La causalità antica 2. Platone (428/27 a. C. 348/47 a. C.)

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1 La causalità antica 2 Platone (428/27 a. C. 348/47 a. C.) Il resoconto delle origini familiari e dell ambiente sociale di Platone ci è presentato da Diogene Laerzio. All inizio del libro III, interamente dedicato a Platone, Diogene spiega che Platone, ateniese, fu figlio d Aristone e Perittione. Sua madre, per la sua famiglia, risaliva fino a Solone. In effetti, Solone aveva per fratello Dropide, padre di Crizia, a sua volta padre di Callescro, a sua volta padre di Crizia (che fu uno dei Trenta tiranni) e di Glaucone, padre di Carmide e Perittione, che con Aristone ebbe per figlio Platone, sesto nella discendenza da Solone. [...] Dicono anche che il padre di Platone discendesse da Codro, figlio di Melanto, i quali sono detti da Trasillo 1 discendenti di Poseidone. [...] Platone è nato, come dice Apollodoro nelle Cronache 2 nel corso dell 88a Olimpiade, nel settimo giorno del mese di Targelione [metà maggio 428/427], il giorno in cui gli abitanti di Delo dicono che sia nato Apollo. Ed è morto, come dice Ermippo 3, durante un banchetto di nozze nel primo anno della 108a Olimpiade [348/47], all età di 81 anni (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, III, 1-2). Solone Crizia Callescro Crizia Carmide Dropide Glaucone Perittione (madre di Platone) Platone Platone dunque aveva un pedigree di tutto rispetto, facendo parte di un aristocrazia ricca e di memorabile discendenza. Fu discendente di Solone (VI secolo a.c.), primo legislatore di Atene e uomo che era stato capace di garantire alla città una relativa concordia per quasi due secoli; ma anche di Crizia e Carmide, figure ben più inquietanti. In particolare Crizia, lo zio materno, fu un estremista oligarchico che nel 404 (quando Platone aveva 24 anni) rovesciò (andando a governare per il breve periodo detto dei trenta tiranni ) la democrazia ateniese cancellando gli equilibri sociali che Solone aveva instaurato. Crizia cercò di instaurare il potere di un gruppo di ricchi aristocratici (i Trenta tiranni, di cui fece parte anche il nipote Carmide) il cui carattere sanguinario risultò però insopportabile. Il potere di Crizia durò infatti pochi mesi e fu rovesciato da una restaurazione democratica, che però, come vedremo, non si rivelò migliore, almeno agli occhi di Platone. L atteggiamento di Platone nei confronti dell impegno politico e legislativo appare in tutta la sua portata in una lettera a lui attribuita, la Lettera VII. In molti hanno sollevato seri dubbi sulla sua autenticità; altri hanno invece presentato argomenti, piuttosto convincenti, sulla sua autenticità 4. Vale senz altro la pena di considerare questa lettera come un documento platonico, scritto in tarda età, ma è indubbio che 1 Grammatico vissuto all epoca di Tiberio (I d.c.), responsabile di aver suddiviso i 35 dialoghi platonici (più un gruppo di tredici lettere attribuite a Platone) in nove tetralogie. 2 Storico ateniese del II-I secolo a. C.. 3 Ermippo di Smirne (III secolo a. C.) biografo peripatetico, seguace di Callimaco, poeta greco d età ellenistica. 4 Argomenti pro e contro in M. Vegetti, Quindi lezioni cit., pp

2 essa debba essere utilizzata con estrema precauzione. Come che sia, la Lettera VII descrive l atteggiamento e il coinvolgimento politico di Platone sin dai tempi dei Trenta tiranni. Scrive Platone: da giovane anch io condivisi una passione comune a molti: pensavo, non appena divenuto padrone di me stesso, di volgermi all attività politica (Lettera VII, 324b) 5. Questa vocazione alla politica, lungi dall essere un fatto eccezionale, era una tappa quasi obbligata nella vita dei giovani aristocratici del V e del IV secolo a.c. Per il giovane Platone la prima occasione si presentò all epoca del colpo di stato dei Trenta tiranni già accennato: caso volle che fra i Trenta si trovassero alcuni miei parenti 6 e persone a me ben note, e subito mi mandarono a chiamare, come se la cosa mi spettasse (324d). Platone però non tardò a riconoscere il carattere violento e oppressivo della tirannide, e a sottrarvisi: a vedere queste cose ed altre simili di non minor gravità, restai davvero disgustato e mi ritrassi con indignazione da quei crimini. Dopo non molto tempo caddero i Trenta e tutto il loro regime. Di nuovo, ma in maniera più pacata, mi prese il desiderio di impegnarmi nella politica e nelle vicende pubbliche (325a-b). Il regime democratico, restaurato dopo pochi mesi con un azione di forza in cui lo stesso Crizia venne ucciso, sembrò all inizio tollerante, concedendo un ampia amnistia agli avversari. Qualche anno dopo, però, cioè nel 399 a.c., accadde un evento estremamente traumatico per Platone, che lo spinse ad abbandonare per sempre la politica ateniese: Socrate, il suo maestro, venne processato con l accusa di empietà e condannato a morte. La condanna di Socrate aprì un conflitto insanabile tra la dimensione politica della città, a cui Platone apparteneva per tradizione in quanto giovane aristocratico di spicco, e l esercizio critico del pensiero filosofico che Platone aveva fatto suo in quanto allievo di Socrate. Da questo momento in poi, Platone non cessò di riflettere sul rapporto tra filosofia e politica: lo testimoniano i suoi dialoghi più famosi, quali la Repubblica, il Politico, le Leggi, ma anche la sua testimonianza biografica nella Lettera VII: alla fine, mi resi conto che fino a quel momento tutte le città soggiacevano a un cattivo governo, in quanto le loro leggi, senza un intervento straordinario e una buona dose di fortuna, si trovavano in una condizione di quasi incurabilità. E fui costretto a dire, elogiando l autentica filosofia, che solo a partire da essa è possibile individuare tutte quante le forme di giustizia sia politica che personale. Le generazioni umane non saranno quindi liberate dai loro mali finché la generazione di coloro che praticano la filosofia in modo autentico e vero non sia pervenuta al potere politico, oppure finché coloro che comandano nelle città, per una qualche sorte divina, non comincino a praticare la filosofia (326a-b). 5 Questa combinazione di cifre e lettere, utilizzata universalmente per riferirsi ai passi platonici, deriva dall edizione delle opere complete di Platone, pubblicata in tre volumi da Stephanus (Henri Estienne) a Ginevra nel Ogni pagina di questa edizione è divisa in due colonne: quella a destra contiene il testo greco, quella sinistra la traduzione latina dovuta a Jean de Serres. Tra le due colonne si trovano delle lettere, da «a» a «e», che dividono le colonne in cinque sezioni. Una citazione di Platone comprende quindi il nome del dialogo (o l epistola numerata, come nel nostro caso), seguito dal numero di pagina dell edizione di Stephanus e dalla lettera della sezione della colonna che contiene la citazione. Es: Sofista 247c-d significa che il passo si trova nel Sofista, alla pagina 247, a cavallo tra le sezioni «c» e «d» dell edizione Stephanus. Tale numerazione viene sempre riprodotta in tutte le traduzioni, e sarà qui utilizzata. 6 Come sappiamo, Crizia e Carmide. 2

