i quaderni del Cineforum 33 A CURA DI CLAUDIO CASAZZA

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1 i quaderni del Cineforum 33 A CURA DI CLAUDIO CASAZZA

2 NEW HOLLYWOOD l altra faccia dell America fra gli anni 60 e 70 a cura di Claudio Casazza CINEFORUM DEL CIRCOLO novembre - dicembre 2013

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4 INTRODUZIONE GLI ANNI CHE SCONVOLSERO IL CINEMA AMERICANO «I tredici anni intercorsi tra Gangster Story del 1967 e I cancelli del cielo del 1980 furono l ultimo periodo in cui fu un esperienza veramente entusiasmante fare film a Hollywood; fu l ultima volta che si poté andare orgogliosi dei film prodotti; l ultima volta che l intera comunità della gente del cinema contribuì alla qualità; l ultima volta che ci fu un pubblico in grado di sostenerla». Peter Biskind, Easy Riders, Raging Bulls: How the Sex Drugs and Rock n Roll Generation Saved Hollywood Alla fine degli anni 60 e per tutto il decennio successivo, ad Hollywood si realizzano un numero considerevole di film innovativi, molto distanti dalle convenzioni stilistiche e di contenuto cui gli Studios avevano abituato il proprio pubblico. Sono film ispirati (spesso in maniera esplicita) al cinema d autore europeo e, più nello specifico, alla Nouvelle Vague francese. Il cinema hollywoodiano - commerciale e di massa fin dagli esordi attraverso il lavoro di alcuni giovani e talentuosi cineasti prova ad affrancarsi dai lacci di un industria sempre più ingombrante, dominata dagli incassi al box office e da una rappresentazione rassicurante del mondo e dei personaggi che lo abitano. Questo cinema si apre al racconto sincero e disincantato di un epoca turbolenta e di una generazione inquieta. A volte sono solo deviazioni dagli stilemi dominanti o classici hollywoodiani, altre volte invece contengono un impegnativo potenziale di rottura. Le motivazioni che portano a questo cambiamento di rotta sono plurime ma si possono sottolineare le tre principali: storiche, industriali e formali. 1 - LE CAUSE STORICHE Dal punto di vista storico un po di dati sono utili: nel 1946 il pubblico cinematografico in America era di quasi 90 milioni. Già nel 1950 era sceso a 60 milioni e dieci anni dopo a 40 milioni, fino a toccare il suo minimo storico, 17 milioni di spettatori nei primi anni Settanta. All indomani della Seconda Guerra mondiale, il cinema non era più la forma culturale dominante della società statunitense. Le ragioni di un simile crollo furono naturalmente molteplici. Tra il 1947 e il 1957 in America la diminuzione del pubblico cinematografico è pari al 74%, mentre dal 1951 al 1955 il numero dei televisori cresce esponenzialmente, passando da 3,1 a 32,8 milioni in tutta la nazione. La tv diventa molto presto il mezzo di comunicazione per 3

5 famiglie borghesi. È l intrattenimento quotidiano scelto dalla middle class, la compagna ideale delle casalinghe, l occasione per riunirsi con i figli dopo una giornata di lavoro in città. 2 - L INDUSTRIA L industria nel cinema americano è sempre stata fondamentale. Perciò le ragioni che conducono all affermazione del nuovo modello artistico e produttivo denominato Hollywood Renaissance vanno poi ricercate all interno della stessa fabbrica dei sogni, nei mutamenti che colpiscono soprattutto gli Studios e che ne decretano la fine. Nel 1938 il Ministero della Giustizia intenta una lunga causa contro le Big Five (Warner, MGM, IL CODICE HAYS È il nome con cui è comunemente indicato, dal nome del suo creatore Will H. Hays, il Production Code, una serie di linee-guida che per molti decenni ha governato e limitato la produzione del cinema negli USA. La Motion Picture Producers and Distributors of America (MPPDA, che sarebbe poi diventata la Motion Picture Association of America, o MPAA) adottò il codice nel 1930, iniziando però ad applicarlo effettivamente nel 1934, e lo abbandonò solo nel 1967 a favore del successivo MPAA film rating system. Il «Production Code» specificava cosa fosse o non fosse considerato «moralmente accettabile» nella produzione di film. Ed elencava tre «Principi generali»: 1 - Non sarà prodotto nessun film che abbassi gli standard morali degli spettatori. Per questo motivo la simpatia del pubblico non dovrà mai essere indirizzata verso il crimine, i comportamenti devianti, il male o il peccato. 2 - Saranno presentati solo standard di vita corretti, con le sole limitazioni necessarie al dramma e all intrattenimento. 3 - La Legge, naturale, divina o umana, non sarà mai messa in ridicolo, né sarà mai sollecitata la simpatia dello spettatore per la sua violazione. Diverse restrizioni specifiche vennero poi stilate come «Applicazioni particolari»: - Il nudo e le danze lascive furono proibiti. - La ridicolizzazione della religione fu proibita; i ministri del culto non potevano essere rappresentati come personaggi comici o malvagi. - La rappresentazione dell uso di droghe fu proibita, come pure il consumo di alcolici, «quando non richiesto dalla trama o per un adeguata caratterizzazione». - I metodi di esecuzioni di delitti (per esempio l incendio doloso, o il contrabbando ecc.) non potevano essere presentati in modo esplicito. - Le allusioni alle «perversioni sessuali» (tra cui veniva inclusa l omosessualità) e alle malattie veneree furono proibite, come lo fu anche la rappresentazione del parto. - La sezione sul linguaggio bandì varie parole e locuzioni offensive. - Le scene di omicidio dovevano essere girate in modo tale da scoraggiarne l emulazione nella vita reale, e assassinii brutali non potevano essere mostrati in dettaglio. «La vendetta ai tempi moderni» non doveva apparire giustificata. - La santità del matrimonio e della famiglia doveva essere sostenuta. «I film non dovranno concludere che le forme più basse di rapporti sessuali sono cose accettate o comuni». L adulterio e il sesso illegale, per quanto si riconoscesse potessero essere necessari per la trama, non potevano essere espliciti o giustificati, e non dovevano essere presentati come un opzione attraente. - Le rappresentazioni di relazioni fra persone di razze diverse erano proibite. - «Scene passionali» non dovevano essere introdotte se non necessarie per la trama. «Baci eccessivi e lussuriosi vanno evitati», assieme ad altre trattazioni che «potrebbero stimolare gli elementi più bassi e grossolani». - La bandiera degli Stati Uniti d America doveva essere trattata rispettosamente, così come i popoli e la storia delle altre nazioni. - La volgarità, e cioè «soggetti bassi, disgustosi, spiacevoli, sebbene non necessariamente negativi» dove vano essere trattati entro i dettami del buon gusto. Temi come la pena capitale, la tortura, la crudeltà verso i minori e gli animali, la prostituzione e le operazioni chirurgiche dovevano essere trattati con uguale sensibilità. 4

