11. L INNOVAZIONE. Il ritardo dell attività innovativa in Italia

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1 11. L INNOVAZIONE L attività innovativa, un fattore cruciale per la crescita economica, è in Italia meno intensa che nei principali paesi avanzati, soprattutto nel settore privato. La spesa in ricerca e sviluppo (R&S), un importante misura delle risorse impiegate per la produzione di innovazione, è più bassa e lontana dall obiettivo del 3 per cento in rapporto al PIL fissato dalla Commissione europea nella strategia Europa Il divario è ancora più ampio nella propensione a realizzare brevetti. A questo ritardo contribuiscono più fattori. Ancor più della specializzazione in produzioni tradizionali, non favoriscono l innovazione la piccola dimensione aziendale e una gestione largamente fondata su un management di derivazione familiare. Il capitale azionario, preferibile ai prestiti bancari nel finanziare attività caratterizzate da risultati incerti e da rilevanti asimmetrie informative, è meno diffuso che in altri paesi. L allocazione delle risorse verso le imprese più innovative è frenata dal contesto istituzionale e regolamentare. Il 40 per cento circa della spesa in R&S è effettuata dal settore pubblico. La produzione scientifica della ricerca pubblica non sfigura nel confronto con altri paesi, sebbene le nostre strutture universitarie siano meno presenti nelle posizioni di eccellenza delle principali graduatorie internazionali. Nonostante i recenti progressi, la collaborazione tra il sistema di ricerca pubblica e il settore privato è scarsa. Gli incentivi pubblici alla R&S e all innovazione delle imprese hanno conseguito risultati modesti. La loro efficacia ha risentito negativamente della frammentazione degli interventi, dell instabilità delle norme e dell incertezza sui tempi di erogazione. Il ritardo dell attività innovativa in Italia L incidenza della spesa in R&S sul prodotto in Italia è inferiore a quella dei principali paesi europei: nel 2011 era dell 1,3 per cento rispetto all 1,9 della media dell Unione europea e al 2,8 della Germania. La componente privata è particolarmente bassa nel confronto internazionale (0,7 per cento rispetto all 1,2 della UE e all 1,9 della Germania), mentre minore è il divario per quella pubblica (0,5 per cento rispetto allo 0,7 dell Unione e allo 0,9 della Germania). Per la componente privata, il ritardo italiano deriva sia dal ricorso meno frequente alla R&S da parte delle imprese sia da una più bassa intensità di spesa. In base ai dati della Community Innovation Survey (CIS) dell Eurostat relativi al triennio , la quota di imprese che investono in R&S è pari al 18,7 per cento, contro il 22,9 per cento in Francia e circa il 30 per cento in Germania e nei paesi nordici (fig. 11.1). La spesa in 123

2 R&S in rapporto alle vendite è lo 0,7 per cento in Italia, circa la metà della Germania e meno di un terzo di Finlandia e Svezia. Indicatori di R&S e di innovazione per paese (valori percentuali) Figura ,5 60 3,0 50 2,5 40 2,0 30 1,5 20 1,0 10 0,5 0 quota di imprese con innovazioni di prodotto o di processo (1) quota di imprese che svolgono ricerca e sviluppo al loro interno quota di spesa in ricerca e sviluppo sul fatturato (2) 0,0 Italia Spagna Francia Germania Svezia Finlandia Fonte: Eurostat, Community Innovation Survey, ; cfr. nell Appendice la sezione: Note metodologiche. (1) Include anche le imprese che hanno innovazioni in corso oppure abbandonate o sospese. (2) Scala di destra. Per la Germania il dato si riferisce al L entità della spesa in R&S può sottostimare lo sforzo innovativo, soprattutto dove è dominante la presenza di imprese di piccola dimensione, che spesso innovano senza effettuare o registrare ufficialmente tale spesa. In tutti i paesi, la quota di imprese che hanno destinato risorse a progetti innovativi di prodotto o di processo supera quella delle imprese che hanno sostenuto spese in R&S: in Italia essa raggiunge il 40 per cento, un valore superiore o prossimo a quello degli altri principali paesi con l eccezione della Germania. Tuttavia, le imprese che realizzano innovazioni senza svolgere R&S hanno, rispetto a quelle con R&S, una capacità significativamente inferiore di realizzare brevetti, una quota più bassa di fatturato da prodotti innovativi e una minore produttività. L effetto dell attività innovativa sul potenziale di crescita delle imprese ne risulta di conseguenza affievolito. Analizzando un campione