NULLITA DEL CONTRATTO PER MANCATA SOTTOSCRIZIONE DEL LEGALE RAPPRESENTANTE DELL INTERMEDIARIO FINANZIARIO Trib. Rimini 2.2.2012 commento e testo Giovanni FRANCHI P&D.IT Questa volta è stato il Tribunale di Rimini con un ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. in data 2.7.12, pronunciata dopo pochi mesi rispetto al deposito del ricorso, a condannare un istituto di credito alla restituzione di quanto investito da un sanmarinese in prodotti finanziari finiti, per la maggior parte in default. Venendo ai fatti, era più in particolare accaduto che una persona residente nella Repubblica di San Marino, a partire dall anno 2008, avesse effettuato con l agenzia di Rimini di un istituto di credito, soprattutto per il tramite di un suo promotore finanziario, operazioni di acquisto di diversi bond per complessivi 352.378,65, subendo una perdita per 151.942,28. Avendo egli posto in essere le stesse per via digitale, gli era stato consigliato, sulla base di alcune pronunce in materia (Trib. Ravenna 13 ottobre 2010, con nota di Franchi, Circa la necessità della c.d. firma digitale per l acquisto via internet di prodotti finanziari, in in in www.giusconsumwristi.it; Id. 22 ottobre 2007, con nota di Franchi, Commento alla sentenza n. 1114/07 del Tribunale di Ravenna in materia di acquisto di prodotti finanziari via internet), di agire in giudizio nei confronti della banca. Nell atto introduttivo era stata, peraltro, dedotta la nullità ex art. 23 TUF per difetto di forma non solo dei singoli ordini, ma anche del contratto generale d investimento. Ed è successo che l istituto di credito si sia costituito in giudizio, producendo un master agreement privo della firma sia del legale rappresentante dell istituto, che di un suo delegato. Il Tribunale di Rimini, dopo pochi mesi dal suo deposito, ha accolto il ricorso, dichiarato la nullità del contratto quadro e condannato la banca alla restituzione di 151.942,28, oltre interessi legali dalla data della domanda e alla rifusione delle spese. Lo stesso si è associato all orientamento ormai dominante in giurisprudenza, secondo il quale La forma scritta per il contratto di investimento prevista all art. 23 t.u.f. è rispettata solo qualora il documento contenga la sottoscrizione del cliente e della banca; in caso di mancata sottoscrizione da parte del legale rappresentante della banca si è in presenza di una proposta contrattuale non accettata e non di un contratto (Trib. Mondovì 9 novembre 2010, il caso.it; Trib. Alba 2 novembre 2010, ivi; Trib. Torino 29 novembre 2010, ivi. Così anche Trib. Pescara 10 settembre 2007, in PQM 2008, 1, 37; Trib. di Parma 4 maggio 2011; Id. n. 1422/11; App. Bari 23 febbraio 2009 n. 167, in Il caso.it; Trib. Napoli 14 novembre 2011, ivi; Trib. Bologna 27 marzo 2012, ivi; App. Torino 20 gennaio 2012, ivi). Secondo il Tribunale l onere formale imposto dall art. 23 TUF comporta la necessità di accertare l esistenza di documenti sottoscritti da entrambi i contraenti ai fini della formalizzazione di un valido accordo. La proposta e l accettazione sono negozi giuridici unilaterali e quindi manifestazioni di volontà di concludere il contratto. L accettazione di una proposta contrattuale deve presentare il requisito dell univocità della manifestazione di volontà; sul punto la giurisprudenza di legittimità ha specificato che la proposta comunicata a controparte e da quest ultima sottoscritta con l espressa specificazione per ricevuta non può considerarsi come accettata, atteso che la mera sottoscrizione per ricevuta, secondo il significato proprio di questa espressione, attiene solo alla avvenuta ricezione dell atto, ma non comporta anche la manifestazione di volontà di accettazione della proposta stessa (Cass. n. 9130/90).