3 Il punto è cruciale, e la convinzione che Platone qui manifesta si trovava già nella Repubblica: l idea cioè che solo un potere filosofico potrà porre fine ai mali della città. Nella Repubblica Platone aveva chiarito quali filosofi fossero legittimati a esercitare questo compito, e in virtù di quale sapere; ma è importante sottolineare che questa convinzione spinse Platone a operare anche sul piano pratico, secondo quanto attestato dalla Lettera VII. Platone infatti compì ben tre viaggi alla volta di Siracusa per convincere prima il tiranno Dionisio I (primo viaggio, avvenuto verso il 388 a.c.), poi il figlio Dionisio II (gli altri due viaggi, uno nel 366 e l altro nel 361) a stabilire una sorta di governo filosofico non tirannico. Le spedizioni fallirono miseramente a causa di ingenuità, sospetti e intrighi. Ma Platone, così come alcuni allievi della sua scuola (l Accademia, fondata probabilmente intorno al 387) che lo seguirono, dimostrarono di essere non solo uomini tutti parole, ma uomini capaci di impegnarsi in azioni. Socrate (470 a.c.-399 a.c.) Passiamo ora alla formazione filosofica di Platone. Diogene Laerzio, sempre nel libro a lui dedicato, afferma che Platone praticò la filosofia dapprima come seguace di Eraclito ; in seguito, all età di vent anni divenne discepolo di Socrate ; alla morte di Socrate si attaccò a Cratilo l eracliteo e a Ermogene, che in filosofia professava le dottrine di Parmenide 7. Prima di fondare l Accademia a Atene, si ritirò presso Euclide a Megara, presso il matematico Teodoro a Cirene, e poi in Italia per incontrare i pitagorici Filolao e Eurito 8. Le influenze di questi percorsi filosofici si sentono nei dialoghi: Platone infatti erediterà da Eraclito e dal seguace Cratilo (a cui è dedicato uno dei dialoghi platonici) l idea che la realtà sensibile non sia vera realtà, in quanto sempre in totale mutamento; ciò lo condurrà ad una totale sfiducia nei confronti della conoscenza sensibile. Parmenide sarà molto presente nell elaborazione e nell evoluzione della teoria delle idee (anche a lui Platone dedicherà un dialogo), mentre forti saranno gli aspetti matematici e religiosi, mutuati appunto dai pitagorici e dai matematici con cui entrò in contatto. Tutte queste influenze si mostrano anche nel Fedone, dialogo estremamente importante per la dottrina delle cause. Ma è indubbio che l influenza più profonda e duratura fu esercitata da Socrate. Il problema fondamentale, ben conosciuto, è che Socrate non ha lasciato nulla di scritto, ragione per cui risulta particolarmente difficile conoscere a sufficienza il suo pensiero e il suo insegnamento per parlare seriamente della sua filosofia. Tutto ciò che sappiamo di lui viene da fonti indirette (ma che hanno conosciuto Socrate direttamente): Aristofane, Senofonte e soprattutto Platone, che in quasi tutti i dialoghi dà a Socrate il ruolo di protagonista o di personaggio importante nello svolgimento del dialogo. Le fonti del personaggio socratico (1) Le Nuvole di Aristofane: contemporaneo di Socrate (V secolo a.c.), Aristofane sferra un attacco piuttosto violento a Socrate nella commedia le Nuvole, rappresentata per la prima volta ad 7 Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, III, Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, III, 6. 3

4 Atene nel 423 (quasi venticinque anni prima del processo intentato a Socrate), quando Socrate aveva circa 46 anni (e Platone solo 5). L ostilità di Aristofane è una testimonianza preziosa del fatto che gli ateniesi percepivano già allora Socrate come un personaggio inquietante e pericoloso per la città. In questa commedia Socrate è un filosofo della natura, la cui pseudo-scienza lo conduce a negare l esistenza delle divinità comunemente riconosciute dalla città (versi 366, 381), e a praticare un culto privato (verso 254) a nuovi dei in sostituzione di quelli antichi (v. 365). Socrate si guadagna da vivere in modo losco, fornendo un insegnamento più o meno onesto, a commissione (v. 886). Al versante naturalistico, che conduce Socrate a negare gli dei tradizionali della città, si aggiunge un versante retorico e sofistico: l arte della persuasione, della confutazione e del raggiro (vv ). Aristofane insomma fa di Socrate il tipo comico del nuovo intellettuale che turbava l opinione pubblica tradizionalista: naturalista ateo, cultore di figure cosmologiche quali il Caos e le Nuvole (richiamo beffardo al pensiero cosmologico e meteorologico di alcuni presocratici), destinate a sostituire gli dei tradizionali; retore e sofista, capace con le nuove tecniche del discorso di rovesciare il sistema di valori condivisi dalla comunità ateniese. Nel Socrate aristofaneo si riconoscono i filosofi della natura come Anassagora (accusato da Atene di empietà), ma anche i sofisti (Gorgia e Protagora), nuovi intellettuali che fornivano ai giovani ricchi ateniesi insegnamenti su tutto a pagamento, per la verità invisi allo stesso Socrate (e a Platone). Quello che impressiona è che nelle accuse di Aristofane si riconoscono i tre capi di imputazione che saranno presentati al processo che si concluderà con la condanna a morte di Socrate: 1) non credere agli dei della città; 2) introdurre delle nuove divinità; 3) corrompere la gioventù (cfr. Platone, Apologia di Socrate, 19a8-c5; Senofonte, Memorabili I, 1,1). (2) Senofonte: Senofonte, celebre storico allievo di Socrate, nonostante i numerosi punti di sostanziale accordo con Platone, presenta tuttavia un Socrate addomesticato, che non offrirebbe alcun motivo per essere condannato. All inizio della sua Apologia di Socrate (anch egli ne scrive una, come Platone), per esempio, Socrate si discolpa affermando che l accusa di Meleto di non credere agli dei della città lo riempie di stupore, poiché tutti i passanti potevano vedermi alle feste comuni a compiere sacrifici sugli altari pubblici, e anche Meleto avrebbe potuto vedermi, se avesse voluto (paragrafi 11-12). Senofonte quindi invoca una stretta osservanza al culto della città come migliore testimonianza a discolpa di Socrate. Ben diversa e molto più ricca la difesa di Socrate nell Apologia di Platone, tutta centrata sull attività filosofica che Socrate ha esercitato tutta una vita su ordine della sua divinità. (3) Platone: E abbastanza difficile proporre una visione chiara del Socrate storico nella testimonianza di Platone, dal momento che Socrate è presente in tutta, o quasi, la produzione filosofica platonica. Gli studiosi hanno la tendenza a distinguere due Socrati: (i) il Socrate dell Apologia e dei primi dialoghi (i cosiddetti dialoghi giovanili, quali Critone, Alcibiade I, Alcibiade II, Ippia maggiore, Ippia minore, Lachete, Liside, Carmide, Ipparco, Eutifrone, Protagora), in cui Platone presenterebbe le caratteristiche e i contenuti filosofici del personaggio storico; (ii) il Socrate dei dialoghi della maturità (Gorgia, Menone, Eutidemo, Cratilo, Ione, Menesseno, Fedone, Simposio, Repubblica, Fedro) e dei dialoghi della 4

5 vecchiaia (Teeteto, Sofista, Parmenide, Politico, Filebo, Timeo, Crizia, Leggi, a cui si aggiungono le Lettere), in cui il Socrate storico scomparirebbe a poco a poco per lasciar sempre più posto alla filosofia platonica. In base a questo criterio, nei dialoghi della maturità ci sarebbe un mélange di motivi socratici e platonici, mentre negli ultimi dialoghi Socrate sarebbe solo il portavoce della filosofia platonica. Va notato che Platone cominciò a scrivere i suoi dialoghi dopo il 399, l anno del processo della morte di Socrate. Essi però sono quasi tutti ambientati nel trentennio precedente, nell arco che va dalla morte di Pericle (429) fino al colpo oligarchico dei trenta tiranni (404) e alla restaurazione democratica (403). La classificazione dei dialoghi in tre gruppi avviene secondo due criteri: 1) la presenza massiccia di Socrate, molto forte all inizio della produzione filosofica di Platone, alleggerita via via che il pensiero platonico si sviluppa e si affranca dall influenza socratica; 2) l aporeticità dei dialoghi dell inizio, che lascia posto a un atteggiamento più costruttivo. Per aporeticità si intende la presenza di un aporia. Il senso letterale di aporia è un punto a partire dal quale si biforcano due strade, e non si sa quale delle due prendere. In filosofia viene anche a significare un problema di difficile, se non impossibile, soluzione. Si tratta, in un quadro socratico, di un momento di estrema confusione in cui sono state demolite le false opinioni, ma non si è ancora raggiunto il vero sapere. L aporia, come si vedrà fra breve, si collega al metodo confutatorio socratico. Si tratta di due criteri socratici, che quindi permetterebbero di distinguere i dialoghi in tre gruppi e di individuare due Socrati. In realtà questa distinzione, pur essendo interessante e a volte convincente, è incerta perché si basa su contenuti filosofici che possono essere attribuiti a Socrate o a Platone in modo alquanto arbitrario. Ciò vale soprattutto per i dialoghi della maturità: a parte il fatto che la cronologia dei dialoghi platonici (che non è stata stabilita da Platone né in età antica, ma all inizio dell 800) è stata ed è ancora oggetto di accaniti dibattiti, risulta difficile separare con certezza, soprattutto appunto per i dialoghi della maturità, i contenuti socratici da quelli platonici. Più facile, anche se comunque sempre incerto, il discorso per gli altri due gruppi di dialoghi, perché è indubbio: a) che il metodo socratico mostra uno sviluppo: confutatorio e aporetico all inizio, più costruttivo in seguito; b) che le stesse dottrine platoniche hanno subito un evoluzione, che rispecchia forse il passaggio da una posizione socratica ad una più propriamente platonica. Ne vedremo alcuni esempi nel Fedone (la teoria dell anima; la teoria delle idee). Come che sia, l atteggiamento di Platone nei confronti di Socrate è diversissimo da quello di Aristofane e in parte anche da quello di Senofonte. Una questione che mi sembra importante da porre è la seguente: com è possibile mettere in relazione il Socrate aristofaneo con quello platonico 9? Ci sono innanzitutto due testi di Platone che ci possono permettere di affrontare questo problema, e allo stesso tempo di iniziare a tratteggiare un immagine storica di 9 Socrate si presentava fin da subito come una figura enigmatica, in primo luogo a causa della sua collocazione sociale. Figlio di uno scultore e di una levatrice, Socrate apparteneva al ceto artigianale a cui non cessò mai di riferirsi (celebre l immagine del filosofo-levatrice, che aiuta il giovane Teeteto a partorire la verità di cui è gravido), suscitando il disprezzo dei suoi interlocutori aristocratici. D altro lato, egli annoverava tra i suoi amici e allievi molti esponenti dell aristocrazia ateniese (ricordiamo, a parte Platone, Alcibiade, presente nel Simposio, e anche la sua frequentazione di Crizia e Carmide), forse per via del suo atteggiamento critico nei confronti della democrazia attestato da Platone, e su cui forse ha costruito la sua idea delle élite dei filosofi-re o dei re-filosofi da sostituire alle incompetenti assemblee democratiche. 5

