Capitolo 1. Patologia dei linfonodi. Patologia della milza
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- Eleonora Leone
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1 Capitolo Patologia dei tessuti linfatici Luigi Ruco Basi morfofunzionali della patologia dei linfonodi Linfadeniti Linfomi: aspetti clinicopatologici generali Linfomi a cellule B Linfomi a cellule T p. 02 p. 09 p. 5 p. 20 p. 48 Disturbi linfoproliferativi post-trapianto Neoplasie a origine dalle cellule dendritiche o istiocitarie p. 56 p. 58 Patologia della milza p. 6 Patologia del timo p. 70 Lo studio della patologia del tessuto linfatico richiede la conoscenza dei principi base dell immunologia. Infatti, l organizzazione del sistema immunitario in aggregati di linfociti B, linfociti T, macrofagi e cellule dendritiche ha immediate conseguenze nel determinare gli aspetti morfologici delle varie lesioni. Per favorire questa comprensione, nella trattazione dei diversi organi linfatici abbiamo introdotto una breve descrizione delle caratteristiche istologiche normali e un richiamo ai rapporti esistenti tra struttura e funzione. Nella patologia infiammatoria, la diversità dei quadri morfologici è spesso determinata dal tipo di risposta immunitaria (cellulo-mediata o anticorpale) evocata dalla noxa patogena. Nella patologia neoplastica, l aspetto istologico del linfoma è profondamente influenzato dal compartimento linfatico, T o B, in cui esso si sviluppa.
2 DEI LINFONODI BASI MORFOFUNZIONALI DELLA DEI LINFONODI Area corticale Follicoli linfatici B con centri germinativi Maturazione della risposta anticorpale Switching dell isotipo anticorpale Maturazione delle cellule B in plasmacellule Maturazione delle cellule B in cellule memoria Linfonodo normale (-2 mm di diametro) Area paracorticale Zona midollare Linfociti T CD3+ con CD4:CD8 = 3: e cellule dendritiche interdigitate Presentazione dell antigene ai linfociti T e attivazione dei linfociti T Cordoni e seni linfatici I cordoni sono popolati da plasmacellule mature che riversano nella linfa gli anticorpi prodotti I seni linfatici confluiscono nel vaso linfatico efferente che lascia il linfonodo a livello dell ilo Vie di traffico Seni linfatici e venule ad alto endotelio La linfa raggiunge il linfonodo con i vasi linfatici afferenti ed entra nel seno sottocapsulare Le cellule del sangue entrano nel linfonodo a livello delle venule ad alto endotelio delle aree paracorticali Linfomegalie/linfoadenopatie Obiettivi didattici Alla fine dello studio di questa unità didattica lo studente dovrà comprendere la stretta relazione esistente tra la morfologia e la fisiopatologia del linfonodo e, in particolare, capire quali funzioni vengano svolte dalle diverse aree nelle quali è suddiviso un linfonodo normale 2
3 I linfonodi normali hanno un diametro massimo di -2 mm, non sono apprezzabili alla palpazione e sono difficilmente riconoscibili nell ambito del tessuto adiposo in cui sono immersi. I linfonodi attivati dall antigene aumentano progressivamente di volume a causa dell intensa migrazione e proliferazione linfocitaria che avviene al loro interno. Ciò causa un iperplasia reattiva del linfonodo. Il linfonodo ha la forma di un fagiolo ed è delimitato da una capsula fibrosa in cui penetrano i vasi linfatici afferenti (Figura.). Al di sotto della capsula decorre il seno marginale o seno sottocapsulare, in cui si raccoglie la linfa drenata dal territorio tributario. Nel parenchima del linfonodo si possono distinguere tre zone: la zona più esterna, corticale, corrisponde all area occupata prevalentemente dai follicoli costituiti da linfociti B; al di sotto di essa si osserva la zona paracorticale, prevalentemente occupata dai linfociti T; la zona più centrale, midollare, costituisce una zona di traffico formata da seni e cordoni. Le colorazioni immunoistochimiche hanno consentito di riconoscere nei linfonodi l esistenza di unità funzionali T + B, definite noduli composti. Ciascun nodulo è delimitato da trabecole fibrose che si dipartono dalla capsula ed è costituito da un follicolo B e dalla sottostante porzione di area paracorticale T. Il seno sottocapsulare è la via attraverso cui nel linfonodo arriva la linfa del territorio drenato con il suo contenuto di macrofagi, di cellule dendritiche e di linfociti. L antigene può essere trasportato dalla linfa in forma libera, come complessi antigene/anticorpo, o come antigene esposto sulle cellule dendritiche immature provenienti dal tessuto drenato. I seni sono rivestiti da macrofagi con morfologia e funzione simil-endoteliale, e sono attraversati da una rete di macrofagi reticolari. La funzione dei macrofagi dei seni è quella di rimuovere il materiale particolato presente nella linfa. Il seno sottocapsulare si continua nei seni intermedi che poi confluiscono tra loro per formare i seni della midollare. I follicoli B dell area corticale sono facilmente riconoscibili sulle sezioni istologiche. I follicoli non stimolati dall antigene sono essenzialmente costituiti da piccoli linfociti B maturi, e si definiscono follicoli primari. La stimolazione antigenica induce la trasformazione dei follicoli primari in follicoli secondari, formati da un centro Vaso linfatico afferente Seno sottocapsulare Mantello Follicolo secondario Capsula fibrosa Zona paracorticale Cordoni della midollare Centro germinativo Trabecole fibrose Follicolo primario Vaso linfatico efferente Arteria Vena Zona corticale Vaso linfatico afferente Seni della midollare Venule ad alto endotelio Figura. Microanatomia del linfonodo normale. Il linfonodo ha la forma di un fagiolo ed è delimitato da una capsula fibrosa in cui penetrano i vasi linfatici afferenti. Al di sotto della capsula decorre il seno marginale, o seno sottocapsulare, in cui si raccoglie la linfa drenata nel territorio tributario. Nel parenchima del linfonodo si possono distinguere tre zone. La zona più esterna, corticale, corrisponde all area occupata prevalentemente dai follicoli B; al di sotto di essa si osserva la zona paracorticale, prevalentemente occupata dai linfociti T; la zona più centrale, la zona midollare, costituisce una zona di traffico formata da seni e cordoni. 3