rappresentativo delle aziende manifatturiere italiane con almeno dieci addetti, si mostra come lo sforzo innovativo sia una determinante di rilievo della probabilità di realizzare innovazioni di prodotto e, in misura minore, di processo. L effetto sulla produttività del lavoro, sempre positivo, risulta maggiore per le innovazioni di processo, ad eccezione dei settori ad alta tecnologia dove invece contano di più le innovazioni di prodotto. L innovazione non si esaurisce con l introduzione di nuovi prodotti e di più efficienti processi produttivi, ma si estende anche agli aspetti organizzativi. Uno studio basato sui dati della Adult Population Survey del consorzio Global Entrepreneurship Monitor indica che, nel periodo , l Italia figura all ultimo posto tra i principali paesi europei per la percentuale di imprenditori attivi da circa tre anni che hanno offerto prodotti nuovi per il mercato di riferimento (22,5 per cento, contro 26,0 in Germania e 32,6 in Francia) e per la quota di nuovi imprenditori operanti nei settori a media o alta tecnologia (5,3 per cento, contro 5,6 in Francia e 9,7 in Germania). Nel 2010 le domande di brevetto depositate presso l Ufficio europeo dei brevetti (European Patent Office, EPO) erano pari per l Italia a 7,4 per abitanti, molto meno che in Francia (13,5), Germania (26,7) e Svezia (30,8). Il ritardo è più attenuato 124

3 per i marchi e, soprattutto, per i disegni industriali. Complessivamente l Italia è un importatore netto di tecnologia non incorporata in beni fisici, al contrario degli altri principali paesi avanzati (cfr. il capitolo 12: La bilancia dei pagamenti e la posizione patrimoniale sull estero). Le determinanti del ritardo innovativo dell Italia vanno ricercate in alcune caratteristiche del sistema produttivo e finanziario privato e nella difficoltà del settore pubblico di creare un contesto istituzionale e regolamentare favorevole all innovazione e di sostenere direttamente l attività innovativa. Le caratteristiche del sistema produttivo e finanziario La specializzazione settoriale. La propensione alla R&S e all innovazione è fortemente eterogenea tra settori: è più elevata nelle produzioni avanzate tecnologicamente e minore in quelle dove il processo produttivo presenta una maggiore intensità di lavoro non qualificato e prodotti a minore valore aggiunto. Con riferimento alla spesa in R&S in rapporto al valore aggiunto, in tutti i principali paesi europei i settori manifatturieri più innovativi sono quelli della fabbricazione di apparecchi radiotelevisivi, per le comunicazioni, medicali e di precisione, il settore chimico, in particolare la farmaceutica, quelli delle macchine per ufficio e dei mezzi di trasporto. Al di fuori della manifattura, la propensione alla R&S è alta solo nei servizi alle imprese connessi con le attività informatiche e di ricerca. La specializzazione settoriale italiana, sbilanciata verso produzioni tradizionali a basso contenuto tecnologico, contribuisce solo in parte a spiegare il ritardo innovativo del nostro Paese: qualora l Italia avesse la struttura settoriale della Germania, il divario tra i due paesi, in termini di quota di imprese manifatturiere che svolgono R&S, si ridurrebbe di circa il 10 per cento. Il livello di innovazione in Italia è minore in tutti i settori; vi è però un ampia variabilità tra imprese. Secondo nostre analisi, anche all interno del medesimo comparto produttivo, avrebbero rafforzato l attività innovativa soprattutto le imprese più esposte a concorrenti localizzati in paesi in cui i costi di produzione sono più bassi. La dimensione delle imprese. In base ai dati della CIS, in tutti i principali paesi europei la quota di imprese che svolgono al loro interno attività di R&S aumenta con la dimensione di impresa: in Italia sale dal 15,8 per cento tra le aziende con addetti, al 35,4 tra quelle con addetti, al 49,1 tra quelle più grandi (fig. 11.2). Con la dimensione aziendale crescono anche la quota di imprese che hanno avviato progetti innovativi, l incidenza della spesa in R&S sul fatturato e la capacità di stabilire accordi di cooperazione per svolgere attività innovativa con altre imprese e, soprattutto, con l università e il settore pubblico. Utilizzando i dati sui brevetti italiani depositati presso l EPO, si rileva come la probabilità di brevettare sia positivamente correlata con la dimensione aziendale, che invece sembra essere meno rilevante per spiegare il numero di brevetti per impresa tra le aziende che hanno almeno un brevetto. L attività brevettuale è inoltre fortemente concentrata in poche grandi imprese: circa un quarto dei brevetti depositati tra il 1990 e il 2007 risulta posseduto dai 20 maggiori applicants; il 40 per cento da imprese con un fatturato superiore a 10 milioni di euro. 125