6 Socrate: l Apologia e una sezione del Fedone, la cosiddetta autobiografia di Socrate (Fedone, 95e-102a), che riprenderemo meglio in seguito, ma che possiamo rapidamente presentare allo scopo di cercare, al di là della diversità degli atteggiamenti di Aristofane e di Platone, dei riscontri a quello che i due autori dicono su Socrate 10. Prima di tutto, la continuità tra il ritratto aristofaneo di Socrate e le accuse del processo a Socrate si mostra in un passo dell Apologia: I miei accusatori più pericolosi, o uomini di Atene, sono quelli che hanno convinto la maggior parte di voi, fin da quando eravate piccoli, rivolgendomi un accusa falsa, cioè che esiste un certo Socrate, uomo sapiente, che riflette sulle cose celesti e indaga quelle sotterranee, e che rende vincente il discorso peggiore (Apologia di Socrate, 18b). Si tratta di una quasi citazione di alcuni versi delle Nuvole (cfr. per esempio i versi ), che mette insieme, come abbiamo visto, l accusa di essere un filosofo naturalista con quella di retore e sofista che usa una tecnica discorsiva per fare vincere il discorso peggiore. Socrate si mostra consapevole di queste accuse. L altro passo si trova nella cosiddetta autobiografia di Socrate, che Platone gli attribuisce nel Fedone, e che analizzeremo più in dettaglio in seguito. Qui Socrate afferma da giovane fui preso da una straordinaria passione per questa forma di sapienza che chiamano indagine sulla natura, presentando esempi di teorie studiate che, senza fare nomi, rimandavano ad alcuni dei cosiddetti presocratici, altrimenti detti filosofi della natura (Empedocle, Alcmeone, Anassagora) (Fedone, 96a-100a). Abbiamo qui una conferma di ciò che dice Aristofane riguardo gli interessi naturalistici di Socrate, e questo a parziale smentita di quello che afferma lo stesso Socrate nell Apologia, quando afferma che di queste cose non si è mai interessato (vedi Apologia di Socrate, 19b). In realtà, a quanto pare, Socrate si è avvicinato alla filosofia della natura, anche se poi, a suo stesso dire, se ne allontanò deluso in quanto incapace di dare fondamenti e spiegazioni sicure ai processi naturali. Ma su questo ritorneremo. L altro aspetto che interessa qui considerare per trovare un collegamento tra il Socrate aristofaneo e quello platonico, è quello delle ragioni dell impatto intellettuale e emotivo che Socrate destò, in positivo o in negativo, nell ambiente sociale e culturale ateniese. Si vedrà che le ragioni dell atteggiamento socratico che poteva suscitare simpatie o forti antipatie sono di carattere filosofico-metodologico. Socrate dichiara nell Apologia, che il vero motivo della sua condanna risiede in effetti nel suo metodo filosofico, che si alienò molte simpatie (cfr. Apologia di Socrate, 21b-23d). La confutazione socratica 11 : Socrate discuteva, ovunque (acquattato in un angolo, sugli spalti del teatro di Dioniso, nell agorà e nel mercato di Atene), e con tutti (politici, poeti, sofisti, artigiani, aristocratici intellettuali e non, ecc.). E di che cosa discuteva Socrate? Basta guardare i sottotitolo dei dialoghi: Socrate discuteva del santo (Eutifrone), del dovere (Critone), dell anima (Fedone), della virtù (Menone), della giustizia (Repubblica), ecc.: in pratica cercava, assieme ai suoi 10 Une bella presentazione di Socrate si trova in M. Vegetti, Quindici lezioni, Lezione due. 11 Cfr. Vegetti, Quindici lezioni, pp

7 interlocutori del momento, di definire certi concetti. Questo è un primo passo essenziale, che verrà codificato da Aristotele e che costituisce di fatto un punto fermo di tutta la pratica filosofica: definire i concetti di cui ci si serve, per procedere eventualmente a delle dimostrazioni. Il tratto però tipicamente socratico, accentuato nei primi dialoghi (quelli giovanili), ma presente anche negli altri, consiste in un esame critico per verificare e confutare le pretese conoscenze dei suoi interlocutori. In questo lavoro Socrate si mostra instancabile e provocatorio: non si stanca mai di dimostrare ai suoi interlocutori che essi pensano e agiscono per luoghi comuni, pregiudizi socialmente accettati, opinioni recepite in modo acritico, senza una riflessione sui loro fondamenti e conseguenze. Questa pratica si realizza in una tecnica di discussione, la confutazione (elenchos): essa parte da un interrogazione, del tipo: che cos è x? oppure che cosa intendi quando parli di x? Dove x sta per: virtù, giustizia, coraggio, religiosità, ecc. L interlocutore viene così costretto a formulare un opinione ( x è F ): a questo punto Socrate sviluppa le conseguenze di tale opinione, mostrando o che da essa derivano conseguenze contraddittorie e inaccettabili per lo stesso interlocutore, o che essa è parziale e inadeguata. Esempio (Repubblica, libro I, 331c-332c): - che cosa intendi per giusto? - giusto è restituire ciò che si è avuto in deposito - in questo caso, sarebbe giusto restituire a un amico impazzito un arma avuta in deposito quando era sano di mente, affinché se ne serva per compiere una strage. Socrate mostra così che l opinione dell interlocutore sul giusto conduce a una conseguenza inaccettabile. Noi possiamo aggiungere che questa definizione risulta parziale perché esclude una serie di altre cose che riteniamo giuste: insomma, questa definizione è inaccettabile e non è universale (non si applica a tutto ciò che chiamiamo giusto). Un caso eclatante è quello che si trova nel Menone: Socrate boccia ben tre definizioni della virtù fornite da Menone, parziali e/o logicamente inaccettabili, finendo per irritarlo e metterlo in uno stato di confusione mentale. Ma i casi sono moltissimi. Da questa breve illustrazione possiamo già capire perché Socrate ha potuto suscitare una reazione sia ostile (aristofanea) che profondamente positiva. (1) lo stato di confusione mentale è visto da Socrate come estremamente proficuo: solo dopo essersi sbarazzati delle false opinioni e aver ammesso la propria ignoranza è possibile intraprendere la ricerca della verità. Ovviamente però non tutti apprezzano questo stato: alcuni accettano le obiezioni socratiche (sarà il caso di Simmia e Cebete, interlocutori di Socrate nel Fedone); altri si irritano ma poi si mettono alla ricerca della verità (come Menone); altri si irritano e basta, sviluppando un antipatia nei confronti di Socrate, che a volte sfocia in un vero odio (sempre nel Menone, Meleto, l accusatore al processo di Socrate, viene trattato nella stessa maniera; non apprezza e si allontana minacciando Socrate). (2) La confutazione socratica si distingueva a malapena dalla controversia eristica 12 praticata da certi sofisti, come alcuni interlocutori di Socrate non mancano di sottolineare. Per evitare di confondere i due metodi, bisognava che tra Socrate e i suoi interlocutori si stabilisse un rapporto d amicizia che mirasse al raggiungimento di 12 Gli eristi erano un gruppo vicino ai sofisti, che praticavano la controversia su ogni argomento al solo scopo di vincere. Per farlo non esitavano a servirsi di sotterfugi e ambiguità. 7

