APPUNTI LIBERALI GIM CASSANO

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1 APPUNTI LIBERALI GIM CASSANO iviltà il trasformazione capitale europea finanziario dei si sovrappone concetti di produzione all economia e di produttore. 1- la frontiera liberale pag il liberalismo e gli altri pag il Paese triste pag crisi politica e democrazia pag lo Stato laico pag la liberalizzazione della vita economica pag ambiente e limiti allo sviluppo pag l informazione negata pag una prospettiva pag. 71

2 Una spiegazione Queste note sono il risultato di ragionamenti e discussioni sviluppati con amici di estrazione liberale, laica, socialista nel corso di quest anno 2008, durante il quale molti nodi, in Italia e nel mondo, sono venuti al pettine. Oggi una destra che non ha pari in Europa ha conquistato l egemonia politica e culturale nel Paese, più per demeriti altrui, che per meriti propri, e si pone oramai apertamente la questione della sopravvivenza della nostra democrazia. I ragionamenti che seguono sono incompleti, sovente privi di conclusioni propositive, e non toccano affatto tutte le questioni tuttora aperte nel nostro Paese; ma sono diretti a cercare di chiarire, in questo caso dal punto di vista di un liberale, su quali basi di cultura e di atteggiamenti e comportamenti politici ci si possa avviare, dopo il diluvio, ad immaginare quella Sinistra, liberale, socialista, democratica, che in Italia non c è mai stata. novembre

3 1- LA FRONTIERA LIBERALE l età postindustriale complessità ed articolazione della nuova società industriale interrogativi e limiti Il mondo d oggi è molto più complicato e variamente articolato di quello in cui si sono sviluppate le grandi concezioni politiche che hanno caratterizzato i due secoli passati: quella liberale, più antica, e quella socialista che è andata affermandosi nel corso dell 800. L evolversi delle società industriali ha seguìto dinamiche complesse, che hanno portato a rotture degli equilibri ed a fenomeni di crisi, e per un altro verso a processi di differenziazione e di articolazione sociale ed economica che non trovano spiegazioni compiute nelle descrizioni e nelle interpretazioni riconducibili al pensiero economico della scuola classica, e tantomeno in quelle che si innestano sul pensiero marxista. Le più che evidenti trasformazioni intervenute nei processi produttivi e nello svolgimento del lavoro, la riorganizzazione dell economia, i fenomeni di mobilità e di differenziazione sociale sempre più intensi e rapidi, la conseguente scomposizione e riarticolazione delle classi sociali, hanno profondamente trasformato i caratteri della società industriale e del capitalismo. Si tratta di processi tra loro interdipendenti e non separabili; nel loro insieme e nella loro rilevanza, motivano l uso del termine postindustriale, adottato da molti per sintetizzare le trasformazioni intervenute a modificare profondamente i caratteri della società industriale a cavallo tra il XX ed il XXI secolo. La società postindustriale non può essere compresa, né spiegata ricorrendo ad interpretazioni positiviste, vale a dire considerandola unicamente come il risultato dell applicazione, estensiva e profonda, della scienza e delle tecnologie in ogni campo delle attività umane. Lo sviluppo e la diffusione di tecnologie automatizzate, la computerizzazione della gestione amministrativa e dei processi produttivi, i sistemi di raccolta dati, di informazione e di comunicazione, ne sono stati un indispensabile supporto tecnico, consentendo ed anzi determinando il mutamento dei metodi di formazione delle decisioni ed i criteri di gestione e di controllo, rendendo possibile il governo di una quantità di informazioni prima inimmaginabile, e richiedendo il lavoro in gruppo da parte di competenze, capacità ed esperienze diverse e non necessariamente riunite in un solo luogo. Ma occorre riconoscere che gli effetti dell impatto delle nuove tecnologie hanno superato largamente ogni possibile spiegazione vista in termini di causalità meccanica, e che si sono messi in movimento fenomeni economici, sociali e culturali che le interpretazioni classiche e le profezie del secolo XIX non avevano in alcun modo potuto prevedere. Il capitalismo moderno ha accentuato la propria dipendenza dalla finanza, in uno stretto rapporto con i fenomeni della globalizzazione, costruendo al suo interno forme di potere che si collocano fuori da ogni controllo, e quindi chiusure nuove; ma, al tempo stesso la dipendenza dal sapere e dalla conoscenza ha aperto nuovi spazi di mobilità, conflittualità e libertà. Le disparità giuridiche e sociali che liberali e socialisti hanno combattuto e grandemente ridotto nelle società industriali, oggi si ripresentano tra aree diverse del globo, aprendo la strada a tensioni che minano alle fondamenta il modello dell Occidente civilizzato. Venuta meno la logica dei due blocchi contrapposti in termini ideologici e di potere, che in ogni modo apparteneva ancora ad una visione culturale eurocentrica, oggi assistiamo alla fine della missione dell uomo bianco, all emergere di nuove realtà politiche ed economiche di rilievo mondiale, a sfide economiche e culturali del tutto nuove. Tutti questi mutamenti di scenario, e le conseguenti prospettive, hanno trasformato profondamente l immagine del mondo alla quale eravamo stati abituati da tre secoli di storia caratterizzati da concezioni culturali e rapporti di forza ed economici fondati sulla preminenza, la diffusione e lo sviluppo dell Occidente: tra gli effetti del mondo globalizzato vi è anche quello che oggi si pongano problemi e conflittualità non più controllabili ricorrendo alle logiche ed ai metodi delle diplomazie tradizionali, né comprensibili attraverso le interpretazioni ideologiche del XX secolo, che comunque si collocavano all interno del quadro culturale occidentale. L esplodere della cosiddetta crisi finanziaria del 2008 ha reso evidente a tutti che i modelli sui quali il mondo industriale si era andato organizzando nel corso degli ultimi venti anni erano tali da minare alla radice i propri stessi presupposti. Ma occorre riconoscere che, già da tempo, negli osservatori più avvertiti, l ottimismo circa le prospettive dell evoluzione della società industriale stesse venendo meno e che, ribaltando le concezioni classiche, si è posta apertamente la questione di prevedere limiti allo sviluppo e di valutare la compatibilità tra questi e la possibilità stessa di sussistere dell economia industriale; ci si è domandato sino a qual punto fosse sostenibile il modello di un economia fondata su consumi consentiti da costi delle materie prime relativamente bassi, che ha alimentato durante la seconda metà del secolo, e sino a ieri, lo sviluppo della produzione di massa, rendendo praticabile l inclusività sociale della società dei consumi. 3

4 Si è iniziato a chiedersi fino a quando, in un mondo globalizzato, il welfare e la democrazia del mondo industriale potessero coesistere con la forza economica ed il basso tenore di vita delle nuove potenze economiche emergenti e con la fame e le malattie di quelli che non appartengono né al primo né al secondo gruppo. Ed ancora, si è posta la domanda su quale fosse la strada per preservare e diffondere le grandi conquiste di 25 secoli di pensiero e di storia europea: il dubbio, il pensiero critico e relativista, i percorsi verso la libertà e la democrazia, il concetto di società aperta. La stessa rapidità con la quale la crisi è dilagata ed ha trasferito i suoi effetti dalla finanza all economia ed alla produzione è già di per sé un chiaro segno di come già da tempo le basi, anche economiche e produttive, sulle quali sinora si è retta l economia mondiale, fossero ampiamente corrose. Questi interrogativi non hanno trovato risposte adeguate in quelle forme di liberismo senza regole e senza presupposti liberali che sono apparse come l ideologia della globalizzazione, ed i fatti lo dimostrano: il confronto tra l illusione della possibilità di funzionamento di un mercato assolutamente privo di regole ed i vincoli fisici ed ambientali imposti da disponibilità non illimitate di risorse, si è risolto nella promozione della logica del più forte come premessa al controllo dell accesso a materie prime, mercati, produzioni a basso costo. E, se l assenza di ogni regola ha consentito il prevalere della finanza sull economia, occorre anche riconoscere che questo non è mercato: il funzionamento di ogni mercato presuppone una costruzione giuridica fondata su regole riconosciute e condivise. Tantomeno ne sono offerte dalle teologie della società finale marxista o della salvezza cristiana che, anche ove non volendo considerarle solo sulla scorta delle rispettive degenerazioni temporali, finiscono col vedere come unica via salvifica l omologazione dell uomo e della sua società a modelli immanenti o trascendenti. Infine, è ancor meno sostenibile che l arroccamento e la chiusura in difesa del proprio benessere e della propria way of life che caratterizzano il moderno conservatorismo possano condurre a soluzioni e risposte utili, efficaci e durevoli, prima ancora che giuste. Il liberalismo inteso come teoria empirica, che si disinteressa del tutto della ricerca e della proposta di alcun fine ultimo per l uomo e per la società e che, invece, è molto interessato agli uomini che nella società agiscono, alle condizioni in cui essi vi operano essendovi soggetti attivi e passivi, ed ai fenomeni che ne derivano, e che riconosce differenze e conflittualità come uno dei presupposti del progresso e della libertà, contiene al proprio interno la possibilità di proporre di volta in volta i comportamenti rivolti ad assicurare capacità di sviluppo, apertura ed inclusività. il capitale finanziario si sovrappone all economia Tra i fenomeni che hanno profondamente trasformato i caratteri della società industriale, una prima considerazione riguarda la finanziarizzazione del capitalismo. Nelle teorie economiche classiche e nel pensiero marxista, il capitale era visto come un elemento essenzialmente industriale: i suoi processi di riproduzione sono legati alla produzione industriale, e destinazione e finalità proprie consistono nella tendenziale immobilizzazione nei mezzi di produzione, materiali e non. Per contro, si è osservata l importanza crescente, se non la predominanza, di un capitale che ha origine, forma e destinazione puramente finanziaria. Finchè sostenuti da attese di future variazioni, di qualsiasi segno, i mercati finanziari ne determinano l autoriproduzione e ne consentono l estrema mobilità; i fatti finanziari si trovano in connessione saltuaria ed indiretta con i fatti economici ed industriali; ciò avviene quando concorrono a determinare, attraverso il funzionamento dei mercati, il valore dei beni reali sui quali si fondano i fatti economici, o quando il capitale finanziario viene immobilizzato sotto forma di capitale industriale. La finanziarizzazione dell economia è stata una delle caratteristiche della nuova società industriale; al significato di mercato come luogo nel quale avviene l incontro tra domanda ed offerta vere - cioè fondate sui fatti dell economia - di beni ed entità reali, e nel quale i fenomeni speculativi si fondano sulla capacità di prevedere il futuro andamento della realtà, cioè sulla capacità di precorrere gli eventi economici, si sono aggiunti aspetti puramente finanziari, che nulla hanno a che fare con i fatti economici. Il mercato si è trasformato, diventando un grande gioco a catena, dove in sostanza si è scommesso sull andamento delle scommesse. L assenza di regole e l inadeguatezza degli strumenti di controllo ha fatto il resto; né, d altra parte, era pensabile che un sistema di regole potesse funzionare in modo efficace, quando la principale economia del mondo ha fondato, negli ultimi quindici anni, la propria crescita sul dilatarsi del debito interno ed esterno: in buona sostanza, divorando in consumi e spese militari più di quanto producesse. Così, si è trasformato il concetto stesso di valore, che non si è trovato a dipendere dall utilità economica di un bene o di un entità finanziaria, ma soltanto dall attesa di una maggiore o minore appetibilità finanziaria. Quantità enormi di denaro vengono guadagnate o perse in poco tempo, talvolta in poche ore, a seguito di oscillazioni relativamente piccole della quotazione attesa di un bene o di un titolo: i valori futuri ed ipotetici diventano in questo gioco, altrettanto importanti di quelli attuali e reali. 4

