Creatività e diversità
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- Teodora Corsini
- 8 anni fa
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1 Creatività e diversità La Compagnia della Fortezza di Volterra. Un teatro in carcere NEL PRESENTE SAGGIO CERCHERÒ DI TRACCIARE ALCUNI COETTI PER POTER ESAMINARE IL LAVO- KINGA SZOKÁCS RO TEATRALE DELLA COMPAGNIA DELLA FORTEZZA, CHE SVOLGE LA SUA ATTIVITÀ ARTISTICA NEL CARCERE DI VOLTERRA. La compagnia è composta da circa 50 detenuti-attori che ogni anno mettono in scena uno spettacolo con il regista e direttore artistico della compagnia, Armando Punzo. In seguito, faccio riferimento alle trasformazioni svoltesi nel teatro nella seconda metà del Novecento, che portano alla necessità dell allargamento del concetto di Teatro; poi, cercherò di sottolineare l importanza del concetto della creatività e quello della diversità per poter rappresentare in grandi linee il modo particolare dell approccio artistico di Armando Punzo. Negli anni Sessanta e Settanta, insieme alle innovazioni della neo-avanguardia apparse nelle arti figurative e nella letteratura, anche il teatro è alla ricerca di nuove strade da percorrere. Invece del testo, hanno un maggiore ruolo altri elementi come il gesto, la voce, il corpo dell attore, la luce e altri effetti scenografici. Oltre allo spettacolo, che è il lavoro finale, diventa importante anche il percorso per arrivarvi, il work in progress che può essere diverso e modificato a volte anche insieme al pubblico. Il lavoro teatrale si sposta dalle istituzioni tradizionali alle strade, alle scuole, alle fabbriche, ai manicomi. I motivi di questo spostamento furono le aspirazioni generalmente sentite che includevano la rifondazione dell individuo e il radicale cambiamento del mondo sociale. Mentre negli anni settanta sono la contrapposizione, la ribellione e il rifiuto a segnare il nuovo teatro, più tardi si nota un esigenza di compensare e di riequilibrare. Il teatro comincia a conformarsi alle istituzioni della vita civile, entra negli ambiti della psichiatria, nella vita dei reclusi, nelle scuole. Il fenomeno dell incontro del teatro con i luoghi del disagio viene chiamato da GERARDO GUC- 221
2 [KINGA SZOKÁCS] CINI, studioso del teatro all Università di Bologna: tradizione teatrale postnovecentesca. È sempre lui a nominare questo nuovo teatro: il teatro degli esseri. Nel Novecento si è passati dall arte di rappresentare l altro da sé a quella di essere. Il teatro torna a confrontarsi con il mondo, non più riflettendolo, come avviene nel sistema mimetico, ma assumendone direttamente le realtà In questa tradizione, chiamata ormai postnovecentesca, si può dunque parlare del teatro degli esseri, all interno dei quali teatro e handicap, teatro e carcere, teatro e terapia, teatro e scuola riflettono non tanto il punto di vista del teatro, quanto piuttosto quello della sua funzione sociale. I carceri, le scuole, le comunità terapeutiche ospitano attività teatrali anche di alto livello artistico. Di conseguenza, proprio perché le intenzioni artistiche possono modellarsi su persone, luoghi e materiali che prima erano estranei al teatro, esse sono capaci anche di rinnovarlo. Il teatro degli esseri affonda le sue radici nelle esperienze teatrali novecentesche: basta menzionare il processso di trasferimento dell abilità dell attore dal piano tecnico-professionale a quello etico-esistenziale, il lavoro sull attore di Stanislavskij, gli approcci di Grotowski secondo il quale: «un attore raggiunge l essenza della sua vocazione quando compie un atto di sincerità, quando mette a nudo se stesso» 2. Secondo le sue considerazioni, reagire totalmente vuol dire cominciare ad esistere. Fra le idee, i concetti, i motivi con i quali o per i quali avviene un esperienza teatrale in un carcere, in primo luogo vi sono il concetto della creatività e quello della diversità. Per quanto riguarda la diversità e il teatro, a prima vista si considerano teatri diversi tutte le sperimentazioni, da quelle dell avanguardia agli happenings degli anni Sessanta e Settanta fino ai teatri multimediali di oggi, dato che tutte queste esperienze sono diverse dal teatro borghese tradizionale. Per teatro diverso qui intendiamo invece quello in cui gli attori non sono professionisti ma appartengono agli strati marginali di una società, quindi sono handicappati, matti, tossicodipendenti, persone molto povere, anziani, o appartengono ad un etnia o ad un abitudine sessuale diversa: nel nostro caso, sono detenuti in carcere. Per creatività intendiamo un concetto che per le ricerche scientifiche è difficilmente accessibile o standardizzabile, dato che certe azioni risultano creative per la loro imprevedibilità, perché si differenziano dagli schemi generali della riflessione e perciò sono alternative all evidenza della normalità. La diversità come tale associandosi alla creatività può motivare gli atteggiamenti e i comportamenti, alimenta le energie psichiche e sociali e, in più, esercita un forte impatto sulle dinamiche relazionali di un gruppo, di una comunità, o di una società, dove si polarizzano diversi valori contrapposti. Secondo JAKOB LÉVY MORENO, padre dello psicodramma e della sociometria, una delle condizioni più indispensabili per la creatività è la spontaneità che, secondo la sua definizione, può essere una risposta adeguata ad una nuova situazione, oppure una risposta nuova ad una situazione abituale. 