4 germinativo e da una zona mantellare. La funzione dei centri germinativi è quella di favorire la formazione di linfociti B memoria e di plasmacellule in grado di produrre anticorpi specifici ad alta affinità nei confronti dell antigene che ne ha causato la stimolazione. La maturazione dell affinità della risposta anticorpale avviene attraverso il processo di ipermutazione somatica (Figura.2b). Un altra funzione del centro germinativo è quella di consentire il cambiamento di isotipo dell anticorpo prodotto (per esempio da IgM a IgG). Esso avviene attraverso un riarrangiamento genico che consente di sostituire la regione costante delle catene pesanti dell anticorpo, mantenendo inalterata la sequenza che codifica per il sito di legame dell antigene, e quindi la specificità (Figura.2c). È opinione diffusa che le mutazioni e i riarrangiamenti genici che avvengono nelle cellule B del centro germinativo come parte dello svolgimento delle sue normali funzioni possano danneggiare il DNA e favorire il processo di trasformazione neoplastica. In accordo con quest ipotesi, i dati epidemiologici indicano che la maggior parte dei linfomi deriva dalle cellule B del centro germinativo. La zona mantellare del follicolo è costituita da piccoli linfociti B maturi, morfologicamente omogenei, ma profondamente eterogenei sotto il profilo immunofenotipico e funzionale. Essi esprimono un BCR (B Cell Receptor) composto da due catene pesanti e da due catene leggere delle immunoglobline (Ig) identiche tra loro e legate da ponti disolfuro, e da molecole attive nella trasduzione del segnale all interno della cellula, quali CD79a e CD79b. La maggior parte delle cellule mantellari è costituita da linfociti B recircolanti che esprimono un fenotipo simile a quello dei linfociti B presenti nel sangue periferico. Una parte di questi è costituita da linfociti B memoria che si sono generati durante una risposta primaria del corrispondente centro germinativo ed esprimono IgG o IgA di superficie. In caso di nuovo contatto con l antigene, essi differenziano prontamente in plasmacellule secernenti IgG o IgA. Una minoranza delle cellule mantellari sono linfociti B naïve IgM+/IgD+ di origine midollare; infine, una piccola frazione di questi ultimi si caratterizza per l espressione del CD5. I linfociti B naïve si attivano in seguito all interazione del BCR con l antigene specifico. Nel caso di un antigene T-dipendente, la cellula attivata entra nel centro germinativo e va incontro a espansione clonale assumendo l aspetto morfologico del centroblasto (Figura.3). Nei centroblasti ha luogo il processo di ipermutazione somatica che introduce mutazioni puntiformi nelle regioni DJ H e V L J L dei geni delle Ig che codificano per il BCR. Attraverso queste mutazioni, il BCR espresso dalla progenie dei centroblasti, definiti centrociti, avrà una nuova configurazione spaziale e quindi una diversa affinità per l antigene. I centrociti che esprimeranno un BCR con a b c Midollo osseo Centro germinativo Centro germinativo D H J H J H Cm Sm Cm Sm Cm Cd Sg Cg D H J H Cm X X X Sm Cm Sm Sg Cg D H J H Cm Riarrangiamento VDJ Ipermutazione somatica Cambiamento di isotipo Figura.2 Riarrangiamenti del DNA delle immunoglobuline che fisiologicamente avvengono nella differenziazione dei linfociti B. a) La ricombinazione VDJ avviene durante le prime fasi della differenziazione della cellula B nel midollo osseo. Il primo evento è l associazione di una delle 27 regioni D a una delle 6 regioni J. Successivamente il segmento DJ riarrangiato si associa a una delle 5 regioni V. La sequenza VDJ codifica per la regione dell anticorpo che lega l antigene e quindi ne determina la specificità. b) Ipermutazione somatica. Le cellule B stimolate dall antigene vanno incontro al processo di ipermutazione somatica che consiste nell introduzione di mutazioni puntiformi (x) nelle regioni DJ H e V L J L dei geni delle Ig. Le mutazioni potranno causare dei cambiamenti nella sequenza aminoacidica del sito di legame per l antigene con conseguente modificazione della sua configurazione spaziale. Il nuovo sito potrà avere un affinità per l antigene maggiore o minore rispetto al precedente. Le cellule con affinità maggiore saranno selezionate positivamente e andranno incontro a un nuovo ciclo di espansione clonale. Le cellule con minore affinità saranno eliminate per apoptosi. c) Cambiamento di isotipo. Si tratta di un riarrangiamento genico che consente di modificare la classe di anticorpo prodotta dalla cellula B del centro germinativo (per esempio, da IgM a IgG) sostituendo la regione costante delle catene pesanti, e mantenendo inalterate le sequenze e quindi l affinità per l antigene. 4