5 Se il risultato può esser visto come un gioco a somma zero ove ci si limiti ad osservare le cose all interno della finanza, questo non vale più è quando si guardino le cose dal punto di vista dell economia; il mutare del valore delle monete, delle materie prime, degli immobili, dei titoli, cioè degli elementi attraverso i quali economia e finanza si trovano collegate, fa sì che i fatti dell economia risentano in maniera importante e diretta degli effetti del gioco finanziario. I moderni sistemi di comunicazione e di informazione hanno resa possibile l operatività in tempo reale, con l unico vincolo imposto dai fusi orari, di un mercato finanziario unico e di dimensioni mondiali; un informazione su un crollo in una miniera, su un raccolto buono o cattivo, una previsione più o meno fondata, una dichiarazione politica, producono effetti immediati ed a cascata in tutto il mondo. L unicità del mercato rende possibile la totale mobilità del capitale finanziario e, per un altro verso, la concentrazione dei centri decisionali. E evidente come la finanziarizzazione del capitalismo ne abbia trasformato il significato e la struttura, costruendo un sovrapotere che è esterno all economia, ma che è in grado di produrvi effetti di assoluta rilevanza; ed è quindi capace di influire sulla vita di molti milioni di persone nella loro veste di consumatori, risparmiatori, produttori, lavoratori, senza che questi vi abbiano la minima possibilità di intervento, e senza che dalle culture politicoeconomiche tradizionali e dagli organismi politici esistenti possano arrivare adeguati criteri di comprensione e strumenti di controllo. Ed è altrettanto evidente come ciò porti direttamente a dover ridiscutere le concezioni culturali che costituiscono il substrato della moderna società industriale, che non è più quella degli economisti anglosassoni della scuola classica, e neanche quella descritta dalla tradizione socialista. Anche il mondo dell impresa, (in particolare, quello della grande impresa), è interessato da fenomeni di spersonalizzazione, finanziarizzazione e mobilità del capitale: il capitale industriale, poco mobile e legato ai mezzi di produzione, tende ad esser sostituito da capitale finanziario, legato all impresa esclusivamente dalla creazione di valore che questa in un modo o nell altro assicura, e pronto a voltarle le spalle nel momento in cui il risultato dovesse non rispondere alle attese o venissero individuate altrove migliori opportunità. Ne segue che, sempre più di frequente, il ruolo del capitalista cui Ricardo e Marx ci avevano abituato si disarticola: tramontata la figura del capitalista classico, sono i managers e gli esperti che li contornano a governare l impresa nel nome di un un capitale oramai finanziario, mobile e distante ed estraneo ai fatti industriali. Il loro compito è quello di produrre valore, sotto forma di dividendi o sotto forma di incremento di valore dei titoli: la creazione di valore diventa un imperativo categorico ed i periodici appuntamenti con gli analisti finanziari diventano, ben più che le assemblee dei soci, i veri momenti di verifica e conferma del lavoro svolto: è dall esito di questi che dipende il giudizio dei mercati sulle scelte e sulle strategie, e di conseguenza la creazione di valore finanziario. trasformazione dei concetti di produzione e di produttore. I metodi ed i luoghi della produzione industriale, per effetto delle innovazioni tecnologiche e delle nuove forme organizzative, si sono profondamente trasformati, ed insieme a loro sono mutati profondamente i caratteri ed il significato del lavoro e dei suoi protagonisti. Impresa grande e medio-piccola non differiscono soltanto nelle diverse dimensioni; queste non sono in sé elemento significativo di differenziazione, ma lo diventano nel momento in cui le rilevanti dimensioni finanziarie e di struttura hanno accelerato il passaggio a modelli organizzativi del tutto nuovi, con effetti tali da sovvertire il concetto tradizionale di impresa e di fabbrica. Nella grande impresa, buona parte del ciclo produttivo si è dematerializzata, e può venir localizzata in qualsiasi punto della Terra od in siti non facenti parte delle realtà aziendali; anche quelle fasi del ciclo produttivo che continuano a riguardare la materialità possono venir delocalizzate e governate da migliaia di chilometri di distanza, o parcellizzate in outsourcing presso specialisti. Anche l impresa medio-piccola non si identifica più completamente con la fabbrica, che tende a riguardare solo le fasi intermedie dell intero ciclo del prodotto, vale a dire quelle riguardanti la realizzazione materiale dei beni, restandone escluse, ma sempre più significative e determinanti, le fasi di studio e ricerca sul prodotto, quelle relative ai metodi ed alle tecnologie di produzione e quelle della distribuzione. In un futuro che ormai non è lontano, a queste verranno ad aggiungersi anche quelle riguardanti il riutilizzo, il riciclaggio e lo smaltimento dei beni prodotti, conducendo ad una visione integrata dell intero ciclo di produzione ed utilizzo. Outsourcing e delocalizzazione sono fenomeni caratteristici del nuovo mondo industriale. L adozione di queste tecniche si indirizza ad orientare l attenzione dell impresa sulle attività essenziali, ad incrementarne la flessibilità e l efficienza trasferendo segmenti della produzione e dei relativi servizi a quei soggetti ed in quei luoghi che più siano in grado di offrire competitività. Si vengono così a stabilire forme nuove di relazioni industriali, attraverso le quali vengono posti in outsourcing o delocalizzati anche i possibili conflitti di lavoro e sociali, 5

6 nonché i costi ambientali, trasferiti altrove ed a altri soggetti; e si aprono per questa via nuovi e diversi scenari di possibili conflittualità. Tra l impresa committente e le imprese che per essa producono o forniscono servizi si stabiliscono rapporti che tendono a collocare le seconde in condizioni sostanziali di totale sudditanza e con l unica tutela, formale e tardiva, dei codici civili e commerciali; nel mondo del lavoro si sviluppano altre contraddizioni e conflittualità, che si manifestano nel vedere la tutela economica e sociale del dipendente della grande impresa, oramai tecnico, affiancata e spesso consentita dall insicurezza e dalle basse retribuzioni di chi lavora in centri di servizio o di produzione dislocati un po dappertutto. L insicurezza accomuna così le imprese ed i lavoratori che, pur non facendone parte, si trovano a dipendere dai grandi complessi industriali, senza che le tradizionali forme di tutela giuridica e sindacale possano avere grande efficacia. Non solo; vi sono settori nei quali l outsourcing è totale, ed il produttore, ove si attribuisca a questo termine il significato tradizionale, non produce più nulla; esso si limita a promuovere e commercializzare quanto ha ideato, inventato, e messo a punto, avendone sostenuti i costi di ricerca e sperimentazione, ma che esso materialmente non produce; e ciò non riguarda più solo gli esempi classici della moda e del lusso, dal momento che oggi è possibile constatare una simile evoluzione anche in altri importanti settori industriali, quali l elettronica e la farmaceutica. il sapere e la conoscenza diventano fattori della produzione La crescente complessità degli aspetti organizzativi e tecnologici di strutture produttive ed amministrative, private e pubbliche, caratterizzate da dimensioni e da campi d intervento del tutto nuovi; le esigenze poste da una competizione sempre più larga, la necessità di una continua innovazione di prodotto e di processo, l esigenza di controllare e prevedere su scala mondiale scenari politici, economici, finanziari e commerciali complessi ed articolati, hanno fatto sì che nella società postindustriale il sapere e la conoscenza si siano aggiunti con sempre maggiore evidenza al capitale ed al lavoro come fattori della produzione. Questa affermazione esprime in termini del tutto sintetici la più rivoluzionaria delle trasformazioni della società industriale. Le concezioni marxiste avevano visto nel capitale e nel lavoro gli elementi costitutivi e strutturali della società dell era industriale; nel divenire della loro conflittualità il fondamento delle trasformazioni e della storia, ed avevano risolto nel concetto di falsa coscienza l adesione all ideologia dominante di frazioni delle classi subordinate; ed a queste interpretazioni sono rimaste sostanzialmente fedeli la visione delle masse integrate nel consumismo ad una dimensione di Marcuse e la critica della società autoritaria e tecnocratica di Habermas. Da circa mezzo secolo la sociologia sperimentale ha iniziato ad osservare l inizio dell assunzione di ruoli sociali ed identità culturali autonomi da parte di tecnostrutture che stavano estendendo il proprio ruolo, come conseguenza del sempre più largo fabbisogno di competenze tecniche, specifiche e neutrali nella formazione dei processi decisionali del potere economico o statuale. Più di recente, questi processi si sono intensificati ed accelerati; il sapere e la conoscenza applicati alla gestione ed al controllo di sistemi complessi e variamente articolati hanno ulteriormente esteso il proprio campo di azione; il loro ruolo non risulta più confinato al semplice apporto di competenze specialistiche riguardanti i procedimenti e le tecniche del progettare, organizzare, amministrare, produrre, distribuire. I portatori del sapere, delle conoscenze, dei metodi, investiti dall assunzione diretta di responsabilità che non hanno precedenti, si sono trovati a determinare le decisioni di fondo della società postindustriale: le scelte e le strategie delle grandi compagnie e dei movimenti della finanza, e quelle economiche, diplomatiche e militari degli Stati, ed in particolare quelle delle grandi potenze. Si sono così sviluppate, e continuano a svilupparsi, discipline, professionalità e competenze nuove, che si affiancano e sovrappongono a quelle dei tecnici e dei tecnologi della società industriale del secolo appena trascorso; dal momento che riguardano il controllo e l organizzazione della complessità e della mutevolezza, queste richiedono approcci e metodi del tutto innovativi, organizzati per sistemi e non per settori, interdisciplinari, ed aperti alla visione di scenari dinamici. Queste capacità operano sempre più direttamente nel definire i momenti decisionali: non si limitano ad apportarvi le necessarie indicazioni organizzative, economiche, tecniche, commerciali, ma diventano esse stesse strategia e decisione. Gli effetti della ricerca scientifica e di quella sulle tecnologie più avanzate non si limitano alla messa a punto di nuove teorie scientifiche o di invenzioni nel senso tradizionale del termine, ma intervengono direttamente nel progettare il futuro, costruendo scenari nuovi che riguardano le abitudini di vita, i modi di lavorare, i modelli di consumo, nel prevederne gli scenari, nel definire il perimetro di nuovi campi di attività, nel ridisegnare i vecchi. Il ricorso al sapere ed alla capacità di acquisire e gestire informazioni nel governo di sistemi che si fanno sempre più complessi, soggetti a fattori di variabilità molteplici e condizionati dai limiti sull uso delle risorse, è uno dei fatti che caratterizzano la modernità e l innovazione; coloro che sono in grado di acquisire, controllare e far uso di adeguate 6