6 Paramount, Twentieth Century Fox, RKO) e le Little Three (Columbia, Universal, United Artists) per violazione delle leggi anti trust. Dieci anni più tardi, dopo diverse sentenze, appelli e rinvii anche a causa della guerra, la Corte Suprema delibera che le otto majors costituiscono un oligopolio illegale. Con questa celebre sentenza che prende il nome dall ultima major rimasta attiva nel processo, la Paramount, ha fine lo Studio System. Nei fatti, la sentenza del 1948 stabilisce soprattutto l obbligo da parte degli Studios di vendere le sale cinematografiche di proprietà, un onere questo che stravolge la fisionomia dell intero sistema produttivo. È sufficiente, infatti, considerare che durante gli anni Trenta e Quaranta il 94% degli investimenti delle majors era vincolato nella proprietà delle sale di prima visione nelle quali si realizzavano quasi il 70% degli incassi al botteghino. In questo modo il sistema verticistico che aveva regnato dalla fine degli anni Dieci viene smantellato radicalmente, aprendo il mercato a società indipendenti e liberando gli attori e i registi da contratti decennali. Ci volle un po di tempo prima che ci si rendesse conto della Anni 50: famiglia americana riunita davanti alla televisione. Nella prima metà degli anni 50 il numero di televisori negli Stati uniti passa da circa 3 milioni a quasi 33 milioni. libertà potenziale di questo nuovo sistema. Fino alla metà degli anni Sessanta gli studios rimasero saldamente in pugno a una generazione di anziani produttori, figure che sembravano sempre più incapaci di comunicare con i molti rappresentanti della generazione del baby boom che in quel decennio raggiungevano la maggiore età. Tra la fine della seconda guerra mondiale e il 1960, il sistema di produzione cambia radicalmente sotto i colpi di queste leggi antitrust, ma anche in risposta al successo del mezzo televisivo. In un assetto industriale meno centralizzato, per fermare l emorragia di spettatori Hollywood comincia a guardare al pubblico dei giovani (sempre più crescente) e, insieme, ad un mercato di adulti con contenuti espliciti e scabrosi, lasciando alla tv il vasto pubblico delle famiglie. Il codice di autoregolamentazione comincia a scricchiolare già a fine anni 50 ma dobbiamo aspettare il 1968 per vedere il Codice Hays venire messo completamente da parte a favore di un sistema di valutazione che istituzionalizza la realizzazione di film rivolti a gruppi particolari di spettatori, per fasce di età. 3 - UNA NUOVA FORMA DI CINEMA La revisione stilistica e tematica avviene attingendo alla letteratura moderna (autori come Tennessee Williams, Budd Schulberg, Francis Scott Fitzgerald) e, soprattutto, al teatro, con l intento di trasferire sullo schermo l intensità della messa in scena e la drammaturgia dell at- 5 Marilyn Monroe e Paul Newman, due fra i grandi attori americani formatisi all Actor S Studio

7 tore. Iniziano ad esserci eroi negativi, incompresi e malinconici, uomini sconfitti in una lotta impari contro le ingiustizie e la violenza del sistema.. I film di questi anni introducono uno stile recitativo unico, che rende eterni i loro protagonisti. Si sperimentano, infatti, le tecniche della recitazione naturalistica e psicologistica debitrice del Metodo Stanislavskij, messo a punto dal regista russo Konstantin Stanislavskij nei primi anni del 900. Il Metodo si basa sull approfondimento psicologico del personaggio e sulla ricerca di relazione tra il mondo interiore del personaggio e quello dell interprete. In altri termini, si fonda sulla esternazione delle emozioni più intime e private attraverso la loro interpretazione e rielaborazione. L Actor s Studio nasce a New York nel 1948 per volere dei registi Elia Kazan, Cheryl Crawford e Lee Strasberg, come evoluzione delle sperimentazioni del Group Theater nato nel 1931, fondato proprio da Cheryl Crawford, Lee Strasberg insieme a Harold Clurman. Il metodo di recitazione dell Actor s Studio richiede all attore una totale disponibilità psicologica, un lavoro profondo sul proprio inconscio e sui conflitti interiori. Esso si allontana, quindi, dalle teorie brechtiane della «distanziazione» e soprattutto dal classicismo hollywoodiano del periodo precedente. Lee Strasberg mantenne la direzione fino alla sua morte nel 1982, divenne maestro di molti aspiranti attori: Anne Bancroft, Marlon Brando, James Dean, Marilyn Monroe, Paul Newman, Al Pacino, Harvey Keitel, Shirley MacLaine, Eli Wallach, Lauren Bacall, Robert De Niro, Susan Sarandon, Jane Fonda, Harrison Ford, Meryl Streep, Steve McQueen, Nastassja Kinski, Laura Dern e molti altri... Attori che diventeranno star conclamate, molti di loro proprio negli 60 e 70 quando esplode la New Hollywood. IL CINEMA COME SPECCHIO DEL REALE Dal punto di vista delle storie che si raccontano è inevitabile stabilire dei collegamenti tra i film di Hollywood e i tempi tumultuosi di quegli anni. I tempi si impongono con forza nelle coscienze dei registi, degli sceneggiatori, degli attori. Invadendo così in modo inconfondibile il terreno dell intrattenimento popolare come il cinema hollywoodiano. In quegli anni, il numero degli avvenimenti e delle fratture in seno alla società, come il movimento hippy e la lotta dei neri per i diritti civili, la guerra in Vietnam e le rivolte razziali, l assassinio di Martin Luther King, di John e Robert Kennedy fino allo scandalo che coinvolse Nixon, finirono per intaccare seriamente l immagine degli Stati Uniti come il luogo di libertà e democrazia e misero in discussione i valori e i principi di fondo degli americani. Il Cinema, necessariamente, doveva confrontarsi con questi sviluppi esterni del mondo. Questo, probabilmente, potrebbe già essere un punto in comune più concreto di tutta la generazione New Hollywood: il Cinema come specchio od ombra sociale del nuovo spirito americano a cavallo fra gli anni 60 e 70. Una contestazione fuori e dentro lo schermo, sia dei film prodotti da soldi indipendenti, sia dagli Studios. 6 A sinistra: il presidente americano Richard Nixon; a lato: proteste studentesche alla Berkley s University

