LAWLETTER. Avv. Mario Berruti Avv. Alessandra Bessi Avv. Vera Chiozzi Avv. Andrea Sterli

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1 LAWLETTER Avv. Mario Berruti Avv. Alessandra Bessi Avv. Vera Chiozzi Avv. Andrea Sterli ALL INTERNO PATTEGGIAMENTO IN SEDE PENALE E LICENZIAMENTO 3912/2013) P R I N C I P I O D I I M M E D I AT E Z Z A D E L L A C O N T E S T A Z I O N E E LICENZIAMENTO 5408/2013) I L L E G I T T I M O L I C E N Z I A M E N T O E RISARCIMENTO DEL DANNO 6340/2013) DURATA DEL PREAVVISO E DEROGA AL CCNL (Tribunale di Brescia n. 128/2013) Variazione delle circostanze contestate e licenziamento Il provvedimento di licenziamento che fa riferimento ad un fatto nuovo rispetto alla contestazione di addebito viola il principio della immutabilità della contestazione e quello della corrispondenza tra fatto contestato e addebito della contestazione (Cassazione Civile sez. lav. n. 3536/13). La massima in commento può apparire banale, ma in realtà non lo è affatto. Per comprendere la portata della stessa, infatti, occorre prendere le mosse dalla fattispecie portata all attenzione della Suprema Corte. Con una missiva di contestazione ai sensi dell art. 7 L. 300/70, un datore di lavoro contestava ad una propria dipendente l assenza ingiustificata, per non essersi presentata al lavoro al termine del periodo di congedo obbligatorio per gravidanza/ maternità, senza fornire giustificazioni ovvero senza inoltrare richiesta di astensione facoltativa. La lavoratrice trasmetteva alla datrice di lavoro le proprie giustificazioni, chiarendo di aver inviato per tempo all INPS la richiesta di astensione facoltativa, e che sono per errore non vi era stata analoga comunicazione al datore di lavoro nel rispetto dei termini di legge (entro 15 giorni dalla scadenza del periodo di congedo obbligatorio). Ciò nonostante, la datrice di lavoro comunicava alla lavoratrice il licenziamento perché "le procedure da lei adottate non sono conformi a quanto previsto dalla legge in materia". A detta della Suprema Corte, il licenziamento de quo era stato intimato per un fatto (la violazione delle procedure relative la richiesta di astensione facoltativa) ben differente rispetto a quello oggetto della contestazione disciplinare (l assenza ingiustificata). Di conseguenza, la circostanza fondante il licenziamento, della quale, all evidenza, la datrice di lavoro era venuta a conoscenza solo a seguito delle giustificazioni della lavoratrice, avrebbe dovuto essere oggetto di una nuova (ed autonoma) contestazione. D altra parte, sottolinea la Corte di C a s s a z i o n e, d i v e r s a m e n t e s i legittimerebbe una limitazione del diritto di difesa del lavoratore, il quale, fornendo le proprie giustificazioni solo sulla scorta dell originaria contestazione, nulla avrebbe potuto argomentare sui nuovi rilievi mossi dal datore di l avo ro i n u n o a l l a m i s s i va d i licenziamento. In altre parole, il datore di lavoro sarebbe incappato nella violazione del principio della immutabilità della contestazione. Questo, infatti, preclude al datore di lavoro di far valere, a sostegno della legittimità del licenziamento, circostanze diverse rispetto a quelle contestate d ove n d o s i g a r a n t i r e l ' e f f e t t i vo diritto di difesa che la normativa sul procedimento disciplinare, di cui all'art. 7 della legge n. 300 del 1970, assicura al lavoratore incolpato.