8 un accordo, di una verità comune. Questo però capita, ma non molto spesso (è il caso degli interlocutori principali di Socrate nel Fedone, Simmia e Cebete): più spesso Socrate si scontra con degli interlocutori che hanno un sistema di valori diametralmente opposto al suo, e che quindi non possono realmente capire e condividere il suo metodo. Ecco le ragioni dell ostilità di alcuni e della venerazione di altri per Socrate. Uno stesso atteggiamento filosofico poteva risultare detestabile o affascinante. La forma del dialogo Platone adotta la pratica filosofica inaugurata da Socrate, cercando di riprodurre nello scritto il dialogo vivo e sostanzialmente orale che doveva portare ad abbandonare le false opinioni e a intraprendere il faticoso cammino della ricerca filosofica autentica. I dialoghi platonici presentano tutti una forma di azione (drama) filosofica, molto diversa da quella del trattato filosofico che, a partire da Aristotele, prenderà piede nella filosofia. L origine di questa forma letteraria resta incerta, ed essa resterà senza reale posterità nella filosofia 13, se si eccettuano i dialoghi filosofici di Berkeley, Locke e Diderot, che però non sono più vivi come quelli platonici, bensì un artificio teso a rendere più vivace l esposizione di tesi già definite. Nei dialoghi Platone riproduce invece un percorso realmente dominato dal requisito di una ricerca della verità. Per questo esso segue spesso un percorso sinuoso, rallentato dalla necessità di digressioni e divagazioni. Questa azione drammatica, a cui prendono parte più attori, è basata sull esame di un problema, e può procedere sia verso la soluzione del problema, sia verso l ammissione dell impossibilità, almeno momentanea, di una sua soluzione (la cosiddetta aporia). Molti dei primi dialoghi socratici si concludono in effetti negativamente: una volta compiuto il lavoro di demolizione delle false opinioni, non si arriva ad alcuna definizione positiva della questione posta all inizio (è il caso per esempio del Menone, per quanto riguarda la definizione di virtù). I dialoghi platonici sono per la maggior parte, come abbiamo visto, dedicati a un oggetto particolare: la virtù o una virtù (la giustizia nella Repubblica), una disciplina (la retorica nel Gorgia), uno stato affettivo, come l amore (Simposio) o il piacere (Filebo), la cui natura è sottoposta a esame. Il protagonista è quasi sempre Socrate, ma non bisogna cadere nella tentazione di considerare i dialoghi come un imitazione di scene realmente accadute. Restano una finzione, che vuole riprodurre lo spirito socratico, e non dialoghi socratici realmente accaduti. 13 Ma fu praticata dagli allievi di Socrate: da Platone, da Senofonte e da molti altri (frammenti raccolti nei Socratis et socraticorum reliquiae a cura di G. Giannantoni). 8

9 Il Fedone: presentazione del dialogo (57a-59c) L evento messo in scena nel Fedone avviene nel 399 a.c., quando Platone aveva una trentina d anni. Il dialogo infatti avviene nell ultimo giorno della vita di Socrate, e si conclude con la sua morte (per avvelenamento da cicuta). Questo dialogo, dunque, costituisce una sequenza con l Apologia (difesa di Socrate al processo) e con il Critone, dialogo in cui avviene una conversazione tra Socrate e Critone nella sua cella del carcere. La versione platonica della morte di Socrate non è un ricordo biografico (del resto Platone a suo stesso dire era assente), ma un racconto filosofico che fornisce l occasione per sviluppare una discussione filosofica, non si sa se realmente avvenuta; e che fornisce anche la descrizione della morte di un filosofo, non realistica (infatti pare che l avvelenamento da cicuta provocasse dolori e reazioni violentissime, ben diverse da quelle descritte nell ultima parte del dialogo 14 ). La data di composizione è incerta, ma normalmente si attribuisce questo dialogo al periodo della maturità. Personaggi: quelli che danno inizio al dialogo sono Fedone e Echecrate, che si incontrano a Fliunte dopo la morte di Socrate. Echecrate, che fa parte del circolo dei pitagorici, domanda a Fedone di raccontare a lui e ai suoi amici (che restano silenziosi) l ultimo giorno della vita di Socrate, dando inizio così al racconto di Fedone, che era presente. Nonostante Fedone enumeri diversi discepoli di Socrate presenti alla conversazione, gli interlocutori quasi esclusivi del dialogo sono i pitagorici Simmia e Cebete, tebani. Struttura del dialogo: Dapprima troviamo un Prologo e una conversazione iniziale tra Socrate e i suoi allievi (57a-69e), poi quattro argomenti deputati a dimostrare l immortalità dell anima: 1) l argomento ciclico (69e-72e) 2) la reminiscenza (72e-78b) 3) l argomento basato sulla somiglianza tra l anima e le idee (78b-84b) 4) l ultimo argomento (102a-107b). Tra il terzo e il quarto argomento si situa un intermezzo (84c-102a), in cui si trovano alcune obiezioni di Simmia e Cebete, nonché la risposta di Socrate che gli fornisce l occasione per aprire una parentesi autobiografica, presa variamente sul serio dagli studiosi. Questa è la sezione che ci interessa, perché è qui che viene presentata la teoria platonica delle cause. Nella parte finale del dialogo (107c-115a) Socrate presenta un mito che tratteggia la vita delle anime nell al-di-là, nonché una teoria sulla natura della terra. La ragione di questo mito consiste nel fatto che Socrate parla di cose che non sono visibili né in nostro potere. Questo miscuglio di mito e scientificità (che si manifesta nel tentativo da parte di Platone di dimostrare l immortalità dell anima) caratterizza il Fedone dall inizio alla fine. Le cause platoniche (95e-102a) Si tratta di una parte assai lunga e complessa da capire. E tuttavia una sezione di estremo interesse, e questo sia dal punto di vista storico (poiché essa rappresenta la 14 Vedi la descrizione che ne fa Nicandro (II a.c.), nel suo poema a proposito delle droghe. 9

10 prima analisi riflessione filosofica sulle cause), sia dal punto di vista filosofico, sebbene come ho detto si tratti di un analisi alquanto contorta e difficile. L inadeguatezza del materialismo La riflessione sulle cause si inserisce in un racconto autobiografico di Socrate, che alcuni studiosi considerano autentico, altri un invenzione. Francamente non vedo motivo per accoglierne almeno in parte l autenticità. 95E-96B (p Trabattoni): Non è cosa di poco conto perché esiste. Chi parla è Socrate, la questione non di poco conto è se l anima è immortale. Socrate pensa che per rispondere a tale questione bisogna porre la questione generale della causa della generazione, della corruzione e dell esistenza delle cose. Egli così procede a tracciare un quadro del tipo di teoria, cosmologica, fisiologica e psicologica di cui si infatuò quand era giovane. Riconosceremo subito in tale teoria quella dei filosofi della natura. Socrate racconta che quando era giovane si era avvicinato ai filosofi della natura (cioè, i presocratici, chiamati anche oi physikoi) per conoscere le cause di tutte le cose. Ma Socrate dice anche che dopo aver letto i loro libri, si ritrae da essi, totalmente deluso. E cambia metodo filosofico perché quello di questi filosofi lui non riesce proprio ad accettarlo. In particolare, Socrate elaborerà delle spiegazioni causali meno ambiziose di quelle dei fisici, ma più sicure. Per seguire il percorso socratico, si procederà nella maniera seguente: (1) si analizzerà per prima cosa il vocabolario causale qui impiegato, cioè una lista di espressioni greche che esprimono la relazione causale. Questo lavoro preliminare è importante per comprendere ciò che Socrate vuole dire quando utilizza il termine aitia, che è tradotto appunto con causa. (2) In seguito, si considererà in dettaglio in che cosa consiste la delusione di Socrate di fronte alle spiegazioni causali dei filosofi presocratici; (3) In terzo luogo, si analizzerà quella che Platone chiama nel Fedone la seconda navigazione : si tratta di un nuovo metodo filosofico che vuole appunto stabilire delle cause (o spiegazioni causali) più sicure. Si tratta delle idee, che appunto questa volta vengono invocate come cause delle cose. (4) Infine, si considereranno degli esempi di cause o spiegazioni causali presentate da Socrate, per vedere come Socrate pensa di risolvere i problemi sollevati dalle spiegazioni causali dei filosofi della natura. Il vocabolario causale In Platone il sostantivo greco che viene generalmente tradotto con causa è appunto aitia. Il senso originario e primo del termine è accusa, imputazione. L aggettivo corrispondente, aitios, applicato agli esseri umani, significa responsabile o colpevole. Questo significato è importante per ciò che Socrate dirà più tardi a proposito dell azione umana. In un senso derivato, il sostantivo e l aggettivo, quest ultimo nella sua forma neutra (aition) si applicano a una gamma di cose non umane, che hanno a che fare con eventi o stati di cose (per esempio: l ammollarsi del burro; il divenire grande di un essere umano). E in questo secondo senso che si ha la tendenza a tradurre aitia o aition con causa. Tuttavia, come vedremo, questa traduzione non è completamente esaustiva e soddisfacente. Come vedremo più tardi, infatti, le domande che Socrate pone e che hanno a che vedere con la aitia sono tutte della forma: 10

