Capitolo 19. La tutela dei diritti del prestatore di lavoro. 1. Gli strumenti a tutela dei diritti del lavoratore

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1 Edizioni Simone - Vol. 1 Diritto del lavoro Capitolo 19 La tutela dei diritti del prestatore di lavoro Sommario 1. Gli strumenti a tutela dei diritti del lavoratore Le norme inderogabili e i diritti indisponibili Segue: La parziale indisponibilità dei diritti retributivi Le rinunzie e le transazioni del lavoratore La garanzia dei crediti retributivi del lavoratore La prescrizione e la decadenza dei diritti del lavoratore. 1. Gli strumenti a tutela dei diritti del lavoratore Partendo dalla considerazione che il lavoratore si trova nel rapporto di lavoro in una posizione subordinata rispetto al datore di lavoro, è stato affermato il principio del favor prestatoris (v. Cap. 1, 8, lett. B) che trova la sua ragion d essere nello squilibrio esistente tra le parti del contratto di lavoro: il datore di lavoro si pone, infatti, in una posizione predominante e di forza rispetto a quella del prestatore che è il contraente debole e, più ancora, un cittadino socialmente sottoprotetto (GHERA). Ciò spiega perché il legislatore individua una serie di strumenti diretti tutti a rafforzare la tutela dei diritti del lavoratore. Tali strumenti si muovono su vari livelli: su un piano sostanziale, in materia di inderogabilità delle norme e di indisponibilità dei diritti, di garanzia dei crediti di lavoro, di prescrizione e decadenza (soprattutto mediante una disciplina che si discosta per alcuni aspetti da quella generalmente applicabile); su un piano processuale, attraverso norme dirette a dare effettività alla tutela del lavoratore (v. Cap. 21); su un piano amministrativo, in quanto al Ministero del Lavoro e alle sue strutture periferiche (DRL e DPL) sono attribuiti, tra l altro, funzioni conciliative e ispettive (v. Cap. 20). 2. Le norme inderogabili e i diritti indisponibili La tutela del lavoratore viene, innanzitutto, attuata attraverso l affermazione del principio generale per cui la quasi totalità delle norme che regolano il rapporto di lavoro non possono essere derogate in peius dall autonomia privata e collettiva. L inderogabilità delle norme che attribuiscono diritti al lavoratore sta a significare che né le singole parti del rapporto né le organizzazioni sindacali possono inserire nel contratto di lavoro (rispettivamente, individuale e collettivo)

2 562 Capitolo 19 clausole che deroghino in senso peggiorativo a norme di legge che riconoscono diritti al lavoratore (v. anche amplius Cap. 3, 5). Così una clausola contrattuale che non riconosce il diritto del lavoratore, ad esempio, al riposo settimanale è nulla e viene sostituita di diritto, in base all art. 1419, co. 2, c.c., dalla norma violata automaticamente applicata in luogo della clausola viziata da nullità. La tutela del lavoratore attuata tramite l operatività del meccanismo di sostituzione della norma viziata con quella (inderogabile) violata consente di «porre rimedio alla situazione di inferiorità economico-sociale e allo stato di subordinazione di una delle parti del rapporto di lavoro, realizzando quel principio di protezione del lavoratore, che è a fondamento del diritto del lavoro» (GALANTINO). Al contrario, è legittima una clausola contrattuale che attribuisce al lavoratore un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dalla norma inderogabile (deroga in melius). Il principio dell inderogabilità delle norme che riconoscono diritti al lavoratore sarebbe svilito se poi, acquisito il diritto, il lavoratore ne potesse disporre senza limiti, attraverso una atto di rinunzia o transazione (v. succ. 4). Ecco perché l ordinamento ha affermato anche il principio della indisponibilità dei diritti da individuarsi nella «natura stessa degli interessi tutelati dal diritto, considerati rilevanti per la collettività non meno che per il titolare». È il caso ad esempio del diritto alla retribuzione sufficiente che è tale per cui esso si identifica come interesse superiore a quello del singolo (GALANTINO). Ulteriori diritti indisponibili sono il diritto alla sicurezza sul lavoro, alle ferie, i diritti previdenziali (art. 2115, co. 3, c.c.), il diritto allo sciopero etc. Dottrina Secondo la prevalente dottrina (GALANTINO, SMURAGLIA, MAZZIOTTI), inderogabilità e indisponibilità, pur perseguendo il medesimo fine ovvero ristabilire l equilibrio fra le parti del rapporto di lavoro si riferiscono a momenti diversi. L inderogabilità delle norme attiene alla fase costitutiva del rapporto di lavoro: al lavoratore deve essere attribuito il trattamento economico e normativo prescritto dalle norme inderogabili, per cui ogni disposizione ad esse contraria è nulla ai sensi dell art. 1418, co. 1, c.c.; se la difformità alla legge o al contratto collettivo riguarda (una o più) singole clausole del contratto individuale di lavoro, la nullità non colpisce l intero contratto, ma ciascuna singola clausola (art. 1419, co. 2, c.c.). L indisponibilità, invece, attiene alla fase successiva alla costituzione del rapporto, in cui i diritti sorti per effetto delle norme inderogabili sono ormai entrati nella sfera giuridica del lavoratore e quindi egli potrebbe accettarne la limitazione o la soppressione per mezzo di rinunzie o transazioni. Si afferma, inoltre, che l inderogabilità della norma non comporta necessariamente l indisponibilità del diritto, ma piuttosto consente che il diritto venga acquisito dal lavoratore. Pertanto, ben possono esservi diritti disponibili derivanti da norme inderogabili.

3 La tutela dei diritti del prestatore di lavoro Segue: La parziale indisponibilità dei diritti retributivi La retribuzione da intendersi in senso ampio comprensiva cioè del TFR e delle altre indennità relative al rapporto di lavoro è destinata a soddisfare le esigenze vitali del lavoratore e della sua famiglia. Pertanto, il legislatore ha inteso tutelare il diritto alla retribuzione in diversi modi: sancendo sia l inderogabilità delle norme che lo riconoscono che l indisponibilità (parziale) da parte dello stesso titolare del diritto e di qualsiasi altro soggetto che intende aggredire la retribuzione per soddisfare un proprio credito (nei confronti del lavoratore). In quest ultima ipotesi, in particolare, vi sono sostanzialmente due esigenze contrapposte da contemperare: da un lato, l interesse del creditore al recupero del proprio credito, dall altro, quello del lavoratore a non veder vanificata la funzione alimentare del credito retributivo (sent. Corte Cost. 20/1968). Il bilanciamento fra queste esigenze si è ottenuto stabilendo che la retribuzione può essere oggetto di pignoramento, sequestro e compensazione, ma solo entro determinati limiti (1) (2). Parziale indisponibilità dei diritti retributivi In altri termini: la retribuzione può essere oggetto di esecuzione forzata da parte di creditori del lavoratore, i quali possono pignorare quote di retribuzione di un importo non superiore ad un quinto, valutato al netto delle ritenute (pignoramento) (art. 545 c.p.c., D.P.R. 180/1950) (3). Si tratta di un pignoramento presso terzi (art. 543 c.p.c.), in quanto è il datore di lavoro (il terzo) che provvede a versare direttamente le quote di retribuzione al creditore del lavoratore per estinguere il debito; negli stessi limiti in cui è consentito il pignoramento, il creditore, se teme di perdere la garanzia di un credito che vanta nei confronti del lavoratore, può chiedere al giudice che gli venga sequestrata la retribuzione (sequestro conservativo). (1) Si tenga altresì presente che alla stessa logica della disciplina restrittiva sulla disponibilità della retribuzione risponde anche quella che limita la possibilità di disporre e aggredire la pensione del lavoratore. In particolare, in diverse sentenze la Corte costituzionale (n. 468/2002, n. 506/2002) ha affermato il principio per cui le pensioni possono essere pignorate o sequestrate fino a concorrenza di un quinto del loro ammontare per causa di tributi dovuti dai titolari di dette prestazioni e sempre nella misura di un quinto per ogni altro credito, fatto salvo il limite necessario per assicurare le esigenze minime di vita del pensionato (e corrispondente all importo del trattamento minimo che è assolutamente impignorabile). (2) La disciplina di riferimento è contenuta nel D.P.R. 180/1950 (Testo Unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni) esteso ai dipendenti di aziende private dal ex L. 311/2004 (finanziaria per il 2005). (3) Limiti diversi sono previsti nel caso di crediti alimentari e se concorrono più crediti.

