Il contesto familiare come primo ambiente di apprendimento

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1 Capitolo 4 Il contesto familiare come primo ambiente di apprendimento I legami familiari Il legame che unisce i componenti di una famiglia costituisce un fattore di stabilità emotiva, nel senso che aiuta l individuo a superare i turbamenti esterni e fornisce un certo equilibrio interiore. Esso fa nascere il bisogno di cercarsi e il desiderio di stare in compagnia delle persone a cui si vuole bene, anche se sotto questo aspetto il rapporto tra familiari è di diversa intensità. Ad esempio, il rapporto tra una madre e i suoi bambini è molto forte, ma i figli, crescendo, desiderano di stare insieme ai genitori solo fino ad un certo punto della loro vita. Nell età adolescenziale, infatti, è frequente una sorta di rifiuto della figura genitoriale che corrisponde al tentativo di crearsi uno spazio proprio, indipendente dal contesto familiare e nascono dei conflitti generazionali che di solito hanno a che fare con il desiderio di affermare la propria identità contro l identità infantile, marcata dal bisogno di dipendenza. Un altro segno del legame interpersonale è il disagio da separazione: due amici possono soffrire per un distacco, come ad esempio il trasferimento di uno dei due in un altro paese, oppure ancora di più per un lutto, ma la separazione di un figlio dalla propria madre provoca sofferenze psichiche molto più profonde; quindi, anche questo aspetto dei rapporti interpersonali è più complesso se applicato alla sfera familiare. 2. gli studi sull «attaccamento» nella prima infanzia Il legame familiare è molto più forte degli altri, perché si basa su relazioni diverse anche dal punto di vista materiale: i familiari orientativamente vivono insieme per lunghissimo tempo; i genitori provvedono al sostentamento fisico e psicologico dei loro figli, e, sebbene il loro matrimonio possa terminare, l affetto per i figli dura, comunque, per tutta la vita. Nella maggior parte dei legami interpersonali gli individui si trovano in una posizione più o meno paritaria, ma non è così per il rapporto genitore-figlio: quest ultimo si trova in una situazione di dipendenza protratta, essenziale al suo sviluppo fisico e psicologico. La natura, o meglio l evoluzione, ci ha provvisto di sistemi neurali, i quali fanno sì che i genitori si prendano cura dei figli per un tempo tanto lungo da permettere loro non solo di sopravvivere, ma di giungere alla propria maturazione e allo sviluppo nel modo migliore. La spinta a cercare nei genitori appoggio e sostegno prende il nome di attaccamento, cui corrisponde la capacità degli adulti di prendersi cura dei figli. La Teoria dell Attaccamento, elaborata da John Bowlby, ipotizza che l essere umano presenti già dalla nascita una predisposizione innata a formare legami con le figure genitoriali primarie, attraverso una ricerca di contatto, di conforto e di protezione, mentre alcuni esperimenti hanno mostrato quanto questa «pulsione» sia forte e determinante nello sviluppo, e che il soddisfacimento della «fame», considerato un bisogno primario, non è sufficiente a spiegare il fenomeno dell attaccamento del neonato alla madre. L esperimento più importante, in relazione a questo tipo di studi, fu quello condotto nel 1958 dallo psicologo americano Harry F. Harlow ( ), il quale aveva separato del-