5 Zona mantellare Cellula B naïve Apoptosi Espansione clonale Zona scura Cellula B Ipermutazione somatica Cambiamento di isotipo Mutazioni che aumentano FDC l affinità per l antigene Selezione Mutazioni che riducono l affinità per l antigene Zona chiara Linfocita T Differenziazione Plasmacellula Cellula B memoria Figura.3 Funzione del centro germinativo. I linfociti B naïve della zona mantellare possono essere attivati dall antigene ed entrare nel centro germinativo. Le cellule attivate assumono l aspetto morfologico del centroblasto, proliferano nella zona scura del centro germinativo, e vanno incontro al processo di ipermutazione somatica che introduce mutazioni puntiformi nelle regioni DJ H e V L J L dei geni delle Ig; queste ultime modificheranno l affinità per l antigene del BCR. La progenie dei centroblasti, i centrociti, andranno incontro a un processo di selezione che favorirà un ulteriore ciclo di espansione di quei centrociti che esprimeranno un BCR con maggiore affinità per l antigene. I centrociti con minore affinità saranno eliminati per apoptosi. Attraverso diversi cicli di espansione clonale/selezione positiva si favorirà l emergere di un clone di cellule B esprimenti un BCR a elevata affinità per l antigene. Queste ultime andranno incontro a differenziazione terminale come plasmacellule o come linfociti B memoria. L antigene presente nel centro germinativo vi arriva attraverso i vasi linfatici afferenti ed è esposto per il riconoscimento sui lunghissimi prolungamenti dendritici delle cellule follicolari dendritiche (FDC). Alla regolazione delle funzioni del centro germinativo partecipa anche una sottopopolazione di linfociti T helper follicolari (THF) attiva nella produzione IL-4 e IL-6. una maggiore affinità saranno selezionati positivamente e andranno incontro a un nuovo ciclo di espansione clonale e di ipermutazione; i centrociti che esprimeranno un BCR con minore affinità per l antigene saranno selezionati negativamente ed eliminati per apoptosi. Attraverso diversi cicli di espansione clonale/selezione, si favorirà l emergere di cloni di cellule B esprimenti un BCR con un elevata affinità per l antigene. Questi ultimi andranno incontro a differenziazione terminale come plasmacellule o come linfociti B memoria. La proliferazione dei centroblasti e la selezione dei centrociti avvengono in due zone diverse del centro germinativo definite rispettivamente zona scura e zona chiara. L aspetto più scuro della zona in cui proliferano i centroblasti è dovuto alla basofilia del citoplasma che consegue alla particolare ricchezza di ribosomi in quanto cellule in attiva sintesi proteica. 5 L antigene presente nel centro germinativo vi arriva attraverso i vasi linfatici afferenti ed è esposto alle cellule B sui lunghissimi prolungamenti dendritici delle cellule follicolari dendritiche (FDC). La differenziazione delle cellule B è favorita dalla produzione di citochine a opera di una particolare sottopopolazione di linfociti T del centro germinativo Tfh. Essi esprimono un fenotipo CD45RO+, CD4+ e CD57+, appartengono alla sottopopolazione Th2 e producono IL-4 e IL-6. Infine, le cellule B che vanno in apoptosi come conseguenza della selezione negativa sono eliminate dai macrofagi del centro germinativo, definiti anche macrofagi con i corpi tingibili (frammenti di nuclei apoptotici fagocitati). La facilità con cui le cellule B del centro germinativo vanno in apoptosi è determinata dai bassissimi livelli di espressione della proteina anti-apoptotica Bcl-2. All esterno della zona mantellare
6 è presente una sottile zona marginale. Essa è difficilmente riconoscibile nei linfonodi superficiali, ma è ben evidente nei linfonodi intraddominali, nella milza e nei follicoli B del tessuto linfatico associato alle mucose (MALT). La zona marginale è popolata dalle cellule B marginali che sono IgM+ e IgD, e hanno una morfologia caratteristica (centrocito-simile) per la presenza di una rima di citoplasma chiaro ben riconoscibile e di nuclei a contorno irregolare. Le cellule B marginali sono in grado di rispondere ad antigeni T-indipendenti trasformandosi in plasmacellule secernenti IgM al di fuori del centro germinativo (Figura.4 ). Antigeni T-indipendenti Fuori dai centri germinativi non obbligatorie Antigeni T-dipendenti Mutazioni dei geni V Plasmacellule Cellula B immatura Cellula B della zona marginale Cellula B follicolare All interno dei centri germinativi obbligatorie Cellule B memoria Figura.4 Maturazione delle cellule B indotta dall antigene. Gli antigeni T-indipendenti stimolano una particolare sottopopolazione di cellule B presenti in una sottile rima di tessuto situata all esterno della zona mantellare, definita zona marginale. Essa è difficilmente riconoscibile nei linfonodi superficiali, ma è ben evidente nei linfonodi intraddominali, nella milza e nei follicoli B del tessuto linfatico associato alle mucose (MALT). Le cellule B marginali stimolate dall antigene si trasformano in plasmacellule secernenti IgM al di fuori del centro germinativo e non vanno incontro al processo di ipermutazione somatica. Le cellule B stimolate da antigeni T-dipendenti entrano nel centro germinativo e vanno incontro al processo di selezione descritto nella Figura.3. La zona paracorticale è popolata prevalentemente da linfociti T maturi CD3+/CD4+ che sono in grado di interagire, formando rosette, con una sottopopolazione di cellule dendritiche mature di origine mieloide, le cellule dendritiche interdigitate (IDC). Nella zona paracorticale il rapporto tra linfociti T CD4+ e CD8+ è di circa 3: come nel sangue venoso periferico. Le IDC hanno la funzione di Antigen Presenting Cell e stimolano la