11 perché x è F? Esempi: perché Socrate è saggio? perché Fedone è più grande di Socrate? La risposta a tali questioni è espressa in greco con delle formule differenti: - la preposizione dia più accusativo - la preposizione dia più una frase - dativo strumentale Queste formule hanno bisogne di traduzione italiane differenti. Esempi (dati da Socrate): (i) perché l uomo diviene grande? Grazie al mangiare e al bere (dia più due verbi all infinito) (ii) perché l uomo è bello? A causa della bellezza (dativo strumentale) (iii) perché dieci è più grande di otto? Perché due si aggiunge a otto (dia più una frase con verbo all infinito, che andrebbe tradotta letteralmente con a causa del fatto che due si aggiunge a otto). Tutte queste risposte ( grazie a, a causa di, perché ) costituiscono appunto la aitia, cioè il perché. Sarebbe quindi preferibile tradurre aitia con spiegazione, ragione. Infatti, dai moderni in poi (incluso Hume che critica proprio questo concetto di causa), il concetto di causa è piuttosto quello di una cosa che opera, svolge un attività che ha un effetto su un altra cosa. Per esempio: la mia mano è causa del muoversi della palla (a cui imprimo un movimento). Invece la causalità antica (mi riferisco a Platone e anche ad Aristotele) si identifica piuttosto con il perché una cosa ha o assume la proprietà di essere F. Vedremo più avanti che però in Platone fa capolino anche un senso moderno di causa: dirà infatti che le idee fanno sì che una cosa sia F (per esempio: l idea di Bello fa sì che una cosa sia bella). In questo caso saremmo in presenza di un esempio attivo. La delusione di Socrate La delusione di Socrate riguarda due tipi di spiegazione forniti dai presocratici: (a) spiegazioni meccaniciste di divenire F (divenire grande, divenire bello, ecc.) (b) spiegazioni delle azioni umane. (a) esempi di spiegazioni che Socrate pensava di sapere ma che non sa più: Giacché in precedenza...mangiare e per il bere (96c-e). Altri esempi di spiegazioni che Socrate credeva di sapere: Esamina nella fattispecie anche questo...di metà (p. 96d-e, p. 177 Trabattoni). Ecco allora gli esempi di spiegazione causale che Socrate pensava di sapere: 1) perché l uomo diviene grande? L uomo diviene grande a causa del mangiare e del bere. Qui Socrate riprende la teoria presocratica (forse riferibile ad Anassagora) secondo la quale il nutrimento fa sì che della carne si aggiunga alla carne e le ossa alle ossa. In generale i presocratici vedevano il processo di accrescimento come un aggiunta di elementi appropriati agli elementi del corpo. 2) perché x è più grande di y? x è più grande di y della testa (dativo strumentale: testa come misura, che però non è invocata per rispondere alla domanda di quanto x è più grande di y?, bensì, erroneamente, perché x è più grande di y? ) 3) perché 10 è più grande di 8? 11

12 Dieci è (o diviene) più grande di otto perché due si aggiunge a otto 4) il bicubito è più grande del cubito 15 perché lo supera della metà. Aggiungiamo ancora un esempio che Socrate presenterà più tardi ma che è importante nel seguito: 5) perché x è bello? x è bello a causa del suo colore (o della sua forma). Ora invece, disse Cebete, evito in ogni modo di adottarlo (96e-97b, p. 179 Trabattoni). Socrate afferma che, ora, non conosce più l aitia di tutto ciò. Qual è il problema di Socrate in rapporto a tutti questi esempi? In generale possiamo osservare che Socrate trova problematica la spiegazione standard del divenire e dell accrescersi in termini di aggregazione. Socrate prende questi esempi come esempi della forma x diviene (o è diventato) F (o più F di) a causa di Questo è chiaro dal primo esempio, quello dell uomo che diventa grande; ma la critica di Socrate sembra estendersi a tutti. Si domanda per esempio in 97a1 come sia possibile che la causa dell essere diventato due sia l addizione; e si dichiara incapace di conoscere la causa del divenire uno (97b3-4, p. 179 T.: di sapere perché nasce l uno nel senso di sapere la causa del divenire uno di una cosa ). Quindi: (1) l uomo diviene grande a causa del mangiare (2) x diviene più grande di y a causa di una testa (3) dieci diviene più grande di otto a causa dell aggiunta di due ecc. Vediamo ora i problemi che Socrate solleva a proposito di tali spiegazioni. Socrate, domandandosi per esempio perché dieci è più grande di otto, si interessa a ciò che costituisce dieci come grande, si interessa a ciò in cui consiste l essere grande. L idea di Socrate è che non è la differenza di taglia o di quantità a costituire l essere più grande di x in relazione a y, perché questo solleva dei problemi. Lo stesso in generale per x che diventa grande. Quali sono questi problemi? Socrate non accetta il punto di vista secondo cui, quando una cosa è aggiunta ad un altra cosa, o la cosa aggiunta, o la cosa alla quale si aggiunge, o tutte e due, sono diventate due a causa (dia) dell aggiunta dell una all altra. Un esempio: se aggiungo un unità ad un unità che cos è che diviene due? L unità di partenza? L unità aggiunta? Tutte e due? Poiché, infatti, ciascuna unità di partenza era un unità, sembrerebbe che la causa (aitia) del loro essere diventate due sia il loro accostamento fisico. Socrate sembra insomma sollevare un problema specifico per i predicati numerici: se io prendo mia madre (che sta a Milano) ed io (che sono qui a Bergamo) e dico: io e mia madre siamo due donne questo è vero anche se appunto io e mia madre non abbiamo al momento alcuna vicinanza fisica. Io non posso divenire due, mia madre non può divenire due: solo se siamo prese insieme siamo due, e questo sempre. Insomma, i predicati numerici si sottraggono al divenire: io e mia madre saremo sempre due, non è che lo diventiamo. Essi quindi non sembrano essere il tipo di predicato che una cosa possa acquisire. Consideriamo ora, ci dice Socrate, la frammentazione di una cosa: spezzo un bastone, i bastoni diventano due. Ora, la causa del divenire due è opposta alla precedente: prima era l accostarsi, ora il separarsi! Socrate aggiunge quindi un 15 Bicubito = 3 piedi (0, 888 cm.) ; un cubito = 1 piede (0, 444 cm.). 12