4 Indicatori di R&S per paese e dimensione di impresa (valori percentuali) Figura 11.2 (a) quota di imprese che svolgono R&S al loro interno (b) quota di spesa in R&S sul fatturato (1) ,5 3, ,0 3, ,5 2,0 1,5 1,0 2,5 2,0 1,5 1, ,5 0,5 0 Italia Spagna Francia Germania Svezia Finlandia 0 0,0 Italia Spagna Francia Germania Svezia Finlandia 0,0 totale piccole medie grandi Fonte: Eurostat, Community Innovation Survey, ; cfr. nell Appendice la sezione: Note metodologiche. (1) Per la Germania il dato si riferisce al Più piccola è la dimensione, più difficoltoso è sostenere gli elevati costi fissi connessi con l avvio di progetti innovativi; la minore propensione all esportazione delle piccole e medie imprese riduce ulteriormente l incentivo a investire in innovazione che deriva dalla possibilità di ripartire tali costi su un maggiore volume di vendite. Si stima che l ampliamento della domanda estera abbia un effetto positivo sulla capacità brevettuale delle imprese manifatturiere italiane, in particolare di quelle più grandi e produttive. La ridotta dimensione aziendale, che caratterizza il sistema produttivo italiano nel confronto con gli altri principali paesi (cfr. il capitolo 10: La struttura produttiva e le politiche strutturali), riveste un ruolo più rilevante della specializzazione settoriale nel limitare l attività innovativa. Quasi il 30 per cento della differenza tra Italia e Germania nella quota di aziende manifatturiere con R&S è attribuibile alla diversa distribuzione delle imprese per classe dimensionale. Elaborazioni basate sui dati raccolti presso un campione europeo di imprese manifatturiere, con almeno dieci addetti e relativi al (European Firms in a Global Economy, EFIGE), confermano la maggiore rilevanza delle caratteristiche dimensionali rispetto a quelle settoriali nello spiegare la minor propensione delle imprese italiane a svolgere attività di R&S al proprio interno rispetto a quelle tedesche. La differenza è imputabile soprattutto alla presenza in Italia di un numero relativamente più elevato di imprese con meno di 50 addetti. La struttura proprietaria e manageriale. Le aziende familiari hanno un peso più elevato nell economia italiana rispetto agli altri principali paesi europei. Secondo i dati EFIGE, quelle a proprietà e gestione completamente familiare rappresentano il 59 per cento del totale delle imprese in Italia, contro il 18 in Francia e il 22 in Germania. Tali imprese si caratterizzano per una minor propensione all attività di R&S rispetto alla media. La sostanziale coincidenza tra il patrimonio aziendale e quello della famiglia proprietaria può ridurre la disponibilità a intraprendere progetti rischiosi. Agisce da freno all innovazione anche una classe imprenditoriale relativamente anziana: nei dati EFIGE la percentuale di imprenditori con più di 64 anni è pari al 22 per cento in Italia, al 9 in Germania e al 5 in Francia. 126

5 Il sistema finanziario. L elevata rischiosità e le asimmetrie informative connesse con l attività innovativa fanno sì che le risorse interne all azienda rappresentino la principale fonte di finanziamento della R&S. Quando l impresa necessita di risorse finanziarie esterne, il ricorso al capitale di debito trova un limite nella disponibilità di attività utilizzabili come garanzie, minore in un impresa innovativa, e in problemi di azzardo morale, che nascono dalla convenienza per l impresa a utilizzare il finanziamento per investimenti più rischiosi di quelli previsti dal creditore. Per le banche la reputazione dell impresa può compensare informazioni insufficienti sui progetti di investimento, come mostra l importanza delle relazioni di lungo periodo con le imprese: si stima che un aumento della durata della relazione da tre a sei anni si associ a un incremento della probabilità di svolgere R&S di oltre il 10 per cento. Il capitale azionario non richiede invece garanzie e consente all investitore di beneficiare interamente dei rendimenti dei progetti innovativi in caso di successo. Il problema delle asimmetrie informative è spesso superato con la presenza attiva nelle imprese di intermediari di venture capital