4 564 Capitolo 19 L art. 671 c.p.c. prevede infatti che la retribuzione può essere sequestrata negli stessi limiti in cui è pignorabile; se anche il lavoratore è debitore verso il datore di lavoro (il quale è debitore verso il primo per la retribuzione), i due debiti possono estinguersi, per le quantità corrispondenti, mediante compensazione. Tuttavia, poiché l art n. 3 c.c. stabilisce che non si può ricorrere a tale istituto «quando uno dei due crediti è impignorabile», e poiché la retribuzione è pignorabile solo fino al quinto del suo ammontare, tale limite vale anche per la compensazione. La compensazione può applicarsi solo se i rapporti dai quali nascono i contrapposti crediti (del datore verso il lavoratore e viceversa) sono autonomi. Pertanto, opera il limite del quinto solo se il credito del datore di lavoro non nasce dallo stesso rapporto di lavoro che è fonte del credito alla retribuzione del lavoratore (Cass , n ). Se invece i rispettivi crediti e debiti hanno origine dallo stesso rapporto di lavoro, non opera la compensazione, ma un semplice conguaglio dare/avere, sicché la detrazione dalla retribuzione, attuata dal datore di lavoro, dell importo del credito che egli ha verso il lavoratore non è soggetta a limitazioni (Cass , n. 6033). L istituto della cessione del quinto risponde invece all esigenza di facilitare i lavoratori nell accedere ad un finanziamento potendo ottenere un prestito da restituire mensilmente cedendo una quota della retribuzione di importo non superiore al quinto, valutato al netto delle ritenute (art. 5 D.P.R. 180/1950) (4). Il datore di lavoro, al quale deve essere notificato il contratto di prestito stipulato dal lavoratore con il finanziatore, provvede direttamente a versare a quest ultimo le rate del finanziamento trattenendo parte della retribuzione. 4. Le rinunzie e le transazioni del lavoratore A) Rinunzie, transazioni e quietanze a saldo In base all art. 2113, co. 1, c.c. la rinunzia e la transazione che hanno ad oggetto diritti del lavoratore derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi non sono valide. Questa disposizione conferma che il legislatore non ha delineato «ipotesi di carenza del potere di disposizione del lavoratore quanto ai propri diritti, bensì una limitazione oggettiva e funzionale dell autonomia negoziale dello stesso» (Ghera). La rinunzia è un atto unilaterale tendente alla dismissione di un diritto soggettivo da parte del titolare, mentre la transazione (art c.c.) è il contratto mediante il quale le parti, facendosi reciproche concessioni (entrambe ri- (4) Anche i lavoratori pensionati possono ottenere finanziamenti cedendo quote della pensione. La quota cedibile è pari ad un quinto della stessa, calcolato al netto delle ritenute fiscali e per periodi non superiori a 10 anni; in ogni caso l importo della quota cedibile deve essere tale da garantire la salvaguardia del trattamento minimo (art. 1 D.P.R. 180/1950, come modif. dall art. 13bis D.L. 35/2005, conv. in L. 80/2005).