7 conoscenze ed informazioni scientifiche, economiche, organizzative, militari, sono gli strateghi della nuova società industriale. Costoro costituiscono un gruppo sociale portatore di interessi e dotato di mentalità e caratteri culturali propri, che si manifestano nella forte propensione alla mobilità, aziendale e geografica, nel cosmopolitismo, nell uso dell inglese come linguaggio universale, nella condivisione ideologica delle convinzioni della neutralità della scienza e della tecnica e della loro capacità di trasformare la realtà, del potere efficiente. E un gruppo sociale dal quale emerge una forte omogeneità, assicurata dall abitudine alla collaborazione di gruppo e dalla comune formazione presso Università di particolare prestigio, alle quali a sua volta fornisce i docenti; l insieme e la specificità di questi caratteri, la collocazione ben definita nella società, il rapporto con i centri di potere, fanno sì che sia appropriato il parlare del formarsi di una nuova classe sociale, più che di un ceto, caratterizzata da meccanismi di mobilità interna fortemente improntati a merito, qualità e capacità individuali. l economia globale dall economia del consumo delle società industriali alla dimensione globale il liberismo ideologico si è riaffermato su scala mondiale attraverso la globalizzazione. La cosiddetta globalizzazione si è caratterizzata nel sovrapporsi, e su dimensioni mondiali, dei fenomeni che sono stati brevemente delineati; questi non sarebbero immaginabili prescindendo dall estensione e dall internazionalizzazione che hanno dato il nome al fenomeno: il termine globalizzazione denota connotati qualitativi e non solo puramente dimensionali, nel senso che alle dimensioni globali si sono accompagnati i fenomeni di delocalizzazione, la circolazione finanziaria, il cosmopolitismo, e l affermarsi dell ideologia liberista che lo hanno caratterizzato ed improntato, e che solo in una dimensione quasi universale si sarebbero potuti manifestare. La ricerca di una dimensione globale dell economia è il risultato di diversi fattori ed esigenze, non tutti nuovi. L economia del consumo si era costruita sul rapporto di sostegno reciproco tra produzione, retribuzioni, e consumo di massa; ed aveva imposto l adeguamento delle retribuzioni ad un livello compatibile con la produttività accresciuta e tale da poter sostenere i consumi, come condizione necessaria a sostenere lo sviluppo nell ambito delle economie industriali; questo meccanismo richiedeva l accesso a materie prime ed energia a costi relativamente bassi. Ma gli incrementi di produzione che il progresso tecnologico rendeva possibili, e che erano necessari a sostenere l economia dei consumi, non consentivano di sostenere indefinitamente politiche di crescita nell ambito di uno scenario di mercati nazionali o regionali; la competizione per la presenza su mercati sempre più vasti e per l accesso a materie prime a basso costo ha spinto alla ricerca di sbocchi per le produzioni dei paesi industriali e di fonti di materie prime in ogni luogo del pianeta. Questo processo non è del tutto nuovo, in quanto prosegue quanto era andato manifestandosi già nell età coloniale; la novità sta nella sua estensione e nel realizzarsi seguendo logiche strettamente economiche. Mentre il modello coloniale richiedeva il controllo politico-militare delle aree di influenza, quasi sempre prive di capacità politica propria nel rapportarsi con le economie dell età industriale, questo rapporto si realizza oggi attraverso la mediazione con le forme statuali, per lo più deboli e subalterne, che sono emerse dai processi di decolonizzazione. E, mentre il modello coloniale presupponeva l esclusiva della Potenza dominante su una determinata area, riconosciuta formalmente dai trattati e dalla diplomazia, oggi la competizione è più aperta. Alle tendenze all estensione dei mercati di smercio e di approvvigionamento, si sono poi aggiunte, in quanto rese praticabili dallo sviluppo dei trasporti e dalle tecniche di comunicazione e di informazione, le possibilità di mettere in atto forme di produzione a costi inferiori a quelli conseguibili nei paesi industriali, allargando ad una dimensione mondiale il raggio della delocalizzazione. Nei Paesi sviluppati, gli sviluppi sociali delle democrazie liberali hanno portato a respingere il liberismo radicale e senza regole, avviando politiche sociali e di tutela dei lavoratori, dei consumatori e dei risparmiatori, imponendo vincoli a tutela dell ambiente e norme antitrust a tutela dell apertura del mercato. La riorganizzazione della finanza, dell economia e della produzione su una dimensione mondiale, nella quale non esistono ancora efficaci poteri ed ordinamenti che siano in grado di imporre regole che abbiano maggiore efficacia di quelle che generalmente ed autonomamente la comunità degli affari riconosce e si autoimpone, e dove nei paesi meno sviluppati si incontrano generalmente controparti politiche al tempo stesso deboli e poco propense alla democrazia, ha fatto sì che fosse possibile praticare sul piano globale quello che le democrazie industriali non hanno più reso possibile al proprio interno. Respinto dalle politiche di tutela sociale delle democrazie occidentali come criterio cui informare i rapporti sociali ed economici interni, un liberismo senza regole ha improntato l economia e la finanza della globalizzazione, come l ultima delle ideologie del XX secolo. Ne 7

8 sono protagonisti il capitale finanziario e le grandi multinazionali capaci di spostare produzioni, servizi, acquisti, vendite, capitali, costi sociali ed ambientali da un luogo all altro della Terra; come in una regione mondiale, gli slums del mondo globalizzato non si trovano più nella periferia di Manchester o nelle zone minerarie del Galles, ma in alcune delle immense conurbazioni del mondo non sviluppato. fattori di criticità nel fenomeno della globalizzazione fattori di criticità interni alle società industriali Questo modello di organizzazione economica si è trovato a dover fare i conti con fattori intrinseci di criticità, dai quali è derivata la convinzione, che si stava facendo strada già prima della recente crisi anche tra gli economisti e politici di scuola conservatrice, che esso non fosse sostenibile all infinito. Un economia che si fonda sul consumo illimitato di risorse limitate, e che prescinda dalle compatibilità ambientali contiene in sé un limite fisico alla propria capacità di sviluppo: in queste condizioni, la tendenza di fondo all aumento dei prezzi di materie prime industriali ed alimentari non ha carattere congiunturale o puramente speculativo ed imporrà, anche nel mondo industriale, modelli di consumo diversi. Il costo delle materie prime energetiche, con il conseguente aumento dei costi dei trasporti, finirà per imporre la revisione dei criteri di localizzazione della produzione dei beni finiti o dei relativi componenti o semilavorati. Le economie dei paesi industriali a democrazia evoluta, caratterizzate da politiche sviluppate di welfare e di tutela del lavoro, sono esposte, in un mondo in cui circola ampiamente la conoscenza scientifica e tecnologica, alla concorrenza di quei paesi in cui quelle politiche non sono applicate o lo sono in misura molto più limitata, e che siano comunque in grado di adottare tecnologie sufficientemente competitive. Se fino ad oggi l Occidente ha potuto mantenere la guida dell economia globalizzata in virtù della propria superiorità scientifica, tecnologica e finanziaria, ciò è venuto meno nei confronti delle economie orientali, che dispongono di immensi mercati domestici e di meccanismi di accumulazione imponenti, resi possibili dal basso tenore di vita e dall assenza della democrazia politica. Il centro economico e finanziario del mondo, che nel secolo scorso aveva attraversato l Atlantico, sta oggi attraversando il Pacifico. E la consueta penetrazione dell Occidente industrializzato nelle aree meno sviluppate del pianeta, come l Africa centrale, e che data dagli anni del colonialismo, si trova oggi a competere con la presenza cinese per l accesso alle risorse energetiche ed alle materie prime. Le aree del mondo non interessate alla competizione tra la parte del mondo già sviluppata e quella che si sta sviluppando, o che è in grado di farlo, restano sempre più escluse dalle chances di sviluppo, paralizzate dai costi crescenti di materie prime industriali ed alimentari, dalle difficoltà di accesso al sapere, dalla mancanza di capitali, ed oppresse da fame, malattie, conflitti etnici, corruzione, dittature. In queste aree, l Occidente non è apparso nel suo volto migliore ed il fardello dell uomo bianco non è stato percepito come fattore di progresso, mentre l economia globalizzata è stata vista, spesso non a torto, come la versione moderna del colonialismo, creando così le premesse dei futuri scontri di civiltà. Ma i fattori di criticità non stanno solo nel difficile rapporto tra aree diverse del mondo: anche all interno delle società industriali, gli ultimi anni del secolo passato hanno visto accumularsi le tensioni che poi hanno condotto alla crisi di oggi. Le economie del mondo industriale hanno visto spezzarsi quel rapporto di reciproca interdipendenza tra produzione, retribuzioni e consumi che è stato il fondamento dell economia dei consumi: quote crescenti di reddito sono affluite ai profitti ed alla intermediazione finanziaria, organizzativa, commerciale, logistica. Il colosso americano ha risolto con la facile concessione del credito interno e con l esplosione del deficit e del debito pubblico la contraddizione tra l esigenza di mantenere gli elevati livelli di consumo necessari a sostenere la domanda interna, e quella di non penalizzare i profitti aumentando le retribuzioni. Così è stato inondato di dollari cartacei e virtuali il mondo, alimentando per questa via deficit commerciale, consumi, spese ed avventure militari. La finanziarizzazione dell economia ha fornito gli strumenti per cui questa realtà potesse apparire per diversa da quel che è, mascherata da dati confortanti sul PIL, sui consumi, sui valori immobiliari, rinviando al poi la soluzione del problema e le relative conseguenze. Oggi, questo meccanismo si è inceppato, e non sarà certo sufficiente un po di intervento pubblico, finanziato a sua volta da nuovi debiti, a rimetterlo in funzione, se non si risolvono le contraddizioni che hanno portato a questa situazione. la civiltà europea la Carta Atlantica testimonia lo spostamento degli equilibri mondiali Nel corso della prima metà del XX secolo, l Europa ha dovuto constatare come il centro di gravità della civiltà occidentale abbia attraversato l Atlantico. Anche se lo spostamento ad Ovest ha fatto seguito ad un evidente mutamento degli equilibri economici e 8

9 politici e dei conseguenti rapporti di forza, questa trasformazione si è svolta nel clima di una continuità culturale alla quale ha sostanzialmente contribuito la peculiarità dei rapporti che univano il mondo di lingua inglese e, attraverso di esso, le due sponde dell Atlantico. Questi rapporti, che l esperienza della IIa guerra mondiale ha consolidato, hanno fatto sì che, pur essendo venuti meno i rapporti di forza che avevano caratterizzato l età dell imperialismo, non venisse meno la fiducia nell eurocentrismo culturale, ed hanno fatto sì che venisse proposta al mondo la convinzione che lo sviluppo della civiltà occidentale e della democrazia parlamentare di stampo liberale potessero arrivare ad interessare l intera umanità, così come, con la particolarità dell eccezione sudafricana, era avvenuto nei Dominions, e si stava lentamente avviando in India. La Carta Atlantica che Churchill e Roosevelt hanno quasi simbolicamente firmato sulla sponda occidentale dell Atlantico, in piena guerra ma ancor prima che gli Stati Uniti vi fossero coinvolti anche in termini militari, essendo già attivamente schierati sul piano politico, ha testimoniato come il baricentro del mondo si fosse spostato ad Ovest. Nello stesso tempo, ha indicato il perdurare di quella fiducia e di quella convinzione; quelle poche righe mettono in luce i fondamenti ideali del modello culturale e politico che l Occidente ha inteso proporre al mondo per il dopoguerra; in quel testo si trova l origine di quei rapporti tra gli Stati Uniti e l Europa Occidentale che hanno alla fine reso possibile la sconfitta dei totalitarismi; e non è un caso se il termine atlantico ha definito, per tutto il mezzo secolo successivo, il modello politico cui l Occidente si è ispirato. inizia a venir meno la fiducia nella centralità culturale europea l Europa nano politico fragilità del modello americano Nel corso del dopoguerra, la fiducia eurocentrica, sia pur confinata agli indirizzi culturali, è andata progressivamente e rapidamente venendo meno; quella stessa Europa che emergeva dalle rovine e dalle dittature, ed avviava la propria integrazione economica, rendeva palese la propria debolezza politica con le alterne vicende della CPE e della CED che hanno fin da allora prefigurato le difficoltà attuali; l esito della crisi di Suez ha rappresentato agli occhi del mondo il fatto che la barra del timone era passata definitivamente di mano e che l Europa si andava ormai subordinando al modello del capitalismo americano ed alla sua forza economica e militare, accettandovi un collateralismo subordinato. Nello stesso tempo, la logica della quasi-guerra e del confronto di potenza tra i due blocchi, facendo anteporre ad ogni altra valutazione le considerazioni circa l appartenenza all uno o all altro blocco, ha prodotto la conseguenza che venisse a cadere la possibilità di sperimentare quei principii di democrazia e di apertura internazionale che la Carta Atlantica aveva indicato, inducendo a condurre la decolonizzazione nel peggiore dei modi, e facendo sì che sovente venissero sostenuti regimi corrotti ed autoritari, purchè schierati dalla parte giusta. Venuta meno l URSS, ci si sarebbe potuti attendere che la fine della logica bipolare potesse condurre gli europei ad una concezione dell Occidente meno polarizzata sugli USA, e più aperta; ma la paralisi indotta dal conflitto tra la logica della costruzione dell Europa politica e le ricorrenti resistenze ruotanti attorno all idea di nazione ha aggravato l incapacità degli europei ad organizzare una politica estera ed una politica di sicurezza comuni. Le questioni di Israele e del Medio Oriente, le crisi balcaniche, la risposta al terrorismo, la necessità di stabilizzare i rapporti internazionali, hanno reso evidente come l Europa fosse ancora lontana dal riuscire a sostenere un ruolo autonomo, neanche in un mondo multipolare e nel quale la visione dei rapporti internazionali veniva sottratta alla logica ideologica della guerra fredda, e si orientava a dipendere da prevalenti valutazioni geopolitiche. E venuta così a prevalere, quasi in modo rassegnato, la concezione di un Occidente che si è adattato a vedere il suo centro nelle dottrine dell establishment dei repubblicani americani sull uso della forza economica e militare, ultime discendenti del mito della missione dell uomo bianco, nell idea che interessi, civiltà, forme politiche e modelli di comportamento occidentali possano e debbano essere imposti od esportati se, dove, quando e come ciò sia ritenuto conveniente. Come visto, si tratta di un modello contenente in sé elementi di debolezza intrinseca sul piano economico e su quello culturale, che oggi sono venuti al pettine. La civiltà dell occidente deve oggi fare i conti con i costi di materie prime energetiche, industriali ed alimentari sempre più scarse rispetto ai bisogni ed ancor più rispetto ai consumi, con l emergere della potenza economica, ed ormai anche militare, della Cina, con l avanzata economica dell India e del Sud Est asiatico. Oramai gli armamenti nucleari sono a disposizione, o lo saranno a breve, di Paesi nei quali la razionalità delle scelte, alla quale il blocco sovietico non si è mai sottratto, viene vista come espressione del materialismo occidentale, ed i cui comportamenti sono quindi in modo imprevedibile dettati da logiche di rivalsa regionale o tribale. Il pilastro economico dell Occidente è in una crisi profonda, dovuta ad anni di indebitamento interno ed esterno, e sarebbe sufficiente l immissione sul mercato di una parte dei dollari in loro possesso da parte della Cina o di alcuni Paesi Arabi per far crollare la finanza, ed a ruota, l economia mondiale. 9