investitori di capitale di rischio che finanziano l avvio e la crescita di imprese in settori ad alto potenziale di sviluppo (early stage), fornendo anche attività di consulenza oppure dei cosiddetti business angels, investitori privati che operano su una scala più contenuta rispetto ai fondi di venture capital. Numerosi studi empirici mostrano come il ricorso al capitale azionario aumenti considerevolmente l attività innovativa delle imprese; l emissione di azioni accrescerebbe in Italia la probabilità di svolgere attività di R&S di circa un terzo. Secondo i dati EFIGE, in tutti i principali paesi europei oltre l 80 per cento della spesa in R&S è finanziata con risorse interne all azienda. In Italia e in Francia la seconda principale fonte di finanziamento è rappresentata dal debito bancario (poco meno del 10 per cento della spesa in R&S), diversamente dalla Germania e dal Regno Unito dove tale quota è molto più contenuta (circa il 3 e l 1 per cento, rispettivamente) e il capitale azionario ha un ruolo più importante. Le imprese di nuova costituzione, che spesso sono quelle che introducono le innovazioni più radicali, non possono contare su relazioni di lunga durata con intermediari bancari e necessitano maggiormente dell apporto di capitale di rischio dall esterno. Esse risentono quindi negativamente dello scarso sviluppo del settore del venture capital in Italia: la percentuale di spesa in R&S finanziata con venture capital è pari allo 0,1 per cento, contro lo 0,3 in Francia e in Germania e lo 0,4 nel Regno Unito (cfr. il capitolo 14: La condizione finanziaria delle famiglie e delle imprese). Il comparto dei business angels è cresciuto in Italia a tassi elevati negli anni passati; secondo uno studio dell OCSE il numero dei network di questi operatori è però ancora contenuto nel confronto internazionale. Analisi basate sulle segnalazioni di vigilanza evidenziano che in Italia nel periodo gli investimenti in società di recente costituzione (attive da meno di cinque anni) sono stati realizzati per circa il 40 per cento da fondi di venture capital, la parte restante da altri fondi di private equity. I fondi di venture capital sono poco numerosi e detengono un portafoglio complessivamente ridotto (pari a circa 190 milioni nel, il 5 per cento del totale dei fondi di private equity e di venture capital). Nel periodo essi hanno indirizzato più di un terzo dei loro investimenti verso imprese operanti in settori tecnologicamente meno avanzati e solo un quarto verso operazioni di early stage. 127

6 Fattori di domanda e di offerta hanno contribuito alla scarsa diffusione del capitale di rischio. Con l obiettivo di favorire il ricorso al capitale azionario, dal 2011 è consentita la deduzione dal reddito di impresa di un importo pari al rendimento del nuovo capitale proprio, fissato attualmente al 3 per cento (decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214). La tassazione dei redditi delle società in Italia è più onerosa di quella nell area dell euro: nel l aliquota legale dell imposta sui redditi delle società superava di circa quattro punti percentuali quella media degli altri paesi dell area. Ciò rende più ampio lo svantaggio fiscale del finanziamento mediante capitale di rischio rispetto a quello di debito nel nostro paese (cfr. il capitolo 14: La condizione finanziaria delle famiglie e delle imprese). Tale svantaggio è stato tuttavia ridotto. Tra i maggiori paesi della UE, l Italia è l unico ad avere introdotto misure che incentivano al margine il finanziamento con capitale azionario. Negli ultimi anni nuovi limiti alla deducibilità degli interessi passivi sono stati definiti in Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Spagna; nel nostro paese questi limiti risultano più stringenti. Tra il 2011 e il sono stati introdotti incentivi fiscali anche per chi investe in fondi di venture capital e nel capitale di rischio di imprese in fase di avvio (start-up) innovative; la normativa italiana si è così avvicinata a quella degli altri paesi europei. Nel 2011 è stata prevista l esenzione per gli investitori, sia persone fisiche sia giuridiche, dei proventi derivanti dalle quote di fondi di venture capital (decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111). Il decreto sviluppo bis (decreto legge 18 ottobre, n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre, n. 221; cfr. il capitolo 10: La struttura produttiva e le politiche strutturali) ha introdotto in