Documento C. Approfondimento del contenuto: Breve storia delle ricerche e delle teorie sull'attrito

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1 Documento C Approfondimento del contenuto: Indice INTRODUZIONE DA LEONARDO A COULOMB. LE LEGGI DELL'ATTRITO LEONARDO DA VINCI: UN PRECURSORE ROBERT HOOKE GUILLAUME AMONTONS LA SCUOLA INGLESE E LA COESIONE L. EULER E B.F. BELIDOR: MODELLI DI ASPERITA RIGIDE CHARLES AUGUSTIN COULOMB LA TEORIA DELLA LUBRIFICAZIONE E I MODELLI DELL'ATTRITO VOLVENTE TEORIE DELLA LUBRIFICAZIONE UNA POLEMICA SCIENTIFICA SULL'ATTRITO VOLVENTE SVILUPPI TEORICI SULL'ATTRITO VOLVENTE LA TEORIA DEL CONTATTO FRA SOLIDI DI H. HERTZ LA TEORIA MOLECOLARE DELL'ATTRITO DI TOMLINSON LA TEORIA DELL'USURA, LA SINTESI DI BOWDEN E TABOR E LA NASCITA DELLA TRIBOLOGIA LE TEORIE DELL'USURA NUOVI FENOMENI E SETTORI DI RICERCA: STICK-SLIP, BIOLOGIA, GEOLOGIA E TERREMOTI BOWDEN E TABOR: IL MODELLO DELLE GIUNZIONI ADESIVE DEFORMAZIONI ELASTICHE E MODELLI DELLE ASPERITA DI SUPERFICIE ALTRI MECCANISMI DELL'ATTRITO: PLOUGHING E THIRD BODY L'ATTRITO DI ROTOLAMENTO NEGLI STUDI DI BOWDEN E TABOR LA COMMISSIONE JOST E LA NASCITA DELLA TRIBOLOGIA OGGI. L'ATTRITO A LIVELLO ATOMICO, LA NANOTRIBOLOGIA NUOVI STRUMENTI DI OSSERVAZIONE E MISURA LA NANOTRIBOLOGIA IL RUOLO DELL'ADESIONE NELL'ATTRITO A LIVELLO NANOSCOPICO STICK-SLIP E SUPERLUBRICITY DIFFICOLTA DI UNA SPIEGAZIONE ATOMICA DELL'ATTRITO MACROSCOPICO ATTRITO E MINIATURIZZAZIONE DEI COMPONENTI TECNOLOGICI L'ATTRITO NEI MATERIALI GRANULARI STRUTTURA FRATTALE DELLE SUPERFICI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI FIGURE

2 Introduzione Il ruolo della storia della scienza nell'insegnamento scientifico è stato ampiamente discusso e studiato nella ricerca didattica. Per il caso specifico dell'attrito, la questione assume un significato particolare. È diffusa, infatti, l'idea che si tratti di un argomento da molto tempo acquisito e chiuso, ormai senza storia. Al contrario, la consapevolezza dello sviluppo storico dell'argomento dovrebbe aiutare gli insegnanti a ben situare i recenti sviluppi, che hanno aperto nuovi settori e nuove problematiche di ricerca. In questo caso, un breve panorama storico, oltre che a volgere lo sguardo ai personaggi e agli episodi del passato, serve a porre l'attenzione sulle novità recenti e le prospettive future, concorrendo così a dare il senso di un argomento vivo ed attuale ed ancora oggetto d'interesse e di ricerca. Esso consente inoltre di farsi un'idea, semplificata ma efficace, delle problematiche relative all'argomento, acquisendo consapevolezza della sua complessità, legata alla diversità di materiali e situazioni, e delle incertezze teoriche, manifestatesi in controversie interpretative, ancora oggi non del tutto risolte. Per questi motivi, la breve storia qui presentata sarà piuttosto orientata verso i tempi più recenti, fino all'attualità. Si potrebbe certo risalire addirittura alla preistoria, con la scoperta del fuoco, prodotto dall'attrito fra due pietre o fra pezzi di legno, e l'invenzione della ruota per ridurre l'attrito nel trasporto, dove già appare il doppio problema posto dall'attrito: come aumentarlo nel caso sia utile (il fuoco) e come diminuirlo quando è d'ostacolo (la ruota). Nella storia antica si trovano diverse testimonianze dell'attenzione ai problemi pratici posti dall'attrito. Per esempio, in un dipinto dell'antico Egitto si vede uno schiavo che versa un fluido lubrificante davanti ad una slitta di legno, per il trasporto di una grande statua (fig. 1). Nel lago di Nemi, vicino Roma, sono state ritrovate delle piattaforme di legno con cuscinetti volventi (antenati dei cuscinetti a sfere), risalenti al I secolo avanti Cristo (Halling 1981). Ma è solo molto più tardi che s'iniziano a studiare scientificamente i fenomeni d'attrito. A parte il caso isolato e straordinario di Leonardo, ciò avviene nella seconda metà del XVII secolo, in coincidenza con il primo grande sviluppo della fisica. Dividerò questa breve storia dell'attrito in quattro fasi. 2

3 1. Da Leonardo a Coulomb. Le leggi dell'attrito. 1.1 Leonardo da Vinci: un precursore Leonardo da Vinci ( ) studia l'attrito con esperimenti simili a quelli tradizionali ancora in uso nelle scuole (piano inclinato, blocco tirato da pesi tramite una corda e una carrucola, vedi figura 2) e discute vari sistemi per diminuire l'attrito (cuscinetti a sfere, lubrificazione). Egli conclude che la forza d'attrito è indipendente dall'area di contatto ed è proporzionale al carico, con un coefficiente uguale a ¼ per tutti i corpi da lui esaminati, nel caso di superfici pulite e lisce. Studia anche l'attrito volvente, considerando che questo tipo d'attrito non è da attribuire allo strisciamento, ma ad un tipo di contatto che può essere descritto come una progressione di passi infinitamente piccoli. Purtropo, questi lavori di Leonardo sono stati pubblicati solo alla fine del XIX secolo e quindi non hanno avuto molta influenza. 1.2 Robert Hooke R. Hooke ( ) il 25/02/1685 presenta una memoria alla Royal Society inglese sui mezzi di trasporto, On the various way of conveyance, dedicando largo spazio al problema dell'attrito di rotolamento delle ruote. Indica due cause delle perdite per attrito: la deformazione dei materiali, in particolare del suolo, e l'adesione fra ruota e suolo. Precisa che la deformazione provoca una resistenza solo quando il suolo deformato non restituisce nella sua fase di decompressione, sulla parte posteriore della ruota, la stessa forza esibita, nella fase di compressione, sulla parte anteriore (se c'è un fenomeno d'isteresi elastica, diremmo oggi). L'adesione invece rende necessaria una nuova forza per tirare via o staccare la parte posteriore della ruota dal suolo o dalla strada, cui essa aderisce (citato in Dowson 1998, p.153). 