2 174 le scimmiette dalla madre e le aveva chiuse in gabbia con due sostituti materni: uno di peluche, caldo e morbido, che non forniva latte, e l altro freddo, metallico, ma che erogava latte. Le scimmiette trascorrevano con la «mamma di ferro» solo il tempo necessario per sfamarsi, e poi rimanevano il resto del tempo con la «mamma più morbida», che non dava loro da mangiare. Inoltre, ogni volta che una delle scimmiette si spaventava per qualcosa, correva dalla mamma morbida a cercare conforto. Dal momento che le strutture cerebrali alla base di questi meccanismi emotivi sono simili nell uomo e nella scimmia, Harlow ipotizzò che lo stesso fenomeno potesse verificarsi anche nei neonati. Parte I - Teoria Sezione II - Lo sviluppo psico-sociale nell età evolutiva La teoria di Bowlby All inizio degli anni Settanta, all interno degli studi cognitivi, si è imposta una corrente di ispirazione etologica. Gli studiosi che si rifanno a tale orientamento hanno sostenuto, in particolare, che tra l individuo e l ambiente si crea un rapporto di interdipendenza, il quale influenza il processo evolutivo del soggetto nelle diverse tappe, oltre che lo sviluppo della sua personalità. La prospettiva etologica, insieme a quella contestualista, segna il passaggio da un modello di lettura centrato sull individuo ad una concezione aperta, interattiva tra soggetto e contesti di vita. John Bowlby ( ) è lo studioso che maggiormente ha inciso, col suo lavoro, nel condurre l etologia, ovvero lo studio del comportamento di una specie nel proprio ambiente naturale, all attenzione della psicologia dello sviluppo. Studiando l attaccamento sociale tra il neonato e la persona che si prende cura di lui (caregiver), egli, da un approccio psicoanalitico, passò, negli anni Cinquanta, a quello etologico, ponendo le fondamenta per la ricerca in quest ambito sia in Europa che nell America settentrionale. Le sue osservazioni su neonati separati precocemente, e per lungo tempo, dalla madre evidenziarono che un attaccamento sociale precoce tra il neonato e chi se ne occupa è all origine di uno sviluppo normale. A partire da questo nuovo presupposto, Bowlby, pur ritenendo valida la pratica psicoanalitica, sviluppò una serie di critiche sul suo assetto teorico. In prima istanza valorizzò il ruolo dell ambiente nello studio e nella comprensione dei disturbi psichici, piuttosto che il ruolo delle fantasie inconsce; criticò, inoltre, la teoria degli istinti e delle pulsioni, sostenendo che durante l infanzia il conseguimento del piacere non avviene attraverso una scarica pulsionale, come per gli psicoanalisti di impostazione freudiana, ma attraverso esperienze che favoriscono l attaccamento, come l affetto, l amore, la protezione, la prossimità, la cura: lo sviluppo del soggetto, quindi, non dipende dal soddisfacimento sessuale, ma dall appagamento del bisogno di instaurare legami di affetto. Il punto di partenza delle sue riflessioni teoriche è riscontrabile nelle osservazioni del legame tra madre e figlio nei primati. Egli ipotizzò che l «attaccamento» fosse una funzione importante nell evoluzione di una specie, in quanto ne favorisce la sopravvivenza. Nella storia dell evoluzione, infatti, in molti riflessi dei cuccioli si intravede la loro «predisposizione biologica a tenersi vicino agli adulti della specie», probabilmente per ricercare protezione dai predatori o da fattori ambientali di vario tipo ancora sconosciuti. Uno degli aspetti più importanti della teoria di Bowlby è il riconoscimento della «componente biologica del legame di attaccamento». Porre l attenzione sul concetto o sulla funzione di «attaccamento» significa focalizzare l interesse sul bisogno del neonato di percepire la vicinanza e il contatto fisico con una persona di riferimento, soprattutto in particolari situazioni di stress o pericolo. Esso si sviluppa nei primi mesi di vita intorno ad un unica figura, quasi sempre con la madre, giacché è la prima ad occuparsi del bambino. Si può parlare di attaccamento in termini di: comportamento di attaccamento; sistema comportamentale di attaccamento; legame d affetto. Il tipo di legame con la figura di riferimento, che dipende, come si può intuire, dalla sensibilità e dalla disponibilità del caregiver, definisce la sicurezza d attaccamento e la formazione di modelli operativi interni (MOI), i quali determineranno i comportamenti relazionali futuri.