maniera organica una serie di agevolazioni per le start-up innovative. Queste imprese sono definite secondo criteri stringenti: si tratta di società di capitali non quotate, costituite da non più di 48 mesi, con un valore della produzione non superiore ai 5 milioni di euro e che non distribuiscono dividendi. Devono inoltre avere una delle seguenti caratteristiche: spendere in R&S almeno il 20 per cento del livello più alto tra costo e valore della produzione; impiegare, per oltre un terzo della forza lavoro, dipendenti o collaboratori in possesso di un dottorato di ricerca (o che stiano svolgendo un dottorato) o di un diploma di laurea e che svolgono attività di ricerca; essere titolari, depositarie o licenziatarie di almeno una privativa industriale. Per il triennio sono previsti incentivi fiscali (detrazioni del 19 per cento degli investimenti delle persone fisiche e deduzioni dal reddito imponibile del 20 per cento di quelli delle imprese) per chi acquisti partecipazioni in start-up innovative, purché non le cedano prima di due anni. L operazione può essere realizzata direttamente o per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio che investano prevalentemente in start-up innovative. La portata dell incentivo potrebbe essere limitata dal breve orizzonte temporale dell agevolazione. Il ruolo del settore pubblico La regolamentazione. L OCSE stima che la crescita dimensionale delle aziende più innovative sia inferiore nei paesi in cui è più restrittiva la regolamentazione nel settore dei servizi alle imprese, è più inefficiente il sistema giudiziario ed è più penalizzante per le imprese la normativa fallimentare. È plausibile che a ridurre l innovazione in Italia concorrano tutti questi elementi (cfr. il capitolo 10: La struttura produttiva e le politiche strutturali). Una regolamentazione eccessivamente restrittiva del mercato del lavoro può frenare l innovazione sia ostacolando la riallocazione di risorse, sia disincentivando l aumento della scala produttiva per le aziende che intendono intraprendere progetti innovativi, 128

7 con rendimento potenzialmente elevato ma incerto. D altro canto, la stabilità dei rapporti di lavoro può rafforzare gli incentivi all accumulazione di capitale umano, sia per l impresa sia per i lavoratori. Per l Italia si osserva una correlazione negativa tra la quota di lavoratori temporanei sul totale degli occupati in un impresa da un lato, e la probabilità di realizzare brevetti e il numero di brevetti per impresa, dall altro. Si stima inoltre che, a seguito degli interventi legislativi (legge 14 febbraio 2003, n. 30, cosiddetta legge Biagi) che hanno agevolato l utilizzo dell apprendistato (un contratto di durata più lunga rispetto alle altre tipologie di contratto a termine, con finalità formative, rivolto prevalentemente ai giovani), l incidenza degli apprendisti sia cresciuta più intensamente nelle imprese che appartengono ai settori a maggiore intensità brevettuale, con effetti positivi sul numero dei brevetti e sulla spesa in R&S. L offerta di capitale umano. In Italia la quota di laureati nella forza lavoro è decisamente più bassa che negli altri principali paesi europei. Questo può riflettere sia una carenza di offerta di lavoratori con un alto grado di istruzione, sia una domanda che continua a privilegiare lavoro meno qualificato. Utilizzando un modello econometrico strutturale stimato in base a informazioni derivate da indagini campionarie sulle imprese e sulle famiglie, si mostra che il ruolo dell offerta di capitale umano prevarrebbe su quello della domanda, al netto della composizione settoriale. L evidenza è confermata da un alta percentuale di imprese, pari al 40 per cento nell indagine Invind relativa alle aziende manifatturiere con almeno 20 addetti, per le quali la carenza di personale qualificato rappresenta uno dei principali ostacoli all innovazione. La ricerca pubblica e il trasferimento tecnologico. Poco più del 40 per cento delle spese in R&S è effettuata dal settore pubblico (università e centri di ricerca pubblici). In base agli indicatori disponibili, la produzione scientifica del sistema della ricerca pubblica italiana è prossima a quella di altri importanti paesi europei, in termini sia di quantità sia di qualità. Secondo il Ministero dell Istruzione, dell università e della ricerca (MIUR), l Italia rappresenta l ottavo paese per numero di pubblicazioni scientifiche, circa nel periodo , dopo la Francia (1,1 milioni) e