proliferazione dei linfociti T in grado di riconoscere l antigene esposto sulla loro membrana. Le cellule T attivate produrranno alcune citochine, quali IL-2, che stimolano la proliferazione dei linfociti T, e altre quali IL-4, IL6 e IFNγ che consentono la cooperazione tra linfociti T e linfociti B, e tra linfociti T e macrofagi. Nella zona paracorticale sono presenti le venule ad alto endotelio (HEV) che costituiscono la zona di traffico attraverso cui i linfociti transitano dal sangue al linfonodo e viceversa. I linfociti circolanti riconoscono molecole di adesione quali VCAM, E-selectin, P-selectin e ICAM- espresse dalle cellule endoteliali; in seguito al riconoscimento aderiscono fermamente alle stesse e quindi attraversano la parete del vaso. L entità della migrazione è regolata dalle cellule endoteliali attraverso la loro capacità di modulare l espressione delle molecole di adesione. In condizioni di attivazione del parenchima linfonodale vengono prodotte citochine pro-infiammatorie, quali IL-, TNFα e IL-6, che hanno la capacità di indurre le cellule endoteliali a esprimere una maggior quantità di molecole di adesione e quindi di reclutare cellule circolanti nel sito infiammatorio. Nei casi in cui l attivazione persista nel tempo e si cronicizzi, le HEV vanno incontro a proliferazione, iperplasia venulare, in modo da aumentare la superficie di scambio tra sangue e parenchima linfonodale e favorire il reclutamento leucocitario. La extravasazione dei leucociti nel linfonodo e il loro spostamento all interno del tessuto linfatico sono regolati dalla produzione di chemochine inducibili e di chemochine costitutive. Le prime sono prodotte dalle cellule dell infiammazione e hanno la funzione di favorire il reclutamento dei leucociti nel sito di reazione. Le chemochine costitutive, invece, sono prodotte da cellule stromali e presiedono all organizzazione del tessuto linfatico inclusa la sua compartimentalizzazione in aree B e T. Le chemochine agiscono creando dei gradienti di concentrazione che vengono riconosciuti dai leucociti in migrazione attraverso recettori di membrana. Il movimento cellulare richiede l adesione della cellula allo stroma del linfonodo che è costituito da una rete fibrillare formata da vari componenti della matrice extracellulare ed è prodotto dai fibroblasti reticolari. La zona midollare è la zona più interna ed è costituita dai seni e dai cordoni. I seni raccolgono la linfa che ha attraversato il 6
7 linfonodo e la convogliano verso il vaso linfatico efferente, che abbandona il linfonodo a livello dell ilo. I cordoni sono popolati da macrofagi e da plasmacellule mature, che riversano nella linfa efferente anticorpi specifici nei confronti di quegli antigeni che hanno attivato il linfonodo. I diversi antigeni o patogeni che raggiungono il linfonodo possono stimolare in modo selettivo le aree B (follicolari) (Figura.5), le aree T (paracorticali), i macrofagi dei seni o l insieme di tutte queste zone. A seconda del tipo di stimolazione ci saranno modificazioni istologiche più evidenti nell area interessata e definite iperplasia follicolare, iperplasia paracorticale o diffusa e iperplasia sinusale. Il caso più comune è quello di una attivazione contemporanea di più compartimenti del linfonodo dando luogo a quella che si definisce iperplasia di tipo misto. L aumento di volume del linfonodo, quando è clinicamente apprezzabile, si definisce linfomegalia (vedi Pista di approfondimento ). Figura.5 Linfonodo con iperplasia follicolare. I follicoli linfatici B sono aumentati di numero e di volume e tendono a occupare tutta la sezione del linfonodo. Pista di approfondimento Linfomegalie/linfoadenopatie Per linfoadenopatia si intende l aumento di volume di uno o più linfonodi in una singola stazione linfatica (linfoadenopatia localizzata) o di più stazioni linfatiche (linfoadenopatia generalizzata o sistemica). Le stazioni linfonodali interessate possono essere superficiali, e quindi direttamente apprezzabili alla palpazione, o profonde, evidenziabili con la diagnostica per immagini. Le cause dell aumento di dimensioni del linfonodo possono essere molteplici. Le più comuni sono riassunte nella Tabella. e comprendono malattie generalmente a decorso benigno, quali le malattie infettive, le malattie autoimmuni e le reazioni da ipersensibilità, o neoplasie quali i linfomi e le metastasi di tumori solidi. La presenza di una linfoadenopatia costituisce un reperto occasionale molto comune che si riscontra in circa il 50% dei pazienti visitati per altra causa. È quindi indispensabile che il clinico utilizzi uno screening efficace per distinguere quei casi (la maggioranza) nei quali l aumento di volume del linfonodo è secondario a un focolaio infettivo clinicamente silente, da quelli che necessitano di un approfondimento diagnostico, attraverso la biopsia del linfonodo e l esame istologico. L iter diagnostico prevede un accurata anamnesi, l esame obiettivo, le analisi ematochimiche ed eventualmente la biopsia del linfonodo. Nell anamnesi sono importanti l età del paziente, le abitudini di vita, l attività professionale, l assunzione di farmaci, la presenza di sintomi costituzionali o legati a malattie localizzate che possano aver causato la linfoadenopatia, la presenza di rush cutanei, la durata della linfoadenopatia. Infatti, se il paziente riferisce che il linfonodo palpabile era in quella sede da anni, è estremamente improbabile che si possa trattare di una localizzazione di malattia neoplastica. L esame