8 La New Hollywood non fu però una vera e propria scuola, teoricamente e programmaticamente fondata, bensì un atteggiamento, condiviso da larghi settori del mondo hollywoodiano, segnato da una forte ansia di rinnovamento tematico e formale. I vari registi non intraprenderanno una strada unica, ma diramata in direzioni abbastanza diversificate fra di loro, per non dire opposte; basti pensare ad autori come Steven Spielberg, Martin Scorsese e Woody Allen, tutti nuovi filmakers esorditi in quegli anni in perfetto New Hollywood style, ma tutti e tre dalla poetica assai poco assimilabile fra di loro ma ben distinte e riconoscibili. E in fondo, questo potrebbe essere esattamente un altro dei punti che lega sotto un unico tetto le diverse correnti del nuovo cinema americano: la pretesa, l obbligo morale ed etico - di personalizzazione del proprio prodotto concepito: The Author theory. Il rinnovamento tematico si apre a nuovi criteri d interpretazione della realtà e della storia: la contestazione giovanile nei campus e nella società viene vista con favore e simpatia; emerge la figura del disadattato, del fallito, dello spirito anarcoide, dell antieroe; si condanna la violenza, l ipocrisia e il cinismo che permea la società, in contraddizione con sbandierati principi di democrazia e civiltà; si esplorano le rovine e le nevrosi lasciate dalla fine del sogno americano; si racconta di impossibili fughe on the road; si rivisita la storia del paese in chiave critica ribaltando gli schemi di valore consacrati dal Cinema classico. Escludendo la libertà espressiva del cinema underground, il rinnovamento formale invece appare più moderato e tale da non rinunciare alla tradizionale fluidità narrativa tipica del Cinema americano. Non ci sono grandi sperimentazioni nel campo formale, ma semplicemente più libertà di manovra: soprattutto nella colonna sonora, nella ricerca di set reali e nel montaggio, fase del lavoro che in precedenza veniva assolutamente non concessa al regista. Le soluzioni narrative adottate dai neo-registi americani sono spesso delle riprese più o meno evidenti della Nuovelle Vague, come non pensare a Godard e ai suoi scavalcamenti di campo, alla sua gestione d intreccio, ormai entrate a tutti gli effetti come possibilità formali anche nel Cinema Americano di quegli anni, forse addirittura in modo più estremo, con quelle zoomate repentine e un uso della macchina a mano che non sarebbero mai state possibili in epoca classica. I FILM CHE VEDREMO Con la New Hollywood, a tutti gli effetti, possiamo dire che il Cinema si è totalmente globalizzato. Tutte le lezioni assorbite dal caro e buon vecchio continente, erano diventati nuovi punti di riferimento della nuova grammatica filmica di Hollywood. E questo, inevitabilmente, ha aperto nuove strade di riflessione sociale e di metodologia, che sbocceranno in pieno nella rilettura dei generi classici per eccellenza (western, gangster, musical, melò, noir) rivisitati sotto l occhio del modernismo entrato ormai a pieno diritto fra le salette a stelle e strisce. A differenza di quanto spesso si dice erroneamente, i registi della New Hollywood non rifiutarono affatto l allineamento filmografico ai generi dell epoca classica, anzi, contrariamente, più volte i generi sono stati usati consapevolmente proprio come armi della propria poetica, in una nuova elaborazione (o semplicemente: aggiornamento) di ciò che già era prefigurato in precedenza, come una sorta di mescolanza, di vero punto d incontro fra il classico e il moderno, con queste situazioni e personaggi famigliari all immaginario cinematografico americano ma revisionati sotto un nuovo occhio ed espresse con i nuovi abiti dell esigenza sociale rinnovata. Proprio con un film che rilegge e reinventa il genere partirà la nostra rassegna: Gangster Story (Bonnie and Clyde) di Arthur Penn, un film che riprende il genere gangster che fece la fortuna negli anni 30 e 40. La celebre coppia di banditi del film di Penn diventa quindi la bandiera di una romantica indipendenza libertina, riflesso della nuova gioventù perennemente in lotta e in ribellione, che pur essendo dei gangster (i cattivi del classico), diventano invece emblemi di (anti)eroismo, dei modelli con cui il nuovo pubblico di giovanissimi amava rispecchiarsi. Faye Dunaway e Warren Beatty sono due fantastici gla- Faye Dunaway e Warren Beatty in una scena di Gangster Story, di Arthur Penn 7

9 mour-banditi. Anche il secondo film gioca con il genere: Mean Streets è il film che lancia Martin Scorsese, il primo lungometraggio che lo rappresenta intimamente e ne racconta il milieu di origine e le inquietudini che lo muovono. Per un caso fortunato, il sottotitolo italiano «Domenica in chiesa, lunedì all inferno» è azzeccato e illuminante, poiché è lo stesso Scorsese, nel racconto della sua vocazione, ad ammettere come non fosse facile, per chi era cresciuto a Little Italy, sopravvivere senza cambiare strada, senza diventare né un gangster né un prete. De Niro e Keitel giovanissimi sono strepitosi. Il terzo film che vedremo è un superclassico Un giovane Harvey Keitel in Mean Streets che ci fa entrare negli anni 70 e nella fine del periodo Nixoniano. Tutti gli uomini del presidente di Alan J. Pakula è la storia di come due giovani cronisti del quotidiano Washington Post, Carl Bernstein e Bob Woodward (autori del libro sul quale si basa la sceneggiatura di William Goldman), scoprirono il collegamento tra la Casa Bianca e il caso Watergate, provocando nel 1974 le dimissioni del presidente Nixon. Un film quasi maniacale della ricostruzione dei fatti senza invenzioni romanzesche né indugi psicologici, è forse l omaggio più esplicito che il cinema abbia mai reso al «quarto potere». Dustin Hoffman e Robert Redford sono mimetici nel diventare Bernstein e Woodward. Col quarto film, Una moglie di John Cassavetes, andiamo nella costa Est degli Usa: dal fermento di quegli anni nasce il New American Cinema Group. Un gruppo di artisti eterogeneo (Cassavetes e Shirley Clarke, Pennebaker, Kenneth Anger, Jonas Mekas, Jack Smith e Andy Warhol) autori totalmente estranei al sistema produttivo mainstream. L obiettivo del loro cinema è legato al rifiuto di ogni controllo intellettuale, del professionismo e dalla pretenziosità dei costi elevati; non solo, ma esso si lega anche alla piena accettazione dei principi beat come l improvvisazione e l incoerenza. È un cinema che in qualche misura ritorna ad essere cinematografo, tecnica, strumento che diviene nuovamente codice. Tra tutte, la cinematografia di Cassavetes quella che esprime al meglio questa inclinazione alla dissonanza. Il film scelto è una grande storia d amore e di follia, sulla follia come differenza e rivolta. Un film importante sul malessere della società americana vista attraverso la famiglia e la coppia (etnicamente disparata: lui plebeo italoamericano, lei yankee di origine svedese). Un film di straordinaria forza emotiva tra il tenero e il feroce. Con una Gena Rowlands e un Peter Falk fuori dal comune. E per ultimo un film che torna indietro nel tempo ma che è attualissimo per raccontare gli anni 70: Non si uccidono così anche i cavalli? di Sidney Pollack. Film I giornalisti Carl Bernstein, a sinistra, e Bob Woodward, nella redazione del Washington Post all'epoca dell'indagine relativa allo scandalo Watergate. 8