2 Patteggiamento in sede penale e licenziamento Ove una disposizione del contratto collettivo faccia riferimento alla sentenza penale di condanna passata in giudicato come fatto idoneo a consentire il licenziamento senza preavviso, il giudice di merito può, nell'interpretare la volontà delle parti collettive espressa nella clausola contrattuale, ritenere che gli agenti contrattuali, nell'usare l'espressione "sentenza di condanna", si siano ispirati al comune sentire che a questa associa la sentenza cd. "di patteggiamento" ex art. 444 c.p.p., attesa che in tal caso l'imputato non nega la propria responsabilità, ma esonera l'accusa dall'onere della relativa prova in cambio di una riduzione di pena (Cassazione Civile sez. lav. n. 3912/13) L a s e n t e n z a i n c o m m e n t o affronta il problema della rilevanza dell'eventuale patteggiamento in sede penale ai fini della valutazione, da p a r t e d e l G i u d i c e d e l L avo r o circa la legittimità del licenziamento irrogato in c o n s e g u e n z a d e i m e d e s i m i fatti. Il ragionamento della Suprema C o r t e p a r t e d a u n d a t o inoppugnabile e, cioè, dalla constatazione che la sentenza p r o n u n c i a t a a n o r m a d e l l a r t. 444 c.p.p. - che disciplina l a p p l i c a z i o n e d e l l a p e n a s u richiesta dell imputato - non è tecnicamente configurabile c o m e u n a s e n t e n z a d i condanna. T u t t a v i a, è p u r v e r o c h e, nell evoluzione della i n t e r p r e t a z i o n e d e l l a n o r m a s i è a f f e r m a t o c h e, o v e u n a d i s p o s i z i o n e d e l c o n t r a t t o c o l l e t t i v o f a c c i a r i f e r i m e n t o a l l a s e n t e n z a p e n a l e d i c o n d a n n a p a s s a t a i n g i u d i c a t o come fatto idoneo a consentire il licenziamento senza p r e av v i s o, i l g i u d i c e d i m e r i t o può, nell interpretare la volontà delle parti collettive espressa nella clausola c o n t r a t t u a l e, r i t e n e r e c h e g l i agenti contrattuali, nell usare l e s p r e s s i o n e «s e n t e n z a d i condanna», si siano ispirati al comune sentire che a questa a s s o c i a l a s e n t e n z a c d. «d i patteggiamento» ex a r t c. p. p., a t t e s o c h e i n t a l c a s o l imputato non nega la propria responsabilità, ma esonera l accusa dall onere della r e l a t i v a p r o v a i n c a m b i o d i una riduzione di pena (in questo senso vedansi anche C a s s a z i o n e C i v i l e s e z l av. n del 2008 e Cassazione Civile sez lav. n del 2011). E t u t t a v i a, s p e c i f i c a l a Suprema Corte, tale equiparazione non esonera dall ulteriore indagine della idoneità dei fatti a ledere i r r i m e d i a b i l m e n t e i l v i n c o l o d i fiducia con il lavoratore, in p a r t i c o l a r e n e l c a s o i n c u i, come quello di specie, il licenziamento sia intimato con riguardo ad una previsione c o l l e t t i v a, c h e f a s ì riferimento alla «condanna passata in giudicato» ma condiziona comunque l irrogazione della massima sanzione alla circostanza che «i f a t t i c o s t i t u e n t i r e a t o p o s s a n o a s s u m e r e r i l i e v o a i f i n i d e l l a l e s i o n e d e l r a p p o r t o f i d u c i a r i o, n e l l i p o t e s i i n c u i la loro gravità in relazione alla natura del rapporto, alle m a n s i o n i, a l g r a d o d i affidamento sia tale di far ritenere il lavoratore p r o f e s s i o n a l m e n t e i n i d o n e o alla prosecuzione del rapporto». In questo caso, infatti, non si può prescindere da una n u o v a v a l u t a z i o n e d e i f a t t i o g g e t t o d e l p r o c e d i m e n t o penale conclusosi con la s e n t e n z a d i p a t t e g g i a m e n t o, n e l l a d i v e r s a p r o s p e t t i v a c h e, t e n u t o c o n t o d e l l e m a n s i o n i d e l l a v o r a t o r e e d d e l g r a d o d i a f f i d a m e n t o i n l u i r i p o s t o, per la loro gravità, non consentano una prosecuzione, neppure p r o v v i s o r i a d e l r a p p o r t o d i lavoro. Allo stesso modo, conclude la Corte di Cassazione, non e s u f f i c i e n t e l a m e r a s e n t e n z a d i p a t t e g g i a m e n t o n e m m e n o n e l l i p o t e s i i n c u i i f a t t i c o n t e s t a t i s i a n o riconducibili alla diversa, e p i ù g e n e r a l e, i p o t e s i p e r c u i s i a n o s t a t i a c c e r t a t i «f a t t i o a t t i d o l o s i, a n c h e n e i confronti di terzi, di gravità tale da non consentire a p r o s e c u z i o n e d e l r a p p o r t o d i lavoro».