La decisione è pienamente condivisibile e conferma altre precedenti sentenze, per le quali La sigla illeggibile attribuita alla banca ed apposta in un riquadro in cui compare l indicazione convalida firme ha la funzione di certificare la provenienza della proposta contrattuale e l autenticità delle sottoscrizioni degli investitori, non valendo invece quale manifestazione di volontà ed accettazione della proposta da parte della banca ( Trib. Alba 2 novembre 2010, in il caso.it.; App. Bari 23 febbraio 2009 n. 167 cit. in motivazione). In altre parole, alla sottoscrizione apposta dal funzionario in un riquadro, dove si legge per convalida o per ricevuta non può attribuirsi l effetto di un accettazione. Questo anche se la stessa fosse leggibile ed accompagnata dal timbro dell istituto, ma a maggior ragione quando così non è. Manca, infatti, quella manifestazione della volontà di accettare imposta dall art. 1326 c.c., perché il contratto e tale è quello generale d investimento possa ritenersi concluso ed esistente. Nel caso nostro, oltretutto, la sottoscrizione era di un promotore finanziaria, come tale privo del potere di rappresentanza della banca e quindi, come si legge in motivazione, di quello di accettare una proposta contrattuale. Siamo consapevoli che in senso contrario si è pronunciato il Tribunale di Milano (Trib. Milano 21 febbraio 2012, in Il caso.it), definendo quello fin qui citato un formalismo vacuo e inutile. Sarà vacuo ed inutile, ma se la legge prescrive la forma sotto pena di nullità, non si vede come una norma di ordine pubblico possa essere così definita e trascurata. Nessuna rilevanza può, d altra parte, attribuirsi al fatto che sulla base di quel contratto quadro fosse stata data esecuzione a tanti acquisti, perché come noto l art. 1423 c.c. non consente la convalida del negozio nullo. La questione più interessante, cui si fa cenno in motivazione, attiene alla pretesa novità della domanda eccepita dall istituto di credito convenuto sulla base del fatto che la nullità ex art. 23 a causa della mancanza della sottoscrizione del legale rappresentante della banca era stata dedotta solo in sede in udienza. Per il Giudice ciò rappresenta soltanto una nuova difesa, come tale sempre esercitabile, non una domanda nuova, dal momento che il fatto contestato dal ricorrente consisteva, comunque e sempre, nella mancata redazione del contratto in forma scritta. Da questo punto di vista il provvedimento è in linea con la citata sentenza del Tribunale di Parma n. 1422/11, per il quale chiarire la ragione del difetto di forma, spiegare in altri termini perché manca in tutto o in parte il documento, dà luogo non ad una domanda nuova, ma soltanto ad una nuova difesa, come tale sempre esercitabile. In effetti, in quel caso come nel nostro non erano stati modificati né il petitum (declaratoria di nullità e condanna della banca alla restituzione), né la causa petendi (mancanza della scrittura richiesta dalla legge ad substantiam). E secondo la Cassazione (Cass. n. 18792/11) Si ha domanda nuova, inammissibile in appello, per modificazione della "causa petendi", solo quando i nuovi elementi dedotti nel giudizio di secondo grado, comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, modificando l'oggetto sostanziale dell' azione ed i termini della controversia, così da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non sia stato svolto il contraddittorio. Orientamento, questo, preceduto dalla seguente e conforme statuizione: Non costituisce domanda nuova in appello quella mediante la quale una parte, fermi "petitum" e "causa petendi" del primo grado, modifichi la prospettazione delle modalità di formazione di quest'ultima avvalendosi di documenti già prodotti. (Nella specie la domanda era fondata su un regolamento condominiale contrattuale, formato tramite rappresentante; avendo il giudice di primo
grado ravvisato il difetto di forma della rappresentanza, in secondo grado, in base ad un documento già prodotto nel precedente grado, l'appellante rilevava la ratifica del "dominus") (Cass. n. 9567/99). Ed è proprio questo il caso nostro, perché quanto era stato detto in udienza e in conclusionale non ha comportato un mutamento dei fatti costitutivi (che è rimasto il difetto di forma), con ciò provocando una pretesa diversa (sempre nullità ex art. 23). Era stata illustrata una ragione per la quale doveva ritenersi sussistere quella causa petendi, ancora da ravvisare nella mancanza di un atto scritto. E questa illustrazione altro non ha determinato che una variazione dei motivi per cui sarebbe mancata la scrittura, ossia semmai una variazione del modo con il quale era stata prospettata la formazione della causa petendi. Come ritenuto da entrambi i Tribunali, non siamo, quindi, al cospetto di una domanda nuova, ma soltanto di un esame dei fatti, consentito in tutte le fasi del giudizio, appello e conclusionale inclusi. Meritevole di consenso è altresì la pronuncia dell ordinanza, anziché la rimessione della causa all udienza di cui all art. 183 c.p.c. Tutto era, infatti, chiaro, anche l importo dovuto per essere stato precisata dall istituto la perdita e per essersi il ricorrente adeguato. E non vi era quindi alcun ostacolo perché con il provvedimento previsto dall art. 702 ter c.p.c. venisse dichiarata la nullità ex art. 23 d.lgs. n. 58/98 del contratto generale d investimento e, per l effetto, delle singole operazioni e la convenuta condannata alla restituzione della perdita, maggiorata degli interessi legali nel frattempo maturati. Così del resto, già era stato fatto, in casi analoghi al nostro, dai Tribunali di Ferrara (ordinanza 28.1.10), Parma (ordinanze 2.7.10, 14.9.10) e Padova (2 ordinanze in data 21.2.11) e soprattutto recentissimamente (ordinanza 4.5.11) ancora Parma. E così anche il provvedimento di che trattasi dimostra che in effetti il procedimento sommario di cognizione consente la rapida soluzione delle controversie, più in particolare di quelle per la decisione delle quali non vi è bisogno di una lunga istruttoria. E per quanto attiene agli investimenti bancari un tempo sottoposti al rito societario di cui alla l. n. 5/03, di tutte quelle dove, come è avvenuto nel caso nostro, si discute di nullità per mancanza della forma scritta prescritta dalla legge ad substantiam. A questo punto, oltre che plaudire alla decisione, deve nuovamente osservarsi, come già abbiamo fatto, che diversi sono in casi in cui l acquisto di titoli emessi da società finite in default era accompagnato da un contratto generale privo della firma dell istituto alienante. Il che può costituire una valida ragione per un azione civile nei confronti della banca, con lo strumento processuale previsto dal nuovo art. 702 bis c.p.c., che comporta la possibilità di ottenere un ordinanza di condanna in tempi brevissimi (Cfr. Franchi, Prima ordinanza ex art. 702 ter in materia di obbligazioni Parmalat, in www.giusconsumwristi.it). Ciò, ovviamente, sempre che non sia nel frattempo decorso il termine ordinario di prescrizione, decorrente dall acquisto e, soprattutto, dal versamento del prezzo.