche, ma vanno ad aggiungere complessità al processo adottivo, di per sé già molto delicato. In tale contesto indispensabile appare il lavoro dei servizi impegnati a sostenere il superamento delle difficoltà presenti e prevenire l insorgere di ulteriori criticità durante l intero percorso adottivo, dalle prime fasi di sensibilizzazione, informazione e di supporto alla scelta, fino al periodo successivo all ingresso del minore in famiglia. Dunque se in passato le adozioni rappresentavano un carico di lavoro per i servizi solo nelle fasi precedenti ed immediatamente successive all adozione, oggi i nuclei familiari adottivi mostrano bisogni che richiedono di essere valutati e sostenuti anche negli anni successivi al post-adozione, in cui non è da escludersi la possibilità che emergano ulteriori criticità. La Regione Veneto ha dato indicazione ai servizi di farsi carico delle coppie adottive fino al terzo anno dopo l arrivo del bambino in famiglia valutando come questo tempo potesse essere sufficiente a garantire un accompagnamento nella costruzione dell attaccamento tra il bambino e la famiglia e rispondesse anche al mandato istituzionale di riferire ai Paesi di Origine del minore in merito all andamento dell adozione. Ci si domanda ora se con il cambiamento sopra descritto del panorama adottivo tale limite sia sufficiente a garantire supporto ai bisogni specifici di questi nuclei. Il progressivo aumento della adozioni di bambini con special needs rappresenta infatti una sfida per le Équipe Adozioni che, a fronte delle rinnovate complessità, devono 1
comunque garantire la tutela del bambino e dei coniugi, assicurando un supporto continuativo alle famiglie adottive impegnate nel superamento di eventuali criticità. Il progetto di ricerca qui presentato, proponendosi di rilevare i bisogni e la domanda di prestazioni socio-sanitarie che i minori adottivi e le loro famiglie manifestano ai servizi nel corso degli anni, intende rilevare quelle che sono le modalità di gestione della fase del post-adozione nel sistema dei servizi socio-sanitari veneti, nello specifico nel territorio dell Ulss 5, comprendente la zona dell ovest-vicentino, soffermandosi in modo particolare su ciò che avviene nel momento in cui i compiti di vigilanza e di monitoraggio dei servizi si esauriscono. L indagine si focalizza sugli effetti a lungo termine dell adozione, basandosi sull assunto che l adozione rappresenti un carico di lavoro specifico per i servizi, un costo sociale, tanto più oneroso quanto più l adozione si riveli problematica. La ricerca assume un punto di vista innovativo se confrontata con i precedenti studi sul tema, concentrati prevalentemente sulle conseguenze dell adozione sul minore e, di riflesso, sul suo intero nucleo familiare. Ciò che si vuole andare a studiare infatti non sono solamente le patologie o le difficoltà sviluppate dai minori adottati, già ampiamente dimostrate in letteratura, ma la domanda di servizi che generano queste adozioni, in termini di semplici segnalazioni o di vere e proprie prese in carico. L obiettivo atteso della ricerca è quello di produrre conoscenza utile per il servizio, conoscenza che, nell ottica della ricercaintervento, potrebbe portare allo sviluppo di buone prassi e ad un eventuale implementazione del servizio stesso. Attraverso un attenta rilevazione dei minori adottivi che hanno avuto accesso ai servizi, delle criticità espresse e delle prestazioni erogate dalle diverse Unità Operative del territorio (appartenenti ai servizi dell Età Evolutiva, Consultorio Familiare, Tutela Minori, Neuropsichiatria infantile, Ser.D, Psichiatria) per far fronte ai bisogni dell utenza, è stato possibile infatti capire cosa accade nel momento in cui le famiglie adottive esprimono un bisogno e una domanda di servizi: il panorama che emerge dai dati raccolti è quello di una realtà adottiva estremamente complessa, che richiederebbe un attenzione costante e continuativa da parte dei servizi del territorio. Il bisogno espresso dai minori adottivi e dalle loro famiglie emerge principalmente nei tre anni successivi all inserimento in famiglia, ma non mancano le famiglie che si rivolgono ai servizi, anche se con minor frequenza ed intensità, anche fino a 12 anni dopo l adozione. Il fenomeno adottivo rivela dunque una problematicità importante, che non può essere circoscritta agli anni immediatamente successivi all ingresso del minore in famiglia, ma deve essere 2