1.3 Guillaume Amontons Guillaume Amontons ( ) nel 1699 presenta una memoria all'accademia Reale di Parigi, in cui enuncia le prime due leggi classiche sull'attrito, secondo le quali la forza d'attrito è proporzionale al carico e non dipende dall'area di contatto. Aggiunge inoltre che «la resistenza causata dall'attrito è quasi la stessa per ferro, rame, piombo, legno, in qualunque combinazione, se le superfici sono lubrificate con grasso di maiale; e che tale resistenza è circa uguale ad un terzo del carico» (Amontons 1699, p ). Amontons indica la causa dell'attrito nelle asperità di superficie, considerate come ostacoli rigidi oppure come protuberanze elastiche deformate dal corpo in movimento. Nel primo caso l'attrito è dovuto alla forza necessaria per sormontare le asperità, come su un piano inclinato, nel secondo esso è legato alla forza necessaria per deformarle. In entrambi i casi, la forza dipende appunto dal peso totale e non dall'area di contatto. Amontons descrive un esperimento che potrebbe erroneamente far pensare che la forza d'attrito dipenda dall'area di contatto: una serie di 2n+2 piatti orizzontali B-A-B-A B sovrapposti, sono compressi fra loro da un carico C posto sopra il piatto B più alto. I piatti B sono fissi, gli n piatti A sono tirati insieme da un manubrio D cui sono legati con corde. Si vede che la forza da esercitare su D aumenta in proporzione al numero 2n delle superfici in contatto. Amontons spiega il risultato con il suo modello di asperità da sormontare, secondo cui il peso C dovrà essere sollevato di un'altezza pari alla 3

4 somma delle altezze delle asperità di ciascuna superficie in contatto, cioè 2n volte l'altezza media delle asperità di una superficie (ivi, pp ). Philippe de la Hire ( ) verifica e conferma i risultati di Amontons e descrive un modello esplicativo, in cui le asperità sono schematizzate come molle elastiche. Suggerisce anche che in alcuni casi le asperità possono essere strappate via durante il movimento (usura): in tal caso l'attrito dipenderebbe anche dal numero delle asperità strappate ed aumenterebbe all'aumentare dell'area di contatto. 1.4 La scuola inglese e la coesione Nello stesso periodo, in Inghilterra si propongono spiegazioni dell'attrito basate su un effetto di coesione fra le superfici dei corpi in contatto. John Theophilus Desaguliers ( ) misura una forte adesione fra due sfere di piombo, in precedenza pressate l'una contro l'altra con la mano (fig. 3), e considera che forze simili, che chiama attraction of cohesion, possono essere connesse con l'attrito e contribuire ad esso. Osserva che levigando sempre di più due superfici metalliche piane, ad un certo livello di levigatura, l'attrito inizia ad aumentare, il che sembra un paradosso alla luce delle teorie basate sulla meccanica delle asperità, mentre si spiega bene introducendo una forza di adesione fra metalli. Osserva anche che il legno umido ha maggiore attrito di quello secco (circa 0,7-0,8 invece di 0,3-0,5), perché l'acqua assorbita sulle superfici le fa aderire e quasi attaccare. Ritiene comunque che l'effetto di coesione si aggiunge a quello dovuto alle asperità, descritto da Amontons, ed è in generale di minore entità. Fornisce una tabella di valori dell'attrito per materiali come legno, ferro, rame, piombo, ottone, pietre. Samuel Vince ( ), nel 1785, rileva che gli studi precedenti sull'argomento hanno fornito risultati contraddittori e non concludenti. Riferisce quindi di una serie di esperimenti da lui compiuti, che lo conducono ad alcune conclusioni abbastanza generali: L'attrito di corpi duri in moto è una forza ritardante uniforme ; la quantità d'attrito aumenta in proporzione inferiore all'aumento della massa o del peso del corpo, l'attrito di un corpo non rimane lo stesso se cambia l'area della superficie di contatto con il piano su cui si muove, bensì la superficie più piccola avrà attrito minore. Come si vede, si tratta di risultati in netto contrasto con i risultati di Amontons. Riguardo alla relazione fra attrito e carico, osserva che l'attrito aumenta sempre all'aumentare del carico, ma la proporzione di tale aumento è risultata differente per differenti corpi, quindi conclude che nessuna regola generale può essere stabilita (ivi, p. 177). Inoltre, come Desaguliers, Vince sottolinea il ruolo importante della coesione e ritiene che l'attrito statico sia maggiore di quello dinamico a causa di un meccanismo di adesione operante fra corpi immobili. 1.5 L. Euler e B.F. Bélidor: modelli di asperità rigide Bernard Forrest de Bélidor ( ), professore nella Scuola d'artiglieria di Parigi, introduce un'interessante rappresentazione delle superfici rugose, mediante uno strato di asperità sferiche e calcola la forza richiesta per trascinare uno strato di sfere sopra un altro strato simile (fig. 4). Egli trova che tale forza è indipendente dal numero delle sfere, e quindi dall'area, in accordo con la legge di Amontons e predice un valore del coefficiente d'attrito uguale a 2 3/2 =0,35. Vedremo nel 3.4 che l'idea delle asperità sferiche sarà ripresa in tempi più recenti, anche se in forma più complessa. Anche Leonhard Euler ( ) si è interessato al problema dell'attrito, fornendo nel una teoria matematica sul meccanismo dell'attrito in termini di asperità rigide a forma di denti di sega, concludendo che il coefficiente d'attrito statico dovrebbe essere uguale a tanα, dove α è l'inclinazione massima dei piani inclinati costituenti la superficie delle 4