10 ambientato nel 1932, durante la grande depressione, a Los Angeles dove si svolge una maratona di danza. Sagra di sadomasochismo, claustrofobica fino all angoscia, impressionante ricostruzione d epoca con dialoghi crepitanti, è una sola, grande metafora sull America amara che si slarga ad allegoria sul destino. Non si uccidono così anche i cavalli? sarà la degna conclusione di questo decennio isolato creante una specie di isola felice, che però, col finire del decennio, arriverà già al suo (troppo anticipato) decesso, complice una serie di avvenimenti che poco per volta ci faranno culminare verso la fine della New Hollywood. In primis, proprio il successo commerciale dei lavori proposti, che porta alcuni autori - Steven Spielberg e George Lucas ad esempio - alla creazione di massicci blockbuster. Proprio il successo commerciale di questi prodotti da un lato, e quello del grossissimo budget richiesto nella loro realizzazione dall altro, hanno ricondotto i producers a rimettere il proprio naso nei progetti dei propri registi. Nonostante le libertà acquisite precedentemente, a Hollywood continuava silenziosamente a vigere la regola del più soldi ci sono in ballo, e più un singolo (in questo caso, il cineasta) ha meno poteri decisionali. La libertà assaporata dagli autori per la rinnovazione del Cinema Americano pian piano si tramuta in un ricordo lontano: il taglio finale alla propria opera ritorna nuovamente in mano ai produttori, che dunque Il regista di origini greche John Cassavetes nel 1954 con la moglie, l attrice Gena Rowlands si porgono, come già nello Studio System, al vertice di tutto il lavoro creativo, riaprendo dunque l eterno combattimento con la figura del regista. Sostanzialmente ai miti antichi e radicati che costituivano punti di riferimento per tutto il paese non si erano ancora sostituite altre idee-forza e nuove convinzioni. Semplificando il concetto, il vecchio era morto; ma il nuovo non lo aveva ancora rimpiazzato. Il mito americano del paese teso al Benessere, fiducioso in se stesso, credente nel Progresso, capace di assimilare e inglobare qualsiasi nuova componente, con una classe dirigente legata direttamente al popolo, lo si può considerare definitivamente tramontato. Ma il nuovo mito non si è ancora imposto. In questa America alla ricerca di qualcosa in cui credere si inserisce il nuovo cinema americano. Un cinema che ci mostra quello che è successo all America in questo decennio: le credenze antiche sono ormai cadute e quelle nuove sono molteplici, incerte e contraddittorie. Arriviamo presto agli anni 80, nei quali a livello politico iniziano gli anni di Ronald Reagan, casualmente ex attore del cinema classico americano. Sono anni in cui la destra repubblicana vedrà il consolidarsi del proprio potere per tutto il decennio. L America di Reagan si presenterà come una nazione detentrice di forti valori e il cinema diverrà gradualmente un elemento centrale nella cultura di massa e uno dei protagonisti dell informazione mediatica. 9

11 SQUARCI DI SETTIMA ARTE: LA NEW HOLLYWOOD, TRA LIBERTÀ E SPAESAMENTO DI STEFANO ODDI C era follia in ogni direzione, ad ogni ora, potevi sprizzare scintille dovunque, c era una fantastica, universale, sensazione che qualsiasi cosa facessimo fosse giusta, che stessimo vincendo. E quello, credo, era il nostro appiglio, quel senso di inevitabile vittoria contro le forze del vecchio e del male, non in senso violento o cattivo, non ne avevamo bisogno, la nostra energia avrebbe semplicemente prevalso, avevamo tutto lo slancio, cavalcavamo la cresta di un altissima e meravigliosa onda. E ora, meno di cinque anni dopo, potevi andare su una ripida collina di Las Vegas e, se guardavi ad ovest, e con il tipo giusto di occhi, potevi quasi vedere il segno dell acqua alta, quel punto, dove l onda infine si è infranta ed è tornata indietro. Mi servo inopinatamente di Terry Gilliam e di un monologo di uno dei suoi film più noti (Paura e delirio a Las Vegas, 1998) o quanto meno di quello in cui il folle regista naturalizzato britannico definisce una volta per tutte l ambiguo e sfaccettato rapporto con la sua patria America, per tentare di introdurre quella cesura epocale nella storia del cinema statunitense (e non solo) conosciuta come New Hollywood, storicamente ricordata come definitivo momento di innesto del concetto di regista-autore all interno dello studio system e -va da sé- di massima celebrazione della libertà espressiva del cineasta all interno delle gabbie costrittive imposte dai produttori, per la prima volta saggiamente concordi nel chinare il capo di fronte a una rigogliosa generazione di interpreti di un mutato stato socio-culturale. Una stagione cinematografica caratterizzata da un insuperata freschezza di temi e motivi oltre che da un numero sterminato di capolavori imprescindibili, tutti compresi tra gli ultimi fuochi degli anni 60 e i primi degli 80. Il mio obiettivo, in questa difficile e breve ricognizione, è quello di abbattere le sclerotizzate posizioni teoriche fondate sullo stereotipo che fa della New Hollywood soltanto il rigurgito made in USA di quel folgorante rinnovamento dei modi di fare cinema instaurato in Europa prima dal neorealismo italiano e poi dalla Nouvelle Vague francese. Senza trascurare il decisivo apporto costituito dalle due scuole europee, cercherò di definire la specificità propriamente americana di questa cruciale pagina di storia del cinema (e in questo, ahimé, dovrò escludere dalla trattazione autori magistrali che pure sono stati parte integrante di quel rinnovamento) dimostrando come le opere di autori del calibro di Martin Scorsese, Hal Ashby, Francis Ford Coppola, John Cassavetes ( ) costituiscano l evoluzione spontanea di una parabola che il cinema americano aveva preso a tracciare già in precedenza grazie a cineasti come John Huston e 10

12 Arthur Penn, oltre che il riflesso più rigoroso di un sentire collettivo irrimediabilmente connesso alla questione del Vietnam e della Guerra Fredda, agli ideali del Sessantotto e soprattutto permeato dalle inquietudini e dallo spaesamento esistenziale che il loro crollo -connesso al trauma delle guerre sporche- produrrà nel tessuto sociale a stelle e strisce. Se dovessimo ricominciare da dove avevamo lasciato il panorama statunitense (monografie a parte), cioè a quegli anni 50 che videro i primi segnali forti di erosione dell immaginario classico, non basterebbe un saggio per indagare la capacità straordinaria di autori come Elia Kazan o Don Siegel di illuminare attraverso film come La valle dell Eden o L invasione degli ultracorpi i segnali più evidenti di un turbamento sofferto e malcelato sotto troppi strati di pelle. L inquietudine della guerra fredda, del maccartismo, della perdita di orientamento di una nazione che dopo la vittoria della Seconda Guerra Mondiale si ritrovava invischiata nell orrore delle guerre di speculazione e perdeva quel posto di riguardo nella scacchiera internazionale, considerato all unanimità il seggio dei giusti. Il cinema classico e la sua logica conchiusa e rigorosa, positivisticamente fondata su un punto di vista -quello statunitense- limpido e privo di scorie cominciò a sfibrarsi subito dopo il conflitto mondiale e lo spaesamento dell intera nazione trovò una perfetta forma di espressione nelle nuove generazioni di interpreti uscite dal celebre Actor Studio, fondato da Kazan. Parlo di Marlon Brando e Paul Newman ma soprattutto di Marilyn Monroe, Montgomery Clift e James Dean, anti-divi entrati nella mitologia tradizionale del cinema con i loro personaggi senza regole né padri, intimamente dissestati, colti in momenti di turbinio esistenziale e incapaci di adattarsi al mondo e alle sue regole. Si pensi ai ribelli senza causa di James Dean, alle pose accartocciate, tese a costruire una corazza dalla durezza del mondo circostante, di film come Gioventù bruciata ma soprattutto il mai abbastanza citato La valle dell Eden oppure ai magnifici e sfrontati loser di Paul Newman tra il selvaggio west revisionista del Penn di Furia selvaggia e la prigione-riformatorio di Rosenberg di Nick mano fredda. Nomi e titoli di valore inestimabile a cui purtroppo non possiamo concedere lo spazio che meritano ma che -pure attraverso queste brevi citazioni- ci aiutano a comprendere come i fermenti innovanti e anticlassici propri della New Hollywood costituiscano un prosieguo coerente di alcune premesse che il cinema statunitense aveva attivato da tempo e non -o almeno non soltanto- un mero travaso da un contesto alieno e lontano come quello europeo. Certo è che quelli che tra la fine degli anni 40 e i primi 60 erano scossoni palpitanti e febbrili di narrazioni che mantenevano -seppur con fatica- un impostazione rigorosamente classica, con l avvento della New Hollywood divennero le ossessioni strutturanti e i leitmotiv tematici totalizzanti di un cinema profondamente riplasmato da registi finalmente liberi di dar voce alle proprie esigenze, ai ritmi di una realtà radicalmente trasformata nel corpo e nella mente dalle battaglie per i diritti civili, dalla morte di Kennedy, dallo scoppio della Guerra in Vietnam e dalle implicazioni di quel gigantesco movimento di rifondazione culturale comunemente ricordato come Sessantotto. Nel momento in cui i tycoon hollywoodiani concessero carta bianca ai propri registi, Una celebre immagine di James Dean per le strade di New York 11