10 E l Occidente deve prendere atto di come i principii di autodeterminazione, libero accesso alle risorse, solidarietà internazionale e disarmo, che pure sono alla radice della sua visione politica, siano andati svuotandosi nell esperienza dei fatti; e deve registrare la sempre più evidente difficoltà di riuscire ad esportare la cultura e le forme politiche delle democrazie occidentali. Queste non appaiono attraenti ad un mondo nel quale domina largamente la miseria e, con essa, il desiderio di rivincita culturale e religiosa nei confronti di un Occidente razionale, illuminista e liberale, ma al tempo stesso pronto a dimenticare quel che proclama; ne è manifestazione l avanzata progressiva dell Islam nelle sue forme più integraliste che, conquistando posizioni un paese dopo l altro, sembra prefigurare un nuovo scontro di civiltà e ridurre ancora una volta il Mediterraneo ad essere l area di frontiera tra due mondi contrapposti in termini culturali ed economici. La certezza di una indiscutibile e rassicurante superiorità tecnica, economica e culturale del mondo dell uomo bianco, viene messa in discussione in maniera sempre più aperta dalle ostilità nei confronti della sua penetrazione economica e politica. Visioni integraliste, ideologie terzomondiste, e nazionalismi si affiancano nel vedervi accomunati il volto rapace e quello umanitario e democratico dell Occidente, senza volervi cogliere alcuna distinzione. Resta da vedere se dagli atti e dalle scelte che faranno seguito alla recente vittoria elettorale di Barack Obama, al di là del grande significato dell immagine di un America non WASP, potrà venire una nuova e maggiore capacità dell America di proporre al mondo concezioni aperte e non unilaterali, che sono la premessa di quella cooperazione internazionale della cui mancanza oggi ci si lamenta. In questa speranza, l Europa ha un ruolo importante da giocare; di fronte al prorompere della crisi, la sua debolezza passa in secondo piano: quel che oggi è determinante sono la capacità di analisi e di proposta, riguardo alle quali essa ha ancora qualcosa da dire. dall Europa può arrivare una risposta alla crisi occidentale Mentre, col venir meno delle certezze dello sviluppo senza limiti e della sua non contestabile superiorità, sembra prefigurarsi la crisi della civiltà occidentale e sembra farsi strada la prospettiva di uno scontro tra civiltà, l Europa ha da proporre le conquiste filosofiche e culturali cui è arrivata dopo oltre 25 secoli di storia, e che la rendono, nonostante tutto, un oasi di tolleranza in un mondo che si sta nuovamente rinchiudendo nelle certezze religiose, ideologiche, nazional-razziali. Dubbio, atteggiamenti culturali non dogmatici, critici e relativisti, libertà e democrazia, visione aperta ed inclusiva della società e dei rapporti internazionali: la civiltà europea non possiede altre radici comuni che queste, sia pur cresciute e maturate nel corso della storia attraverso guerre e dittature, non imposte dalle rivelazioni umane o divine, ma costruite dalla razionalità umana; e qui si trovano le uniche fondamenta sulle quali sia possibile realizzare la costruzione europea. E sono anche gli unici presupposti sui quali possa essere costruita una risposta alla crisi del mondo occidentale, attraverso la proposta di una visione aperta, relativista e cosmopolita, non tribale, che fa considerare la diversità e la pluralità degli interessi, delle culture, delle convinzioni e delle credenze, tra loro in rapporto di conflittualità laicamente tollerante, come fattori di progresso e di apertura. La civiltà europea è cresciuta e si è sviluppata all interno ed in virtù di questo pluralismo di diversità; si è costruita nello scontro e nell incontro tra civiltà greca e romana, tra mondo latino e germanico, nella koinè intellettuale e cosmopolita che ha avuto inizio con l Illuminismo, nella invenzione politica della democrazia liberale e della sua evoluzione in senso sociale, nello sviluppo della critica reso necessario dal procedere del dibattito filosofico, scientifico e culturale; in una parola, nell affermarsi di atteggiamenti relativisti e cosmopoliti. Con il sostegno di una costruzione politica forte e conscia del proprio ruolo culturale, politico ed economico, la civiltà europea può offrire criteri metodologici per pervenire a relazioni economiche ed internazionali più adeguate ad affrontare il futuro, operando come importante fattore di stabilizzazione ed apertura all interno di un mondo che ormai è multipolare sotto il profilo culturale, economico, dei rapporti di forza. Ciò richiede che non prevalga il tribalismo culturale, religioso ed economico, che oggi si manifesta nella concezione dell Europa delle patrie, nella crociata dei cattolici contro il pensiero aperto ed il relativismo scientifico e culturale, nel timore del diverso, visto come nemico da sconfiggere o almeno da tener distante, nelle ricorrenti illusioni neoprotezioniste di una parte del mondo occidentale. Il conservatorismo, sia che esso tragga origine da una matrice empirica o che si fondi sull ideologia, rifugge il confronto e la diversità, e preferisce l illusione di una rassicurante chiusura della cittadella del noi nei confronti del mondo diverso ed ostile degli altri, dei barbari che premono alle frontiere del benessere e della nostra idea di civiltà; esso tende a chiudersi in una visione precaria proprio in quanto stazionaria, alla quale non seguono altri sbocchi che quello della lotta tra forze e civiltà contrapposte. 10

11 Lo sviluppo e la sopravvivenza stessa delle conquiste dell Occidente sono invece legati al concetto della trasformazione e dell evoluzione determinate dagli scambi e dalle influenze reciproche, così come è avvenuto nei venticinque secoli di storia europea, rendendo necessaria un idea aperta e multilaterale dei rapporti economici e delle relazioni internazionali. Purtroppo per noi, l Italia si è rapidamente collocata in prima fila nel sostenere posizioni di chiusura culturale ed economica, non contraddette, ma anzi rafforzate, dalle incaute e personali aperture a substrato affaristico del nostro premier nei confronti di regimi palesemente antidemocratici ed autoritari, maturate al di fuori da ogni discussione sulla nostra posizione internazionale, e che sembrano far pensare ad una politica estera personale del cav. Berlusconi. la paura di Tremonti la speranza conservatrice Ma le risposte non possono essere di stampo conservatore; o, peggio, reazionario, quali sembrano essere gli indirizzi sui quali si sta orientando il nostro Paese. Al riguardo, è illuminante l evoluzione del pensiero di colui che appare oggi come un coerente interprete del conservatorismo europeo. Con il suo recente libro, Giulio Tremonti ha il merito di aver aperto un ragionamento su questi problemi; egli ha posto pon con chiarezza i problemi che il moderno capitalismo deve affrontare, in una lucida esposizione di stampo conservatore, ove egli ci parla di paura e di speranza. La paura, descritta con abilità e capacità di analisi, sta nelle percezioni del mondo occidentale, e degli europei in particolare, nella sensazione quasi fatalistica di procedere verso un futuro che non promette nulla di buono e messo nelle mani di forze oscure ed incontrollate, tra le quali il mercatismo e la finanziarizzazione. Tremonti, nel distinguere tra incontrollato ed incontrollabile (e, se così non facesse, non vi sarebbe neanche la possibilità di una speranza), si allontana dal liberismo ideologico e senza regole, che critica duramente pur dopo averlo praticato, non in quanto fonte di iniquità, ma vedendovi l inevitabile conclusione del declino e della sconfitta dell Occidente ricco e cristiano; ed è distante, ovviamente, dalla critica neomarxista all economia globale che, avendo presupposto la società postindustriale come incontrollabile ed incorreggibile, conclude con la conseguente necessità di combatterla frontalmente, riaggiornando ed estendendo il concetto di lotta di classe. Ed è già la scelta del termine paura a prefigurare gli orientamenti sui quali viene ad indirizzarsi la speranza, cioè le conclusioni. E tipico del pensiero conservatore il muovere dal concetto di paura; che questa si manifesti nei confronti dell ignoto, del nuovo, del diverso, di una nuova religione, di una invenzione tecnica, di un nuovo ordine sociale, la paura è sempre stata, nella storia umana, la premessa del chiudersi del pensiero, della conservazione, dell autoritarismo culturale e politico. Il senso di insicurezza nei confronti del futuro, il timore del pericolo esterno, del nemico che incombe alle frontiere, che questo abbia le sembianze dei barconi dei boat people, dei containers di merci cinesi, dell Islam, degli omosessuali o di chi sia comunque diverso, sono la premessa di una comunità internazionale e di una società chiuse ed esclusive, che si autolimitano nel loro villaggio a difesa del proprio benessere e dei propri totem. Ma per quanto? La matrice conservatrice si rivela, appunto, a pieno nel momento in cui dalla paura si passa alla speranza. Questa, secondo Tremonti, segue due percorsi. Il primo percorso interessa strettamente i fenomeni economici, riguardo ai quali ammette francamente la necessità di imporre un sistema di regole al capitalismo finanziario, prefigurando la Bretton Woods del nuovo capitalismo; questa conclusione è in sé ragionevole, ed è del tutto condivisibile da un punto di vista liberale. Il liberalismo come teoria empirica della libertà richiede regole perchè un qualsiasi mercato possa operare ed essere aperto; è quindi necessario che si arrivi a condividere un etica commerciale ed industriale comune, che le regole del gioco finanziario siano chiare, trasparenti, e tali da riavvicinare la finanza all economia; è necessario che l uso delle risorse e dell ambiente sia condiviso e concordato; che il problema delle condizioni di vita nei diversi angoli del globo sia affrontato secondo logiche di cooperazione; che i valori economici e quelli finanziari si riavvicinino; che non vada a prevalere la logica ideologica di un liberismo senza regole. Ma il conservatorismo si svela quando, alle regole si affianca la ricerca di politiche protezioniste e dirigiste rivolte a difendere la cittadella del benessere, e riappaiono, ancora una volta, concezioni stataliste; è una conclusione non nuova per la cultura conservatrice (e di quella italiana in modo particolare), che la storia ci ha insegnato a vedere liberista o protezionista a seconda di convenienze, circostanze e rapporti di forza. L enfasi con la quale viene sottolineato il ruolo della speculazione finanziaria nel determinare i forti incrementi di prezzo delle materie prime energetiche ed industriali e degli alimenti di base, e che motiverebbe politiche dirigistiche, prescinde dalla realtà di una popolazione mondiale in continuo aumento, i cui incrementi di consumi alimentari ed energetici sono in rapporto più che proporzionale con la crescita della popolazione: la dieta ed 11