5 asperità, mentre l'attrito dinamico dovrebbe essere un po' più debole. Il suo lavoro non fornisce risultati particolarmente rilevanti, ma sviluppa la prima trattazione matematica di un modello esplicativo dell'attrito, con una distinzione teorica fra attrito statico e dinamico. Introduce inoltre il ben noto simbolo µ per il coefficiente d'attrito (Euler era d'altronde un influente inventore di simboli, per esempio si deve a lui l'uso in matematica di e, π, i). 1.6 Charles Augustin Coulomb Nella seconda metà del XVIII secolo, le esigenze tecniche poste dai trasporti terrestri e marini e dalle nuove macchine usate nelle manifatture sollecitano un crescente interesse per l'attrito. In Francia, nel 1777 l'académie des Sciences francese lanciò l'offerta di un cospicuo premio per il migliore studio sulle leggi dell'attrito e i suoi effetti sulle macchine. Il premio fu poi raddoppiato nel 1779, per mancanza di vincitori, e infine assegnato a Coulomb nel 1781, per la sua celebre memoria Théorie des machines simples, presentata nel 1780 e pubblicata nel Coulomb ( ) riprende i risultati di Amontons e studia l'attrito radente, di rotolamento e delle corde e le applicazioni alle macchine. Coulomb distingue subito fra attrito di primo distacco e attrito dinamico, e li studia separatamente. Si propone di investigare la dipendenza dell'attrito statico da quattro cause: la natura dei materiali in contatto, l'area delle superfici, il carico che le superfici sopportano, la durata del contatto; e la dipendenza dell'attrito dinamico dalle prime tre cause precedenti e in più dalla velocità (ivi, par. 3-4). Ritiene insufficienti gli esperimenti in piccolo, svolti in un normale laboratorio di fisica, perché minime irregolarità possono alterare i risultati e renderli non applicabili alle macchine reali più grandi e pesanti. Predispone quindi esperimenti con grandi dimensioni e carichi, anche per rispondere alle attese dell'académie, che chiedeva che le leggi dell'attrito siano determinate con nuovi esperimenti in grande che siano applicabili alle macchine utilizzate nella marina (ivi, par.1). Su una grande tavola di legno pone una slitta, su cui può poggiare dei pesi e sul cui fondo può applicare sbarre di differente materiale; una corda è legata da una parte alla slitta e dall'altra, passando su una carrucola, ad un piatto su cui si poggiano dei pesi oppure ad un asse su cui si fa scorrere un romano, come in una stadera. Coulomb esegue misure d'attrito con legno su legno (quercia, abete, olmo), fra metallo (ferro e rame) e legno, fra due metalli. Osserva che l'attrito di primo distacco è minore dell'attrito dinamico, salvo che fra due metalli, nel qual caso l'attrito si trova essere assolutamente lo stesso per le superfici in movimento e per quelle che si vuol far uscire dallo stato di riposo (ivi, par.26). Trova sempre una relazione di proporzionalità abbastanza precisa fra forza d'attrito e carico (si noti che Coulomb calcola sempre il rapporto W/F e non il più abituale µ=f/w). Nel caso del ferro, osserva che per carichi molto forti, il ferro si riga, l'attrito aumenta considerevolmente ed è difficile eseguire la misura. Fa variare drasticamente la superficie d'appoggio, ponendo sotto la slitta dei prismi di legno o dei chiodi di metallo: trova così che l'attrito dipende pochissimo dall'area della superficie di contatto, con diminuzioni che considera trascurabili, salvo nel caso di ferro su rame, dove il rapporto W/F passa da 3,8 a 6,0 (ivi, par.28-29). Per quanto riguarda la dipendenza dell'attrito di primo distacco dal tempo t di contatto, osserva che esso aumenta con t, raggiungendo un valore limite stabile dopo una durata che varia molto secondo i materiali: il valore limite è raggiunto quasi immediatamente per metallo su metallo, in pochi minuti per il legno su legno e solo dopo molte ore o qualche giorno per metallo su legno. Inoltre, tale durata diminuisce all'aumentare del carico. Interpolando i suoi dati ricava una formula empirica del tipo F=A+mt α, (trova α 0,2 per due legni di quercia); tuttavia tale formula non è soddisfacente perché tende all'infinito all'aumentare di t, Coulomb propone allora subito un'altra formula più elaborata F=(A+mt α )/(C+t α ), che tende ad un 5

6 valore limite finito m per t. Oggi si usano varie formule empiriche, fra cui una legge del tipo F=A+B ln(t), che tra l'altro descrive bene anche i dati di Coulomb (Persson 1998, p.12). Per lo studio dell'attrito dinamico, fa scivolare la slitta con un colpo iniziale, osservandone il movimento per 4 piedi di lunghezza, misurando il tempo per i primi e i secondi due piedi. Nel caso del legno su legno, rileva un moto accelerato, con accelerazione costante, dal che deduce che l'attrito è indipendente dalla velocità. Tuttavia osserva che quando il rapporto fra carico e area W/A (la pressione) è piccolo, l'attrito aumenta con la velocità, mentre quando è grande, l'attrito diminuisce sensibilmente con la velocità. Inoltre, in alcuni casi l'attrito aumenta con l'area di contatto. Risultati simili trova anche nel caso di legno lubrificato con grasso. Coulomb cerca di spiegare questi risultati come effetto di una coesione fra le superfici, proporzionale all'area e indipendente dal carico: C'è dunque una resistenza, nell'attrito fra superfici, indipendente dal carico [come molti suoi contemporanei, Coulomb scrive sempre pressione (pression in francese) per indicare in realtà il carico, cioè la forza normale] e proporzionale all'area delle superfici (ivi, par.44). Osserva che quest'effetto non si presenta quando i due legni scivolano con le fibre ad angolo retto, invece che parallele. Nel caso di metallo su legno, trova che l'attrito non è influenzato dall'area del contatto, ma aumenta nettamente all'aumentare della velocità u: la velocità aumenta seguendo una progressione geometrica, mentre le forze di trazione [forze d'attrito] aumentano seguendo una progressione aritmetica (ivi, par.60), il che equivale ad una relazione logaritmica del tipo F=a+b log(u). Tuttavia questa regola vale solo nelle prime ore di movimento, dopo un tempo più lungo l'attrito aumenta sempre meno