5 La tutela dei diritti del prestatore di lavoro 565 nunciano ad un proprio diritto), pongono fine ad una lite esistente o prevengono una lite eventuale. Da tali atti di disposizione vanno tenute distinte le cd. quietanze a saldo, ossia i documenti che il lavoratore firma, di regola alla cessazione del rapporto, dichiarando di aver ricevuto una certa somma (ratei di retribuzione, 13 a mensilità, indennità varie, trattamento di fine rapporto etc.), di ritenersi soddisfatto di ogni suo credito e di non avere più nulla a pretendere. Secondo l orientamento ormai consolidato della giurisprudenza, una quietanza così formulata rappresenta semplicemente una manifestazione del convincimento del lavoratore di essere stato soddisfatto di tutti i suoi diritti, e quindi un giudizio soggettivo, che si concreta in una mera dichiarazione di scienza e di opinione, priva di ogni efficacia negoziale (Cass , n ; , n. 1365; , n. 1267). Rinunzie e transazioni Di conseguenza il prestatore potrà promuovere, nel termine di prescrizione (senza il vincolo cioè del termine di decadenza previsto dall art c.c. per la rinuncia e la transazione, su cui v. succ. lett. B), l azione per i crediti derivanti dal rapporto di lavoro, anche dopo aver firmato tale quietanza. Tuttavia, la quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore può assumere il valore di una rinuncia o di una transazione, se interpretando il documento, anche unitamente ad altre specifiche circostanze, viene accertato che essa è stata rilasciata con la consapevolezza e il cosciente intento di abdicare o di transigere su diritti determinati o obiettivamente determinabili (Cass , n ). Se al contrario, essa contiene una dichiarazione di rinuncia a maggiori somme riferita, in termini generici, ad una serie di pretese ipotizzabili in astratto che derivano dal rapporto di lavoro, e si risolve perciò in una semplice clausola di stile in cui non vi è prova dell effettiva esistenza di una volontà dispositiva del lavoratore, la quietanza a saldo non può assumere il valore di una rinuncia (Cass , n ). L ambito di applicazione dell art c.c. L art c.c. non preclude del tutto la negoziazione delle parti sui diritti del lavoratore derivanti da norme inderogabili, ma li assoggetta ad un meccanismo che dovrebbe tutelare il lavoratore nell atto di disposizione. A tal proposito si è, infatti, affermato che l inderogabilità della norma non genera sempre una indisponibilità assoluta del diritto che è conseguenza naturale ma non strettamente necessaria dell inderogabilità (ICHINO). La dottrina, quindi, nel tentativo di individuare il campo di applicazione dell art c.c., ha distinto nell ambito delle norme inderogabili quelle produttive di diritti assolutamente indisponibili che si sottraggono all operatività dell art c.c. e che determinano sempre la nullità dell atto dispositivo e quelle che danno luogo a diritti relativamente indisponibili soggetti al meccanismo di invalidità e di impugnazione dell art c.c. Posto che il carattere dell indisponibilità si desume dalla natura del diritto stesso o da espressa indicazione del legislatore, un nucleo fondamentale di diritti totalmente indisponibili sottratti ad atti di rinunzia o transazione è stato individuato nei diritti della

6 566 Capitolo 19 personalità (es. diritto alla salute) e in generale in tutti quelli che il legislatore definisce intransigibili, incedibili, irrinunciabili, imprescrittibili (GALANTINO). Deve inoltre ricordarsi che altra parte della dottrina (DE LUCA TAMAJO) distingue invece tra diritti primari e diritti secondari, per cui quelli che derivano immediatamente dalla fonte legale (diritti primari) non sono disponibili, mentre il diritto al risarcimento (diritto secondario) derivante dalla violazione dei primi può essere oggetto di atti di disposizione (es. non sono disponibili il diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali ma potrebbe essere oggetto di negoziazione l indennità spettante in caso di mancata fruizione delle ferie). B) Impugnazione delle rinunzie e delle transazioni invalide Le rinunzie e le transazioni invalide, in quanto aventi per oggetto diritti del lavoratore derivanti da norme inderogabili, possono essere impugnate dal lavoratore, con qualsiasi atto scritto (anche stragiudiziale) idoneo a renderne nota la volontà, entro il