12 i consumi di un indiano o di un cinese, pur bassissimi in rapporto ai nostri standards, sono comunque migliorati grandemente negli ultimi decenni, senza che la disponibilità di derrate alimentari e le riserve e la produzione di petrolio abbiano potuto seguire la domanda. I rincari generalizzati, al di là delle oscillazioni congiunturali, si collocano in una tendenza che non sarà di breve periodo, che può anche essere amplificata dai fenomeni speculativi, o frenata da situazioni di crisi, ma che risponde a dati strutturali: non saranno il protezionismo ed il dirigismo a combattere il fenomeno, ma politiche concertate di incremento delle produzioni agricole, di miglior sfruttamento ed utilizzo delle risorse energetiche, di contenimento e razionalizzazione dei consumi. Una volta che un sistema di regole abbia stabilito le leggi del gioco, la potenzialità competitiva di un economia sta nella sua vitalità e nella capacità di innovare, risolvendo problemi e fattori di criticità con idee, tecnologie, forme organizzative nuove, e non può esser fondata durevolmente sull imposizione di barriere. L Europa non ha altra speranza che questa e, detto per inciso, è su questo punto che si manifesta il più grave ritardo del sistema-italia. E, se una critica va fatta a quello che Tremonti definisce come mercatismo, questa non sta nel fatto che vi sia stato un eccesso di mercato, ma piuttosto un difetto di mercato effettivamente libero: se per mercato libero si intende un meccanismo trasparente, ove la parità di opportunità e di accesso alle informazioni sia concreta ed effettiva per tutti, occorre riconoscere che ciò non è stato e non è; e le regole, delle quali tutti riconoscono la necessità, devono mirare a questo, e non alla predeterminazione del risultato. Una visione liberale ed aperta delle questioni che il mondo deve affrontare, e che Tremonti tratta nel suo libro, non può considerare il protezionismo commerciale ed il dirigismo come una risposta; sono inutili in quanto inefficaci, non sostenibili se non sull arco di un tempo congiunturale, e sono esposti alla ritorsione; sono infine, alla lunga dannosi in quanto prefigurano i risultati ed impediscono ai più capaci di emergere, consentendolo invece, esattamente come in una situazione di totale assenza di regole, ai più forti. Protezionismo e statalismo sono le forme più grossolane ed illiberali di controllo del mercato, nel momento in cui non tendono a stabilire regole entro le quali chiunque possa operare liberamente, ma tendono a prefigurarne il risultato, snaturando il concetto stesso della responsabilità individuale. la chiusura reazionaria. le risposte alla crisi L indebolirsi dei concetti di autonomia e responsabilità individuale, apre il secondo percorso della speranza di Tremonti, quello culturale, che giustamente Tremonti considera rilevante; ma è qui che se ne manifesta compiutamente l essenza reazionaria, ancor più che conservatrice, nel momento in cui si fissano limiti al concetto di autonomia dell individuo, che viene subordinato a costruzioni valoriali che lo sovrastano. Questa speranza, che non è confinata in un campo strettamente economico, presuppone lo schierarsi a difesa di una concezione chiusa e valoriale della civiltà Europea, considerata superiore ad ogni altra. Ciò comporta l accettazione della logica dello scontro di civiltà, e presuppone un interpretazione della storia che è quella stessa che il papato di Ratzinger porta avanti, e che ha fatto lamentare i cattolici per il mancato richiamo nella Costituzione dell Europa alle sue presunte radici, in un primo tempo cristiane e poi, accortisi della dimenticanza, giudaico-cristiane. E bisognerà pur ammettere che, in nome di queste radici, come di qualsiasi altra radice rivelata, raramente l Europa ha dato il meglio di sè stessa, ai suoi abitanti ed ai suoi vicini (tantum religio potuit suadere malorum). Ne segue la ripulsa di ogni atteggiamento relativista, in piena assonanza con le tesi del prof. Pera ed in radicale contrasto con quanto l Europa, nella sua storia contradditoria ed articolata, oggi è e rappresenta, purtroppo in modo ancora inefficace. Pur riferendosi a campi diversi, protezionismo, dirigismo e negazione del relativismo hanno la stessa matrice culturale: quella di considerare l individuo come incapace di autonomia e bisognoso della tutela di un autorità superiore, di Cesare per un verso, e della divinità per un altro. Tutto diventa ancor più chiaro nel momento in cui Tremonti, rendendosi conto, a differenza dei post-marxisti, che le tendenze culturali giocano un ruolo che non è sovrastrutturale, indica la ricetta valoriale che l Europa dovrebbe praticare e proporre: valori, famiglia, identità, autorità, responsabilità, federalismo, ed indica nel 68 l inizio della distruzione di questi valori nel mondo occidentale. Sbagliano del tutto, quindi, quegli oppositori delle dottrine liberiste che vedono compiaciuti nella conversione del prof. Tremonti il riconoscimento dei limiti del liberismo, che per altro erano già stati ampiamente individuati e riconosciuti dal liberalismo empirico. In quello che solo superficialmente può apparire come un mutamento di fronte, vi è invece la consapevolezza, da lucido conservatore, di doversi preparare alla difesa della cittadella dai barbari. Che non sarà certo salvata da un po di dazi aggirabili e dall arroccamento culturale, ma solo dalla capacità di relazionarsi con gli altri e dalla proposta di un modello di relazioni culturali, politiche ed economiche aperto, competitivo, inclusivo, per il quale la civiltà europea potrebbe essere particolarmente attrezzata. I caratteri di questa impostazione condizionano le risposte che vengono date alla crisi economica che si è abbattuta sulle economie del mondo intero. Queste sembrano risentire dei 12

13 limiti di queste analisi: le proposte appaiono parziali e limitate, e non in grado di rimettere in movimento l economia reale: l aumento della domanda non potrà derivare da bonus e da palliativi del genere, ma solo dalla riduzione strutturale dello squilibrio tra retribuzioni e profitti, tra economia e finanza. Il sostegno delle singole economie non può fondarsi sul protezionismo, che non farebbe altro che innescare una serie infinita di contromisure, dalle quali uscirebbero distrutti quei sistemi produttivi che, come il nostro, più si fondano sulla capacità di interscambio tra materie prime e prodotti industriali; né, d altra parte, ha oggi alcun significato il vedere la questione in termini di economie nazionali o di area. Tantomeno si possono reimmaginare soluzioni dirigiste, come sembrano concordare liberisti pentiti e statalisti incorreggibili; se è condivisibile l affermazione che il primato spetta alla politica, questa deve limitarsi al suo vero compito, che è quello di fissare le regole e gli obbiettivi da assegnare all economia, ed al quale essa è venuta meno con l ideologia del liberismo senza regole che ha accomunato i conservatori sulle due sponde dell Atlantico. Occorre invece rendersi conto che le maggiori responsabilità di questa crisi stanno negli eccessi ideologici di una politica che ha perso di vista, questa volta in senso liberista, la ragione empirica (cioè il buon senso), parlando di flat tax, di deregulation, consentendo livelli abnormi dei profitti e la mortificazione delle retribuzioni, lasciando liberi i sistemi bancari di inventare prodotti finanziari fondati sul nulla, e destinati a scaricare altrove quei rischi che coscientemente venivano assunti in modo incauto. Qualsiasi politica di intervento pubblico si intenda oggi proporre, essa sarà utile ed efficace solo se: miri a sostenere la domanda attraverso l adeguamento della capacità di spesa delle fasce più larghe della popolazione, fondato su flussi e non su regalie una tantum, anche ricorrendo a più eque e non episodiche politiche fiscali ed alla riduzione delle imposte indirette. ponga in atto politiche di spesa pubblica mirate e di qualità, che privilegino le spese per investimenti (i consumi spettano inanzitutto alle famiglie, non allo Stato). non sia finanziata unicamente dal deficit pubblico, cioè da nuovi debiti, ma sia accompagnata dalla riduzione delle spese improduttive e di quelle poco capaci di essere leva di sviluppo. non si traduca in interventi di salvataggio che fatalmente finirebbero col favorire alcuni e punire altri. sia fortemente caratterizzata in termini qualitativi, con chiare priorità, e si incentri sulla promozione della domanda nei settori-chiave per lo sviluppo (infrastrutture, ambiente, energie alternative, ricerca): non sarebbe cosa inutile ricordare l esempio della Tennessee Valley Autority. siano evitino interventi a pioggia e ripartiti sulla base di criteri localistici di consenso, che porterebbero solo alla dispersione delle scarse risorse disponibili. si tenga sempre presente l esigenza di assicurare la trasparenza e la capacità di operare del mercato e della concorrenza. ed infine, non trascuri, in tempi che si annunciano non facili, la necessità di assicurare, attraverso livelli adeguati di giustizia sociale, ed attraverso il funzionamento corretto e partecipato della democrazia, la coesione della società. Non sembra che i primi interventi del governo italiano (e non solo di quello italiano) rispondano a queste necessità. Il piano cinese appare più coerente ed adeguato per dimensioni, in quanto fondato su vera domanda pubblica aggiuntiva e mirata ad obbiettivi e priorità, e non su fondi già stanziati o su interventi privati dei settori protetti, il cui costo ricadrebbe poi sui consumatori. Si richiede quindi la capacità culturale e politica di tracciare e saper proporre al mondo strade nuove per il capitalismo e per la società industriale, senza abbandonarsi alle nostalgie preindustriali di chi nega alla radice quel progresso che comunque la società moderna ha portato con sé, e senza abbandonarsi alle tentazioni dirigiste e tecnocratiche che oggi sembrano tornare di moda. Per restare in Italia, non sembra credibile che tale capacità possa essere espressa da coloro che sembrano più interessati alla tutela di interessi particolari quando non personali, allo svuotamento della democrazia e delle sue istituzioni, ad una visione chiusa, provinciale ed unilaterale delle relazioni internazionali di quanto non siano interessati al realizzarsi di una società aperta, libera e competitiva. le risposte liberali processi di secolarizzazione nei confronti del pensiero forte Siamo così in presenza di modi di lavorare e di produrre del tutto nuovi, che sovvertono il modo col quale siamo stati abituati a descrivere la società industriale; questa si è sviluppata seguendo processi e pervenendo a risultati del tutto diversi dalle profezie marxiste, che avevano visto nell inevitabilità del conflitto tra capitale e lavoro il motore della storia e la 13