13 Locandina de Il laureato, di Mike Nichols tentando un cambio di rotta che potesse ovviare al crollo di pubblico causato dalla proliferazione degli schermi televisivi, l America viveva quello slancio utopico, innovante e profondamente critico così magnificamente descritto dal monologo del film di Gilliam che apre l articolo. L ardore feroce contro la guerra sporca condotta senza morale nel sud-est Asiatico fungeva da bandiera di un movimento che professava una riorganizzazione della società a partire da un concetto di aggregazione, solidarietà e uguaglianza, da una tensione solare e visionaria verso un futuro ripulito dai fantasmi della discriminazione e della guerra, da un progetto di svecchiamento radicale orientato alla distruzione della società borghese e capitalista e con essa delle ipocrisie bigotte e tradizionaliste. Ma l incapacità di tradurre queste nobili aspirazioni in concreti programmi di riforma causò la deflagrazione del movimento e il sorgere di un sentimento generalizzato di spaesamento esistenziale, accompagnato da una malinconica e pessimistica riflessione sulla definitiva perdita di una purezza nazionale non più recuperabile e da una rilettura critica globale della storia della nazione più potente del mondo. Da questo contesto trovarono linfa vitale i film della New Hollywood, permeati da uno scoppiettante e sfacciato anelito libertario che li portava a trattare temi scottanti (sesso, droga, malavita), ripresi con uno stile fresco e nuovo, tutto aderente alla realtà ruvida della strada, a rigettare il classico happy end per documentare il flusso energico e vibrante del vivere senza freni. Oppure magistralmente costruiti come affreschi infernali di una nazione allo sbando, del cammino privo di punti di riferimento di reduci, vedove, uomini e donne sole, della fine di un era. O spesso programmaticamente orientati a minare lo statuto sacrale dei padri fondatori per riscrivere -e ribaltare- l epopea di conquista del west selvaggio come atroce e sanguinoso atto di distruzione, genocidio del diverso (e non come gloriosa vittoria della civiltà sulla barbarie). Il western in questo senso tornò alla ribalta come genere prediletto di molti cineasti, principale veicolo di riflessione sulle antiche e ineliminabili radici del male costituitivo di un popolo da sempre macchiato di sangue, di solito attraverso l arma sprezzante dell ironia. Il regista Arthur Penn dietro la sua macchina da presa 12

14 Il film con cui la storiografia tradizionale è solita far coincidere l inizio della New Hollywood è Il laureato di Mike Nichols, uscito nel 1967, giocato sul rapporto amoroso che si crea tra un giovane Dustin Hoffman e la prorompente e ben più matura Mrs. Robinson, prima che il neo-laureato s innamori della figlia di questa e con lei coroni il suo sogno d amore. Una parabola sentimentale che scardina con vivida potenza il tabù della sessualità -peraltro adultera, riflettendo con prepotenza sull isolamento, la solitudine e l incomunicabilità tra generazioni sulle note di Simon & Garfunkel e imponendosi anche come percorso simbolico, allegoria del cinema made in USA (Hoffman) che attratto dal fascino maturo del cinema classico (la signora Robinson) preferisce tuttavia tuffarsi nella freschezza e nel nuovo (Elaine), distruggendo tutti i simboli arcaici di un ordine tradizionale e passatista (il protagonista rapisce Elaine proprio nel momento del suo matrimonio, usando la croce come strumento per sbarrare la porta della chiesa) per orientarsi al futuro costituito appunto dalla New Hollywood. Lo stesso anno esce un altro film-monumento della New Wave statunitense, il celebre Gangster story di Arthur Penn, incentrato sulle scorribande della -veramente esistita- coppia di fuorilegge Bonnie e Clyde, profondamente influenzato dai dettami della Nouvelle Vague francese, in primis da Godard e dai suoi Fino all ultimo respiro e Il bandito delle ore 11 e capace di influenzare a sua volta molte generazioni di cineasti. Uno dei suoi meriti principali fu peraltro quello di tracciare gli stilemi costituitivi del cosiddetto film on the road, un sottogenere essenziale e paradigmatico per l esperienza eversiva costituita dalla New Hollywood. Elementi come la strada, il viaggio, la sosta, l incontro che infatti si ponevano come suoi leitmotiv principali permettevano di trasformare il viaggio fisico in itinerario di indagine e riscoperta del proprio sé, percorso attraverso cui placare la propria instabilità e insofferenza, riflesso del proprio disagio interiore, motivo e fine stesso dell andare e non cammino verso una meta determinata. Il viaggio dei protagonisti della New Hollywood attraverso gli scenari lussureggianti o desolati dell America post 68 si poneva prima di tutto come esplorazione dei propri confini, inquieta ricerca di una stabilità intima e personale, unico antidoto al disorientamento morale prodotto dalla perdita di purezza di una nazione, appagamento, tensione utopica verso quella libertà totale e assoluta professata dai movimenti giovanili che facevano sentire la propria voce in tutto il paese. In questo senso va intesa la tragicomica e nostalgica odissea dell Ultima corvé di Ashby, in cui due sottufficiali (uno è Jack Nicholson) conducono un giovane e disadattato marinaio nella prigione dove dovrà passare otto anni della sua giovinezza per il solo torto di aver rubato 40 miseri dollari a un associazione in qualche modo legata all ammiraglio capo. Il viaggio funge da itinerario iniziatico per il ragazzo a cui i due maggiori di buon cuore concedono un po di divertimento mentre si pone come momento di riflessione sull ingloriosa e cupa ingiustizia del vivere per i due protagonisti. Una dimensione a metà tra eterno vagare e andare alfieriano assume invece il ritorno a casa di Jack Nicholson -interprete feticcio dell ondata rivoluzionaria- nei Cinque pezzi facili di Bob Rafelson, uno dei personaggi più sofferti e interessanti della straordinaria decade cinematografica statunitense, costretto a tornare in famiglia a causa della malattia di un padre con cui non parla da anni prima di rivelarsi irrimediabilmente insofferente alla possibilità di legarsi a qualsiasi impegno. Il finale epico, con la fuga in camion verso una meta che non ci è dato decifrare, rappresenta forse al massimo grado il concetto sopracitato di disorientamento esistenziale e l ideale di viaggio come meta stessa del vagare, puro momento di pacificazione estraneo da regole e contingenze. Ben più decostruttivo e straniante è invece il percorso on the road in cui si avventurano i giovani ribelli catatonici di Malick nel folgorante esordio costituito da La rabbia giovane, uno dei film più antimitici mai realizzati, tutto incentrato su una coppia silenziosa che semina morte in modo gratuito tra le brulle e desertiche lande americane (sulla scia del già citato Gangster story), teso a evidenziare, attraverso il vagare privo di schemi dei protagonisti, la totale assurdità della violenza, la banalità del male, l archetipica, barbara e atavica natura dell uomo, drammaticamente opposta alla bellezza di un creato indifferente alle questioni di chi lo abita. Dicotomia che sarà determinante in tutte le pellicole realizzate dal cineasta di Waco, strutturante anche del successivo I giorni del cielo, spietato quanto magnifico scandaglio della grettezza umana ambientato in una vasta piantagione di grano del Texas di inizio Novecento e canto del cigno della New Wave americana. 13