sostenuta e accompagnata durante tutto il corso di vita del minore adottato, durante il quale possono emergere delle criticità. La ricerca ha rilevato come nel territorio di competenza dell Ulss 5 più della metà dei minori adottati (64% 1 ) tra il 1995 ed il 2005 abbia avuto contatti con i servizi sociosanitari del territorio. Il 76,4% degli accessi ai servizi specifici è esitato in una presa in carico mentre nel 23,6% si è trattato di un accesso isolato. È stata inoltre rilevata l incidenza dei casi multiproblematici, termine utilizzato per riferirci a tutti quei casi che hanno comportato l attivazione di più servizi (sia per gli accessi isolati che per le prese in carico): in linea generale rappresentano il 20% della popolazione indagata e vanno a costituire circa un terzo del totale dei casi che hanno avuto contatti coi servizi. Dunque, se dall analisi dei dati risulta che più di un minore adottivo su due ha avuto modo di accedere ai servizi del territorio, l incidenza degli adottivi multiproblematici ci permette di affermare che, in via del tutto astratta e generale, ad ogni adozione corrisponde l attivazione di un servizio (la media delle attivazioni dei servizi per il totale dei minori adottati risulta infatti di 1,1). Nel processo di elaborazione dei dati raccolti è stato scelto di distinguere i minori adottivi che non hanno potuto usufruire dell attuale organizzazione dei servizi dai minori che invece hanno avuto modo di sperimentare le innovazioni introdotte dalla DGR 712 del 2001, istituiva delle équipe adozioni e dell obbligatorietà per gli aspiranti genitori adottivi di frequentare appositi corsi di informazione e sensibilizzazione organizzati dai servizi e dagli Enti Autorizzati. La decisione di procedere con un confronto sistematico tra i due campioni ha permesso di capire quanto l organizzazione dei servizi possa incidere sulla manifestazione di determinate problematiche e sulla successiva gestione delle stesse da parte delle Unità Operative operanti sul territorio. Osservando i dati emerge infatti come i minori adottivi appartenenti al campione 2001-2005 manifestino una domanda di servizi significativamente inferiore (circa 14 punti percentuale) rispetto ai bambini appartenenti al campione precedente, con una percentuale di 53,8% di minori segnalati, contro il 67,4% del campione 1995-2000. I dati sembrerebbero contraddire la letteratura clinica, che vorrebbe un aumento della 1 Tale numero può solo apparire sottostimato poiché alcuni genitori potrebbero aver scelto di rivolgersi al privato per avere prestazioni in tempi più veloci o percepite come maggiormente calibrate sulle loro necessità o ancora per non esporsi nuovamente sulla dimensione pubblica. 3
complessità adottiva nel corso degli anni, causato dalla maggior esposizione dei minori a fattori di rischio potenzialmente dannosi per un buon esito adottivo. Osservando però la percentuale delle prese in carico possiamo vedere come gli adottivi appartenenti al campione 2001-2005, nonostante accedano meno frequentemente ai servizi, registrino una percentuale di prese in carico (53,8%) molto simile a quella del campione 1995-2000 (55,4%), valore che corrisponde a quello dei minori segnalati. Le innovazioni introdotte dalla DGR 712/2001, attraverso l istituzione delle équipe adozioni e la previsione di specifici momenti dedicati alla formazione, potrebbero dunque aver fornito alle famiglie i giusti strumenti per limitare al minimo l insorgere di criticità e per comprendere le peculiarità della genitorialità adottiva, molto diversa da quella biologica. La letteratura clinica ha infatti ampiamente dimostrato l importanza del contesto sociale di riferimento, che può avere un effetto protettivo sugli esiti adottivi: ecco perché si rivela determinante il ruolo dei servizi nelle attività di selezione, supporto e sostegno delle famiglie adottive. Le famiglie adottive che hanno partecipato ai corsi di informazione e sensibilizzazione sembrano infatti aver avanzato delle richieste più adeguate ai servizi rispetto alle famiglie che non hanno ricevuto lo stesso tipo di formazione, per le quali si registra una dispersione dei casi abbastanza significativa, pari a 12 punti percentuale. Quello che cambia dunque non è tanto la problematicità dei casi, che rimane costante in entrambi i campioni considerati (la percentuale dei minori presi in carico presenta infatti valori molto simili), ma il modo con cui i nuclei familiari affrontano questa criticità: aver puntato sulla formazione delle coppie, e non più unicamente su un lavoro di selezione, ha permesso infatti di limitare gli accessi isolati ai servizi, diminuiti significativamente nel corso degli anni. Nonostante la progressiva diminuzione del ricorso ai servizi, le adozioni hanno comunque dimostrato di avere una forte ricaduta, in termini di utilizzo di risorse economiche, umane e sociali, sui servizi socio-sanitari del territorio, attivati nel 64% dei casi. Da quanto emerso nel corso della ricerca, la problematicità non sembra legata necessariamente alla presenza di determinati fattori di rischio (età all adozione, numero e tipologia di collocamenti precedenti all adozione, maltrattamenti e abusi, rilevazione di criticità all interno del nucleo familiare, condizioni sanitarie sfavorevoli, etc.); una buona percentuale di minori adottati manifesta infatti delle criticità indipendentemente dall appartenenza o meno alla categoria special needs. L adozione si presenta dunque come un fenomeno critico di per se stesso: certamente, i fattori individuati dalla letteratura clinica come problematici possono amplificare la quota di rischio connessa 4