3 Principio di immediatezza della contestazione e licenziamento Il principio di immediatezza della contestazione deve essere inteso in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura dell'illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l'espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più complessa sia l'organizzazione aziendale (Cassazione Civile sez. lav. n. 5408/13) Con la sentenza in commento, la proposto dal datore di lavoro e Suprema Corte ha ribadito che, in confermato l'impugnata sentenza di tema di sanzioni disciplinari, la merito con la quale era stata rilevata v a l u t a z i o n e d e l p r i n c i p i o d i la illegittimità del licenziamento immediatezza va effettuata in base al intimato dal datore di lavoro, in base criterio della relatività, nel senso che alla riscontrata tardività della deve essere considerata la situazione contestazione mossa al dipendente concreta ed i motivi oggettivi che del cui comportamento - rilevante possano aver giustificato il disciplinarmente e consistente nello p r o l u n g a m e n t o d e l l e i n d a g i n i svolgimento di altra attività accertative da parte del datore di lavorativa presso altra azienda - lo lavoro, avuto anche riguardo al stesso datore era già a conoscenza da momento in cui quest'ultimo possa un apprezzabile tempo). ragionevolmente essere venuto a Con particolare riferimento a fatti compiuta conoscenza del fatto (in aventi rilievo penale, poi, è stato questo senso vedasi anche p r e c i s a t o c h e i l p r i n c i p i o Cassazione Civile sez. lav. 3058/13). sopramenzionato - la cui ratio riflette I n a l t r e p a r o l e, i n t e m a d i l'esigenza di osservanza della regola licenziamento disciplinare, nel della buona fede e della correttezza valutare l'immediatezza della nell'attuazione del rapporto di lavoro contestazione occorre tener conto dei - non consente all'imprenditore di contrapposti interessi del datore di procrastinare la contestazione lavoro a non avviare procedimenti medesima, in modo da rendere senza aver acquisito i dati essenziali impossibile o eccessivamente difficile della vicenda e del lavoratore a la difesa del lavoratore; peraltro, la vedersi contestati i fatti in un presentazione, da parte del datore di ragionevole lasso di tempo dalla loro lavoro, di una denuncia in sede commissione (Cassazione Civile sez. penale non esclude l'onere, per il lav. n. 1101/07). medesimo di promuovere Tuttavia, il principio della tempestivamente il procedimento immediatezza della contestazione, disciplinare contro il lavoratore, non pur dovendo essere inteso in senso sottoposto a sospensione cautelare, a relativo, comporta che l'imprenditore carico del quale egli abbia già porti a conoscenza del lavoratore i rilevato elementi di responsabilità. fatti contestati non appena essi gli (Cassazione Civile sez. lav. 9 agosto appaiono ragionevolmente 2004 n ). s u s s i s t e n t i, n o n p o t e n d o e g l i Ciò posto, nel caso di cui alla legittimamente dilazionare la sentenza in commento, si discuteva contestazione fino al momento in cui del licenziamento intimato da ritiene di averne assoluta certezza un azienda sanitaria locale ad un (vedansi, in questo senso, fra le proprio dirigente, reo secondo la molte, Cassazione Civile sez. lav. 12 ricostruzione fornita dal datore di maggio 2005 n e, in aver tenuto, nel triennio precedente, particolare, Cassazione Civile sez. un comportamento sostanziatosi lav. 13 giugno 2006 n , che nella manifestazione di un continuo sulla scorta dell'enunciato principio, atteggiamento conflittuale e ha rigettato il ricorso incidentale denigratorio nell ambiente di lavoro, n e l l a t o t a l e a s s e n z a d i collaborazione, nonché in vistose carenze deontologiche e professionali. Tali situazioni venivano evidenziate da una relazione del Direttore sanitario dell Asl, a cui seguiva l avvio del