15 Ma è forse l indimenticabile Easy rider di Dennis Hopper l on the road che illustra in modo più limpido e diretto i fermenti paradigmatici della cultura sessantottina e insieme il loro scontro drammatico con una realtà incapace di percepirli. I due protagonisti che attraversano in motocicletta l America, predicando la necessità di essere liberi in tutti i modi possibili, il valore della solidarietà umana e il potere visionario ed evasivo della droga, infatti, cozzano con un universo incapace di comprendere l altro da sé, un mondo ipocrita e volgare in cui parlare di libertà ed essere liberi sono due cose diverse, abitato da persone che ti parlano, e ti parlano, e ti riparlano di questa famosa libertà individuale; ma quando vedono un individuo veramente libero, allora hanno paura. Talmente tanta da sparare a vista su un reietto ancora capace di sognare un mondo migliore, mentre esala l ultimo respiro di fianco a una moto che prende fuoco. E insieme a lei, è il sogno americano a svanire nelle nebbie di un tempo e di una purezza che non esistono più. A pervadere i capolavori della New Hollywood c è infatti soprattutto un profondo senso di perdita. La malinconica e ineliminabile consapevolezza della fine di un era. Di un tempo. Di un apice ormai irraggiungibile. E con essi, la testarda pretesa di sfidare l avido corso del tempo da parte di protagonisti impauriti, delusi, incapaci di accettare l età adulta, le responsabilità, segretamente ostinati a riallacciarsi a quell ideale di purezza costituito dalla fanciullezza, dalla gioventù. Paradigmatici a questo proposito tre titoli giganteschi come L ultimo spettacolo di Peter Bogdanovich, Un mercoledì da leoni di John Milius e Mariti di John Cassavetes. Se nel primo la perdita della giovinezza dei protagonisti (tra i quali un giovanissimo Jeff Bridges) e il crollo dei propositi di purezza di una nazione risucchiata nell abominio della Guerra di Corea vengono raccontati attraverso il filtro narrativo della chiusura di un vecchio cinema di paese (che, in un operazione palesemente metaforica, propone come ultimo spettacolo Il fiume rosso di Hawks -assoluto caposaldo della classicità- come a segnalare la fine di una stagione artistica e l inizio di una nuova), in Mariti Cassavetes racconta il nostalgico scontro con la morte di tre amici di mezz età che, stretti da un legame viscerale e sconvolti dalla scomparsa del loro migliore amico, si lasciano alle spalle per qualche giorno la quotidianità familiare e partono alla ricerca di una giovinezza di cui non scovano più le tracce. Paragonato all Ulisse di Joyce per la sua struttura antianeddotica da epica dell irrilevante e risolto com è nelle colossali e strazianti interpretazioni dei tre attori (John Cassavetes, Ben Gazzara e Peter Falk), Mariti è probabilmente uno dei meno celebrati e più potentemente allarmanti saggi sul disagio esistenziale, figlio di quella straordinaria capacità del suo regista di scandagliare l abisso dei propri personaggi all interno di narrazioni impregnate di banale quotidianità (si pensi agli esordi o al magistrale Una moglie). Non meno imponente, infine, il film sopracitato di Milius, di nuovo giocato sulla storia di un amicizia virile temporalmente scandita in quattro tempi attraverso quei punti di svolta costituiti dalle grandi mareggiate alle quali i protagonisti surfisti dedicano la propria esistenza. In questo senso, Un mercoledì da leoni (orribile titolo italiano che tenta di rendere l originale Big Wednesday) traduce su pellicola il significato 14 Dennis Hopper, Peter Fonda e Jack Nicholson in una scena di Easy Riders

16 più viscerale delle cavalcate d onda, illustrando magnificamente il senso di libertà, la necessità di sospensione, il bisogno di svincolarsi dalle contingenze storiche che in esse si nasconde, fondendo coraggiosamente l anima più profonda del surf con i temi propri della New Hollywood. Nella sua composizione rigorosamente imperniata sulla malinconia del tempo andato, sull ineliminabile tensione verso l utopia di purezza di una generazione e una nazione si configura, inoltre, come un western marino crepuscolare e definitivo sulla fine di un era, su un passaggio di testimone che è individuale e insieme collettivo. Ma la New Hollywood fu anche -e forse soprattutto- un tentativo di riflettere in modo critico sulla storia d America, una rivendicazione di libertà tesa a svincolarsi dalle sclerotizzate e tradizionali letture della genesi di una nazione, a capovolgere di segno il senso e gli ideali che soggiacevano a quella conquista del West fino a quel momento disegnata come trionfo della civiltà bianca sulla barbarie indigena, del bene sul male. Tale dicotomia fu problematizzata, dissolta, quando non ribaltata del tutto. In questo senso, il western fu il genere più colpito da un ondata di revisionismo che gli donò nuova linfa vitale. Si pensi alle ambientazioni invernali e diseroicizzate di Altman nei Compari o all analisi rigorosa delle culture amerinde, ostili alla civilizzazione ma non demoniche o inferiori, del magnifico Corvo rosso non avrai il mio scalpo di Pollack. Un analisi quasi etnografica che ha forse nel Piccolo grande uomo di Arthur Penn il suo apice di poesia. La storia è quella di un longevo centenario che racconta la sua avventurosa vita a un giornalista: strappato dalla sua famiglia da bambino e accolto da un gruppo di Cheyenne, vive sospeso tra le ipocrisie della civiltà bianca e il bucolico e primitivo stile di vita degli indiani, tra la gretta e avida corsa al potere e al denaro dei coloni e il magico e ciclico incedere delle stagioni del popolo degli uomini. Qui, la contrapposizione storica tra bianchi e pellerossa viene sconvolta e ribaltata: l America viene descritta come una nazione nata dal genocidio di una popolazione liricamente convinta del fatto che ogni cosa sia viva e che tutto è immutabile, in eterno, dal sangue innocente di fratelli distrutti dal bianco che crede che tutto sia mortale, le pietre, la terra, gli animali, anche gli uomini, anche quelli del suo popolo. E più una 15 Registi in alto a sinistra: Sam Peckinpah; a lato: Francis Ford Coppola Sopra: Robert Altman