3 Se per creatività intendiamo essere aperti al nuovo, all invenzione e all ispirazione, concetti che da un punto di vista o da un altro sono alternativi all evidenza e alla normalità, possiamo subito osservare che la diversità va di pari passo con la creatività. Quindi, se la creatività è la capacità di risolvere i problemi perché è capacità di vedere nuove
3 [CREATIVITÀ E DIVERSITÀ. LA COMPAGNIA DELLA FORTEZZA DI VOLTERRA] relazioni, di rendere esistente qualcosa che finora non esisteva, allora ciò significa anche deviare dai modelli tradizionali. GIANNI TIBALDI, professore di psicologia generale all università di Padova, interpreta la creatività e la diversità come espressioni di punti di vista strategici, quelli cioè che riguardano le motivazioni e gli atteggiamenti. 4 Creatività e diversità possono essere osservate dal punto di vista di una strategia estetica secondo la quale il valore estetico e la bellezza nell arte dipendono dall unità dei diversi elementi, quindi questa strategia può essere definita come unità nella diversità. Alla strategia estetica si collega la strategia etica della tolleranza che, secondo TIBALDI, viene espressa nel seguente modo: Alimentare la voce delle minoranze, favorire una cultura della tolleranza, educare alla comprensione della diversità, corrisponde sul piano sociale, religioso, politico alla tensione creativa che, attraverso la composizione dei diversi elementi di base, conduce all unità di un opera d arte. 5 Dal lato sociale, invece, risulta che le differenze in conflitto in una società possono comporsi in una tensione creativa che conduce ad una relativa armonia sociale. E, se la tensione creativa produce diversi modelli culturali, la loro varietà rende la comunità più umanamente ricca e stabile. Il lavoro teatrale in carcere può essere caratterizzato da un forte bisogno vitale: i carceri in sé producono differenze che esercitano una forte motivazione sul recluso per il teatro. Di conseguenza, il dono primario del teatro in carcere è la riscoperta della soggettività creatrice. In un carcere, il teatro si intende anche come un fattore di compensazione delle incertezze di vita. Tutti i lavori che coinvolgono la pratica teatrale, dalla fabbricazione di luci alle musiche, possono funzionare come sostegni al recluso. E, dato che lo spettacolo è un impresa collettiva, attraverso il lavoro comune i detenuti sono indotti ad attivare forze di solidarietà e, scoprendo se stessi, scoprono anche gli altri. Secondo CLAUDIO MELDOLESI, studioso del teatro all Università di Bologna: La virtualità terapeutica di questo teatro si basa sul fatto che l impegno a recitare non produce illusorie dinamiche extraterritoriali, non porta in altri mondi come la droga, bensì fa vedere il mondo reale con distanza extratemporale. 6 Il carcere attacca le basi culturali di una persona: per vivere la condizione carceraria senza traumatiche di discontinuità con il passato, le armi più efficaci sono la memoria e il dialogo. E proprio la pratica teatrale viene incontro a questo bisogno. Il teatro in carcere privilegia le forme miste che, secondo il sociologo del teatro GOFFMANN, sono un segno di salute. 7 All avventura collettiva della messinscena si accompagnano le avventure euristiche degli individui coinvolti. Riferendomi alle considerazioni di MELDOLESI si può costatare che «le dinamiche psichiche si confondono sempre più con quelle artistiche nello sprigionarsi dei processi rappresentativi.» 8 La Compagnia della Fortezza di Volterra è uno degli esempi di questi carceri dove, già dal 1988, si svolge il lavoro teatrale con la regia di Armando Punzo. La compagnia ha messo in scena circa 19 spettacoli e ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti. 223
4 [KINGA SZOKÁCS] VALENTINAVALENTI, studiosa all Università degli Studi di Calabria, per esaminare la natura del lavoro degli attori-detenuti della Compagnia, ricorre al concetto dell attività liminale del performer. In base a questo concetto, «l attore, quando è in scena, si muove fra la negazione di se stesso in favore della realtà sociale dello script e la negazione della realtà sociale dello script in favore di se stesso» 9. Si tratta di una doppia negatività, di duplicità, in quanto l attore abita lo spazio liminale fra non io e non-non io. Per quanto riguarda invece il lavoro dei detenuti-attori della Compagnia della Fortezza, loro non si trasformano nel personaggio, non lo raccontano, ma lo assumono sulla propria persona per quanto è contenibile nella loro esperienza. L intenzione di Armando