con la velocità. È strano che, nonostante tutte queste osservazioni e distinzioni, in genere si attribuisce a Coulomb la cosiddetta terza legge dell'attrito, secondo cui l'attrito dinamico è indipendente dalla velocità. Per l'attrito fra metalli, trova un rapporto costante fra carico e forza d'attrito, indipendente dall'area di contatto e dalla velocità, anche nel caso di metalli lubrificati con grasso (ivi, par.87). Per quanto riguarda la spiegazione fisica dell'attrito, Coulomb dice subito, nell'introduzione, che vi sono due possibili cause: l'incastro delle asperità delle superfici, che possono liberarsi solo piegandosi, rompendosi, sollevandosi le une sulle altre; oppure bisogna supporre che le molecole delle due superfici in contatto esercitano, a causa della loro vicinanza, una coesione che si deve vincere per produrre il movimento: solo l'esperienza potrà farci decidere sulla realtà di queste differenti cause (ivi, par.5). Al termine del suo lavoro, Coulomb conclude che solo la prima causa indicata può spiegare bene i risultati sperimentali. La coesione influirebbe solo pochissimo, perché essa agirebbe in modo proporzionale al numero dei punti di contatto o all'area delle superfici, mentre si è visto che l'attrito è quasi sempre indipendente dall'area. Tuttavia noi troviamo che la coesione non è esattamente nulla e abbiamo avuto cura di determinarla nelle diverse esperienze fatte (ivi, par.96). Essa si aggiunge all'effetto proporzionale al carico, con una regola del tipo F=µW+κA, una formulazione che è tornata d'interesse recentemente, nello studio dell'attrito a dimensioni nanometriche, dove gli effetti adesivi diventano importanti (vedi nel seguito 4.3 e 4.7). Coulomb propone quindi un'interpretazione dell'attrito in termini di asperità superficiali che s'incastrano di più o di meno secondo il carico e si deformano lateralmente sotto una sollecitazione tangenziale (fig. 5): Così, per fare un paragone semplice, noi concepiamo che le fibre, che costituiscono la superficie del legno, entrano le une nelle altre, come potrebbero fare i crini di due spazzole Se si vuol fare scivolare la superficie superiore su quella inferiore, le fibre si piegheranno reciprocamente, fino a toccarsi, tuttavia senza sgranarsi (ivi, par.98) Ad un certo punto, le fibre non possono piegarsi ulteriormente ed iniziano a sgranarsi, lasciando dei vuoti che permettono alle fibre di inclinarsi ulteriormente, inizia lo scivolamento, con un attrito inferiore, ma sempre proporzionale al carico. I metalli, invece, sono composti di parti angolari, globulose, dure ed inflessibili, così che nessuna pressione o 6

7 trazione può modificarne la forma di conseguenza sia in movimento che a riposo, l'intensità dell'attrito sarà sempre la stessa, perché dipende dalla forma delle particelle che costituiscono le superfici e dall'inclinazione del piano tangente nei punti di contatto: la figura 11 [qui riprodotta nella fig. 5] rappresenta due superfici del tipo dei metalli (ivi, par.97 e 100). Con ragionamenti simili propone un'interpretazione anche dei risultati ottenuti per l'attrito dei metalli sul legno. Coulomb studia anche l'attrito volvente di cilindri e pulegge di legno o metallo su assi di legno, concludendo che la forza d'attrito volvente F è direttamente proporzionale al carico ed inversamente proporzionale al raggio del cilindro, una legge ancora oggi utilizzata nei manuali scolastici. Si vede bene la complessità e l'importanza di questo lavoro di Coulomb, tuttavia colpisce che gli esperimenti fatti riguardino solo tre tipi di legno e due metalli. Ciò probabilmente è dovuto all'importanza di questi materiali nella costruzione delle macchine dell'epoca, il cui studio è lo scopo della memoria di Coulomb. L'influenza del suo lavoro è stata comunque enorme, rimanendo il punto di riferimento di tutte le ricerche successive per un secolo e mezzo. Si vede che già agli inizi del XIX secolo i risultati essenziali, usualmente proposti nei manuali, sono già stabiliti. Inoltre sono già emersi i tre importanti concetti di asperità delle superfici, adesione, rottura delle asperità (usura). Si costituisce una prima sistemazione del campo di studi, che potrebbe essere definita come la tribologia classica oppure, come si dice, l'attrito alla Coulomb. 7

8 La teoria della lubrificazione e i modelli dell'attrito volvente. Verso la metà del XIX secolo, sulla spinta degli sviluppi della Rivoluzione Industriale, dei nuovi macchinari e della diffusione delle ferrovie, cresce l'interesse per lo studio della lubrificazione. Si usavano allo scopo i grassi animali, ma soprattutto ed in misura crescente gli oli vegetali o minerali. Si realizzano quindi importanti ricerche sperimentali e teoriche sui fluidi lubrificanti, anche sulla base dell'idrodinamica dei fluidi viscosi sviluppata nei decenni precedenti da Eulero, Bernoulli, Poiseuille, Navier, Stokes. 2.1 Teorie della lubrificazione Il primo studio sistematico della lubrificazione fluida è dello scienziato francese Gustave- Adolphe Hirn ( ), con ricerche svolte nel 1847, ma pubblicate solo nel Egli realizza esperimenti con molti lubrificanti diversi, inclusi acqua e aria, e studia la dipendenza della forza d'attrito dal carico, dall'area di contatto e della velocità. Osserva che è difficile ottenere leggi precise, a causa di molteplici fattori di disturbo. Tuttavia, si può dire che, nello stato abituale delle parti in movimento delle macchine la resistenza è proporzionale alla radice quadrata della superficie affacciata, alla radice quadrata del carico e (quando la lubrificazione è abbondante) alla velocità (Hirn 1884, p. 954). L'influenza della velocità è tuttavia più complessa. Nel caso di velocità elevate, abbondante lubrificazione e carichi leggeri, trova una proporzionalità diretta con la velocità, ma