14 categoria generale attraverso la quale i fenomeni sociali, politici e culturali avrebbero trovato spiegazione razionale, e per le quali non poteva venir riconosciuto un carattere strutturale e storico ad alcun cambiamento che non fosse collocato nel quadro del mutamento dei rapporti di produzione. La concezione di una storia fatta di leggi ferree, che ricorre al principio di contraddizione per spiegare le divergenze tra l induzione dai fatti e la deduzione dalla teoria, indirizzandosi comunque ad un destino finale, è risultata sempre meno in grado di spiegare quanto è andato manifestandosi nelle società industriali. Ed in ogni caso, le diverse manifestazioni del socialismo reale, se hanno in alcuni casi portato al miglioramento delle condizioni di vita e del tasso di soddisfacimento dei bisogni primari dei ceti inferiori, non hanno mai portato alla società senza classi ed a forme aperte e libere di organizzazione della società. Il crollo delle forme economiche e politiche del socialismo reale ha coinciso con la crisi del pensiero forte, ideologico e determinista, e con l affermarsi di quelle linee di pensiero che sono state definite come pensiero debole. Ma categorie interpretative ed atteggiamenti dedotti dal pensiero forte permangono tuttora a condizionare sovente i modi di pensare ed i comportamenti che si riscontrano nei corpi della società, così come vengono espressi da intellettuali, forze politiche, sindacati. Si profila così un crescente distacco tra le nostalgie dei chierici del pensiero forte ed i molti processi di secolarizzazione che, attraverso comportamenti e opinioni individuali, larghe fasce del mondo del lavoro manifestano nei loro confronti. Termini come coscienza e lotta di classe, operaismo, proletariato, suonano irrimediabilmente datati e desueti anche all interno del mondo del lavoro, le cui preoccupazioni e speranze sono rivolte alla sicurezza ed alla dignità del lavoro, alla non mortificazione dei salari, all equità fiscale, ad un adeguata mobilità sociale, alla salute ed alle politiche di welfare, all ambiente di lavoro, alla scuola dei figli, più che ad una rivoluzione sociale della quale anzi tende a diffidare, vedendola incapace di dare risposte se non nella visione di uno Stato onnipotente ed onnipresente, distante ed al di sopra delle aspirazioni degli individui e dei gruppi sociali che questi vengono a costituire. Si riscontrano così, negli atteggiamenti culturali del mondo del lavoro in rapporto alla tradizione dell operaismo processi simili a quelli che si manifestano da parte dei credenti nei confronti del credo religioso: pur non respingendo l autorevolezza della religione in quanto guida valoriale, i comportamenti individuali tendono ad essere sempre meno improntati a criteri di conformità ai canoni tradizionali. nuove conflittualità Nell arco di 150 anni dal Manifesto Comunista, sono radicalmente mutati i caratteri del capitalismo, si sono manifestati aspetti del tutto nuovi di differenziazione e di stratificazione sociale, e sono intervenute nuove ed impreviste forme conflittuali; si è quindi aperto lo schema capitale-lavoro o borghesia-proletariato in forme e manifestazioni che non trovano spiegazione ove questi presupposti non vengano ridiscussi, in quanto non danno ragione delle relazioni e delle conflittualità tra l economia e la finanza; tra chi produce e chi consuma; tra la proprietà giuridica ed il controllo; di quelle interne all imprenditoria tra la grande impresa e la piccola, da questa dipendente; di quelle tra chi è garantito dai sistemi di protezione del welfare e chi non lo è o se ne trova ai margini. Si tratta di forme di differenziazione e di conflittualità non riducibili alla visione binaria dei rapporti di produzione e definita nel concetto di classe, nella quale un termine si contrappone univocamente all altro, ma sono caratterizzate da sovrapposizioni, articolazioni plurime, convergenze, conflitti su interessi comuni, e da riposizionamenti diversificati in funzione delle trasformazioni avvenute. E vi si possono aggiungere le conflittualità dipendenti dalla divisione su scala mondiale del lavoro e della produzione, evidenziate da un mercato che mette a diretto confronto realtà radicalmente distanti in termini di caratteri culturali di fondo, caratterizzate da livelli diversissimi di sviluppo tecnico-economico e politico, che, anch esse, sono state interessate da processi evolutivi che non possono essere dedotti dalle interpretazioni classiche riguardanti il colonialismo e l imperialismo. Contraddicendo del tutto la profezia dello sfruttamento e dell asservimento crescenti, l articolazione plurima e non univoca delle conflittualità interne alla società industriale ne ha portato i partecipi ad un livello di benessere, non solo materiale, ed a condizioni di libertà mai visti prima nella storia umana. Il progresso tecnologico ed economico non sono sufficienti, da soli, a spiegare questi processi, e tantomeno arriva a spiegarli una concezione della storia vista come la realizzazione di un fine. La pluralità delle differenze e dei conflitti, non riconducibili ad uno schema univoco, è stata invece la premessa delle lotte culturali, politiche e sociali per l affermazione delle libertà individuali e politiche, quali si sono configurate negli ideali dello Stato liberale che garantisce eguaglianza giuridica a tutte le diversità, e del suo allargarsi a garantire eguaglianza di opportunità a prescindere dalle condizioni di partenza. Questi ideali sono ancora ben lontani dall essere compiutamente tradotti in realtà; ma non può esservi dubbio sul fatto che la società postindustriale sia più differenziata, pluralista ed aperta di tutte quelle che l hanno preceduta. 14

15 attualità dell impianto metodologico liberale la frontiera delle libertà si sposta, ma non scompare monocultura e conformismo L impianto metodologico del pensiero liberale, nel suo carattere di teoria razionale, critica ed empirica fondata sul rapporto induzione-deduzione e sul criterio di falsificabilità delle asserzioni, esce rafforzato e reso attuale dalla constatazione della pluralità dei processi di differenziazione e delle conflittualità attraverso le quali si è sviluppata la società industriale, che non sono spiegabili restando all interno di una qualsiasi visione univoca e deterministica. L irrazionalità di queste ultime trova conferma nella necessità di servirsi di categorie dialettiche negative, quali i concetti di peccato, di alienazione, di falsa coscienza, di contraddizione, alle quali il pensiero chiuso e forte, che si trova nella necessità di spiegare il tutto all interno di un unica costruzione monolitica, è costretto a ricorrere per eludere il criterio razionale -e liberale- della falsificabilità empirica delle asserzioni, ogni volta che si presenti un fenomeno non esattamente previsto dalla teoria. La concezione liberale della società aperta presuppone invece forme articolate e mutevoli di diversità, come premessa del conflitto, del pluralismo e del mutamento. Tutte le diversità sono importanti e preziose: quelle naturali, quelle culturali, quelle sociali e quelle degli interessi economici; e concorrono tutte all apertura, alla competività ed a far sì che il problema della libertà non possa venir posto in un unico modo e da un unico punto di vista: la libertà non è una conquista definitiva, od una condizione garantita una tantum dallo stato, ma si articola al plurale, nelle libertà che si manifestano nella serie infinita delle possibilità e delle opzioni di ciascuno di realizzarsi al meglio delle sue capacità e delle sue aspirazioni. Nello Stato liberale le istituzioni sociali e politiche sono organizzate secondo le regole minime necessarie ad assicurare l eguaglianza giuridica delle diversità ed a consentire, attraverso la partecipazione, la razionalità, la possibilità, la positività del manifestarsi delle diverse conflittualità. Al contrario di quanto postulano gli ideali egualitari che rifiutano il concetto stesso di differenza, diversità non significa diseguaglianza ed iniquità; l esperienza, anche quella del socialismo reale, ha mostrato come ogni organizzazione sociale, economica, politica, richieda processi di selezione e di differenziazione di ruoli e compiti, che necessariamente conducono al formarsi di élites, politiche, economiche, culturali, ed a molteplici forme di diversità, che una visione liberale ritiene positive ed utili, oltre che inevitabili. L unico criterio selettivo che sia razionalmente ed equamente egualitario, e che sia compatibile con una visione liberale, è quello del merito e delle capacità che, una volta riconosciuto come lo status possa condizionare i risultati, vede assegnare allo Stato moderno compiti ulteriori. In particolare, quelli di allargare il concetto di eguaglianza dalla sfera dei diritti e dei principii giuridici a quella sociale, allo scopo di render minimi gli effetti dello status di partenza sul necessario ed utile formarsi delle differenze, favorendo così la mobilità sociale, e quelli di rendere a loro volta la formazione di differenze compatibile con le pari opportunità e con la dignità di tutti, attraverso le politiche sociali e di welfare. Nel concetto, tipicamente liberale, di società aperta, il criterio della mobilità è centrale: solo quando l inevitabile formazione di élites, sociali, economiche, politiche, ammetta la possibilità non astratta del loro ricambio, della loro apertura, della loro amovibilità, possono realizzarsi compiutamente le potenzialità di chiunque. Su queste linee si è sviluppata l evoluzione in senso sociale del significato e dei contenuti dello Stato liberale nella società industriale, come risultato dell azione di dinamiche e conflittualità che hanno trovato possibilità di espressione razionale e positiva proprio attraverso l utilizzo di quegli strumenti politici che il concretarsi della concezione liberale dello Stato aveva messo a disposizione dei fautori della democratizzazione e dell apertura della società. Si è detto come l evoluzione delle società industriali abbia avvicinato di molto il raggiungimento di queste condizioni, pur senza, evidentemente, averle realizzate a pieno: ed è su questo punto che si devono impegnare le potenzialità del metodo liberale. Le democrazie sono tutt altro che perfette, e la nostra non lo è per nulla; la diseguaglianza giuridica delle diversità permane; lo status sociale condiziona tuttora la formazione delle classi dirigenti ed il determinarsi del successo; la tendenza delle classi dirigenti a trasformarsi in caste chiuse irrigidisce la società e la politica; la mobilità sociale è del tutto inadeguata; ed occorre ancora osservare come la società postindustriale porti con sé vincoli nuovi ad ostacolare l apertura della società. La società industriale ha portato ad un grande sviluppo delle capacità degli uomini di realizzare se stessi e le proprie aspirazioni, e quindi a condizioni di libertà, benessere, parità di opportunità che, per quanto non perfette, non sono neanche lontanamente paragonabili con quelle delle società che la hanno preceduta; la frontiera delle libertà si è spostata, ma ciò non significa che non siano individuabili sfide, del tutto nuove, alle libertà ed all apertura della società. All aspirazione liberale al riconoscimento delle diversità si contrappongono le tendenze monoculturali e conformiste che la società tecnologica porta con sé, come risultato del suo improntarsi all ideologia dell efficienza produttiva ed organizzativa, e per effetto della diffusione di modelli culturali e di comportamento omogenei indotti in quasi tutti i campi della 15

16 vita sociale dai media e dal consumo di massa. La critica della società ad una dimensione, vista come tendenzialmente autoritaria, che è stata condotta dalla Scuola di Francoforte, ha presupposti liberali nella parte descrittiva, ma indica, nelle conclusioni di alcuni, terapie che portano alla chiusura dell individuo in sé stesso ed al rifiuto delle idee di razionalità e di progresso; o che, nelle conclusioni di altri, e riferendosi in particolar modo alla carenza di partecipazione politica, ostacolata dalla burocratizzazione, concludono con l affidare allo Stato il compito di assicurare le possibilità di autodeterminazione popolare col mettere sotto il controllo pubblico e politico i corpi e le strutture intermedie della società deputati alla partecipazione popolare. tecnocrazia liberismo ideologico nuovi ostacoli alla libertà Le posizioni tecnocratiche, invece, di per sé non disconoscono le diversità, ma tendono ad annullarne le potenzialità conflittuali, assegnando ad un ordine superiore il compito di integrarle in una visione ed in un modo di funzionare subordinato alla logica di quella stessa razionalità di cui la tecnocrazia è interprete. Da questo punto di vista, queste concezioni sono profondamente illiberali ed antidemocratiche, e risultano essere direttamente eredi di quelle concezioni organicistiche che si fondano sulla riduzione delle differenze a parti di un organismo comune che opera secondo un criterio proprio ed autonomo da quello delle parti. Si ritorna, per questa via, alla concezione di uno Stato che non impone le regole secondo le quali si esercita la conflittualità, ma ne determina esso stesso gli esiti, regolando il comportamento ed il ruolo delle parti della società. Per contro, il liberismo anarchico che l ideologia della globalizzazione ci ha presentato, presuppone le differenze e le conflittualità come operanti al di fuori di ogni sistema di regole, nella convinzione che le loro interazioni conducano alla massima utilità comune. La visione liberista è conflittuale e dinamica, ma non è detto che il risultato sia compatibile con una concezione liberale: la competitività che operi al di fuori di ogni regola in condizioni di risorse e strumenti non illimitati pone solo i più forti nella condizione di accedervi e di farne uso, impedendo il libero accesso e la pratica della competizione ai più deboli; il risultato inevitabile è il formarsi e l irrigidirsi di concentrazioni di potere sociale ed economico che risultano alla fine incontendibili, contraddicendo le stesse premesse del ragionamento. L effetto è quello, come è stato detto, del mercato che finisce col divorare se stesso. I diritti individuali, primo tra i quali è quello alla propria autonomia ed indipendenza, rischiano di venir compromessi dal confronto tra gli individui e poteri che sono in grado di sapere, attraverso i sistemi informatici, tutto di lui: cosa pensa, come vive, dove va, chi vede, con chi parla, se è sano. Nel conflitto tra individui e potere -dello Stato, in particolare-, ai primi viene sottratta ogni possibilità di non sottostare al controllo burocratico e poliziesco, aprendo la possibilità di usi distorti delle informazioni, pur quando si operi nella cornice formale di una democrazia. La forma politica della democrazia rappresentativa, che vede realizzarsi attraverso il voto la selezione della rappresentanza ed esprimere la partecipazione diretta dei cittadini attraverso i corpi intermedi, tende ovunque a degenerare verso forme oligarchiche dovute alla professionalizzazione della politica. Il formarsi di una pubblica opinione cosciente ed in grado di decidere razionalmente (conoscere per deliberare) incontra seri limiti nella carenza di pluralismo dell informazione dovuta alla difficoltà di accesso alle tecnologie di comunicazione di massa: mentre aumenta la quantità e l estensione delle informazioni, ne diminuisce la diversità col ridursi del pluralismo ed il diffondersi del conformismo. L istruzione di massa ha assicurato a tutti uno standard minimo di accesso al sapere ed alla conoscenza, che sono la premessa della mobilità sociale fondata sul merito. La crescente complessità del sapere e delle conoscenze richiede strutture di formazione che mal si prestano ai grandi numeri, e che non possono non prevedere criteri di accesso selettivi; l eguaglianza liberale richiede che questi non si fondino sullo status sociale ed economico di partenza, ma solo sulle capacità personali. Ciò presuppone necessariamente che l intero sistema di un istruzione aperta a tutti, sia fortemente improntato a criteri di qualità sin dai livelli iniziali, essendo questa l unica strada per render ininfluenti le differenze sociali ed economiche di partenza. Questi accenni indicano come un liberalismo inteso come teoria empirica della realtà contenga in sé la possibilità di interpretare i mutamenti senza dover ricorrere a teorizzazioni della storia e dell uomo indirizzate ad un qualsiasi fine ultimo, e sia in grado di dare risposte attuali e concrete, pur nel mutare delle condizioni. Indicano anche come il mutare delle condizioni modifichi i caratteri delle sfide alla libertà, e quindi i significati e le manifestazioni delle libertà, senza che questo porti ad inficiare la struttura aperta ed empirica dell impianto metodologico del pensiero liberale. 16