17 cosa è viva, più i bianchi fanno di tutto per distruggerla. Al posto della razionalità illuminante, alle radici degli Stati Uniti viene ricondotto l odio, l intolleranza, una subdola, ipocrita e smisurata avidità, il male. E in questo senso vanno interpretati i western carichi di violenza di un autore come Sam Peckinpah, per il quale inondare di sangue le proprie pellicole (Il mucchio selvaggio, Voglio la testa di Garcia, Pat Garrett & Billy the Kid) non coincide con una mera ricerca di un effetto scontato e scioccante bensì con una quanto mai intensa riflessione su quel male gratuito e inspiegabile che -come un archetipo generativopermea la storia degli Stati Uniti, sin dalla sua genesi, esplodendo come in un freudiano ritorno del rimosso nelle praterie metropolitane che pure affollano la produzione degli anni 70. I drammi urbani epifanizzati con le macchine a spalla nei veri quartieri delle capitali americane che proprio con la New Hollywood giunsero a un apice dolente e universale di perfezione drammaturgica, infatti, vanno interpretati come trasfigurazione presentificante di una riflessione sull anima nera di una nazione che proprio nel western revisionista del tempo aveva trovato la sua genesi. Molti cineasti statunitensi presero a scandagliare con occhio lucido e disincantato le situazioni delle comunità di outsider che il dibattito sessantottino aveva posto al centro dell opinione pubblica. Così, in Panico a Needle Park Schatzberg indaga in modo impietoso la vita di Bobby, tossico di eroina interpretato da Al Pacino, uno dei volti simbolo della New Hollywood: poliziotto incaricato di indagare su un killer di omosessuali e portato a interrogarsi sul proprio stesso orientamento nel magnifico Cruising di Friedkin, il celebre agente Serpico nell omonimo film di Lumet, il ladro nevrotico ed esagitato di Quel pomeriggio di un giorno da cani (ancora Lumet) che svaligia una banca per pagare al suo compagno transessuale un operazione per il cambio di sesso. Senza dimenticare il Michael Corleone dei due (tre con quello del 1990) celeberrimi episodi della saga del Padrino di Coppola, affresco storico di una famiglia mafiosa statunitense di origini siciliane, analizzata con precisione sociologica chirurgica e capace di far scuola ai successivi capisaldi del genere. E proprio il mondo criminale costituisce l universo più consono a mettere in atto quell estetica negativa propria del miglior cinema statunitense degli anni 70. Film come Il braccio violento della legge di William Friedkin, Chinatown di Roman Polanski, Il maratoneta di John Schlesinger, quelli dedicati al celebre ispettore Henry Callaghan di Clint Eastwood, spesso definiti con la formula di drammi metropolitani, costituiscono insieme -come fossero un unico grande film- una riflessione compiuta e pessimista sul male, sulla disperata consapevolezza di un mondo -l America- che ha smarrito la propria morale. In quest ambito però i vertici estetici più elevati sono raggiunti dall opera di Martin Scorsese, capace di unire l analisi rigorosa di tale frattura insanabile nel tessuto sociale con la discesa incontrollata -e insuperata in termini di approfondimento e complessità- negli abissi della mente deviata dei propri protagonisti, in particolare del feticcio Robert De Niro, capace nel suo maniacale perfezionismo di vestire i panni di personaggi disadattati e dominati da qualcosa di morboso, sempre in bilico tra un equilibrio instabile e i picchi di follia che esplodono -a vari livelli- come una sorta di riattualizzata furia omerica : dal Johnny Boy di Mean streets, ribelle ma codardo membro di una cosca criminale newyorkese, al Jake La Motta di Toro scatenato, campione mondiale dei pesi medi oltre che marito paranoico, geloso, violento, specchio di un inquietudine più ampia e radicata, passando per il Travis Bickle di Taxi Driver, reduce dal Vietnam incapace di recuperare un contatto equilibrato con il reale. Uno dei più grandi antieroi della storia del cinema, deciso a combattere la sua insonnia perenne trasportando in taxi i corpi marci di una squallida metropoli tardo-novecentesca come il traghettatore dantesco trascinava le anime dei dannati oltre l Acheronte, in quello che è il film più paradigmatico dell opera di Martin Scorsese. C è, infatti, in questa pellicola estrema e capitale tutta l anima del regista newyorkese: l occhio sociologico, spietato e penetrante rivolto all America; l indagine inquieta e rigorosa sul male, sulla sua origine, la sua evoluzione, i suoi connotati, le sue forme; l esplorazione muta della nevrosi che del male è la principale manifestazione; la presa di coscienza della fine dell innocenza, dell inevitabilità dell alienazione, della solitudine, dell incomunicabilità in un mondo gretto, malato, selvaggio; la prepotente e cupa dimensione religiosa, che avvolge la New York di celluloide, trasformandola in un inferno d asfalto in attesa di un diluvio universale che ripulirà le strade una volta per sempre. Dalla sua postazione privilegiata, Travis osserva i dettagli di una realtà che pare disgregarsi sotto il peso dell immondizia, concreta e morale, della civiltà occidentale. I soffitti rigonfi, la candele smozzate, i sedili sporchi di sangue e sperma, la vernice incrostata e cadente delle pareti imbrattate, la bruttezza porosa e ammuffita dei corpi e dei volti: tutto -accentuato com è dalla fotografia iperrealistica di Michael Chapman- pare trasudare l orrore e la decadenza di un mondo che attende solo 16

18 la sua fine. Questo viaggio dritto negli angoli più reconditi e aberranti dell America va di pari passo con uno scandaglio che penetra sempre più a fondo l anima nera del protagonista, il suo disagio esistenziale, la sua malattia morbosa, la condanna obbligata all alienazione, all isolamento e all incomunicabità che tanto lo avvicina agli infimi eroi di Dostoevskij ( La solitudine mi ha perseguitato per tutta la vita, dappertutto. Nei bar, in macchina, per la strada, nei negozi, dappertutto. Non c è scampo: sono nato per essere solo ). Tutto questo all interno di un opera che è indubbiamente il manifesto più esemplare dell ansia rinnovatrice della New Hollywood intera. E nello stesso tempo il più solido esempio di come ogni evoluzione verso il futuro sia necessariamente anche un ritorno al passato. Così, non è un caso che Travis, nella sua definitiva, sanguinosa e apocalittica vendetta, si rapi la testa, assumendo i tratti degli antichi indiani d America, dei quali rievoca i gesti tipici e le pratiche ritualistiche: l attenzione dedicata alla costruzioni di marchingegni da adattare alle armi, l allenamento fisico, il sacrale rogo di fiori morti nel lavabo. Solo allora, ancora più outsider e simbolicamente vicino a quella purezza che il Nuovo Mondo ha perduto, dà vita al diluvio universale capace di ripulire le coscienze. Se i colpi delle sue armi macellano fisicamente le carni dei disgustosi avventori della piccola Iris, il gesto scattoso e malato della pistola che il reietto reduce dal Vietnam puntualmente imita con la mano diventa l indice simbolico di una volontà di distruzione che si abbatte contro tutti i valori della società occidentale. Il dito di Travis punta gli uomini, le donne, i politici, la scatola della televisione (poi rovesciata e distrutta in una scena di pregnante e nitido simbolismo), persino lo schermo cinematografico. Come a dire che quella necessaria ondata deve travolgere la stessa tradizione filmica, quella che Scorsese riplasma, rifacendosi alle lezioni degli antecedenti Cassavetes e Godard. Ancora il nuovo attraverso il vecchio. E nel finale, un Travis moribondo punta quella pistola immaginaria alla sua testa, con le gocce di sangue che cadono ritmicamente dal dito teso. La purezza della vecchia America ha sconfitto l orrore della nuova. Ma perchè sia possibile ricominciare da zero, il sangue versato va lavato a prezzo della propria vita. Al primo piano di un emaciato, strepitoso De Niro segue allora il movimento delle labbra che simulano un esplosione. Più che uno sparo, un nuovo big bang. E infine la guerra. Il cinema americano rinnovato degli anni 70 non poteva non scontrarsi con il fantasma del Vietnam, con quell inferno privo di regole in cui accusare un uomo di omicidio [...] era come fare con- 17 Attori a sinistra: Al Pacino (in alto); Dustin Hoffman (in basso); al centro: Robert De Niro; sopra: Jack Nicholson