termine di decadenza di 6 mesi decorrente dalla data di cessazione del rapporto ovvero dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima (5). Il legislatore, da un lato, ha tutelato il lavoratore spostando la decorrenza del termine di decadenza alla cessazione del rapporto di lavoro nel caso in cui l atto invalido sia avvenuto durante lo svolgimento dello stesso e, contemporaneamente ha garantito l interesse del datore di lavoro disponendo, come conseguenza del decorso del termine, «l accertamento delle reciproche posizioni soggettive» (GHERA). Scaduto il termine, l atto invalido è sanato con la conseguenza che il lavoratore non può più esercitare il diritto che ha formato oggetto della rinunzia o della transazione (MAZZIOTTI). C) Rinunzie e transazioni valide Gli atti dispositivi del lavoratore sono validi (e quindi non impugnabili), se avvengono mediante conciliazioni concluse presso le sedi stabilite dalla legge, ove la presenza di terzi soggetti permette di appurare la volontà abdicativa e transattiva delle parti, ed in particolare quella del lavoratore, escludendo così una possibile sopraffazione del datore di lavoro (in questi casi si parla di volontà assistita). Infatti in virtù dell art. 2113, co. 4, c.c., come modificato dalla L. 183/2010, cd. collegato lavoro, non possono essere impugnate le rinunzie e le transazioni intervenute ai sensi degli artt. 185, 410, 411, 412ter e 412quater c.p.c. (5) Le transazioni sottoscritte dal lavoratore sono annullabili se concernono diritti indisponibili già sorti, mentre possono essere ritenute nulle se comportano la rinuncia a diritti futuri (Cass , n ), con la conseguenza che le rinunce e le transazioni invalide perché nulle possono essere impugnate anche dopo la scadenza del termine semestrale previsto dall art c.c. Per la dottrina la rinuncia a diritti futuri (stipulata al momento della costituzione del rapporto di lavoro) è nulla per contrarietà a norma inderogabile, in quanto non può essere considerata un atto di disposizione in senso proprio che è ammissibile solo quando il diritto sia entrato nel patrimonio del soggetto (MAZZIOTTI).

7 La tutela dei diritti del prestatore di lavoro 567 Si tratta di casi in cui l atto dispositivo avviene: innanzi alle apposite commissioni istituite presso le Direzioni provinciali del lavoro (DPL) (art. 410 c.p.c.). Sono pure inoppugnabili gli atti dispositivi intervenuti per effetto della proposta per la bonaria definizione della controversia, formulata dalla stessa commissione della DPL in sede di tentativo di conciliazione, ove non sia raggiunto un accordo tra le parti (art. 411 c.p.c.); in sede sindacale (art. 412ter c.p.c.); innanzi al collegio di conciliazione ed arbitrato irrituale (art. 412quater c.p.c.); innanzi al giudice che nella prima udienza deve tentare la conciliazione della lite formulando, altresì, una proposta transattiva (art. 420 c.p.c.). Inoltre, sono da ritenersi inoppugnabili gli atti di disposizione certificati presso le apposite commissioni di certificazione del rapporto di lavoro (art. 82, D.Lgs. 276/2003). Garanzia dei crediti retributivi 5. La garanzia dei crediti retributivi del lavoratore Per garanzia si intende, in via generale, il rafforzamento della tutela di un diritto. I crediti retributivi del lavoratore sono sottoposti ad un particolare regime di garanzia: in linea generale, essi godono di privilegi, di cui si parlerà nel presente paragrafo, ma l ordinamento li tutela anche in ipotesi particolari e sotto altri aspetti: si pensi, ad esempio, alla garanzia offerta ai crediti di lavoro dall art c.c. nel caso di trasferimento di azienda (v. Cap. 6, 7) o alla possibilità riconosciuta al lavoratore di poter chiedere, in caso di insolvenza del datore di lavoro, il pagamento del trattamento di fine rapporto e di alcune mensilità di retribuzione al Fondo di garanzia dell INPS (v. Cap. 16 3) o, ancora, al diritto agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria in caso di tardivo pagamento dei crediti retributivi (v. Cap. 8, 8). Un altro esempio è dato dall istituto della diffida accertativa per crediti patrimoniali (art. 12, D.Lgs. 124/2004) che il personale ispettivo della DPL può promuovere nei confronti del datore di lavoro, qualora, nell ambito dell attività di vigilanza, emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro (v. amplius Cap. 20 Sez. I 7). Il privilegio è una qualità del credito di lavoro e costituisce un titolo di prelazione riconosciuto al lavoratore che produce l effetto di favorirlo nel pagamento di quanto a lui spettante rispetto ad altri eventuali creditori (del datore di lavoro) non privilegiati (detti chirografari). I crediti del lavoratore per retribuzioni ed indennità legate alla cessazione del rapporto di lavoro, nonché per il risarcimento del danno subito per effetto di