la Germania (1 milione), ma prima della Spagna ( ). Il numero di pubblicazioni e quello di citazioni, rapportati alle risorse impiegate o al numero di ricercatori, appare elevato nel confronto con i principali paesi europei. Meno frequenti che in altri paesi risultano però i casi di eccellenza delle strutture: solo 4 università italiane, contro 15 della Germania, 10 del Regno Unito e 7 della Spagna, compaiono tra le prime 200 del mondo (graduatoria Webometrics ). L assetto istituzionale che governa il sistema di ricerca pubblica è incentrato sul ruolo preponderante dello Stato nella funzione di indirizzo e di finanziamento. Tuttavia, la possibilità per i numerosi enti pubblici di ricerca di avviare progetti in autonomia e l assenza di uno stringente sistema di coordinamento creano rischi di duplicazione e frammentazione delle iniziative. L efficacia del sistema di ricerca pubblica risente negativamente anche del limitato utilizzo di criteri basati sui risultati per l allocazione delle risorse finanziarie tra progetti e attori (enti di ricerca pubblici e università). Secondo il MIUR, la componente premiale del fondo ordinario per gli enti e le istituzioni di ricerca è stata nel del 7 per cento; per le università, la quota del fondo di finanziamento ordinario assegnata in base ai risultati è pari al 13 per cento. 129

8 In Germania gli enti di ricerca pubblici sono specializzati in distinti campi di attività, pur collaborando su temi di interesse comune; dall attività di trasferimento tecnologico verso il settore privato, che rientra spesso tra le loro finalità, scaturisce una quota rilevante dei ricavi. Due terzi dei finanziamenti del principale ente specializzato nella ricerca applicata (Fraunhofer) sono reperiti sul mercato, mediante contratti di ricerca con partner privati e partecipando a specifici progetti di ricerca finanziati con fondi pubblici. Il modello francese si avvicina a quello italiano per la presenza forte dello Stato e di un grande ente centrale (Centre National de la Recherche Scientifique). Tradizionalmente il finanziamento avviene attraverso accordi fra lo Stato e il singolo ente; di recente è cresciuto il ricorso a un meccanismo di finanziamento a progetto assegnato per mezzo di bandi cui concorrono, in competizione tra loro, enti diversi. Il sostegno che la ricerca pubblica fornisce all innovazione del settore produttivo privato appare limitato. La CIS mostra che la quota di imprese innovative che hanno cooperato con istituzioni pubbliche (università o altri enti pubblici) per svolgere attività innovativa è in Italia pari al 7,6 per cento, un dato inferiore rispetto a Francia (22,9), Germania (19,7) e Spagna (16,5). Il divario persiste anche tra le imprese di maggiori dimensioni. Nostre analisi indicano che la vicinanza a università di eccellenza favorisce le collaborazioni con il sistema universitario, in particolare per le imprese di piccola e media dimensione. Nonostante i segnali di vivacità registrati in anni recenti, le istituzioni di trasferimento tecnologico presenti nel nostro sistema hanno spesso una dimensione contenuta, inadeguata per la gestione di grandi progetti. L indagine condotta da Netval (Network per la valorizzazione della ricerca universitaria) sulle principali università e centri di ricerca mostra come in quasi tutte le università sia stato costituito un ufficio di trasferimento tecnologico; nel complesso queste strutture occupavano nel 2011 circa 200 addetti, in media 3,8 unità per ufficio (erano 3,6 nel 2010). Le imprese ad alta tecnologia costituite da almeno un ricercatore (o studente) che ha svolto un periodo di ricerca all interno delle università (imprese spin-off) sono state nel 2011 pari a 96; il numero di domande di brevetti presentate dalle università è stato di 319, il numero di licenze ovvero opzioni concluse sulla base dei brevetti detenuti è stato di 66 e le entrate da queste licenze sono ammontate a euro. La domanda pubblica di innovazione. Nella strategia Europa 2020, gli acquisti pubblici di prodotti innovativi e di servizi di ricerca e sviluppo sono divenuti un pilastro delle politiche europee in tema di innovazione. Nel caso della fornitura di servizi di R&S, viene attivata la procedura di appalto pubblico pre-commerciale quando le esigenze del committente pubblico sono caratterizzate da un livello tale di complessità tecnologica da non poter essere soddisfatte con l acquisto di beni o servizi esistenti. L appalto