obiettivo consente di valutare il numero di stazioni interessate (linfoadenopatia generalizzata o localizzata) e la loro sede (cervicale, sottomandibolare, sopraclaveare, ascellare, inguinale ecc.). Inoltre, permette di apprezzare le dimensioni, la consistenza, la mobilità e la dolorabilità del linfonodo. Nel caso di neoplasie maligne, i linfonodi sono generalmente di diametro > cm, di consistenza dura, possono essere ipomobili in quanto fusi in pacchetti, e sono generalmente non dolenti. Nel caso di patologie reattive, i linfonodi sono di dimensioni inferiori a cm, hanno consistenza elastica e possono essere dolenti. Le analisi di laboratorio comprendono l emocromo completo, la VES, i valori delle transaminasi AST e ALT, la sierodiagnosi per alcune infezioni virali (HIV, EBV, CMV) e un test cutaneo alla tubercolina. Una radiografia del torace, ed eventualmente una TC, potranno essere utili per evidenziare la presenza di linfoadenopatie profonde non apprezzabili all esame obiettivo. Infine, un esame ecografico delle linfoadenopatie superficiali potrà precisare meglio le dimensioni e fornire ulteriori notizie circa la struttura del linfonodo (omogeneità e densità). Completato l iter diagnostico, in tutti quei casi in cui non si ha certezza della natura della malattia è opportuno rimuovere il linfonodo patologico con una biopsia linfonodale ed effettuare un esame istologico. Il linfonodo deve essere prelevato in toto ed essere inviato, possibilmente a fresco, al laboratorio di anatomia patologica in modo che parte di esso possa essere congelata 7 0_GALLO_00_080.indd 7 (segue) 05/06/8 3:49
8 (seguito) Tabella. Cause più comuni di linfoadenopatia Non neoplastiche Infettive (virus, batteri, clamidie, funghi) Autoimmuni (artrite reumatoide, LES ecc.) Iatrogene (ipersensibilità da farmaci) Neoplastiche Linfomi Metastasi di tumori solidi e criopreservata a 80 C per eventuali caratterizzazioni biomolecolari. L esame istologico standard viene effettuato su una metà del linfonodo fissata in formalina, inclusa in paraffina e colorata con Ematossilina-Eosina e/o Giemsa. In casi di linfoadenopatie profonde o quando il paziente non è in grado di affrontare l intervento chirurgico si può effettuare un agobiopsia eco- o TC-guidata nella consapevolezza che la limitatezza del tessuto esaminato potrebbe non consentire una diagnosi definitiva. Le tecniche di citoaspirazione con ago sottile sono generalmente da sconsigliare, poiché sono spesso inconclusive nelle diagnosi di malattie linfoproliferative. Punti chiave I linfonodi normali hanno un diametro massimo di -2 mm e non sono apprezzabili alla palpazione. I linfonodi attivati dall antigene aumentano progressivamente di volume a causa dell intensa migrazione e proliferazione linfocitaria che avviene al loro interno. Nel parenchima del linfonodo si possono distinguere tre zone. La zona più esterna, corticale, corrisponde all area occupata prevalentemente dai follicoli B; al di sotto di essa si osserva la zona paracorticale, prevalentemente occupata dai linfociti T; la zona più centrale, midollare, costituisce una zona di traffico formata da seni e cordoni. Il seno sottocapsulare è la via attraverso cui arriva nel linfonodo la linfa del territorio drenato. I seni sono rivestiti da macrofagi con morfologia e funzione simil-endoteliale, la cui funzione è quella di rimuovere il materiale particolato presente nella linfa. Il seno sottocapsulare si continua nei seni intermedi che poi confluiscono tra loro per formare i seni della midollare. I follicoli B dell area corticale si distinguono in follicoli primari, costituiti da piccoli linfociti B maturi, e in follicoli secondari, formati da un centro germinativo e da una zona mantellare. La funzione dei centri germinativi è quella di favorire la formazione di linfociti B memoria e di plasmacellule in grado di produrre anticorpi specifici ad alta affinità nei confronti dell antigene. La zona mantellare del follicolo è costituita da piccoli linfociti B maturi, che esprimono un B Cell Receptor. La maggior parte delle cellule mantellari è costituita da linfociti B recircolanti che esprimono un fenotipo simile a quello dei linfociti B presenti nel sangue periferico. Una parte di questi è costituita da linfociti B memoria. All esterno della zona mantellare è presente una sottile zona marginale. Essa è difficilmente riconoscibile nei linfonodi superficiali, ma è ben evidente nei linfonodi intraddominali, nella milza e nei follicoli B del MALT. La zona paracorticale è popolata prevalentemente da linfociti T maturi CD3+/CD4+ che sono in grado di interagire con una sottopopolazione di cellule dendritiche mature di origine mieloide, le cellule dendritiche interdigitate, che hanno la funzione di Antigen Presenting Cell. Nella zona paracorticale sono presenti le venule ad alto endotelio che costituiscono la zona di traffico attraverso cui i linfociti transitano dal sangue al linfonodo e viceversa. La zona midollare è la zona più interna ed è costituita dai seni e dai cordoni. I seni raccolgono la linfa che ha attraversato il linfonodo e la convogliano verso il vaso linfatico efferente che abbandona il linfonodo a livello dell ilo. 8