8 568 Capitolo 19 un licenziamento illegittimo o in conseguenza alla mancata corresponsione, da parte del datore di lavoro, dei contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori: in via principale, sono assistiti dal privilegio generale sui beni mobili del datore (art. 2751bis c.c.). Si tratta di un privilegio che prevale su ogni altro, con la sola eccezione delle spese di giustizia (art c.c.); in via sussidiaria, cioè in caso di infruttuosa esecuzione sui beni mobili, insufficienti a soddisfare i crediti, si collocano sul prezzo degli immobili, con preferenza rispetto ai creditori chirografari (art c.c.). In base all art c.c., l ordine di soddisfazione dei crediti in via sussidiaria è il seguente: 1. crediti relativi al TFR e all indennità di mancato preavviso; 2. crediti di lavoro ex art. 2751bis c.c.; 3. crediti dello Stato ex art co. 3 c.c.; 4. crediti chirografari. Giurisprudenza I privilegi che accompagnano i crediti di lavoro sono diretti a realizzare l effettività della tutela del lavoratore, in quanto finalizzati alla loro «concreta» soddisfazione. Sulla base di tale presupposto, la giurisprudenza della Corte Costituzionale ha ritenuto che il privilegio possa assistere non solo i crediti retributivi e contrattuali in genere, ma anche i crediti risarcitori per danni conseguenti ad infortuni sul lavoro (sent. Corte Cost. 326/1983) ed a malattia professionale di cui è responsabile il datore di lavoro (sent. Corte Cost. 220/2002), nonché per danni da demansionamento subiti a causa dell illegittimo comportamento del datore di lavoro (sent. Corte Cost. 113/2004). 6. La prescrizione e la decadenza dei diritti del lavoratore A) La prescrizione estintiva e presuntiva La prescrizione costituisce una causa di estinzione dei diritti quando il titolare non li esercita entro l arco di tempo previsto dalla legge. La prescrizione è estintiva quando, per effetto dell inerzia del lavoratore per il periodo di tempo fissato dalla legge, il diritto si estingue. I termini di prescrizione estintiva sono i seguenti: a) il termine di cinque anni (art. 2948, nn. 4 e 5, c.c.) si applica ai crediti di lavoro aventi natura retributiva, quali la retribuzione (n. 4) e le indennità spettanti al lavoratore per la cessazione del rapporto di lavoro (n. 5); b) il termine di dieci anni (art c.c.) vige per i diritti non retributivi (es. diritto alla qualifica superiore). La prescrizione ordinaria decennale viene quindi in rilievo in ipotesi limitate ovvero in quei casi in cui dal rapporto di lavoro sorgono per il lavoratore diritti diversi dalla retribuzione.

9 La tutela dei diritti del prestatore di lavoro 569 Per stabilire quando iniziano a decorrere i predetti termini, occorre tener presente la norma generale dell art c.c., secondo cui, «la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere». Pertanto essi decorrono già durante lo svolgimento del rapporto di lavoro. Senonché, l applicazione della suddetta regola civilistica potrebbe produrre effetti negativi per il lavoratore. Si pensi ad esempio al caso in cui egli non venisse retribuito per alcuni mesi e per timore di essere licenziato decidesse di non far valere il suo diritto: rischia di perdere per sempre il diritto alla retribuzione. Ecco perché per garantire il lavoratore (cioè rafforzare e riequilibrare la sua posizione nel rapporto di lavoro), limitatamente ai crediti di natura retributiva, la Corte Costituzionale con due famose pronunce (n. 63 del e n. 174 del ) ha affermato che per stabilire l inizio della decorrenza, bisogna distinguere: Prescrizione dei diritti a) se il rapporto di lavoro risulta stabile per l applicazione alla fattispecie delle garanzie di cui all art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, ovvero se la stabilità sia garantita da altre norme di legge (es. pubblico