pre-commerciale trova uno dei suoi motivi fondanti nella condivisione del rischio e dei potenziali benefici fra il committente pubblico e le imprese partecipanti. Un comportamento di acquisto orientato all innovazione può facilitare anche l identificazione di soluzioni appropriate per la fornitura di servizi pubblici e infrastrutture innovative, su cui l Italia sconta un ritardo rispetto ad altri paesi. In Italia, dove in base ai dati Eurostat gli acquisti del settore pubblico per forniture ammontavano nel 2010 al 16,2 per cento del PIL, il decreto sviluppo bis ha inteso valorizzare l appalto pubblico pre-commerciale come uno degli strumenti a disposizione del MIUR per favorire la ricerca industriale. Il decreto ne prevede l utilizzo all interno di un piano di promozione di grandi progetti di ricerca e innovazione connessi con la realizzazione dell Agenda digitale; stabilisce inoltre che l Agenzia per l Italia digitale svolga annualmente una ricognizione presso le Amministrazioni pubbliche per identificare i problemi di particolare rilevanza sociale o ambientale privi di una risposta soddi- 130

9 sfacente in prodotti, servizi e tecnologie già esistenti sul mercato. Un numero limitato di progetti pilota è stato varato in Lombardia, Puglia e Valle d Aosta. Le politiche a sostegno della R&S e innovazione delle imprese private. Gran parte delle economie avanzate prevede politiche pubbliche di sostegno alla R&S e all innovazione delle imprese private: agevolazioni fiscali o sussidi puntano a ridurre direttamente i costi degli investimenti in innovazione; altre misure mirano a favorire la nascita di imprese innovative e lo sviluppo di cluster tecnologici in ambiti geografici circoscritti. Le risorse pubbliche destinate in Italia alla promozione dell attività innovativa delle imprese sono inferiori a quelle impegnate nei principali paesi europei. Secondo la Commissione europea (State Aid Scoreboard), nel 2011 gli aiuti alla R&S e all innovazione concessi in Italia ammontavano allo 0,03 per cento del PIL, contro lo 0,05 del Regno Unito, lo 0,08 della media della UE, lo 0,09 della Spagna, lo 0,10 della Francia e lo 0,12 della Germania. In Italia le risorse complessive vengono distribuite su un numero relativamente elevato di imprese beneficiarie, di tipologie di interventi e di centri decisionali, a livello nazionale e regionale. Nel è stato avviato un processo di riordino, razionalizzazione e riprogrammazione degli strumenti nazionali per l incentivazione delle imprese, non solo in tema di ricerca e innovazione. Gli interventi hanno previsto l abrogazione di norme, la semplificazione di procedure e la rimodulazione di normative preesistenti. Con il decreto sviluppo (decreto legge 22 giugno, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto, n. 134; cfr. il capitolo 10: La struttura produttiva e le politiche strutturali) sono stati abrogati 43 strumenti di agevolazione gestiti dal Ministero dello Sviluppo economico; è stato riordinato il quadro della politica di incentivazione focalizzandola su tre principali obiettivi (ricerca, sviluppo e innovazione; struttura produttiva, soprattutto delle aree in crisi e ritardo di sviluppo; internazionalizzazione); è stato istituito il credito di imposta per l assunzione di personale altamente qualificato e il fondo per la crescita sostenibile per finanziare gli incentivi. Con un successivo decreto ministeriale del Ministero dello Sviluppo economico di concerto con il Ministero dell Economia e delle finanze dell 8 marzo 2013, sono stati assegnati al fondo 630 milioni di euro, anche grazie alle risorse liberate dagli strumenti abrogati, e si sono definiti i criteri guida per l assegnazione delle agevolazioni. Figura 11.3 Oltre ai costi amministrativi e gestionali, le politiche di incentivazione, se non opportunamente disegnate, possono non riuscire ad azionare gli investimenti addizionali desiderati o generare effetti distorsivi sull allocazione delle risorse. Secondo i dati Invind, circa la metà delle imprese industriali che nel triennio si sono avvalse di finanziamenti pubblici alla R&S ha dichiarato che avrebbe effettuato almeno lo stesso ammontare di spese anche senza gli aiuti (fig. 11.3). Imprese che avrebbero svolto lo stesso ammontare di R&S senza gli incentivi, per classe di addetti (1) (in percentuale delle imprese che hanno ricevuto incentivi) almeno 200 totale Fonte: Banca d Italia, Indagine sulle imprese industriali e dei servizi, 2011; cfr. nell Appendice la sezione: Note metodologiche. (1) Imprese industriali escluse le costruzioni; i dati si riferiscono al triennio