17 2- IL LIBERALISMO E GLI ALTRI il paradosso dei liberali: il liberalismo vince mentre i liberali sono minoranze il liberalismo diffuso nelle società occidentali il ritardo dell evoluzione della società italiana ha favorito il prevalervi del conformismo La cultura liberale può oggi constatare come le forme di pensiero politico e scientifico fondate su interpretazioni deterministiche, o rivolte alla ricerca di fini ultimi immanenti o trascendenti, siano risultate sconfitte con la fine del XX secolo, e siano state obbligate dal confronto con la realtà dei fatti a fare i conti con l empirismo razionale. Di questo, il liberalismo moderno è il più coerente interprete in termini di cultura politica. Per contro, è immediato il constatare la difficoltà con la quale il metodo liberale, diretto alla realizzazione empirica (quindi reale e verificabile) di una società aperta, riesca a tradursi in espressioni e consenso politici. A render minoritarie le posizioni liberali non sono le capacità di sintesi e di proposta politica di quelli che, pur attraverso le revisioni rese necessarie dalla constatazione di realtà del tutto diverse da quelle preconizzate, comunque seguono forme di pensiero che si ricollegano direttamente a concezioni deterministiche; piuttosto, è nell opinione corrente che il liberalismo politicamente organizzato abbia completato il suo compito con l affermazione delle forme politiche ispirate alla democrazia liberale il dato che spiega come, in società nelle quali le concezioni ed il linguaggio liberali sono largamente penetrati, i movimenti politici liberali siano minoritari o del tutto assenti. La risposta a questo pregiudizio sta nel considerare come la costruzione e l affermarsi delle democrazie liberali non conduca affatto all esaurimento del ruolo e delle responsabilità delle organizzazioni politiche liberali: solo atteggiamenti ideologici ed una concezione deterministica della storia possono indurre a ritenere che una società aperta possa identificarsi e confinarsi nel raggiungimento di uno solo dei possibili aspetti della libertà; in questo caso, quello politico. Nel modo di interpretare i fatti che i liberali portano avanti, la costruzione della società aperta non può prefigurarsi attraverso proposizioni ideologiche; e soprattutto, non conosce un punto d arrivo. Ed in ogni caso, le forme di libertà che, attraverso processi lunghi ed a volte dolorosi, sono state conquistate, vanno comunque difese e tutelate da coloro che le avversano apertamente o le subiscono con fastidio, pronti a combatterle ed a distruggerle quando ciò risulti possibile. Nelle moderne democrazie, la larga diffusione di atteggiamenti empirici e critici, ispirati all etica della responsabilità individuale ed allo spirito della Riforma, direttamente connessi alle esigenze della rivoluzione mercantile prima, ed industriale poi, ha fatto sì che un liberalismo diffuso improntasse il modo d essere dell intera società, ed arrivasse ad infiltrare anche altre culture politiche: quella conservatrice, ma soprattutto quella socialdemocraticolaburista, che a partire dalla seconda metà del XIX secolo è andata affermandosi come grande veicolo di partecipazione, di democratizzazione e di apertura nelle società industriali. Questa penetrazione è risultata invece non univoca e meno agevole nei confronti delle culture politiche ispirate a riferimenti di matrice cristiana, riformata e non: difficile dove il dogma imposto dalla chiesa cattolica intesa come espressione divina ha frapposto barriere alla diffusione di mentalità critica e di atteggiamenti empirici, e dove le concezioni temporali si sono trasformate ed adattate a nuove realtà, ma non sono mai del tutto venute meno; mentre è risultata meno ostacolata dove la Riforma aveva introdotto il concetto dell autonoma responsabilità individuale, e considerato le chiese come organizzazioni umane. Modi di pensare, contenuti e comportamenti di stampo liberale, sono stati così i motori che hanno fatto avanzare l evoluzione civile ed il progresso economico e sociale nelle moderne democrazie industriali, anche quando e dove il liberalismo politicamente organizzato sia stato o sia minoritario, come pressochè ovunque oggi avviene. Ma in queste democrazie, i liberali, pur se minoranze nei parlamenti, non hanno visto e non vedono ridursi capacità di indirizzo, di influenza e di preveggenza politica, che anzi risultano accresciute. E invece del tutto evidente come in Italia le idee ed i comportamenti liberali siano assolutamente minoritari nella società, e come il liberalismo organizzato sia assente dalla scena politica. Questo è un dato di fatto, che trova spiegazioni molteplici nel concorso delle condizioni nelle quali è avvenuta l evoluzione della società italiana, del tutto diverse da quelle che hanno caratterizzato il formarsi e lo sviluppo delle società nordeuropee. La mancanza dei processi costitutivi dello Stato Nazionale nel determinare ed imporre spinte razionalizzatici, che ha caratterizzato quattrocento anni della nostra storia; il frammentato sistema postfeudale imposto dal dominio spagnolo su una gran parte della penisola, e poi proseguito dai Borboni su tutto il Mezzogiorno; l esser diventata l Italia pura espressione geografica, marginale rispetto alle correnti di traffico e di pensiero attorno alle quali si è costruita l Europa moderna; la rete di particolarismi, privilegi, esenzioni, concessioni che ha coperto gli stati preunitari sino al periodo napoleonico, soffocando le possibilità di trasformazione economica; tutto ciò ha ostacolato e ritardato l affermazione di una borghesia conscia dei propri diritti e delle proprie responsabilità, e protagonista di un ruolo innovatore e dinamico. 17

18 Il mondo agricolo rimase soffocato dal perdurare di forme di produzione riconducibili all economia curtense; i commerci risentirono della mancanza delle dimensioni nazionali, della babele di privilegi, gabelle, monete, misure, norme ed usi, e dell essere il Mediterraneo diventato frontiera tra due mondi e periferia rispetto a relazioni che già le grandi nazioni marinare avevano avviato ad interessare quasi tutto il globo; le prime attività manifatturiere, quando pure vi furono, sovente ebbero avvio dalla concessione di diritti di esclusività, o furono iniziative dei Principi. Le disponibilità di capitali, quando esistenti, furono impiegate nell acquisto di titoli nobiliari, feudi, incarichi e concessioni, piuttosto che nello sviluppo dell agricoltura, nei commerci e nelle manifatture, che offrivano minori prospettive di promozione sociale e di rapidi e certi guadagni, in un orizzonte spaziale che restava comunque confinato nelle dimensioni provinciali. Il sistema postfeudale ha avuto così la possibilità di sopravvivere più a lungo che altrove, favorito dalla debolezza delle Corti, dal particolarismo, e da una Chiesa che ne era parte integrante e sostegno culturale, posto a difesa dell ordine naturale delle cose; intanto, la nascente borghesia restava inglobata nella cultura e nel sistema di valori della decadenza feudale: i modelli di riferimento, nelle espressioni culturali, nei costumi sociali, negli stili di vita, nelle aspirazioni, nei rapporti col potere del principe, della nobiltà e del clero, restavano quelli tradizionali. Al riguardo, non è di poco conto il fatto che la cultura italiana si sia indirizzata verso un erudizione astratta e formale, che solo Vico seppe interrrompere, e può essere significativo osservare che, mentre la pittura italiana abbondava di scene mitologiche, di vite di santi e di pastorelli, non ci abbia mai mostrato le scene della vita d ogni giorno e gli interni delle case borghesi della pittura fiamminga. L acquiescenza al potere, la scarsa propensione al rischio, l egoismo di campanile, la difesa cieca di privilegi piccoli e grandi, il conformismo, che ancor oggi affliggono la società italiana, trovano l origine remota nella debolezza economica e politica di una borghesia che era rimasta anche culturalmente subordinata all antico regime, adattandosi a cercare prosperità nelle fessure che questo lasciava aperte. Si spiega allora come la grande stagione degli illuministi italiani abbia avuto il limite di essere fenomeno di élites culturali, largamente minoritarie, provenienti più dalle file della nobiltà che dal Terzo Stato, con interessi prevalentemente rivolti ai principii della sfera giuridica più che all empirismo necessario nell economia, nelle scienze, e nella tecnica: Encyclopédie e Lunar Society, ove ebbe inizio il confronto senza subordinazioni tra cultura politica, economica e tecnica, non potevano essere, e non furono, fenomeni italiani. La presenza, culturale e civile prima che religiosa, della Chiesa, soffocante anche dove non veniva sostenuta dalla forza del potere temporale, ha fatto il resto, avendo sostanzialmente campo libero; in mancanza del libero pensare e dello spirito empirico e critico sostenuti dalla crescita di una borghesia conscia del proprio potenziale e delle proprie esigenze di rinnovamento, è risultato naturale il perdurare della prevalente propensione al conservatorismo sociale e politico e dell indirizzarsi verso le forme di pensiero chiuso che ancora oggi ci portiamo dietro. la libertà come religione Occorre però osservare come le difficoltà incontrate da cultura, modi di pensare, e comportamenti liberali nel penetrare e diffondersi nella nostra società trovino spiegazione, tra l altro, anche nei caratteri peculiari che hanno improntato l elaborazione culturale del liberalismo italiano. Dopo il pragmatismo empirico di Cavour e di Giolitti, dettato il primo dalle condizioni politiche ed economiche nelle quali si è avviata la costruzione dello Stato unitario, ed il secondo dalla necessità e volontà di coinvolgervi settori della società più vasti rispetto alle élites risorgimentali, il pensiero liberale italiano si è orientato a ricercare una sistemazione filosofica complessiva nell ambito dell idealismo di Hegel, vedendo invece nell empirismo britannico la rinuncia alla nobiltà della filosofia e la commistione con l economia, e nelle esperienze del pensiero liberale francese la commistione con l ingegneria politica. Il pensiero liberale italiano si è così indirizzato, come filosofia dello spirito, verso una sfera d interessi collocata eminentemente sul piano dell etica, della cultura filosofica e della teoria del diritto, alle quali era negata la possibilità di applicare i metodi dell empirismo razionale tipici dell economia e delle scienze sociali e naturali, che andavano collocate al di fuori del campo d interessi del filosofo. Questo orientamento risultava congegnale e contiguo ai percorsi ed ai campi di interesse sui quali l illuminismo italiano si era andato indirizzando, ed anzi, ne era la prosecuzione diretta; e forse non è un caso se entrambi ebbero nella Napoli colta il principale centro di elaborazione e di irradiazione. In tempi dominati dal perdurare del dogmatismo e dall avvio delle forme di stato totalitario, Croce ha opposto alla dialettica del materialismo storico e del socialismo scientifico, ed a quella dell idea di Stato, la concezione di storia intesa come storia della libertà, sviluppando l idealismo in termini di filosofia della libertà, invece che come la filosofia dell idea di nazione o come la filosofia dei rapporti sociali. Ed ha respinto quindi la concezione di Stato Etico come portatore dell assoluto, religioso, nazional-razziale, o sociale che fosse, e collocato oltre o sopra gli individui. Questo percorso ha portato ad una visione aperta, opposta ad ogni interpretazione dogmatica, ma fondata sull idea quasi religiosa di una libertà che ha per sé 18