procedimento disciplinare, con contestazione al dirigente dei relativi addebiti. Ricevute le deduzioni scritte del dipendente, espletata l audizione dello stesso ed ottenuto il parere dei Garanti, veniva deliberato il licenziamento. Il dipendente impugnava il licenziamento, sostenendo che la contestazione degli addebiti fosse intempestiva (essendo l Asl già da tempo a conoscenza dei fatti), e che il tempo impiegato per deliberare il recesso (circa due mesi), una volta e s a u r i t a l a p r o c e d u r a d i contestazione degli addebiti, fosse privo di giustificazione. Le censure mosse dal dipendente trovavano accoglimento ed il licenziamento veniva dichiarato illegittimo nel giudizio di merito (sia di primo che di secondo grado). A questo punto, chiarita la portata del principio di immediatezza del licenziamento, la Suprema Corte ha ribadito che è riservata al giudizio di merito la valutazione delle circostanze di fatto che, in concreto, giustifichino o meno il ritardo. Ciò soprattutto se si considera che la tempestività del licenziamento non può risolversi in un dato cronologico fisso e predeterminato, ma costituisce valutazione di congruità che il giudice di merito deve fare caso per caso, con riferimento all'intero contesto delle circostanze significative (Cassazione Civile sez. lav.. n. 7037/2011).

4 Licenziamento illegittimo e risarcimento del danno La dichiarazione di invalidità del licenziamento ex art. 18, legge n. 300/1970, non comporta automaticamente la condanna del datore al risarcimento del danno nella misura stabilita dalla norma in base a una forma di responsabilità oggettiva: l irrilevanza degli elementi soggettivi vale solo in relazione alla misura minima delle cinque mensilità, mentre la questione relativa alla sussistenza della responsabilità risarcitoria è disciplinata dalle regole generali del c.c. (Cassazione Civile sez. lav. n. 6340/13) Con la sentenza in commento, la la dichiarazione di invalidità del licenziamento a norma dell'ari 18 della legge n. 300 del 1970 non comporta automaticamente la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno nella misura stabilita dal quarto comma, con esclusione di ogni rilevanza dei profili del dolo o della colpa nel comportamento del recedente, e cioè per una forma di responsabilità oggettiva. L'irrilevanza degli elementi soggettivi è configurabile, per effetto della rigidità al riguardo della formulazione normativa, limitatamente alla misura minima delle cinque mensilità, la quale è assimilabile ad una sorta di penale avente la sua radice nel rischio di impresa e può assumere la funzione d i u n a s s e g n o, i n s e n s o l a t o, assistenziale nel caso di assenza di una responsabilità di tipo soggettivo in capo al datore di lavoro. La disposizione in esame, invece, - commisurando l'indennità risarcitoria alla retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento - contiene solo una presunzione legale "iuris tantum" circa l'entità del danno subito dal lavoratore, mentre la questione relativa alla sussistenza della responsabilità risarcitoria deve ritenersi regolata dalle norme del codice civile in tema di risarcimento d e l d a n n o c o n s e g u e n t e a d inadempimento delle obbligazioni, non introducendo l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori elementi distintivi. Ne consegue l'applicabilità dell'art cod. civ., secondo cui il debitore non è tenuto al risarcimento del danno nel caso in cui fornisca la prova che l'inadempimento consegue ad impossibilità della prestazione a lui non imputabile. Nel caso di specie, la Corte territoriale rigettava il gravame proposto da un lavoratore avverso la decisione del Tribunale che aveva accolto le domande dal predetto proposte nei confronti del proprio ex datore di lavoro intese alla declaratoria di illegittimità del licenziamento irrogatogli, alla condanna della società alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno ex art. 18 l. 300/70, limitandolo, tuttavia, ad una somma corrispondente a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Tale limitazione conseguiva la fatto che il licenziamento era scaturito da una valutazione dell'ufficio sanitario della datrice di lavoro, che aveva accertato l'inidoneità del lavoratore allo svolgimento delle mansioni lavorative di autista, poi smentita dal C.T.U. che ne aveva, invece, accertato l'idoneità. D i c o n s e g u e n z a, e s s e n d o s t ato provato che l'inadempimento era conseguito ad impossibilità della prestazione non imputabile al datore di lavoro, pur dovendo ritenersi il licenziamento illegittimamente irrogato, il risarcimento spettasse nella misura minima stabilita dalla legge, pari a cinque mensilità, assimilabile ad una penale avente la sua radice nel rischio d'impresa. In altre parole, il datore di lavoro si era determinato al licenziamento in base alla certificazione medica proveniente da strutture sanitarie pubbliche relativa ad un giudizio di i n i d o n e i t à d e l r i c o r r e n t e a l l o svolgimento delle sue mansioni, circostanza che, secondo la Corte territoriale, la società non poteva n o n t e n e re i n c o n t o e che s i traduceva in un'impossibilità della prestazione non imputabile al datore di lavoro. Osservava, inoltre, che il giudizio non si estendeva al di là dell'ambito della valutazione tecnica della struttura sanitaria, non potendo rilevare profili di colpa o di dolo ravvisabili nella condotta del datore di lavoro. La Corte di Cassazione, investita in ultima istanza della questione, concordava con la valutazione della Corte territoriale, specificando che, una volta esclusa la accertata inidoneità, la natura ingiustificata del recesso non poteva, tuttavia, legittimare un risarcimento pieno ai sensi dell'art. 18, comma 4 dello Statuto di Lavoratori, in forza dell'orientamento giurisprudenziale di cui alla massima, già formatosi in s e n o a l m e d e s i m o c o l l e g i o (Cassazione Civile sez. lav. 15 luglio 2002 n , cui è conforme Cassazione Civile sez. lav. 7 agosto 2003 n e Cassazione Civile sez. lav. 6 settembre 2005 n ).

5 Durata del preavviso e deroga al ccnl E nulla la clausola del contratto individuale con la quale viene pattuita una maggior durata del preavviso rispetto alla previsione del ccnl applicato al rapporto di lavoro (Tribunale di Brescia sez. lav. n. 128/13) Piace segnalare questa sentenza del nostro Tribunale, che si distingue per aver affrontato una questione al quanto particolare e, cioè, quella della previsione, a cura del contratto individuale di lavoro, di termini di preavviso (sia in caso di dimissioni che d i l i c e n z i a m e n t o ) d i v e r s i ( e, segnatamente, superiori) rispetto a quelli stabiliti dal ccnl applicato al rapporto. In tema di preavviso la norma di riferimento è l art c.c., il quale stabilisce che i termini (massimi) di preavviso sono stabiliti dalle norme corporative (ora, ovviamente, dai contratti collettivi). La ratio di siffatta norma è quanto mai evidente, e coincide con la necessità di salvaguardare il diritto di recesso e, quindi, la libertà stessa del lavoratore (situazioni giuridiche, queste, aventi i n e q u i v o c a b i l m e n t e r i l i e v o costituzionale). Il contenimento della durata del preavviso di dimissioni, infatti, protegge la libertà personale del lavoratore: nello stabilire che la fissazione del termine (massimo) di preavviso sia sottratta all autonomia contrattuale e rimessa alla contrattazione collettiva, il legislatore ha inteso scongiurare il pericolo dell imposizione al lavoratore, da parte del datore di lavoro, di un periodo di dimissioni eccessivamente lungo. La clausola del contratto individuale che introduce la previsione di un periodo di preavviso di durata superiore a quello stabilito dalla contrattazione