3 Con la crescita, l attaccamento iniziale, che si viene a formare tramite la relazione materna primaria o con un caregiver di riferimento, si modifica e si estende ad altre figure, sia interne che esterne alla famiglia, fino a ridursi notevolmente. L attaccamento può essere: di tipo sicuro; di tipo insicuro. Il primo si sviluppa se il bambino sente di avere dalla figura di riferimento protezione, senso di sicurezza, affetto; il secondo, invece, si instaura quando il bambino nutre nei confronti della figura di riferimento sentimenti quali instabilità, prudenza, eccessiva dipendenza, paura dell abbandono. Bowlby identifica nel consolidamento del legame di attaccamento quattro fasi, che si articolano in rapporto alle seguenti età dell individuo: a) dalla nascita alle otto-dodici settimane; b) dai sei-sette ai nove mesi; c) dai nove mesi in poi; d) intorno ai tre anni di età. Durante la prima fase, lo studioso evidenzia che il bambino non è in grado di distinguere le persone che lo circondano, anche se può riconoscere, attraverso l odore e la voce, la propria madre. Superate le dodici settimane, il piccolo comincia a dare maggiori risposte agli stimoli sociali. In un secondo momento, il bambino, pur mantenendo comportamenti generalmente cordiali con chi lo circonda, mette in atto modi di fare sempre più selettivi, soprattutto con la figura materna, dopodiché, a partire dai sei mesi circa, tale capacità discriminativa diventa sempre più sofisticata. La terza fase si caratterizza per la stabilità e la peculiarità del legame di attaccamento con il caregiver, in quanto il bambino acquisisce abilità come quelle di richiamare l attenzione della figura di riferimento, salutarla, servirsene come base per esplorare l ambiente, ricercare in lei protezione, soprattutto se si trova al cospetto di un estraneo. Infine, a partire dai tre anni, il piccolo acquisisce la capacità di mantenere tranquillità e sicurezza in un ambiente sconosciuto, purché sia in compagnia di figure di riferimento secondarie ed abbia la certezza che il caregiver ritorni in tempi brevi. Il modello di attaccamento che si determina nel corso dei primi anni di vita caratterizza la relazione con la figura di riferimento durante l infanzia, ma successivamente diviene un aspetto della personalità e un modello relazionale per i futuri rapporti. Per tale ragione è fondamentale sviluppare un tipo di attaccamento adeguato, poiché da esso dipende una corretta maturazione dell individuo. Infatti, stati di angoscia e depressione, in cui un soggetto può imbattersi in età adulta, possono essere ricondotti a periodi in cui la persona ha fatto esperienza di scoramento, ansia e distacco durante l infanzia. Ad esempio, l esperienza di separazione dalla figura di riferimento rappresenta uno dei più gravi eventi traumatici per un bambino e naturalmente incide notevolmente sullo sviluppo del legame di attaccamento, ma si manifesta attraverso diverse modalità di comportamento. Tali diversità dipendono da molteplici variabili, fra cui: la durata della separazione e il periodo in cui si verifica; le «capacità di resilienza» (elasticità, flessibilità) del soggetto; le caratteristiche dell ambiente. Le ricerche di Bowlby hanno evidenziato che la separazione dalla figura di riferimento può essere suddivisa in tre momenti: la protesta; la disperazione; il distacco. Può risultare più facile viverla e superarla in presenza di circostanze favorevoli, come può essere l esistenza di un fratello, di un altra persona che riesce a sostituire in maniera ottimale il caregiver, oppure di un ambiente accogliente. Attualmente l approccio etologico fornisce, sotto l aspetto teorico, il principale supporto per una prospettiva dello sviluppo umano dal punto di vista dell evoluzione. 175