quando la velocità diminuisce troppo, il lubrificante non è più trascinato in quantità sufficiente e l'attrito aumenta. Inoltre, l'attrito sviluppa calore e fa aumentare la temperatura, modificando le proprietà del lubrificante, per cui osserva un attrito non esattamente proporzionale alla velocità u, ma ad una potenza u n, con n fra 0,5 e 0,75. Egli osserva anche che solo dopo una fase iniziale di funzionamento continuo, l'attrito si stabilizza su un valore costante e basso. In Russia, Nikolaj Pavlovitch Petrov ( ) propone nel 1883 una spiegazione della lubrificazione basata sulla dinamica dei fluidi viscosi. Calcola il momento frenante d'attrito M per un cuscinetto formato da un cilindro di raggio r ruotante con velocità angolare ω dentro un cilindro concentrico di raggio r+h, trovando la formula, ancora oggi nota come equazione di Petrov, M=ηAωr 2 /h, dove A è l'area affacciata fra i cilindri, η la viscosità del liquido lubrificante posto fra i cilindri (Bhushan 2002, p ). In Inghilterra, l'institution of Mechanical Engineers, fondata nel 1847, s'interessa sempre di più ai problemi dell'attrito e della lubrificazione, istituendo un Research Committee on Friction e sollecitando ricerche sull'argomento, che culmineranno nei lavori di Beauchamp Tower ( ) et Osborne Reynolds ( ). B. Tower (1885) studia il ruolo delle alte pressioni generate nei fluidi lubrificanti, determina la distribuzione delle pressioni nei cuscinetti idrodinamici portanti in movimento rotatorio e suggerisce importanti soluzioni tecniche per limitare le perdite di olio lubrificante. O. Reynolds (1886), sollecitato da questi risultati sperimentali, elabora la classica teoria della lubrificazione idrodinamica, ancora oggi utilizzata. Dopo uno studio sulla viscosità e un'analisi semi-qualitativa di varie situazioni geometricamente semplici (la figura 6 si riferisce a due di questi casi), scrive le equazioni differenziali che regolano in generale la distribuzione della pressione e degli sforzi nel fluido durante il moto, nel caso di fluidi incompressibili (Reynolds 1886, p ). Risolve queste equazioni nel caso di superfici piane e di superfici cilindriche. Studia gli effetti della temperatura e del carico, e infine applica la teoria agli esperimenti di Tower. Nel caso di una superficie piana, in movimento con velocità U, separata da un pattino piano mediante un liquido di viscosità η (vedi fig. 6b), 8

9 ηau trova una forza d'attrito per unità di larghezza f, e una forza normale di h 2 ηua sostentamento per unità di larghezza w, dove h è lo spessore del fluido (per esempio 2 h nella posizione C della figura, dove il meato è più stretto) e a è la lunghezza del meato nella direzione del movimento. Nelle due formule, i coefficienti di proporzionalità sono due funzioni del parametro m=(h D -h C )/h C legato all'inclinazione del pattino. Reynolds esplicita tali funzioni e trova che il valore massimo di w si ha per m=1,2 (in realtà è più esattamente m=1,1889), nel qual caso il coefficiente di proporzionalità per w vale 0,16 (ivi, p. 191). Richard Stribeck ( ), in Germania, riprende questi studi con sistematiche ed accurate misure della variazione del coefficiente d'attrito µ al variare della velocità u e del carico. Trova (1902) degli andamenti caratteristici, oggi conosciuti appunto come curve di Stribeck (fig. 7), che comportano un valore minimo di µ e che definiscono diverse tipologie di lubrificazione, legate allo spessore della pellicola fluida: lubrificazione idrodinamica, elasto-idrodinamica, mista, limite. Nel caso di strati molto sottili di lubrificante, aderenti alla superficie solida, si riscontra un particolare tipo di comportamento: si parla in tal caso di lubrificazione limite o untuosa, boundary lubrication, termine introdotto dal poliedrico scienziato inglese William Bate Hardy ( ), che studia lubrificanti come la paraffina, gli idrocarburi e gli acidi grassi. Egli conclude che, in questi casi, l'attrito dipende dalla costituzione e dal particolare comportamento chimico di questi materiali e anche dalla natura delle superfici solide (Hardy & Doubleday 1922): Boundary lubrication differs so greatly from complete lubrication as to suggest that there is a discontinuity between the two states. In the former the surfaces have the property of static friction, and the resistance is some inverse function of the viscosity of the lubricant. In complete lubrication static friction is absent and the resistance varies directly with the viscosity (ivi, p. 550). Studiando la relazione fra coefficiente d'attrito e peso molecolare M del lubrificante, trova la relazione µ=b-am, in cui il parametro a dipende solo dal tipo chimico del lubrificante (paraffine, acidi grassi, alcoli, idrocarburi), mentre b dipende dal tipo di solido (vetro, acciaio ). Egli descrive un modello in cui su ciascuna superficie solida aderisce uno strato monomolecolare di lubrificante, e l'attrito si genera nell'interazione al contatto fra i due strati di lubrificante. Notiamo che studi importanti sulla lubrificazione sono stati realizzati anche da scienziati di grande notorietà, piuttosto specialisti di altri settori della fisica, come l'inglese John Rayleigh ( ) ed il tedesco Arnold Sommerfeld ( ). 2.2 Una polemica scientifica sull'attrito volvente Nello stesso periodo riprendono anche nuove ricerche sull'attrito volvente. Negli anni , una polemica oppone i francesi Arsène Dupuit ( ) et Arthur-Jules Morin ( ), espressa in ben sette interventi all'académie des Sciences de Paris. Morin esegue esperimenti in cui misura con opportuni dinamometri la forza necessaria per trainare carri e carrozze su varie superfici, con vari carichi. Egli conclude, fra l'altro, che la resistenza al rotolamento F è proporzionale al carico W e inversamente proporzionale al raggio R delle ruote, confermando i risultati di Coulomb; inoltre afferma che su terreni molli la resistenza diminuisce all'aumentare della larghezza della ruota ed è indipendente dalla velocità, mentre su strade solide in pietra è indipendente dalla larghezza della ruota ed aumenta proporzionalmente con la velocità. Sollecitato dagli interventi di Dupuit, esegue anche esperimenti in piccolo, con cilindri di legno fatti rotolare mediante pesi attaccati ad una 9