9 LINFADENITI Linfadeniti acute Infiltrato granulocitario neutrofilo: batteri piogeni nel linfonodo Attivazione blastica delle aree paracorticali: infezioni virali acute Non specifiche Iperplasia follicolare Iperplasia diffusa Iperplasia sinusale Iperplasia mista Linfoadenopatie non-neoplastiche Linfadeniti croniche Specifiche Granulomatose Tubercolosi (Mycobacterium tubercolosis) Sarcoidosi Graffio di gatto (Bartonella henselae) Linfogranuloma venereo (Chlamydia trachomatis) Infezioni fungine Non granulomatose Toxoplasma EBV HIV Autoimmune (LES) Linfoadenopatie rare a eziopatogenesi incerta Malattia di Castleman Malattia di Kikuchi Malattia di Rosai-Dorfman Obiettivi didattici Alla fine dello studio di questa unità didattica lo studente dovrà inquadrare le linfadeniti, conoscerne le principali cause, e correlare il quadro morfologico con i meccanismi fisiopatologici, con le manifestazioni cliniche, e, quando possibile, con l agente eziologico Prerequisiti Per affrontare lo studio di questa unità didattica lo studente deve avere presenti le seguenti conoscenze preliminari le basi morfofunzionali della patologia del linfonodo 9
10 Il termine linfadenite indica la presenza di un processo infiammatorio nel linfonodo. Le cause più comuni sono infettive (batteri, virus, funghi ecc.), seguite da malattie autoimmuni e da ipersensibilità a farmaci. La maggior parte delle linfadeniti è costituita da localizzazioni secondarie di processi infiammatori che hanno sede nell organo o nel tessuto di cui il linfonodo è tributario, per cui si definiscono linfadeniti secondarie o satelliti. L infezione, specie se batterica, può evocare una risposta infiammatoria di tipo acuto e quindi causare una linfadenite acuta, o può evocare una risposta infiammatoria di tipo cronico, linfadenite cronica. Linfadeniti acute Nella linfadenite acuta, il linfonodo è aumentato di volume ed è dolente. A livello istologico, si osserva un infiltrato di granulociti neutrofili, inizialmente localizzato nei seni e progressivamente nel parenchima linfonodale; nel caso di batteri piogeni si possono formare microascessi, linfadenite suppurativa. La diagnosi di linfadenite acuta è generalmente una diagnosi clinica che non necessita di un esame istologico. Linfadeniti croniche non-specifiche Le linfadeniti croniche sono sottoposte più frequentemente a biopsia in quanto possono simulare la presenza di una neoplasia. Infatti, esse possono essere l unica manifestazione clinicamente evidente della malattia che persiste per lunghi periodi di tempo (anche 3-6 mesi) senza dare segni di regressione. In circa il 60% dei casi l esame istologico dimostra l esistenza di una linfadenite cronica reattiva non-specifica, che è sinonimo di iperplasia linfoide reattiva aspecifica (Tabella.2). Nel rimanente 40% dei casi, le alterazioni istologiche presenti nel linfonodo sono sufficientemente caratteristiche per esempio possono essere presenti granulomi da indirizzare la diagnosi verso una causa eziologica specifica: linfadenite cronica specifica. Tabella.2 Cause più frequenti di linfoadenopatia benigna Linfadenite non-specifica 63% Linfadenite specifica 37% Toxoplasmosi 4% Mononucleosi infettiva 0% Tubercolosi 9% Altre cause 4% 0 Linfadeniti croniche specifiche Molte di queste linfadeniti si caratterizzano per la presenza di granulomi nel linfonodo. I granulomi sono l espressione morfologica di una risposta immunitaria cellulo-mediata, e sono costituiti da aggregati nodulari di istiociti epitelioidi che possono avere al centro un focolaio di necrosi, granulomi necrotizzanti; in alcuni casi sono presenti cellule giganti multinucleate di derivazione istiocitaria. Alcune caratteristiche morfologiche dei granulomi, quali la forma (rotonda, stellata o serpiginosa), la presenza e il tipo di necrosi (eosinofila o basofila), la presenza e il tipo di cellule giganti possono consentire di ipotizzare quale sia l agente eziologico responsabile della lesione (Figura.6). Linfadenite tubercolare La causa più comune di linfadenite granulomatosa è l infezione tubercolare (Mycobacterium tuberculosis). Generalmente, essa deriva da una localizzazione nei linfonodi di micobatteri provenienti da focolai di infezione polmonare. I linfonodi più frequentemente interessati sono quelli mediastinici, sopraclaveari e laterocervicali. I granulomi hanno una tendenza a confluire tra loro e presentano al centro un area di necrosi eosinofila, la necrosi caseosa, così definita per il suo aspetto macroscopico che ricorda il formaggio; altra caratteristica dei granulomi tubercolari è la presenza di cellule giganti multinucleate in prossimità della necrosi (cellule di Langhans) (Figura.6a). La diagnosi di certezza eziologica si basa sulla dimostrazione dei micobatteri all interno degli istiociti con la colorazione istochimica di Ziehl-Nielsen. In realtà, essi sono spesso molto rari cosicché non si riesce sempre a evidenziarli. Una tecnica più sensibile e più specifica si basa sulla dimostrazione delle sequenze di Mycobacterium tuberculosis nel DNA estratto dalla lesione dopo amplificazione con PCR. Linfadenite da graffio di gatto È una linfadenite granulomatosa necrotizzante causata da Bartonella henselae. Il batterio è presente nelle unghie del gatto ed è trasmesso all uomo con i graffi. I linfonodi più colpiti sono gli ascellari e gli inguinali poiché gli arti sono più frequentemente interessati dai graffi. L aspetto morfologico dei granulomi è caratteristico. Infatti, hanno una forma allungata, quasi serpiginosa, con al centro un area di necrosi basofila in cui possono essere presenti alcuni granulociti neutrofili (Figura.6b). Bartonella non è evidenziabile nella lesione, se non con tecniche di PCR. Tuttavia, l anamnesi clinica e l aspetto istologico della lesione sono sufficientemente caratteristici da consentire la diagnosi.