4 176 Parte I - Teoria Sezione II - Lo sviluppo psico-sociale nell età evolutiva 3. L importanza della famiglia per la formazione della personalità Il nucleo familiare fornisce l ambiente in cui avviene lo sviluppo intellettuale e psichico del bambino: la personalità degli individui, infatti, si forma nel nido familiare, soprattutto sulle esperienze dei primi anni di vita, che lasciano una traccia indelebile nella psiche del piccolo e attorno alle quali si costruiscono i futuri modelli di riferimento. È facile immaginare, dunque, l importanza che riveste la famiglia per la formazione dei comportamenti individuali. Gli studiosi di psicologia identificano i primi anni di vita con quel periodo che farà da filtro alle esperienze successive e in cui il bambino prende coscienza dell esistenza della realtà circostante, comincia a capire come è fatto il mondo, inizia a conoscere se stesso e impara a comunicare in modi diversi. Sigmund Freud e la psicoanalisi in generale hanno dato moltissima rilevanza alla famiglia per lo sviluppo psicologico del bambino, sostenendo che l ambiente domestico costituisce una sorta di «incubatrice del carattere umano». Mentre gli studi di Freud mettevano in evidenza l importanza delle relazioni d amore con i genitori per la formazione delle future relazioni, con le soluzioni armoniose o patologiche del cosiddetto complesso di Edipo, Melanie Klein esplorava le fantasie precoci dei bambini in rapporto al corpo della madre, laddove Donald Winnicott, dal canto suo, mostrava quanto fosse determinante la relazione madre-bambino anche per lo sviluppo delle funzioni mentali e della creatività e, primo fra tutti, denunciava gli effetti devastanti che poteva avere su di un bambino l allontanamento dalla famiglia. Sarebbe troppo lungo ora riassumere tutti gli studi e gli autori che hanno affrontato il tema della funzione della famiglia nello sviluppo psichico dell individuo, ma possiamo dire, senza dubbio, che la famiglia è il primo luogo di formazione della psiche umana ed è il terreno in cui si possono formare le nevrosi delle persone: per esempio, le rappresentazioni di ciò che ha provocato una sofferenza traumatica si depositano nell inconscio e mettono lì le loro radici, cosicché gli individui si portano dietro, per l intero corso della vita, questo fardello che viene «rimosso», cioè viene allontanato dalla coscienza. La rimozione è per Freud uno dei principali meccanismi con cui le persone si proteggono dalla sofferenza; la psicoterapia ha, in questo caso, lo scopo di riportare alla luce il «rimosso», permettendo così al soggetto di fare i conti con situazioni che, difficili da affrontare nella vita infantile, possono esserlo meno in età adulta. Per chiarire questo concetto, proponiamo un caso concreto. Supponiamo che la mamma di un bambino per qualche ragione non riesca ad arrivare a scuola all orario stabilito. Il piccolo, che come sanno tutte le mamme può aspettare tranquillo un tempo x ma non un tempo x + 1, penserà di essere stato abbandonato, e la sua apprensione aumenterà sempre di più man mano che passerà il tempo. La mamma alla fine arriva e tutto sembra passato; ma quell angoscia o, meglio, la rappresentazione di quell angoscia potrà essere rimossa invece che superata (il tempo è stato x ). Ritrovando il ricordo dell episodio, l adulto potrà rendersi conto di come il tremendo fastidio che prova, quell ansia insopprimibile che l attanaglia quando qualcuno è in ritardo, appartenga più al bambino di allora che all adulto di adesso. 4. Le relazioni familiari e lo sviluppo del linguaggio Le ricerche sullo sviluppo del linguaggio e della comunicazione nel bambino hanno focalizzato la loro attenzione sull ambiente sociale in cui egli cresce: dunque, in primo luogo, sulla famiglia. Fin dai primi giorni di vita i neonati instaurano relazioni comunicative con le persone del proprio ambiente, e questi rapporti, col trascorrere del tempo, diventano sempre più specifici: quante volte ci è capitato di vedere un bambino che piange, e la mamma capire, al di là delle parole, se ha fame, vuole bere, ha sonno o deve essere cambiato. Poi passa il tempo e

5 il piccolo inizia a comprendere i movimenti di coloro che lo circondano, e comincia anche a rispondere agli stimoli che lo riguardano: ad esempio, se la madre si avvicina per cambiarlo, si muove in modo tale da renderle più facili i movimenti, o, al contrario, se non vuole, ostacola l azione della mamma. Le prime comunicazioni sono fatte di gesti, pianti e movimenti, poi via via compaiono le parole: il bambino sviluppa un codice di azioni e una forma elementare di linguaggio che gli permette di farsi comprendere. Grazie a questi codici, il sistema di comunicazione del soggetto si avvia alla maturazione. Il padre e la madre svolgono un ruolo molto