10 Secondo le rare valutazioni empiriche degli effetti degli aiuti alla R&S e all innovazione condotte per l Italia, i programmi appaiono nel complesso di modesta efficacia e sembrano essere stati più utili a sostenere l attività innovativa delle imprese di minori dimensioni, quelle che hanno probabilmente maggiori difficoltà ad accedere a fonti di finanziamento esterne. In base alle valutazioni disponibili, né il fondo per l innovazione tecnologica né il fondo speciale per la ricerca applicata sarebbero stati in grado di generare una migliore performance delle imprese che hanno ricevuto i sussidi. Uno studio, che ha esaminato alcune misure adottate in Piemonte, trova effetti positivi, sebbene di breve durata, sull attività di investimento delle imprese beneficiarie, soprattutto per le più piccole e con basso merito di credito. Altri lavori, che hanno valutato una politica regionale introdotta in Emilia-Romagna, mostrano come gli incentivi abbiano stimolato una maggiore spesa per investimenti solo nelle imprese di minore dimensione; emerge inoltre come il programma abbia innalzato la capacità innovativa delle imprese, soprattutto delle più piccole, misurata con il numero di brevetti richiesti all EPO. Gli incubatori di impresa, in Italia di natura prevalentemente pubblica, possono aiutare la creazione e la crescita di imprese start-up innovative. Il decreto sviluppo bis contempla esplicitamente il sostegno agli incubatori (cfr. il paragrafo: Le caratteristiche del sistema produttivo e finanziario). L evidenza empirica disponibile sugli incubatori è molto limitata. La Banca d Italia, in collaborazione con altri enti, ha condotto lo scorso autunno un indagine sulla quasi totalità degli incubatori italiani. Dall indagine emerge come questi ultimi abbiano mediamente dimensioni contenute (il 60 per cento ha meno di otto dipendenti), solo la metà abbia forti legami con università o centri di ricerca e una gran parte presenti disavanzi strutturali di gestione in prevalenza ripianati con fondi pubblici. Gli incubatori italiani offrono alle imprese servizi prevalentemente di natura logistica e meno frequentemente di tutoring, mentorship o networking. Le imprese incubate appartengono soprattutto ai servizi, in particolare informatici. La maggioranza delle imprese che hanno partecipato all indagine ha dichiarato di aver giudicato i servizi offerti dall incubatore utili, ma non cruciali per lo sviluppo delle start-up. Negli ultimi due decenni sono state adottate in Italia diverse misure per rafforzare l attività innovativa attraverso la nascita e lo sviluppo di cluster tecnologici, anche ispirandosi alle esperienze di agglomerazioni volontarie di imprese ad alta tecnologia. Gli interventi, che hanno beneficiato di fondi pubblici, puntano ad attivare sinergie tra centri di ricerca, università e imprese private in ambiti geografici circoscritti. Tra queste politiche rientrano i distretti tecnologici e i parchi scientifici e tecnologici. Analisi condotte sulle principali variabili di bilancio e sulla propensione a brevettare mostrano come, nel complesso, siano le imprese migliori a scegliere di localizzarsi nel distretto o nel parco; i vantaggi competitivi di queste imprese rispetto ad altre simili, ma localizzate al di fuori del distretto o del parco, non paiono ampliarsi significativamente in seguito all entrata nel cluster. Alla fine del 2011 il MIUR ha censito 29 distretti tecnologici, distribuiti in 18 regioni e popolati da circa imprese. Circa la metà dei distretti è insediata nel Mezzogiorno, il resto equamente distribuito nelle altre tre macroaree. Il numero medio di imprese appartenenti a un distretto è più elevato al Nord (174 imprese nel Nord Ovest e 125 nel Nord Est), molto più basso nel Mezzogiorno (34). Da un indagine promossa dalla Banca d Italia presso 25 parchi scientifici e tecnologici italiani, è emerso che quasi tutti hanno una proprietà pubblica o mista e che, in media, il 30 per cento delle entrate proviene da fondi pubblici. Mediamente ogni parco occupa poco meno di 40 addetti, ospita 28 imprese e offre servizi a 105 aziende; coopera più con le università che con i centri di ricerca pubblici, principalmente partecipando insieme a progetti e condividendo infrastrutture per la ricerca. 132

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