10 corda, misurando i pesi necessari per ottenere un rotolamento a velocità costante, trovando conferma alla legge F W/R. Dupuit esegue esperimenti in laboratorio, facendo rotolare dei cilindri da un piano inclinato e misurando la distanza poi percorsa su un piano orizzontale prima di fermarsi, distanza considerata una misura indiretta dell'attrito di rotolamento. Egli conclude che la resistenza al rotolamento è proporzionale al carico, indipendente dalla larghezza della ruota e dalla velocità, inversamente proporzionale alla radice quadrata del raggio, F W/R ½. Dupuit contesta la validità di molte misure eseguite da Morin sui carri, ed anche quelle di Coulomb, in particolare a causa della difficoltà di apprezzare il carattere uniforme del movimento dei cilindri in poco spazio. È molto interessante la spiegazione che Dupuit propone dell'attrito volvente, come un effetto d'isteresi elastica: il materiale del piano d'appoggio si deforma per effetto del carico della ruota, ma dopo la rimozione del carico non riacquista immediatamente la posizione originale e restituisce una forza minore di quella ricevuta in fase di compressione. Così la parte posteriore della piccola zona del suolo a contatto con la ruota fornisce una forza minore di quella fornita dalla parte anteriore, con il risultato che la risultante, con componente verticale di modulo uguale al carico W, è spostata in avanti, rispetto al centro, di una piccola distanza δ, e produce una coppia frenante di momento Wδ. Per annullare tale coppia frenante si deve applicare al centro della ruota una forza F tale che FR=Wδ, da cui F=δ W/R. Dupuit considera δ come una frazione costante della larghezza a del contatto: δ=ka. Da semplici considerazioni geometriche (teorema di Euclide dei triangoli), osserva che a è legata alla profondità h di penetrazione della ruota nel suolo dalla relazione a=(hr) ½, ottenendo quindi δ=k(hr) ½ e F= k h ½ W/R ½. Dupuit considera h indipendente dal carico, per cui ottiene F W/R ½. Ora sappiamo che la profondità e la larghezza del contatto dipendono dal carico, si ha h W n. Con questa correzione, il modello di Dupuit fornirebbe una relazione F W (1+n/2) /R ½. Nel caso di un cilindro rigido su un piano elastico, n è circa uguale ad uno e in effetti, in questo caso, Bowden & Tabor (1964, cap. XV) trovano una relazione F W 3/2 /R ½. In realtà, il problema della dipendenza dell'attrito volvente dal carico e dal raggio è complesso e dipende dalle particolari condizioni considerate (tipo di rotolamento e materiali coinvolti). Nel suo ultimo intervento del 1841, Morin verifica più attentamente la relazione fra resistenza al rotolamento e carico, concludendo che sul legno la resistenza cresce più rapidamente del carico, sulle strade in pietra dura e secca è proporzionale al carico, sul pavé cresce più lentamente, quindi non c'è una legge generale su quest'aspetto (1841, p. 1022). Inoltre, fa riferimento a fenomeni d'isteresi elastica, come Dupuit, parlando di materiali con differenti velocità di ritorno alla forma primitiva, dopo una deformazione elastica, e discute l'incidenza di tale fenomeno sulla resistenza al rotolamento, che considera significativa per la gomma, ma trascurabile per i materiali duri di strade e ferrovie. Tuttavia Dupuit, anche a causa della maggiore notorietà di Morin e della fama di Coulomb, non è riuscito a fare accettare le sue idee, ritrovate e rivalutate solo molto dopo (vedi 3.6). 2.3 Sviluppi teorici sull'attrito volvente O. Reynolds (1875) elabora una teoria della resistenza al rotolamento, attribuendolo all'attrito radente dovuto alla presenza di micro-slittamenti nel contatto fra ruota e pavimento. Egli accetta le leggi di Coulomb e Morin (che cita entrambi, pp. 155 e 174), e si propone di fornire una spiegazione di tale resistenza. Considera come una prova dell'esistenza di slittamenti il fatto che un cilindro leggermente disturbato non si muove in modo continuo in una direzione fino ad arrestarsi, ma oscilla avanti e indietro, più o meno ampiamente, secondo il materiale (ivi p. 156). Descrive in dettaglio un meccanismo di deformazione e stiramento di uno strato di gomma o altro materiale molle, posto fra due piatti duri, mostrando la 10

11 presenza di scivolamenti e tensioni tangenziali, e ne applica le conclusioni al rotolamento, considerato come un processo continuo di schiacciamento e rilasciamento dei materiali in contatto. Ciò comporta che la distanza di avanzamento percorsa durante una rivoluzione, in rotolamento libero, non è in genere uguale alla circonferenza della ruota. Precisamente, un cilindro duro (per esempio di ferro) su un piano morbido (per esempio di gomma) percorre una distanza minore della circonferenza, mentre al contrario un cilindro di gomma su un piano di ferro percorre una distanza maggiore. Nel caso di materiali uguali, il cilindro percorrerà ancora una distanza leggermente minore della circonferenza. Reynolds conferma questi risultati con opportune misure, trovando differenze dell'ordine del centimetro per ferro su gomma (con cilindri di diametro D=14,4 cm) e del millimetro per gomma su acciaio o su gomma (con D=18,2 cm). Osserva inoltre che la lubrificazione con olio provoca solo una debolissima riduzione dell'attrito volvente. Heathcote (1921) studia l'attrito nei cuscinetti a sfere ed osserva che nel rotolamento delle sfere in una