importante nello sviluppo del linguaggio dei bambini, anche se ci sono genitori che agevolano più di altri l acquisizione della proprietà linguistica, ascoltando con pazienza e sforzandosi di usare una terminologia più semplice, adeguata alla capacità di comprensione del fanciullo La socialità La famiglia rappresenta anche il tramite tra l individuo nella sua singolarità e l individuo come elemento della società. Il primo esempio di convivenza sociale viene fornito dalla famiglia di appartenenza: dunque è facile capire quanto sia determinante la qualità dei rapporti nel contesto familiare per la formazione delle persone in quanto esseri sociali. L uomo assume la stessa struttura psichica dell ambiente sociale in cui vive e cresce, e il primo ambiente con cui egli viene a contatto è proprio quello familiare. Se in una famiglia nessuno tende ad accettare delle norme che regolano la convivenza, se tutti i membri agiscono in maniera disordinata e discontinua, senza seguire un regime costante, è chiaro che il soggetto che cresce in quel nucleo familiare avrà maggiori difficoltà ad accettare le leggi ancora più complesse della società esterna. Come nasce la vita sociale degli individui? Quando il bambino comincia a conoscere se stesso, verso i due anni, inizia anche a capire che esistono dei collegamenti tra sé e gli altri, percepisce che le persone sono legate in un sistema di relazioni e non sono isolate tra loro. Egli comincia a scoprire l influenza interpersonale: ad esempio, non chiede più alla mamma un giocattolo solo perché lo vuole, ma per vedere se la mamma risponde ad un suo desiderio. Capisce, cioè, se e come la sua richiesta ottiene un risultato, ovvero se esercita un influenza su chi gli sta vicino. Questo è il primo passo verso la comprensione della più ampia realtà sociale: la decodificazione dei rapporti tra le persone, la scoperta di una relazione tra sé e la mamma o il papà. 6. I modelli educativi familiari I differenti modelli familiari si ripercuotono in maniera evidente sugli stimoli che vengono dati al soggetto in direzione dell istruzione e della formazione; lo stesso rapporto tra genitori e figli tende a cambiare in base ai valori sociali di riferimento. In linea di massima, è possibile riscontrare che i valori delle classi inferiori sembrano orientare i più piccoli verso comportamenti scarsamente utili alla mobilità sociale. Perciò, per incrementare la motivazione nei confronti degli apprendimenti scolastici, occorrerebbe modificare gli stessi modelli educativi, enfatizzando l autostima e il bisogno di riuscita, agendo sulla famiglia in termini di percorsi formativi e costruttivi, e sollecitando nei giovani il bisogno di successo anche dall interno della scuola. In generale, è possibile identificare almeno tre modelli educativi parentali, che producono diverse dimensioni dei comportamenti individuali, vale a dire: uno stile repressivo, che valorizza l obbedienza, la tradizione, il rispetto dell ordine, e che provoca ripercussioni negative sulla socializzazione dei figli, con assenza di creatività, di autonomia e di competenza sociale;

6 178 Parte I - Teoria Sezione II - Lo sviluppo psico-sociale nell età evolutiva uno stile indulgente e permissivo, che si mostra tollerante nei confronti dei bisogni dei figli, evitando restrizioni e castighi, ma al tempo stesso esigente nei confronti delle aspettative di maturazione e di responsabilità, il quale può generare atteggiamenti ribelli e comportamenti aggressivi, non facilitando in tal modo il conseguimento dell autonomia personale, della consapevolezza e della responsabilità; infine, uno stile autorevole, ma basato sulla reciprocità, democratico, in cui i genitori partono dalla considerazione che nella famiglia esistono diritti e doveri per tutti e si mostrano sensibili alle necessità e alle richieste dei figli, cercando però di stimolarli a soddisfare anche le loro esigenze di adulti. I genitori si mostrano in questo caso fermi e decisi in merito a regole e obblighi, specificandone però l importanza attraverso il dialogo e il ragionamento, stimolando, cioè, il confronto e la comunicazione. Quest ultimo stile risulta di solito molto valido e comporta conseguenze decisamente positive nel processo di socializzazione dei figli, favorendo l