11 a b c d Figura.6 Linfadeniti granulomatose. Gli aspetti istologici del granuloma possono suggerire l origine della malattia. a) Granuloma tubercolare. È un granuloma necrotizzante con un area di necrosi eosinofila (in alto e a destra). Alla periferia del granuloma sono presenti alcune cellule giganti multinucleate (cellule di Langhans). b) Granuloma da graffio di gatto. La necrosi è basofila (blu) e alcuni granulomi hanno forma serpiginosa. c) Linfogranuloma venereo. La necrosi presenta forma stellata. d) Granuloma da corpo estraneo. All interno del granuloma sono presenti cellule giganti che contengono materiale inerte birifrangente. Linfogranuloma venereo È causato da Chlamydia trachomatis. È una malattia trasmessa per via sessuale che si localizza nei linfonodi inguinali di entrambi i sessi (nelle donne più spesso nei linfonodi pelvici) in quanto tributari del drenaggio linfatico dei genitali esterni. I granulomi hanno un centro necrotico che può assumere una caratteristica forma stellata (Figura.6c). Generalmente, l anamnesi clinica, l aspetto istologico dei granulomi e la presenza di anticorpi specifici nel siero consentono la diagnosi. la colorazione con il PAS o l impregnazione argentica secondo Gomori consentono la diagnosi, in quanto visualizzano le ife o le spore fungine presenti nel tessuto necrotico. Sarcoidosi È la causa più comune di linfadenite granulomatosa non-necrotizzante. I linfonodi peribronchiali e i mediastinici sono quelli più frequentemente interessati; la presenza nei granulomi di cellule giganti tipo Langhans può creare dei problemi di diagnosi differenziale con la tubercolosi. L assenza di necrosi e la caratteristica forma a stampo dei granulomi orientano verso la sarcoidosi, ma il referto istopatologico deve limitarsi a descrivere un granuloma Linfadeniti da infezioni fungine Localizzazioni linfonodali di infezioni fungine possono causare una reazione granulomatosa. In questi casi 0_GALLO_00_080.indd 05/06/8 3:49
12 di tipo sarcoideo, in quanto la diagnosi si basa sul complesso di dati clinicopatologici. Una linfadenite di tipo sarcoideo, infatti, può essere osservata nei linfonodi che drenano tumori maligni, o in quelli mesenterici in corso di malattia di Crohn. Linfadenite da Toxoplasma I granulomi non sono l unico marcatore morfologico che può indirizzare la diagnosi verso uno specifico agente eziologico. Nella linfadenite da Toxoplasma gondii, un protozoo trasmesso dagli animali domestici, è presente una caratteristica triade di alterazioni che consiste in iperplasia dei follicoli, infiltrazione dei follicoli a opera di aggregati di cellule istiocitarie epitelioidi, e iperplasia delle zone marginali. La malattia è più frequente in giovani donne e i linfonodi più colpiti sono i cervicali posteriori. Toxoplasma non è generalmente visualizzabile nel linfonodo, ma una conferma della diagnosi si può avere attraverso la dimostrazione degli anticorpi nel siero. Linfadenite da HIV Nella linfadenite persistente generalizzata (PGL) da HIV i linfonodi sono molto aumentati di volume per la presenza di una spiccata iperplasia follicolare causata dalla stimolazione delle cellule B del centro germinativo a opera degli antigeni del virus HIV esposti sulle cellule follicolari dendritiche. Un altra caratteristica morfologica di questa patologia sono le immagini di distruzione regressiva dei follicoli (follicololisi). Essa è causata dai linfociti T citotossici che infiltrano i centri germinativi, riconoscono il virus HIV esposto sulla superficie delle cellule follicolari dendritiche, e causano la morte delle cellule. Mononucleosi infettiva In questa malattia, causata dal virus di Epstein-Barr, sono spesso interessati i linfonodi latero-cervicali e la milza. Nei linfonodi si ha un espansione delle aree paracorticali che si caratterizzano per la presenza di numerosi immunoblasti che conferiscono alla lesione un caratteristico aspetto marezzato. Linfadeniti in corso di malattie autoimmuni I linfonodi possono essere compromessi anche in corso di malattie autoimmuni sistemiche quali l artrite reumatoide e il lupus eritematoso sistemico (LES). Nell artrite reumatoide si ha una spiccata attivazione dei follicoli B, che può simulare una infezione virale. Nel LES si hanno focolai di necrosi e cellule LE nelle zone corticali. La necrosi del 2 LES è facilmente riconoscibile in quanto non si associa né a una reazione granulomatosa, né a un infiltrato di granulociti neutrofili. Linfoadenopatie rare a eziopatogenesi incerta Si tratta di un gruppo di malattie la cui manifestazione clinica più evidente è una linfoadenopatia localizzata o generalizzata, e la cui eziopatogenesi è attualmente sconosciuta. Esse comprendono: la malattia di Castleman; la malattia di Kikuchi; l istiocitosi dei seni con linfoadenopatia massiva (malattia di Rosai-Dorfman). Malattia di Castleman Si può manifestare in forma localizzata o sistemica. Nella forma localizzata, più frequente in età giovanile, si ha l interessamento di un unica stazione linfonodale in assenza di altra sintomatologia. I linfonodi compromessi sono vistosamente aumentati di volume, tanto che la definizione originale fu di linfoadenopatia gigante di Castleman; a livello istologico la struttura del linfonodo è sovvertita per la presenza di numerosissimi follicoli B atrofici (Figura.7a), con centri germinativi in regressione nei quali si osserva deposizione di sostanza ialina extracellulare; nel parenchima linfonodale interfollicolare è presente una spiccata iperplasia delle venule ad alto endotelio per cui questa variante della malattia è anche definita di tipo ialino-vascolare. La forma sistemica della malattia colpisce pazienti in età avanzata o HIV-positivi ed è generalmente sintomatica. I pazienti si presentano con VES elevata, epatosplenomegalia, anemia e ipergammaglobulinemia. Le alterazioni del linfonodo descritte nel tipo ialino-vascolare sono presenti, ma meno evidenti; il quadro istologico è dominato da una proliferazione di plasmacellule che interessa gran parte del parenchima interfollicolare, da cui la definizione di variante plasmacellulare. Almeno due eventi sembrano essere rilevanti nella patogenesi di questa malattia: nei linfonodi compromessi si è osservata una cospicua produzione di IL-6, probabilmente coinvolta nella differenziazione dei linfociti B in plasmacellule; un ruolo del virus HHV8 (Human Herpesvirus-8) (Figura.7b), in quanto è costantemente presente nelle lesioni dei pazienti HIV-positivi e nel 50% dei pazienti HIV-negativi, e quindi potrebbe avere un ruolo patogenetico.