13 ulteriore problema: l idea che due processi opposti (addizione e divisione) siano cause (o meglio, spiegazioni) della stessa cosa, nella fattispecie del divenire due. Ciò implica che per Socrate due processi opposti non possano essere causa di uno stesso risultato, cioè non possano essere responsabili del divenire F di una cosa. Ritorneremo su questo punto, che rappresenta una delle condizioni necessarie perché qualche cosa funzioni come causa. Da notare: le critiche di Socrate sembrano funzionare solo per gli esempi numerici; per gli altri esempi egli si limita a dire di non capire per nessuna cosa perché essa nasce, muore o esiste (b5-7, p. 179 T.). (b) esempi di spiegazioni finaliste (concernenti le azioni umane). Qui Socrate introduce un altro tipo di causa, quella finale, che però nella continuazione del dialogo lascer cadere, forse perché troppo difficile. Un giorno Socrate sente parlare di Anassagora, che sembra presentare come causa dell universo l intelligenza, il nous. Socrate è contento poiché pensa di aver trovato una spiegazione dell universo che si configura come una causa ordinatrice e universale, che agisce per il meglio. In effetti, Socrate pensa che se la causa è intelligente, allora progetta e realizza il mondo secondo la scelta del meglio, cioè secondo la miglior maniera per una cosa di esistere, di divenire, di perire. Purtroppo però Socrate rimane deluso anche da Anassagora: anche se il filosofo presocratico sembra invocare una causa intelligente per spiegare l universo, di fatto si rifà ancora, nella effettiva spiegazione dei fenomeni, a cose fisiche come l etere, l acqua, ecc., cioè a cose materiali: Ma da meravigliosa speranza...vogliano infliggermi (98b-e, pp T.). L esempio da prendere in considerazione per spiegare il senso di questo passo è il seguente: 6) perché Socrate si trova in prigione? La spiegazione meccanicistica, che in definitiva vale anche per Anassagora, malgrado il suo riferimento all intelligenza ordinatrice, è la seguente: Socrate si trova in prigione a causa delle sue ossa, dei suoi muscoli, delle sue articolazioni che gli permettono di piegarsi e dunque di essere seduto qui in prigione (da notare nel passo letto l identificazione tra causa (aitia) e il perché (dia tauta): io mi trovo qui seduto grazie a ciò...(segue l elenco di ossa, tendini, muscoli). Ma per Socrate le cose non stanno in questo modo: infatti gli stessi ossa, muscoli e tendini avrebbero ugualmente potuto portarlo lontano da Atene, in un posto sicuro. Piuttosto, ci dice Socrate: io sono in prigione perché gli ateniesi hanno ritenuto fosse meglio (la scelta del meglio di cui parlavo in precedenza) condannarmi, e perché io ho ritenuto fosse meglio sottomettermi alla punizione da loro stabilita. In seguito Socrate opera una distinzione in materia causale molto interessante: Ma chiamare causa...mai essere causa (99a-b, p. 185 T.). Sempre rispetto all esempio di Socrate in prigione, Socrate riconosce che le condizioni fisiche sono necessarie perché la causa (o il ciò per cui, dia tauta in a8) ottenga un determinato effetto: tuttavia, esse non sono veramente cause. Quindi, per Socrate, bisogna fare una distinzione tra: - ciò che è realmente causa (ti esti to aition toi onti) 13

14 - ciò senza cui la causa non sarebbe tale (ekeino aneu ou to aition ouk an pot eie aition). Socrate opera quindi una distinzione tra condizioni perché una causa sia una causa e la vera causa. In definitiva, Socrate accusa i predecessori di aver fatto confusione tra le condizioni per le quali una causa sia causa, e la vera causa. In ogni caso, Socrate abbandona la spiegazione meccanicista perché poco soddisfacente, quando non contraddittoria; abbandona anche la spiegazione finalista di Anassagora perché forse troppo difficile. In ogni caso, occorre tenere a mente la distinzione tra condizioni di una causa e la causa stessa, perché fondamentale per la fine del dialogo. Per riassumere, Socrate presenta una serie di esempi di spiegazioni causali standard problematici, che lo conducono ad abbandonare appunto il metodo (possiamo dire, materialista) che produce questo tipo di spiegazioni. Gli esempi problematici in questione sono i seguenti: (i) 10 è diventato più grande di 8 (ii) Socrate è divenuto prigioniero (iii) x è diventato bello (iv) x è (diventato) più grande di y Ricordo che Socrate sta cercando di fare un analisi della causa del divenire. Problemi sollevati da Socrate per (i) (perché 10 è più grande di 8?). Si tratta dei problemi relativi ai predicati numerici. Per spiegare tali problemi, Socrate prende un esempio più semplice: (i*) uno è diventato due a causa del fatto che uno si è aggiunto a uno. Socrate non accetta la spiegazione in termini di addizione: (1) perché prende l addizione in termini di un avvicinamento fisico di due cose. Ora, non è tale avvicinamento la causa dell essere due (esempio di me e di mia madre); (2) perché non si sa chi diviene due: l unità aggiunta? Quella che si aggiunge? Tutte e due? Il fatto è che l uno non diventa mai due, mentre due unità sono sempre due. Una cosa che possiede un predicato numerico non acquisisce tale predicato, lo possiede sempre. L altro problema è che, secondo la spiegazione standard, ci sono due processi opposti che possono produrre lo stesso effetto, per esempio il divenire due (avvicino le cose o spezzo una cosa in due). Ora, per Socrate questo è impossibile, e così arriva ad elaborare una condizione importante che caratterizza una cosa come causa: (A) due opposti non possono mai produrre lo stesso effetto. Socrate esclude dei casi di questo tipo perché secondo lui sono contraddittori: egli non spiega perché e ha ovviamente torto, tuttavia questa condizione sarà ripresa dalla filosofia successiva come criterio per identificare una vera causa. Problema sollevato dall esempio (ii) (perché Socrate è in prigione?). La spiegazione standard afferma che Socrate è in prigione a causa dei suoi muscoli, tendini, ossa. Ma tale spiegazione è assurda perché gli stessi muscoli, tendini ed ossa avrebbero potuto provocare l effetto opposto (Socrate in libertà fuori Atene). La spiegazione, come abbiamo visto, opera una confusione tra condizioni necessarie (che rendono possibili le cause) e le cause stesse: senza gambe Socrate non avrebbe potuto recarsi in prigione; ma la vera causa del suo essere in prigione è la sua intelligenza (e quindi, la sua scelta del meglio). Problema sollevato dall esempio (iii) (perché x è bello?). Le spiegazioni standard sono poco sicure, perché si potrà obbiettare che per esempio lo stesso colore che rende x bello, si trova anche in y che invece è brutto. Problemi sollevati da (iv) (perché x è più grande di y?). La spiegazione standard (nell esempio di Socrate), che afferma che x è più grande di y a causa di una testa, 14

15 solleva due problemi: e lo asserisci, credo...per qualcosa di piccolo (101a-b, p. 197 T.) 1. se si afferma che è a causa di una testa che una cosa è più grande e l altra piccola, si obbietterà che è in ragione di una stessa cosa che il più grande è più grande e il più piccolo, piccolo. Il punto della critica è che una testa non può essere la ragione del grande (o del più grande) perché essa può essere anche la ragione del piccolo (o più piccolo). In questo modo, Socrate arriva ad elaborare un altra condizione che caratterizza una cosa come causa: (B) una stessa causa non può produrre due effetti opposti. 2. se si afferma che è a causa di una testa che una cosa è grande, si obbietterà che sarà grazie ad una cosa piccola (la testa) che una cosa sarà grande. Il punto della critica è che ciò che è causa dell essere F (esempio: grande) di x non deve essere esso stesso caratterizzato dall opposto G (esempio: piccolo). Si arriva così alla terza condizione necessaria perché qualcosa funzioni come causa: (C) ciò che funge da causa deve possedere la stessa proprietà che trasmette all oggetto che subisce l effetto. La seconda navigazione: le vere cause ma poiché questa possibilità...alla ricerca della causa? (99c-d, p.187 T.). L immagine della seconda navigazione suggerisce il ricorso ai remi quando il vento cade e non gonfia più le vele. Socrate abbandona le spiegazioni causali degli altri filosofi (troppo ambiziose e/o troppo difficili, e spesso contraddittorie) per riiniziare la ricerca delle spiegazioni causali in termini più modesti (i remi) ma più sicuri. La seconda navigazione conduce Socrate a ricorrere (per la terza volta) alla teoria delle idee come soluzione esplicativa sia per gli esempi forniti in precedenza, sia per qualunque esempio esplicativo che vuole rispondere alla domanda: perché x è F?. In ogni caso...non vere (100a, pp T.). Socrate abbandona la considerazione delle cose esistenti per rifugiarsi nei ragionamenti, in cui trovare la verità degli enti (vedi supra, 99e, p T.). Questa affermazione è di capitale importanza perché con essa per la prima volta nella storia della filosofia occidentale, si teorizza un allontanamento dalla conoscenza sensibile (che Kant qualificherà di a posteriori ) per rifugiarsi in una conoscenza razionale che, prescindendo totalmente dalla percezione, verrà qualificata di a priori. Che cosa Socrate prospetta nel passo in analisi? Per comprenderlo, si deve considerare l esempio che propone per illustrare la sua teoria: Sto infatti cercando...una causa del genere? (100b-c, p T.). Ecco quindi il metodo proposto da Socrate: i) pongo come ipotesi che esista un Bello in sé; ii) esamino poi ciò che consegue a queste cose: mi sembra, afferma Socrate, che se esiste qualcosa di bello, a parte il Bello in sé, è tale perché partecipa di quel Bello in sé. Questa risposta, osserva Socrate, è la risposta più sicura (100d8: asphalestaton) che si può fornire alle questioni causali. L ipotesi, dunque, che Socrate adotta per le spiegazioni causali, è la seguente: 1. l F esiste (il Bello, il Giusto, il Buono, il Grande, ecc.) 2. le cose particolari sono F perché partecipano dell F in sé. 15