autostima e l autocontrollo, il senso di iniziativa personale e di responsabilità, come pure la curiosità e la risolutezza. Ciò determina una particolare attitudine verso il vivere sociale e una spiccata competenza cognitiva, di controllo e di attenzione. In effetti, se le regole non sono arbitrarie, ma razionali e giustificate, hanno effetti positivi sulla socializzazione dei soggetti, mentre la permissività totale o l autoritarismo irrazionale danno risultati negativi. Sostanzialmente sembra emergere una netta distinzione tra due tipi di ambiente familiare: quello basato sulle caratteristiche individuali e quello fondato sul conformismo. È però vero che numerose ricerche sugli stili educativi parentali hanno evidenziato che non vi è un «determinismo sociale» che pregiudichi in modo definitivo il futuro scolastico dei bambini. Si può però certamente considerare che se le modalità di socializzazione familiare e scolastica tendono a convergere, le probabilità di una buona riuscita nel percorso formativo e di apprendimento sono decisamente migliori. 7. I rapporti tra genitori e insegnanti All interno delle scuole possono essere pianificati progetti appropriati per sviluppare l interazione con le famiglie: i genitori, infatti, si sentono più coinvolti se le scuole stabiliscono programmi che includono forme di collaborazione, mentre gli insegnanti risultano più disponibili nei loro confronti se si apre un dialogo complessivo sull educazione degli studenti; questi ultimi, infine, si mostrano maggiormente sicuri e riescono meglio nei compiti di apprendimento se le famiglie partecipano con modalità specifiche e produttive. Oggi, in tutte le famiglie è presente la preoccupazione per la scolarizzazione dei figli, e il sostegno scolastico rappresenta ormai una pratica diffusa nelle attività domestiche. Non mancano pertanto segnali positivi, ottenuti proprio grazie al costante sostegno da parte dei genitori, supporto che, però, deve essere sempre preceduto dall impegno personale degli allievi. Naturalmente permangono delle differenze, legate soprattutto alla diversità di risorse materiali e di istruzione presenti nelle famiglie, ma in genere è possibile affermare che il coinvolgimento dei genitori nell iter scolastico dei figli ha effetti decisamente positivi. La constatazione che scuola e famiglie lavorano entrambe su uno stesso soggetto potrebbe comportare una sorta di «concorrenza», anche in virtù del fatto che mentre gli insegnanti mettono in primo piano l allievo, in un ottica universalistica, i genitori si concentrano sul proprio figlio, in un ottica particolaristica e affettiva. Per evitare conflitti e incomprensioni è pertanto importante che l ambito familiare e quello scolastico, con i rispettivi ruoli, rimangano distinti e separati. In realtà, il rapporto tra genitori e insegnanti è molto complesso: possono infatti esservi genitori che manifestano esigenze eccessive o che rischiano una inopportuna ingeren-

7 za nelle attività didattiche, mentre altri possono mostrare scarsa motivazione e partecipazione alla vita scolastica dei figli, oltre che poca fiducia nel rapporto con i loro docenti. Si può dunque affermare che la collaborazione tra insegnanti e genitori è senz altro utile ma certamente difficile da realizzare, in quanto impone un costante confronto e una continua negoziazione. Una scuola pubblica ha indubbiamente bisogno di dialogare con le famiglie, senza però sottomettersi alle esigenze particolaristiche dei propri utenti, al punto da consentire interventi nelle metodologie o nei contenuti didattici. A tal fine, sono certamente auspicabili le esperienze di pratiche educative parentali, che consentano di sostenere le famiglie e gli insegnanti nella ricerca di confronto e dialogo. Gli insegnanti dovrebbero, in primo luogo, aiutare le famiglie a migliorare le loro aspirazioni per i figli, stimolandoli così verso il successo scolastico, e dovrebbero poi curare i rapporti indiretti tra la scuola e la famiglia, come ad esempio le comunicazioni scritte ma, soprattutto, l immagine dell ambiente scolastico che l alunno trasmette in famiglia, allo scopo di avviare un rapporto sereno e aperto, incentrato sui bisogni educativi e formativi dei più giovani. 179

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