13 a b Figura.8 Linfoadenopatia necrotizzante di Kikuchi. Nella parte sinistra dell immagine è presente un estesa area di necrosi. ipotizzata un eziologia infettiva, ma non è stato isolato alcun agente. Le lesioni della malattia di Kikuchi presentano molte similitudini con quelle presenti nei linfonodi in corso di LES. Ciò ha suggerito una possibile patogenesi autoimmune. Tuttavia, la rassomiglianza potrebbe essere determinata dalla ricca componente di cellule dendritiche DC-2, attive nella produzione di IFN-α, e probabilmente coinvolte nella patogenesi di entrambe le lesioni (vedi Capitolo 7 L infiammazione e la patologia del sistema immunitario in Ruco, Scarpa, 2007). Figura.7 Linfoadenopatia di Castleman del tipo ialino-vascolare. a) La colorazione per CD20 evidenzia numerosi piccoli follicoli B, che occupano tutto il parenchima linfonodale, e le immagini negative dei vasi iperplastici negli spazi interfollicolari. b) Alcune cellule del linfonodo sono infettate dal virus HHV-8 come evidenziato dalla colorazione immunoistochimica per la proteina virale LNA- (Latent Nuclear Antigen-). Istiocitosi dei seni con linfoadenopatia massiva (malattia di Rosai-Dorfman) È una malattia molto rara che interessa principalmente i linfonodi latero-cervicali, ma che può manifestarsi anche in sedi extranodali nel 40% dei casi. I pazienti hanno un età media di 20 anni. I sintomi più comuni sono febbre, astenia, perdita di peso, sudorazioni notturne e manifestazioni articolari. I linfonodi sono molto ingranditi di volume; la lesione caratteristica è data da una marcata dilatazione dei seni del linfonodo che appaiono popolati da cellule istiocitarie CD68+/proteina S-00+ particolarmente attive nella fagocitosi dei linfociti, fenomeno definito emperipolesi. La malattia ha generalmente un decorso benigno, andando incontro a remissione spontanea; tuttavia in alcuni casi può rimanere stabile o assumere un carattere progressivo. Malattia di Kikuchi Generalmente i pazienti si presentano con una linfoadenopatia latero-cervicale o sopraclaveare in condizioni di completo benessere. È più frequente nel sesso femminile (4:) e ha un età media di insorgenza di circa 30 anni. Ha un decorso clinico benigno. Nel linfonodo sono presenti focolai di necrosi apoptotica (Figura.8), linfociti T CD8+ attivati, cellule dendritiche plasmacitoidi di tipo DC-2 e una intensa reazione istiocitaria. È stata 3 0_GALLO_00_080.indd 3 05/06/8 3:49
14 Punti chiave Le linfadeniti sono processi infiammatori dei linfonodi, per lo più dovuti a cause infettive, ma anche a malattie autoimmuni e a ipersensibilità a farmaci. Nella linfadenite acuta, il linfonodo è aumentato di volume ed è dolente. A livello istologico, si osserva un infiltrato di granulociti neutrofili, inizialmente localizzato nei seni, eventualmente con la formazione di micro-ascessi. La diagnosi di linfadenite acuta è generalmente una diagnosi clinica che non necessita di un esame istologico. Le linfadeniti croniche, invece, sono sottoposte più frequentemente a biopsia, in quanto possono simulare la presenza di una neoplasia. Si distingue una linfadenite cronica reattiva non-specifica da una serie di linfadeniti specifiche, nelle quali il quadro istologico può consentire di individuare l agente eziologico. Le linfadeniti specifiche sono spesso granulomatose. Tra le linfadeniti specifiche si ricordano quella tubercolare (necrosi caseosa e granuloma con cellule di Langhans), quella da graffio di gatto (causata da Bartonella henselae e caratterizzata da granulomi serpiginosi, con un area di necrosi basofila in cui sono presenti granulociti neutrofili), il linfogranuloma venereo (causato da Chlamydia trachomatis, con granulomi con necrosi stellariforme), la sarcoidosi (granulomi simil-tubercolari non necrotizzanti), la linfadenite da Toxoplasma (il protozoo non è quasi mai evidente, ma c è iperplasia dei follicoli, infiltrati da cellule istiocitarie epitelioidi, e delle zone marginali), la linfadenite da HIV (con spiccata iperplasia follicolare e follicololisi) e quella da mononucleosi infettiva (espansione delle aree paracorticali con numerosi immunoblasti). Esiste infine in gruppo di linfoadenopatie rare a eziopatogenesi incerta che comprendono la malattia di Castleman, la malattia di Kikuchi e la istiocitosi dei seni con linfoadenopatia massiva (malattia di Rosai-Dorfman). 4
15 LINFOMI: ASPETTI CLINICOPATOLOGICI GENERALI L 80-85% di tutti i linfomi deriva dalle cellule B; il 5-20% dai linfociti T Le neoplasie che originano dalle cellule NK, dai macrofagi e dalle cellule dendritiche esistono, ma sono molto rare Eziopatogenesi Il 70% circa dei linfomi origina nei linfonodi (linfomi nodali); il restante 30% nel MALT, nella cute, nella milza, nel timo o nel midollo osseo (linfomi extranodali) Molti tipi di linfoma si caratterizzano per la presenza di traslocazioni cromosomiche reciproche che costituiscono un marcatore della malattia utile anche ai fini diagnostici e classificatoriali Fattori favorenti la trasformazione neoplastica sono una stimolazione antigenica protratta e la presenza di condizioni di immunodeficienza Classificazione I diversi tipi istologici sono elencati nella classificazione dei linfomi WHO 207 La diagnosi istologica si basa su criteri morfologici, immunoistochimici, e più raramente genotipici Clinica La presentazione clinica dei linfomi può essere: di tipo indolente (lento e progressivo aumento di volume del tessuto interessato in assenza di sintomatologia) di tipo aggressivo (rapido accrescimento dei tessuti interessati, diffusione precoce della malattia e presenza di sintomi generali quali febbre, dimagrimento e astenia) Stadiazione La stadiazione dei linfomi nodali si effettua utilizzando i criteri di Ann Arbor È importante stabilire se sono coinvolte stazioni linfonodali sia soprasia sottodiaframmatiche, e/o organi parenchimatosi Obiettivi didattici Alla fine dello studio di questa unità didattica lo studente dovrà comprendere a partire dalla struttura morfofunzionale del linfonodo la classificazione dei linfomi nodali e la relazione esistente tra il quadro morfologico e il correlato anatomoclinico Prerequisiti Per affrontare lo studio di questa unità didattica lo studente deve avere presenti le seguenti conoscenze preliminari la struttura morfofunzionale del linfonodo e la fisiopatologia dell iperplasia linfonodale reattiva 5
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