16 La teoria delle Idee 16 funziona come soluzione esplicativa sicura sia per gli esempi visti, sia per qualunque risposta ad una domanda della forma perché x è (o diviene) F? Se consideriamo gli esempi esplicativi che avevano sollevato delle aporie, vediamo che, con la soluzione socratica, questi problemi non si presentano più: (i) x è (o diviene, o è divenuto) più grande di y a causa della grandezza (= perché partecipa dell Uguale in sé) (meghethei) (ii) due è (o diviene, o è divenuto) più grande di uno a causa di una quantità (iii) Socrate è in prigione a causa della sua intelligenza (e Socrate è intelligente a causa dell intelligenza in sé) (iv) x è bello a causa del Bello in sé (=perché partecipa del Bello in sé). Va sottolineato che la natura della relazione tra la cosa che è F e l F in sé non è da Socrate specificata: egli parla di partecipare, di presenza e di comunanza (100d, p. 195 T.). Socrate non affronta una questione importantissima, in quanto sarebbe fondamentale sapere in che maniera il Bello in sé rende, fa sì che una cosa sia bella. In effetti, la domanda che si dovrebbe porre è la seguente: le idee esistono in modo separato, in un altro universo; come possono quindi far sì che qualche cosa sia F? Questa sarà la critica che Aristotele farà alle idee nel libro Alpha della Metafisica. Un altro aspetto da sottolineare è che, nella teoria di Socrate, la forma F è causa non solo dell essere F delle cose, ma anche dell essere più F delle cose (forse perché da una parte abbiamo la forma F, dall altra le cose particolari che, non essendo mai perfettamente F, vi si approssimano per gradi): E dunque anche grazie...sono piccole? (100e, p. 197 T.). Sulla base dell ipotesi adottata, Socrate individua delle spiegazioni causali, in accordo con l ipotesi, che verranno considerate come vere, e delle spiegazioni causali in disaccordo con le ipotesi, che saranno giudicate false. In pratica, per Socrate ogni spiegazione della forma x è F a causa di G sarà in disaccordo con l ipotesi e quindi verrà considerata falsa perché poco sicura, o nel senso che sarà sempre possibile produrre delle obiezioni (come nel caso dell esempio questo quadro è bello a causa del suo colore ), o nel senso che si potranno rilevare delle contraddizioni (come nell esempio della testa). Invece, le spiegazioni della forma x è F a causa dell F in sé saranno in accordo con le ipotesi e vere (sicure), anche se assai poco informative. La forma o idea quindi funziona come causa, e questo perché essa riempie le tre condizioni imposte da Socrate per isolare una vera causa: i) solo l F in sé è causa dell essere F di una cosa (solo la bellezza è causa dell essere bello di una cosa) ii) F può solo produrre in una cosa l essere F (la bellezza può solo produrre l essere bello di una cosa, non può produrre il suo essere brutto) iii) F è in se stesso F, e non può possedere la proprietà opposta (il bello è esso stesso bello, e non può mai essere brutto) Quest ultima condizione sarà fondamentale per la dimostrazione finale del Fedone. Alla fine del passo in analisi, Socrate ritorna sul metodo ipotetico che ha presentato in contrapposizione a quello dei naturalisti. Ricordiamo che esso viene introdotto in 100a, proprio per cercare una nuova spiegazione causale. Esso viene preannunciato 16 Per un analisi della teoria delle Idee (o Forme) in Platone vedi il manuale di Trabattoni, testo in programma per l esame. 16

17 come un rifugiarsi nei ragionamenti, cioè come una via razionale alternativa a quella che parte dai sensi. Alla fine della sezione, Socrate raccomanda a Cebete di attenersi a questa ipotesi sicura, e questo ogni volta che sarà obbligato a rispondere a domande della forma perché x è F?, cioè perché x possiede una determinata proprietà. L ipotesi, come si è visto, è: (i) l F in sé (il Bello, il Grande, ecc.) esiste (ii) le cose particolari (sensibili) sono F perché esse partecipano dell F in sé. Cebete sarà in accordo con questa ipotesi ogni volta che fornirà delle risposte della forma x è F a causa dell F in sé e sarà in disaccordo (ricadendo nell insicurezza) ogni volta che egli fornirà delle risposte della forma x è F a causa di G Socrate aggiunge che risposte di questo tipo saranno in accordo con l ipotesi anche a dispetto di eventuali obiezioni: E se invece uno non accettasse quella ipotesi (Trabattoni traduce E se invece uno quell ipotesi la accettasse, ma ha torto! 17 )...in accordo oppure in disaccordo tra loro? (101d, pp T.). Forse Socrate ha in mente i sofisti, che si opponevano alla teoria delle idee deducendo dall ipotesi delle idee delle conseguenze tra loro contraddittorie, soprattutto appoggiandosi alla relazione tra idee e cose sensibili, relazione lasciata appunto da Socrate imprecisata. Precedentemente (89d-90c), Socrate aveva ammonito i suoi interlocutori a guardarsi da coloro che passano il loro tempo a mettere a punto dei discorsi contraddittori, che rischiano di condurre coloro che li ascoltano alla misologhia, cioè all odio per i discorsi. Sono coloro, i sofisti, che esercitano l antiloghia (appunto l arte dei discorsi contraddittori) e l eristica (l arte che si limita a fornire dei mezzi e degli strumenti per ottenere la vittoria in un contraddittorio, senza alcun interesse per l amore per la verità). Per quel che riguarda l antiloghia, che ci interessa di più in questo contesto, in maniera generale essa fa apparire la stessa cosa alle stesse persone come dotata di predicati opposti o addirittura contrari. Più precisamente, si tratta di un metodo argomentativo che, partendo da una determinata proposizione, per esempio la posizione dell avversario, cerca di stabilire una proposizione opposta e contraddittoria in maniera tale che l avversario sia obbligato o ad accettare allo stesso tempo le due proposizioni, contraddicendosi, oppure ad abbandonare quella di partenza. L accusa di Platone è che l antilogia si nasconde dietro al sensibile (che per lui è effettivamente contraddittorio), mentre la dialettica (il metodo platonico di cui stiamo vedendo una prima concettualizzazione) si interessa alle forme, che invece come abbiamo visto possiedono caratteristiche stabili e mai contraddittorie (Repubblica 454a; Teeteto 164c-d). Di fronte quindi alle eventuali obiezioni di questi sofisti, Socrate incoraggia Cebete a non cedere alle loro provocazioni, ma di restare fedele all ipotesi delle idee analizzandone le conseguenze, probabilmente per arrivare a smascherare i sofisti. Per finire, Socrate compie un ulteriore passaggio: e qualora...sufficientemente accettabile (101d-e, pp T.). I problemi che si presentano in questo passo sono i seguenti: a) cosa significa rendere conto di quella ipotesi? b) che significa renderne conto fino ad arrivare a qualcosa di soddisfacente? 17 Vedi comunque nota 206 pp per motivazione di Trabattoni. 17