19 travvenzioni per eccesso di velocità alla 500 miglia di Indianapolis, il laboratorio in cui migliaia di americani sfogarono quel surplus di odio e violenza mal soffocato da duecento anni di civilizzazione. Il Vietnam si pose come la nuova frontiera e gli indigeni si sostituirono ai pellerossa. E se nel 1970 Altman affrontò la questione (quella, però, della Guerra di Corea) sfruttando l arma dell ironia, dissacrando con vigore mai visto prima l esercito statunitense in M*A*S*H (acronimo che indica il Mobile Army Surgical Hospital di cui la pellicola narra le grottesche disavventure), sarà tra 78 e 79 che il cinema made in USA darà vita a due dei più straordinari vertici del cinema bellico, accantonando il registro comico di Altman per riflettere con tragica e spietata consapevolezza sulle profonde e insanabili lacerazioni causate dalla guerra nell animo umano, utilizzando il filtro del Vietnam come matrice di una riflessione universale sull uomo e sul male. Iniziamo con Apocalypse now (1979), il capolavoro definitivo e totale di Coppola, folle, disturbante, schizofrenico e allucinato animale filmico che traspone il Cuore di tenebra di Conrad -uno dei più grandi romanzi del primo 900- nella giungla cambogiana, raccontando la missione segreta del capitano Willard, incaricato di risalire il fiume Nung ed eliminare il colonnello Kurtz, disertore da tempo, innalzatosi al livello di semidio tra le popolazioni locali. Il viaggio su acqua della piccola truppa affidata al Willard di Martin Sheen perde a poco a poco le proprie coordinate topografiche, costituendosi in modo sempre più netto come itinerario verso il cuore nero dell anima umana. In fin dei conti -premettendo che ogni definizione risulta riduttiva se spesa nei confronti di un opera d arte di tale levatura- Apocalypse nowsi sostanzia come una disperata riflessione sull uomo e la sua pretesa ontologica di essere razionale, sul fondo atavico, barbaro e oscuro che ogni essere vivente conserva nell anima ( Dobbiamo ucciderli, incenerirli, un maiale dopo l altro, un villaggio dopo l altro, un esercito dopo l altro. E mi chiamano assassino. Come si chiama questo? Quando gli assassini accusano un assassino?), sulla natura del potere, sulla capacità di giu- Marlon Brando in Apocalyipse Now, di Francis Ford Coppola 18

20 dicarsi e giudicare, sull assurdità sconsiderata e priva di senso di ogni conflitto ( Noi addestriamo dei giovani a scaricare napalm sulla gente, ma i loro comandanti non gli permettono di scrivere cazzo sui loro aerei perché è una parola oscena. ), sulle modalità di condotta individuale in situazioni estreme ( Era un modo particolare che avevamo qui di vivere con noi stessi: li facevamo a brandelli con una mitragliatrice, poi gli davamo un cerotto. ) e in fondo sul capitalismo statunitense, sull orrore di un mondo bipolare, sulla minaccia nucleare. Il tutto in un atmosfera rarefatta e da incubo, satura di sequenze da antologia. Si pensi soltanto al Kurtz di Marlon Brando, personaggio epico e marchiato a fuoco nell empireo della settima arte: il divo hollywoodiano si chiuse in una palafitta per una settimana e ne uscì rasato senza aver letto una sola riga di copione. Accettò la parte propostagli da Coppola obbligandolo a riprenderlo soltanto al buio o per contrasti di luce in modo da evocare un essenza più che mostrare una presenza. E le sue osservazioni sull orrore del vivere, la sua voce over che recita i versi degli Uomini vuoti di Eliot o la scena finale in cui si offre al machete di Willard mentre fuori, tra i fuochi della festa un bue viene sacrificato (momento ripreso da più angolazioni in una citazione evidentissima a Ejzenstein) restano, ancora oggi, alcuni dei momenti più evocativi, complessi e straordinari che il cinema abbia mai prodotto. Lontano dagli echi allucinati e distorti dell opera di Coppola ma ad essa equiparabile per potenza e rilevanza storica è senza dubbio Il cacciatore, sterminato capolavoro di Michael Cimino di un anno precedente, imperniato sull amicizia fraterna di tre operai (De Niro, Walken, Savage) di un acciaieria della Pennsylvania e organizzato drammaturgicamente intorno a grandi blocchi narrativi, più o meno temporalmente distanti: il matrimonio, la caccia al cervo, il Vietnam, il ritorno a casa ( ). In modo più lineare di Coppola con Apocalypse now, Cimino elabora una tragica e inquietante parabola sugli effetti della guerra sulla psiche umana. Non è un caso che la sezione dedicata al Vietnam costituisca il centro della pellicola e sia decisamente breve (il che ha spesso fatto interrogare gli studiosi sulla sua natura di film bellico: fondamentalmente -a mio avviso- si tratta -come nei migliori casi- più che di un film di guerra, di un film sulla guerra, sui suoi effetti, la sua assurdità, il suo orrore), quasi tutta risolta nell epica e celeberrima sequenza in cui i tre amici, catturati dai vietcong, si vedono costretti a fronteggiarsi l uno contro l altro nella terrificante prova della roulette russa. La lunga, cerimoniale e toccante sequenza del matrimonio che la precede, affiancata a quella della caccia al cervo e a poche altre, tutte tese a illustrare la serenità del gruppo di amici in una cittadina lontana dal chiassoso mormorio delle grandi metropoli e l equilibrio morale dei protagonisti per cui nella caccia si deve contare su un colpo solo perché il cervo non ha il fucile, deve essere preso con un colpo solo. Altrimenti non è leale funge da tragico contrappunto prima alle scioccanti immagini della giungla vietnamita e successivamente alla terza macro-sezione della pellicola, che illustra l impossibile riadattamento esistenziale che segue al trauma indicibile dell aver camminato di fianco e dentro la morte. L epilogo, in questo senso, con i protagonisti seduti intorno a un tavolo a guerra finita, consapevoli della drammatica certezza che non c è più spazio per la purezza, più tempo per ricordare le montagne o come sono diversi gli alberi, e intenti a intonare God bless Americaf unge da vero e proprio epitaffio funebre. Per un amico. Per l innocenza di un mondo perduto. Per la fine di un ondata nostalgica e rivoluzionaria che proprio due anni dopo, in seguito al disastro commerciale del magnifico e maledetto I cancelli del cielo dello stesso Cimino, s infrangerà a riva, chiudendo per sempre la migliore stagione del cinema statunitense. Kriss Kristofferson e Isabelle Huppert in una scena de I cancelli del cielo, di Michael Cimino 19

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