scanalatura, i punti verso i bordi dell'area di contatto, a forma di calotta, devono percorrere una circonferenza più piccola rispetto ai punti nella zona centrale. Di conseguenza si avranno micro-slittamenti di verso opposto, in avanti nelle zone periferiche e all'indietro nella zona centrale, che Heathcote ritiene contribuiscano fortemente all'attrito di rotolamento. Carter (1926), studia l'azione delle ruote motrici delle locomotive e sviluppa una teoria basata sulle deformazioni elastiche e i micro-slittamenti nella zona di contatto. Ricava l'andamento delle pressioni e degli sforzi tangenziali lungo la zona di contatto. Per deboli forze motrici, gli slittamenti avvengono solo ai margini della zona di contatto, nella parte posteriore; aumentando la forza motrice, la zona degli slittamenti si allarga verso la parte anteriore fino ad interessare tutta la zona di contatto, nel qual caso inizia un rotolamento con strisciamento. 2.4 La teoria del contatto fra solidi di H. Hertz Nel 1881, Heinrich Rudolph Hertz ( ) formula la sua teoria delle deformazioni di contatto fra due solidi elastici idealmente lisci sotto un carico, una teoria che è considerata valida ancora oggi e costituisce la base per i calcoli sulle deformazioni delle asperità di superficie, utilizzati nei modelli d'attrito fra solidi (cf. per esempio Georges 2000, cap.2). La sua teoria fornisce le formule per la larghezza e la profondità della zona di contatto fra due cilindri (o fra un cilindro e un piano), fra due sfere (o fra una sfera e un piano). Fornisce anche la distribuzione delle pressioni e degli sforzi nelle zone di contatto. Recentemente sono state elaborate teorie modificate per tenere conto anche dell'adesione e delle deformazioni plastiche (vedi 3.2). 2.5 La teoria molecolare dell'attrito di Tomlinson Tomlinson (1929) propone un approccio originale ed insolito per l'epoca, che risulterà precursore di molte idee successive (per esempio fanno esplicito riferimento al suo lavoro Socoliuc et al 2004 e Krim 1996). Egli cerca una spiegazione dell'attrito nelle interazioni fra le molecole (o gli atomi) dei due corpi in contatto, e lo considera come il risultato di una perdita di energia nell'interazione di avvicinamento e allontanamento fra molecole, energia che si distribuisce nei vari possibili gradi di libertà interni dei due corpi, manifestandosi come aumento di temperatura. Basandosi su una descrizione qualitativa generale delle forze attrattive e repulsive fra molecole, mediante un tipico grafico della forza in funzione della distanza, illustra un possibile meccanismo in base al quale l'allontanamento di due molecole non sia il simmetrico del loro avvicinamento, ma contenga una fase irreversibile in cui un lavoro meccanico si trasforma in energia cinetica molecolare ovvero in calore (ivi, p. 910). Questo 11

12 processo irreversibile avverrebbe, in modo probabilistico, in una certa frazione delle interazioni fra le molecole dei due corpi che entrano in contatto, le quali sono a loro volta solo una parte delle molecole superficiali. Pur nella genericità delle ipotesi di partenza, Tomlinson riesce a dedurre una formula per il coefficiente d'attrito radente µ in funzione di grandezze relative a proprietà delle molecole e delle loro interazioni. Trova una formula analoga anche per il coefficiente d'attrito volvente λ (definito come rapporto fra forza d'attrito F e carico normale W) fra un cilindro e un piano. In effetti, nella sua teoria i due tipi d'attrito sono dovuti allo stesso meccanismo di perdita irreversibile d'energia, solo che nel caso del rotolamento l'avvicinamento e l'allontanamento fra molecole avvengono perpendicolarmente alla superficie. La teoria, come lo stesso autore scrive, è piuttosto speculativa, poiché molte delle grandezze implicate nelle formule non sono direttamente conosciute. Tuttavia, ricava una formula per il rapporto fra i due coefficienti λ 3 e d'attrito che può essere verificata sperimentalmente (ivi, p. 915): µ = 4 a, dove e è la distanza media intermolecolare del solido e a è la semilarghezza del contatto fra il cilindro e il piano. Inoltre, utilizzando la teoria del contatto elastico di Hertz, ricava una relazione fra µ e le costanti elastiche dei due solidi e una relazione λ (W) -½ ovvero F (W) ½. Tomlinson confronta tali relazioni con molte misure da lui descritte ed effettuate e con quelle di altri autori, trovando un discreto accordo nella maggior parte dei casi e fornendo alcune possibili spiegazioni di alcuni casi di disaccordo. In particolare, nel caso del rotolamento di una sfera su un piano osserva un valore di λ triplo del valore teorico atteso e attribuisce questa differenza alla presenza di un altro meccanismo d'attrito, assente nel caso del cilindro, legato ai micro-slittamenti descritti da Heathcote. Tomlinson rileva che non c'è una teoria dell'attrito radente generalmente accettata, mentre nel caso del rotolamento esiste una teoria sviluppata da O. Reynolds che è stata considerata adeguata per molti anni (ivi, p. 930), ma non concorda con tale teoria e si propone di dimostrarne l'inadeguatezza. A tale scopo, mostra che i micro-slittamenti, indicati da Reynolds come causa dell'attrito volvente (vedi 2.3), sono troppo piccoli perché possano rendere conto dei valori osservati dell'attrito, pur contribuendovi in piccola parte; descrive inoltre un esperimento comportante il rotolamento fra due cilindri identici, in cui nessuno slittamento è previsto e tuttavia si osserva un attrito quasi uguale a quello del rotolamento su un piano. 12