18 a) rendere conto della stessa ipotesi. Il senso più naturale è dare una giustificazione all ipotesi di partenza. In effetti, quando io assumo una proposizione come ipotesi, non mi preoccupo se essa sia vera o falsa. Socrate ora sembra pensare a qualcuno che potrebbe obbiettare nel modo seguente: va bene, la conclusione segue dall ipotesi; ma come stabilire che l ipotesi sia vera?. L obiezione è comprensibile: in effetti, non sembra sufficiente adottare un ipotesi ad hoc solo perché essa produce la conclusione desiderata. Il problema è che Socrate afferma : tu, Cebete, darai conto dell ipotesi agendo esattamente nella stessa maniera : questo sembra voler dire, dando una nuova ipotesi, che a sua volta richiede una nuova ipotesi: ipotesi ipotesi conclusione Ci sarebbe quindi una sorta di percorso a ritroso che di ipotesi in ipotesi giunga ad un ipotesi ultima, sufficiente o soddisfacente. Il problema, però, è l ipotesi sicura che Socrate considera fin dall inizio, quella secondo cui Le cose F sono F perché partecipano della forma F (che esiste). Questa ipotesi aveva come conclusioni le sue applicazioni nel mondo sensibile: x è bello a causa della bellezza x è grande a causa della grandezza ecc. ecc. In che modo quindi pensare a una nuova ipotesi che dia una giustificazione all ipotesi delle forme nello stesso modo in cui l ipotesi delle idee o forme giustifica le spiegazioni causali viste? La difficoltà a risolvere il problema è aumentata da un altra oscurità presente nel testo, cioè b) significa renderne conto fino ad arrivare a qualcosa di sufficientemente accettabile? Forse che Socrate vuol dire fino ad arrivare a un ipotesi soddisfacente? Oppure, occorre arrivare a qualche cosa, una proposizione, che non abbia più il carattere ipotetico? Socrate dice (d7): ponendo un altra ipotesi che appaia di volta in volta la migliore tra quelle che si trovano in alto (non tra quelle più generali, come traduce Trabattoni), finché non si arrivi a qualche conclusione sufficientemente accettabile. Queste parole ( tra quelle che si trovano in alto ) sembrano suggerire una scala ascendente verso l alto, quindi, di ipotesi in ipotesi, fino ad arrivare ad un punto di partenza che non sia più un ipotesi, ma un fondamento a partire dal quale dedurre le ipotesi successive (che a questo punto, non saranno più tali): conclusione ipotesi 3 ipotesi 2 ipotesi 1 verità (cioè, una proposizione auto-evidente) Ora, questo percorso è proprio ciò che viene messo in atto nella Repubblica (510b- 511b); la stessa Repubblica parla dell ultimo passaggio (quello della verità) come di un principio anipotetico (cioè, appunto non ipotetico), che sarà identificato con l idea del Bene, che è suprema e che si trova alla base delle altre idee. Questo però nella Repubblica: qui è davvero difficile capire cosa Socrate prospetta. Probabilmente, una buona strada è quella di considerare il metodo ipotetico anche negli altri dialoghi. 18

19 Il vantaggio di questa analisi sta anche nel fatto che così verrà presentato anche un metodo filosofico fondamentale. Tale metodo, che trae origine dalla geometria (è Platone stesso che lo afferma nel Menone) trova grazie a Platone la sua prima applicazione alla filosofia. Il metodo ipotetico in Platone Apriamo ora una riflessione generale sul metodo ipotetico. Le riflessioni sul metodo ipotetico si trovano in Menone 86d-87b, Fedone 100a- 101e, Repubblica 510b-511e. Non è Platone che ha inventato questo metodo: lo riprende, adattandolo, dalla contemporanea pratica geometrica. Qual è la funzione dell ipotesi in Platone? Una funzione euristica (trovare la verità): sono interessata a qualche problema o questione, come per esempio alla domanda la virtù può essere insegnata? Per riuscire a fare dei progressi nella risposta a tale questione si può formulare un ipotesi. Per esempio, si può ipotizzare o supporre che la virtù è un tipo di conoscenza (l esempio è preso dal Menone). In seguito si può vedere se, sulla base dell ipotesi, si possa rispondere alla domanda di partenza. Se ciò è possibile, si deve in seguito fornire una giustificazione dell ipotesi, domandandosi se la virtù sia di fatto un tipo di conoscenza. E si affronterà tale questione formulando una seconda ipotesi (questo è anche ciò che si prospetta nel Fedone). I dettagli dell ipotesi di tradizione platonica sono oggetto di controversia da parte degli studiosi. Però le sue caratteristiche generali sono sufficientemente chiare. - il metodo ipotetico di Platone è appunto euristico, e questo determina la natura dell ipotesi. Se, infatti, in teoria si può ipotizzare qualunque cosa, in pratica il contesto del problema filosofico determina quali ipotesi siano meglio di altre. Per esempio, se la questione è qual è la causa dell essere bello di x?, è ovviamente inutile ipotizzare che la virtù è un tipo di conoscenza (mentre invece, ipotizzare questa ultima è utile se si vuole rispondere alla domanda se la virtù sia insegnabile). - se ipotizzo che P, non mi sto impegnando con la verità di P, né sto asserendo P. Posso sperare che lo sia, ma questo non è necessario all ipotesi. Per esempio, nel caso speciale della reductio ad absurdum (che è una specie di ipotesi), si spera che l ipotesi risulti falsa. Infatti, se si ipotizza P per poi trarre delle contraddizioni o delle assurdità, la conseguenza è che arriveremo a negare P. E quello che abbiamo visto nel Fedone a proposito dell anima come armonia. Poniamo come ipotesi che l anima sia un armonia; traiamo una o più conseguenze assurde; abbandoniamo così l ipotesi dell anima come armonia. - nell ipotizzare P, non si argomenta a favore di P, né si producono ragioni in suo favore. Solo in un secondo momento Platone chiede conto dell ipotesi; ma nel momento in cui lo si fa, P cessa di essere un ipotesi per diventare una verità, cioè qualcosa di fondato. Nel momento in cui diciamo supponiamo che P, sospendiamo nella maniera più assoluta la questione della sua dimostrazione o del suo fondamento. Nel Fedone (100a-c) l ipotesi di partenza: (i) l F in sé (il Bello, il Grande, ecc.) esiste (ii) le cose particolari (sensibili) sono F perché esse partecipano dell F in sé. Ciò che ne consegue: i) una cosa è bella perché partecipa del Bello ii) una cosa è grande perché partecipa del Grande iii) una cosa è giusta perché partecipa del Giusto 19

20 ecc. ecc. Quindi: c è una quantità enorme di cose che conseguono all ipotesi, cioè che derivano da essa. Socrate insomma continua a rispondere al problema sollevato da Cebete, quello della generazione e della corruzione. La sua risposta è che il divenire non va analizzato dal punto di vista della realtà sensibile, ma dal punto di vista delle Forme: sono quest ultime ad essere cause del divenire e del corrompersi delle cose (intendendo divenire e corrompersi nel senso di arrivare ad acquisire e a perdere determinate proprietà). Esse cioè spiegano perché una cosa acquisisce e perde una proprietà, e permettono un uso corretto della predicazione (cioè, sul piano linguistico, dell attribuzione di un soggetto a un predicato, per esempio l attribuzione del predicato grande a Simmia). L accordo e il disaccordo: Socrate dice due cose un po diverse: in 100A dice che le cose che si accordano con le ipotesi le prendiamo come vere, mentre quelle che sono in disaccordo con l ipotesi le prendiamo come false. Invece in 101D dice che bisogna esaminare se le cose che risultano dall ipotesi (101d4: ta ap ekeinēs ormēthenta), si accordino o discordino tra loro. - Per ciò che riguarda la prima affermazione, il seguito del passo (100c-101c) mostra che in accordo con l ipotesi sono le spiegazioni del tipo x è F a causa dell F in sé Esempi dati in questo passo da Socrate: una cosa è bella a causa (= perché partecipa o perché in essa è presente, o perché ha comunanza) del Bello in sé una cosa è grande (o più grande) a causa della Grandezza in sé una cosa è piccola (o più piccola) a causa della Piccolezza in sé dieci è più di otto a causa della Quantità in sé l uno è uno a causa dell Unità in sé il due è due a causa della Diade. Queste sono le spiegazioni che teniamo per vere. In compenso, il passo in questione mostra che in disaccordo con l ipotesi sono le spiegazioni del tipo x è F a causa di G. Esempi dati da Socrate: la testa (con le due contraddizioni: è per la stessa cosa che il grande è grande e il piccolo, piccolo; è per una cosa piccola che il grande è grande); il due per il rapporto tra dieci e otto; la metà per il rapporto tra bicubito e cubito; l addizione e la divisione come cause (contraddittorie!) dell essere due. Queste sono le spiegazioni che teniamo per false, potendo dimostrare che esse sono, almeno per Socrate, contraddittorie. La seconda frase che bisogna esaminare, e cioè se le cose che risultano dall ipotesi si accordino o discordino tra loro non è invece seguita da alcun esempio che ci permetta di capire che cosa Socrate abbia in mente. Socrate pensa forse a un perfezionamento di 100A. Non solo bisogna vedere se ciò che risulta dall ipotesi sia in accordo con essa; è necessario anche verificare che le cose che conseguono all ipotesi siano in accordo tra loro. Forse Socrate pensa alle molteplici manifestazioni sensibili dell essere F: per esempio, alle molteplici cose belle. Prima di riferirle alla forma del Bello (e quindi trovare la spiegazione del perché esse sono belle), bisognerà sincerarsi che esse siano veramente belle. Bisognerà cioè verificare se la loro denominazione ( belle ) dipenda realmente dalla loro partecipazione alla forma del Bello, oppure se, almeno qualcuna tra loro, venga denominata bella in maniera scorretta (cfr. 102b3: si era d accordo 20

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