impiego) o di contratto, la prescrizione dei crediti retributivi decorre in corso di rapporto (secondo le regole generali, stante la maggior tutela di cui gode il lavoratore in tali casi). Si considera stabile ogni rapporto di lavoro che, indipendentemente dal carattere pubblico o privato, sia tutelato da una disciplina che, sul piano sostanziale, subordini la legittimità della risoluzione alla sussistenza di circostanze oggettive e predeterminate (v. Cap. 15) e, sul piano processuale, affidi al giudice il potere di sindacare su tali circostanze e di rimuovere gli effetti del licenziamento; b) ove invece non esista la stabilità, per legge o per contratto, la prescrizione dei crediti retributivi resta sospesa nel corso del rapporto ed il suo decorso inizia solo dopo la cessazione del rapporto stesso. Questa regola, che si discosta da quella generale, costituisce uno dei mezzi offerti al lavoratore a tutela dei suoi diritti retributivi. I termini di prescrizione relativi, invece, a diritti non retributivi (ad esempio, diritto al riconoscimento delle mansioni superiori) decorrono sempre e comunque durante il rapporto di lavoro secondo il principio generale dell art c.c. Vi è infine da aggiungere che per i crediti del lavoratore aventi natura retributiva sono previsti anche termini di prescrizione presuntiva, che si caratterizzano per il fatto che, decorso il periodo di tempo fissato dalla legge, il credito si presume estinto per adempimento. Si tratta di una presunzione relativa e non assoluta perché è possibile fornire la prova contraria, il lavoratore può cioè dimostrare che il datore di lavoro non ha adempiuto, e perciò il diritto non si è estinto (se decorrono i termini di prescrizione estintiva, invece, il diritto di estingue sempre e comunque, anche se il datore di lavoro non ha adempiuto). Tuttavia i mezzi di prova sono li-

10 570 Capitolo 19 mitati alla confessione giudiziale ex art c.c. (cioè il datore di lavoro ammette in giudizio che l obbligazione non si è estinta) e alla delazione di giuramento ex art c.c. (il lavoratore può deferire in giudizio al datore di lavoro il giuramento). I termini della prescrizione presuntiva sono i seguenti: a) il termine di tre anni (art. 2956, n. 1, c.c.) vale per le retribuzioni corrisposte per i periodi superiori al mese; b) il termine di un un anno (art. 2955, n. 2, c.c.) vale per le retribuzioni corrisposte a periodi non superiori al mese. La sent. Corte Cost. n. 63/1966 ha dichiarato che anche in caso di prescrizione presuntiva il termine decorre durante il rapporto se esso è stabile, altrimenti dalla sua cessazione. B) La decadenza Spesso il lavoratore ha l onere di esercitare i propri diritti e facoltà entro un determinato periodo. Decorso il termine stabilito, senza che egli abbia compiuto un determinato atto o comportamento, decade dal diritto (cioè perde la possibilità di poterlo esercitare). È stato evidenziato che il decorso del tempo è condizione sia della decadenza che della prescrizione, ma solo nella seconda produce l estinzione del diritto a favore di un altro soggetto. Con la decadenza invece non si avrebbe la perdita del diritto ma il titolare non può più esercitarlo. È per questo che parte della dottrina fa riferimento alla «funzione di certezza soggettiva della decadenza» (GHERA). La decadenza può essere: a) prevista dalla legge (cd. decadenza legale), quale ad esempio: il termine di 60 giorni per impugnare il licenziamento (art. 6, L. 604/1966, esteso ex L. 183/2010 anche ad altre fattispecie) (v. Cap. 15); quello semestrale per impugnare le rinunzie e transazioni (art c.c.); quelli in tema di procedimenti disciplinari (art. 7 St. Lav.); b) stabilita dalle parti (cd. decadenza convenzionale), fermo restando l applicazione dell art c.c. che dispone la nullità delle clausole che fissano termini che rendono eccessivamente difficile ad una delle parti l esercizio del diritto. Generalmente, la decadenza è prevista dai contratti collettivi per i diritti attribuiti o regolati dal contratto stesso. Gli esempi più importanti sono quelli relativi ai reclami da parte dei lavoratori, al datore di lavoro, per errori materiali della busta paga etc., reclami che, secondo vari contratti collettivi, possono essere fatti entro termini di decadenza.

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