all adozione,ma non si rilevano decisivi nel determinare l accesso ai servizi. Da quanto emerso dunque, non è più possibile oggi parlare di adozione in termini semplicistici: l adozione si presenta invece come una realtà complessa, che diviene indispensabile comprendere appieno per riconoscerne la specificità. Purtroppo risulta ancora difficile staccarsi dalla vecchia concezione: l adozione viene spesso ancora vissuta come un fatto privato, da gestire senza il supporto di professionalità specifiche, rivolgendosi in caso di necessità ai servizi generici dedicati a tutta la popolazione. Il servizio maggiormente contattato risulta infatti l Età Evolutiva, che raccoglie le segnalazioni dell 80% dei minori che accedono ai servizi e si dimostra responsabile del 92% delle prese in carico. Dopo l Età Evolutiva, ma con molto distacco, sono i servizi consultoriali ad interessare maggiormente le famiglie adottive, contattati dal 20% dei bambini che accedono ai servizi e responsabili del 9% delle prese in carico: interessante notare come questi servizi si differenzino nettamente dagli altri per il numero degli accessi isolati (13), che prevalgono sulle prese in carico (8). Questo dato suggerisce l idea di un consultorio vissuto più come valvola di sfogo estemporanea che come punto di riferimento e di sostegno delle famiglie adottive. Gli altri servizi sono invece stati contattati con minor frequenza: il servizio Tutela Minori è stato attivato nel 12% dei casi, seguito dallo Spazio Giovani (9%), dalla Neuropsichiatria (3%), dai servizi per il disagio psichico (1%). I dati raccolti sembrano infatti suggerire l idea di una gestione del post-adozione ancora centrata sul minore e sul trattamento parcellizzato delle singole criticità piuttosto che sul nucleo familiare e sulla visione di insieme delle problematiche. Il fatto che il servizio maggiormente contattato sia l Età Evolutiva, nonostante il 61,4% delle diagnosi formulate dai servizi riguardi problemi correlati ad eventi negativi dell infanzia (36,5%), problemi con la famiglia adottiva (17,3%) e problemi dell area affettiva, emotiva, anche gravi (7,7%), sembra infatti evidenziare la tendenza a trattare le criticità legate all adozione come problematiche del minore. Sarebbe importante offrire alle famiglie servizi che vadano ad agire sulla complessità della situazione, e non soltanto sul soggetto in cui si manifesta il disagio, proprio perché l adozione rappresenta un evento critico per tutta la famiglia,[ ] che richiede al nucleo di modificare il proprio funzionamento e attivare quelle risorse necessarie per affrontare questa sfida (Rosnati, 2011). Una collaborazione tra i vari servizi è utile in quanto, attraverso la condivisione, la comunicazione ed il confronto strutturato si possono snellire le pratiche operative e agevolare così la strutturazione del percorso d aiuto, a vantaggio soprattutto delle 5
famiglie adottive, che avrebbero così la possibilità di usufruire di prestazioni integrate e di qualità. L assunzione di una prospettiva familiare, che eviti la patologizzazione del singolo privilegiando invece la dimensione allargata della rete familiare, permetterebbe infatti di arricchire e potenziare le risorse della famiglia, incrementando la quota di generatività insita nei legami stessi (Iafrate et al., 2010), rafforzandone così le capacità di coping. A dimostrazione di quanto appena affermato possiamo notare come l'aver puntato sulla formazione delle coppie adottive, e non più unicamente su un semplice lavoro di selezione, abbia effettivamente permesso di aumentare le risorse interne alle famiglie, maggiormente in grado di rapportarsi con la realtà adottiva. Investire sulle relazioni familiari (Donati, 2010), considerando gli effetti che questo tipo di operazione ha sul lungo periodo, consentirebbe dunque di prevenire l insorgere di criticità e fenomeni di devianza, altrimenti oggetto di costosi interventi riparativi, non sempre efficaci. Riferimenti bibliografici Donati P. (a cura di) (2010), Il costo dei figli, Quale welfare per le famiglie, XI Rapporto Cisf sulla famiglia in Italia. Milano, Franco Angeli Iafrate, Marzotto, Rosnati, (2010). Buone pratiche di intervento per la promozione dei legami familiari. In E. Scabini, G. Rossi (a cura di) La ricchezza delle famiglie. Milano, Vita e Pensiero Rosnati (2011). La costruzione della genitorialità e della filiazione adottive nelle famiglie italiane con adolescenti: una prospettiva familiare. In D. Brodzinsky, J. Palacios (a cura di) Lavorare nell Adozione. Milano, FrancoAngeli. Vadilonga, (a cura di) (2010), Curare l adozione, Milano, Raffaello Cortina Editore. 6