Punzo, il fondatore-regista della Compagnia della Fortezza non era per niente politica, sociale o ideologica. Non si interessava dei detenuti come tali, voleva semplicemente fare teatro. Ha cominciato a lavorare in carcere non come assistente sociale, spinto dall intenzione di rieducazione e di risocializzazione, ma voleva realizzare un lavoro impegnativo. Riteneva che proprio indirettamente, con il lavoro profondo, impegnativo, si potesse cogliere l obiettivo della risocializzazione. In base alle idee di GROTOWSKI, secondo il quale l attore non deve solo lavorare sul proprio corpo, ma deve conoscerlo a fondo, per Punzo l obiettivo principale è di mettere in rischio se stessi, inventare un lavoro dove l attore si mette in una condizione di rischio continuo. La sua intenzione è di creare un esperienza dove si lavora contro le resistenze culturali della normalizzazione, contro i luoghi comuni, contro l idea stessa di carcere, distruggendo se stessi e i propri limiti. Vuole mettersi in difficoltà e scegliere la strada più difficile. In un intervista dice: «Se il teatro è un incontro è evidente che a quest incontro bisogna presentarsi con il meglio di noi stessi, che non può essere altro che una disperata sincerità.» 10 La diversità del carcere, con il lavoro basato sull arte deliquenziale chiama così la loro attività lo stesso Punzo fin dall inizio ha affrontato il tema del rapporto con la diversità attraverso la metafora del carcere. Nel duro lavoro di ogni giorno, Punzo affronta continuamente non solo il tema della diversità ma anche quello della normalizzazione da cui è riuscito a difendersi proprio per il suo lavoro eccezionale. La risocializzazione in alcuni casi viene realizzata attraverso il tramite fra i membri del gruppo e il suo regista: attraverso la necessità profonda di voler dire qualcosa. I testi delle opere scelte vengono usati come un intelaiatura che il regista riscrive addosso alle persone e alle situazioni, in modo che le parole veicolino il bisogno di dire qualcosa di molto profondo. Per mostrare che cosa vuole dire fare teatro per i detenuti, riporto alcune delle loro considerazioni: 224 Il lavoro svolto con Armando non solo mi ha aiutato ad aprirmi agli altri (io sono sempre stata una persona chiusa), ma mi ha permesso anche di apprezzare il teatro in generale. 11 A Volterra ho imparato a leggere e scrivere. Ho cominciato a fare teatro per aprirmi agli altri, perché non riuscivo più a comunicare. Oggi ho superato questo problema grazie al teatro. 12 Partecipando al laboratorio, ho capito che il teatro è vita veramente. Quando Armando ci fa raccontare le nostre storie, butto fuori delle cose che ho dentro da molto tempo e mi sento più rilassato, più libero. 13
5 [CREATIVITÀ E DIVERSITÀ. LA COMPAGNIA DELLA FORTEZZA DI VOLTERRA] La situazione liminale di questi teatri in carcere porta alla continua riflessione sul concetto del teatro e riconduce anche alle questioni della sua origine, nonché alle considerazioni di ANTONIN ARTAUD che, fra l altro, combatté anche per il reinserimento del teatro nell andamento dell attività quotidiana. Proprio questo reinserimento è quello che sembra avvenire giorno per giorno nel teatro in carcere a Volterra. B IBLIOGRAFIA AA. VV., Di alcuni teatri delle diversità, a cura di Pozzi E. Minoia V., A Edizioni, Cartoceo AA. VV., La Compagnia della Fortezza, a cura di Bernazza L. Valentini V., (Teatro contemporaneo dell autore), Rubettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) PUNZO A., «Come un cabaret rosso inferno Il Brecht della Fortezza», in: Prove di Drammaturgia, Nr. 2, 2001, pp ZEINTLINGER K. E., A pszichodráma-terápia tételeinek elemzése, pontosítása és újrafogalmazása J. L. Moreno után, Híd, Budapest F ONTI INTERNET GUCCINI G., «Verso un teatro degli esseri», in: lerici.htm PUNZO A., «Da istituto di pena a istituto di cultura: carcere metafora del mondo esterno», in: htpp:// N OTE 1 G. GUCCINI, «Verso un teatro degli esseri», in: lerici.htm 2 V. VALENTINI, «La forma nasce dal bisogno di comunicare», in: AA. VV., La Compagnia della Fortezza, a cura di L. Bernazza V. Valentini, (Teatro contemporaneo dell autore), Rubettino, Soveria Mannelli (Catanzaro) 1998, p Cfr. K. E. ZEINTLINGER, A pszichodráma-terápia tételeinek elemzése, pontosítása és újrafogalmazása J. L. Moreno után, Híd, Budapest 1991, p Cfr. G. TIBALDI, «Creatività e diversità», in: AA. VV., Di alcuni teatri delle diversità, a cura di E. Pozzi V. Minoia, A Edizioni, Cartoceto 1999, p Ivi, p C. MELDOLESI, «Scena della mente e scena dei reclusi», in: AA. VV., Di alcuni teatri delle diversità, cit., p Cfr. ivi, p Ivi, p V. VALENTINI, op. cit., p A. PUNZO, «Da istituto di pena a istituto di cultura: carcere metafora del mondo esterno», in: htpp:// 11 V. VALENTINI, «I nostri spettacoli sono diversi perché sono veri e sentiti. Conversazione con i detenuti-attori», in: AA. VV., La Compagnia della Fortezza, cit., p Ivi, p Ivi, p
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