19 l eterno, e proprio per ciò preclusa agli approcci empirici e lontana dalle esperienze che hanno caratterizzato il liberalismo anglosassone. L aver concepito la libertà come religione piuttosto che come la ricerca empirica delle forme politiche della libertà e come la ricerca dell apertura della società e dell economia, che vanno perseguite e verificate giorno per giorno, è risultato del tutto coerente con il giudizio sull utilitarismo, sull empirismo e sul positivismo, visti come metodi utilizzabili nel campo delle scienze economiche e naturali, ma estranei alla sfera di interessi della filosofia; quindi estranei anche ad una filosofia della libertà che non poteva ammettere la commistione con metodi derivati o contaminati dalle esigenze del contingente. La libertà come religione non poteva esser coltivata altrove che nel pensiero e negli studi di élites culturali ristrette, arrivando così ad influenzare profondamente tutte le manifestazioni della cultura italiana, ma molto meno i comportamenti e, per usare un termine crociano, la vita morale del Paese. Se la religione della libertà, praticata appunto come una fede nel corso del ventennio fascista, ha fornito al liberalismo italiano gli strumenti utili a mantener vivo il rapporto tra prefascismo ed antifascismo, ed a essere più presente di quanto comunemente si voglia pensare nella resistenza al fascismo e nella lotta partigiana, occorre riconoscere che la presenza liberale nell antifascismo militante fu assicurata prevalentemente da quelle manifestazioni del liberalismo che avevano un più diretto interesse al confronto con le altre culture politiche ed al rapporto con le condizioni sociali ed economiche del Paese, cioè da quelle che, nella sostanza, potremmo definire come meno crociane. il dopoguerra ed il PLI particolarismo ed ideologia Ed occorre poi dire che la religione della libertà è apparsa lontana ed astratta a quei settori della società che, attraverso la partecipazione alla Resistenza ed alle conquiste della Costituzione Repubblicana, erano diventati per la prima volta protagonisti della vita politica. Questi hanno trovato certezze e conforto nel pensiero dogmatico e nel determinismo, nelle matrici cattolica e marxista, ed il proprio riferimento politico nelle formazioni che vi si rifacevano, proponendo visioni culturali e politiche chiuse e totalizzanti, che arrivavano a coinvolgere la sfera delle espressioni artistiche, dei comportamenti privati ed individuali, dei modi di trascorrere il tempo libero e di divertirsi, proseguendo sotto quest aspetto quanto già il fascismo aveva avviato. Tutti ricordano il cinema e la letteratura giudicati sul metro della conformità ai canoni dell arte e della cultura intese come espressione dei rapporti di classe, od ai valori dettati da oltretevere, le polemiche su Riso amaro e quelle sulle gambe in TV, le domeniche in oratorio di una parte del Paese e nei circoli ARCI dell altra. Per lunghi anni, i conformismi, quello cattolico e quello di sinistra, hanno regnato incontrastati, e si può dire che i primi stimoli verso la liberalizzazione dei comportamenti individuali in Italia abbiano avuto avvio solo con il 68, con le battaglie per l introduzione del divorzio e per la legalizzazione dell aborto, e con i movimenti rivolti all emancipazione femminile ed a combattere l omofobia. I tratti conformisti che hanno improntato la società italiana sono stati, nella sfera dei comportamenti individuali e collettivi, l immagine speculare del prevalere di culture ed espressioni politiche fondate sul pensiero chiuso, e che a questo avevano improntato i propri modelli di comportamento sociale e politico. I partiti che, riferendosi alle tradizioni liberale, repubblicana, del socialismo riformista ed alla novità azionista, erano portatori di comportamenti e di concezioni incompatibili al dogmatismo ed al determinismo, furono visti dai cattolici e dai comunisti, in questo caso completamente concordi, come fastidiosi alleati minori da utilizzare finchè utili, o altrimenti come avversari da combattere. Rivalità ed incomprensioni sul piano culturale e sulle prospettive politiche, alle quali anche i liberali hanno dato il loro attivo e convinto contributo, sono state la regola nei rapporti tra queste forze, con l unico risultato che le divisioni, indebolendo tutti, non hanno avvantaggiato nessuno. In particolare, il Partito Liberale che, fermo in una visione idealistica, aveva visto nel Partito d Azione una mostruosità culturale e politica, non seppe cogliere l occasione di individuare le possibili convergenze ed affinità piuttosto che le diversità nei confronti delle altre forze di democrazia laica e socialista, allontanandosene, e rimanendo poi anche ai margini di quei fenomeni di liberalizzazione che, sia pure tardivamente, hanno interessato la società italiana: la stessa legge sul divorzio, che porta la firma del liberale Antonio Baslini, aveva visto una dura lotta interna al PLI, in larga misura non favorevole alla legge, almeno nella fase di avvio del suo iter. Così, mentre altrove è andato avanzando e facendosi strada un liberalismo fondato sulla ragione empirica, i caratteri assunti dal liberalismo italiano nella sua impronta idealistica hanno amplificato le difficoltà che le condizioni di arretratezza e di conformismo nelle quali si è sviluppata la società italiana hanno frapposto alla sua capacità di penetrazione culturale e politica. La nostra società è ancora oggi dominata da molti e diversi particolarismi, siano essi territoriali, di casta, di ceto sociale, di appartenenza e di identità culturale o religiosa; essa è più predisposta ad accogliere le categorie del pensiero chiuso che si prestano facilmente a proporre certezze e chiavi di generalizzazione ideologica al loro servizio, di quanto lo sia nei 19

20 confronti della categoria generale di libertà, che mal si presta alla tutela del particolare. Con facilità ancora minore accoglie un modo di pensare relativista, impostato sulla discutibilità di conclusioni e premesse, quale è il nucleo metodologico del liberalismo moderno che, proprio per questo, mentre non vede venir meno attualità, capacità d analisi, e concretezza, rende impossibile la sua identificazione in sistemi di valori od il porsi al servizio di interessi precostituiti. Ed ancora, non pochi secoli di conformismo hanno fatto sì che l idea che una società aperta presupponga l esistenza delle diversità e la conflittualità tra interessi e tra gruppi sociali diversi fosse oggetto di una totale repulsione, indotta dalle concezioni autoritarie ed organicistiche che hanno fatto prevalere l idea, di cui la dottrina del bene comune è una delle espressioni, che ogni interesse lecito debba ricevere la legittimazione dall alto e vedere assicurata una collocazione sociale stabilizzata ai fini della comune cooperazione. Così, l impossibilità che i liberali si rivolgano alla ricerca di verità e fini ultimi ove si guardi alle convinzioni culturali, od alla tutela dell utilità di una qualsiasi parte sociale prestabilita ove si guardi ai riferimenti sociali ed economici, fa sì che ancora oggi chi tenda alle semplificazioni offerte dall ideologia e chi cerchi nella politica la tutela del proprio sistema di valori e di interessi, li veda con diffidenza e come inutili. Non ci si può allora stupire se un pensiero aperto, fondato sulla ragione empirica, che non è al servizio di alcun ceto, di alcun gruppo di potere, di alcuna credenza, sia sentito come sostanzialmente estraneo e distante da un Paese nel quale le esperienze riformiste sono state solo brevi e felici parentesi, e nel quale i sistemi di pensiero fondati su ideologie tendenti a spiegare il tutto hanno sempre avuto il proprio riferimento nell ordine esistente, per conservarlo o per abbatterlo, la costruzione europea porta alla diffusione di spinte liberalizzatrici anche in Italia il liberalismo è una non-ideologia; i concetti e le affermazioni dei liberali non hanno carattere valoriale Per contro, la partecipazione italiana al processo di costruzione europea ha portato alla più ampia e diffusa penetrazione di atteggiamenti e modi di pensare ispirati alla cultura politica liberale nordeuropea che fosse possibile immaginare: si deve al processo di integrazione europea, dal MEC alla moneta unica ed all avvio dell Europa politica, se in Italia sono stati smantellati almeno in parte protezionismo, assistenzialismo, partecipazioni pubbliche, e se veniamo istradati, spesso nostro malgrado, ad un minimo di responsabilità finanziaria ed a politiche di contenimento della spesa pubblica. Ancora, si deve agli obblighi reciproci derivanti dalla nostra presenza nel progetto europeo, se nei nostri ordinamenti, magari attraverso richieste di chiarimenti e procedure d infrazione, si fanno strada modernità e contenuti liberali, se il linguaggio della nostra politica è cambiato, e parole come concorrenza, merito, efficienza, diritti e doveri non sono più considerate da molti con ostilità. Ma gli italiani, che sono tra i più convinti sostenitori della costruzione europea, sono poi tra i peggiori interpreti della sua concreta attuazione, e sono pessimi traduttori del linguaggio europeo in quello del nostro Paese. E come se si trattasse di un copione interpretato da attori che non lo conoscono, o che lo sentono estraneo; gli interpreti sono sempre gli stessi, e si adattano, in un modo o nell altro a recitarlo: alla fine, ne apprendono le battute, ma il significato complessivo sfugge loro. Ancora una volta, alle affermazioni di principio, almeno queste fortunatamente condivise in ampia misura, fanno poi seguito le incrostazioni derivanti dalle ideologie e dagli interessi particolari, e la carenza di comportamenti coerentemente ispirati ad una concretezza liberale ci pone costantemente in ritardo rispetto alla prassi della costruzione europea, e sempre in testa nella classifica delle procedure di infrazione. In ogni caso, i nostri rapporti con l Europa sui piani istituzionale, politico, economico, culturale, per quanto mal orecchiati, hanno facilitato anche da noi la messa in crisi del massimalismo ed, almeno, hanno imposto la diffusione di linguaggi ispirati al liberalismo: il termine liberale, che sino a venti anni fa suscitava diffidenza, ed era visto come un aggettivo carico di nobili significati se riferito al passato, ma quasi denigratorio se riferito all attualità, oggi è uno dei più utilizzati nel lessico politico, arrivando a porre qualche imbarazzo agli stessi liberali nel definir sé stessi, nel momento in cui nessuno osa più definirsi non liberale. Il liberalismo, per effetto del suo impianto empirico e critico, si presenta come una non-ideologia. Non può prevedere una qualsiasi conclusione definitiva collocata in una costruzione generale, ma trova le sue manifestazioni passando per molteplici, concrete e successive applicazioni, non sempre ed ovunque coincidenti e tra loro omologabili: sarebbe un impresa del tutto vana quella di cercare la Bibbia o Il Capitale dei liberali. Si possono, invece, rintracciare infinite espressioni del pensiero e del modo d essere dei liberali, che si evidenziano il più delle volte in ricerche, studi, progetti, applicazioni e contributi concreti nei più diversi campi del pensiero e delle attività umane, riguardanti la definizione di quei percorsi che portino al maggior benessere, all aprirsi della società, alla vitalità delle arti, al progredire delle scienze umane e di quelle naturali. Invece, molto di rado si esprimono in termini di generalizzazioni delle quali il pensiero liberale diffida, ed ancormeno cercano di tendere ad interpretazioni e sistemazioni teoriche complessive e definitive. Secondo coloro che sentono la necessità del sostegno di qualsiasi forma di Verbo, questo aspetto dimostrerebbe la fragilità del pensiero liberale e del suo esser 20

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