collettiva, quindi, deve ritenersi radicalmente nulla, in quanto in contrasto con il disposto di cui al citato art c.c.. In questo senso ha già avuto modo di esprimersi la giurisprudenza di legittimità (Cassazione civile sez. lav. 3 novembre 2009 n ): In materia di recesso dal rapporto di lavoro, è valida la clausola del contratto individuale che preveda un termine di preavviso per le dimissioni più lungo rispetto a quello stabilito per il licenziamento, ove tale facoltà di deroga sia prevista dal contratto collettivo ed il lavoratore riceva, quale corrispettivo per il maggior termine, compenso in denaro Da un lato, quindi, la Suprema Corte limita la possibilità di inserire in un contratto individuale un periodo di preavviso più lungo alla sola ipotesi in cui ciò sia espressamente concesso dalla contrattazione collettiva. Dall altro, la Corte di Cassazione ha sottolineato come una siffatta previsione non sia di per sé nemmeno sufficiente: è altresì necessario che al lavoratore sia garantita una contropartita a compensazione del disagio subito (peraltro, palesando inequivocabilmente come, a fronte di siffatte clausole, il lavoratore non possa che essere inteso come il danneggiato ). In altre parole, il prolungamento dei termini di preavviso in un ottica di fidelizzazione del lavoratore, per risultare compatibile con il principio di libero recesso e con la libertà del lavoratore, deve essere espressamente autorizzato dalla contrattazione collettiva ed, inoltre, deve essere controbilanciato da un corrispettivo economico appropriato. La giurisprudenza di merito, in aderenza al predetto orientamento, ha quindi ritenuto che, pur a fronte di una espressa previsione in tal senso del ccnl applicato, il prolungamento del patto non sia legittimo se non accompagnato da un corrispettivo congruo (Tribunale di Bologna 1 settembre 2008): Va escussa la legittimità del patto con cui il preavviso di dimissioni è fissato in dodici mesi dietro corrispettivo di L mensili non rivalutabili e ripetibili dal datore di lavoro in caso di violazione della durata, in quanto trattasi di patto meno favorevole sia per la lunghezza del termine sia per la modesta entità del beneficio economico connesso. Così, ancora, altra giurisprudenza di merito (Tribunale di Marsala 26 marzo 2002): Ai sensi dell art c.c basta che sul termine di preavviso statuisca la clausola collettiva e non è prevista che essa non possa derogare a se stessa. Diversamente si sarebbe dovuto concludere nel caso in cui la deroga non fosse basata si di una clausola collettiva che prevedeva la deroga. Di nuovo, quindi, la giurisprudenza ha chiarito che l unica possibilità per la contrattazione individuale di derogare ai termini di preavviso previsti a livello collettivo è quella in cui tale facoltà sia espressamente riconosciuta dal ccnl applicato. Fuori da tali spazi, i termini sanciti dai ccnl sono invalicabili! Nel solco di siffatto orientamento si pone la sentenza in commento con la quale il Giudice del Lavoro di Brescia precisa che è evidente che, stante l assenza di qualsivoglia vantaggio economico quale corrispettivo della maggiore durata del preavviso, rispetto alla previsione del ccnl applicato al rapporto di lavoro, risulta nulla la clausola contrattuale che ha previsto in sei mesi la durata del preavviso; ciò soprattutto in considerazione del fatto che, essendo oggettivamente più debole la posizione del lavoratore rispetto a quella del datore di lavoro, la maggiore durata del preavviso (in assenza, si ribadisce, di un congruo corrispettivo) si ripercuote negativamente sulla libertà del dipendente di ricercare o accettare un diverso posto di lavoro presso altro datore, dovendo sottostare alla maggiore durata del preavviso, o al pagamento dell indennità sostitutiva in misura notevolmente superiore a quella prevista dal ccnl.

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