13 La teoria dell'usura, la sintesi di Bowden e Tabor e la nascita della tribologia. A partire dagli anni del XIX secolo inizia una nuova fase: da un lato la domanda del mondo produttivo fa concentrare l'attenzione sul problema dell'usura, dall'altro si rivedono le interpretazioni dell'attrito, alla luce delle nuove conoscenze fisiche e grazie alle nuove tecnologie disponibili. 3.1 Le teorie dell'usura I primi studi teorici importanti sui meccanismi dell'usura sono quelli di Holm (1946), Burwell & Strang (1952), Archard (1953), Archard & Hirst (1956). Si elabora un'analisi teorica consistente e si propongono alcuni modelli di base per descrivere e comprendere l'usura, fornendo formule per il tasso d'usura, inteso come volume di materiale asportato per unità di lunghezza di lavoro V/l. Holm (1946) considera un meccanismo adesivo a livello atomico, che tiene conto delle idee sull'attrito, che egli stesso contribuisce ad elaborare e che saranno sviluppate da Bowden e Tabor (vedi 3.3), secondo cui le superfici rugose dei due corpi entrano in contatto e aderiscono solo nelle piccole aree dove si toccano le sommità delle asperità più alte. Holm ipotizza che per ogni avvicinamento di due atomi nel contatto fra le asperità, vi è una certa probabilità costante che un atomo sia strappato dalla superficie di uno dei due corpi. Quest'azione può esercitarsi su uno o più strati atomici dell'asperità. Holm ricava quindi una relazione V/l=kW/p o dove p o è la pressione di snervamento del materiale (flow pressure). Burwell & Strang (1952) obiettano che in realtà la rimozione del materiale non avviene su singoli atomi, ma per grani o particelle contenenti molti atomi, come dimostrano alcuni esperimenti in cui osservano al microscopio elettronico le particelle di usura su superfici d'acciaio. Altri esperimenti eseguiti con traccianti radioattivi confermano questo fatto. Burwell & Strang distinguono due comportamenti differenti secondo il valore della pressione media: per pressioni non troppo alte, nelle zone di contatto si producono, con una certa probabilità, grani di usura di dimensioni approssimativamente uguali, e vale una relazione simile a quella di Holm, cioè con V/l proporzionale al carico; per pressioni più alte, maggiori di un terzo della durezza del materiale, le zone di contatto si allargano, si producono particelle di usura più grandi, che producono a loro volta altri grani di usura prima di allontanarsi dalle superfici, con un processo auto-alimentato, che fa sì che V/l aumenti molto rapidamente anche per piccoli aumenti del carico. Archard ( ), nel 1953, riprende le idee di Burwell & Strang, ma ritiene superflua l'ipotesi di grani d'usura di dimensioni uguali e propone una teoria basata su un modello semplificato del contatto fra le superfici, considerato come dovuto ad asperità sferiche di varie altezze, con conclusioni che ritiene tuttavia indipendenti dal particolare modello adottato. Fornisce diverse relazioni fra tasso d'usura e carico V/l=kW n, con n che dipende dal tipo di deformazione (elastica o plastica) e dalla forma delle particelle prodotte (strato o grano), ottenendo nei quattro casi valori di n uguali a 3/5, 4/5, ¾, 1. Considera tuttavia che in realtà il tipo più comune è quello plastico a grani, secondo quanto suggerito dagli esperimenti. In quest'ultimo caso, enuncia quattro leggi (ivi, p.986), secondo cui il tasso d'usura sarebbe proporzionale al carico ed indipendente dall'area apparente di contatto, dalla velocità di strisciamento e dal particolare modello usato per rappresentare le superfici rugose. Burwell (1957) ricapitola le conoscenze del momento sull'usura e sottolinea la difficoltà, forse l'impossibilità, di ottenere leggi generali su tale fenomeno, a causa della molteplicità di 13

14 processi diversi coinvolti, riassunti nella parola usura. Indica quattro tipi principali d'usura: adesiva, abrasiva, corrosiva, da fatica superficiale; e fornisce per ciascun tipo i risultati sperimentali e teorici fondamentali. Per l'usura da fatica, importante nei movimenti rotatori, indica una formula empirica trovata per i cuscinetti a sfere, in cui la vita T del cuscinetto, definita come il numero di rivoluzioni che il 90% di cuscinetti identici può sopportare senza danni gravi, è inversamente proporzionale al quadrato del carico: W 2 T=costante (ivi, p. 139). Le ricerche successive studiano sempre più in dettaglio gli effetti dell'usura, alla ricerca di soluzioni per allungare la durata dei macchinari, soprattutto per i metalli. Si distingue fra mild wear (usura moderata) e severe wear (usura severa), secondo le dimensioni dei frammenti (circa 10-7 oppure 10-5 m), della resistenza dei contatti, degli effetti sulla superficie (ritrovata liscia come o più di prima, oppure con profondi solchi e protuberanze). Terence F.J. Quinn (1967 e 1971) individua la causa principale dell'usura moderata dei metalli nelle interazioni con l'ambiente, in particolare nell'ossidazione intensa delle asperità in contatto aventi elevata temperatura locale, la quale provoca un accrescimento e indebolimento dell'asperità, cui segue la rottura. Più tardi, Lim Seh Chun et M. F. Ashby (1987) elaborano delle mappe dell'usura (wearmechanism maps), una specie di diagramma di stato dell'usura dell'acciaio: rappresentano in un piano velocità-pressione (normalizzate) le curve di uguale tasso d'usura e individuano le zone del piano in corrispondenza delle quali si manifestano i diversi tipi di usura (moderata, severa, e altre sotto-categorie) e i diversi meccanismi d'usura, trovando delle linee di transizione, come passaggi di stato, fra una modalità ed un'altra (fig. 8). Quinn (1991, p.29) osserva che questi grafici possono aiutare i neofiti della tribologia ad apprezzare alcune consistenze esistenti, dietro l'apparente complessità dell'argomento. È interessante osservare che, se è vero che l'usura si accompagna sempre all'attrito, non vi è un legame quantitativo stretto fra i due fenomeni. Vi sono casi di basso attrito con elevata usura, per esempio quando si scrive con una matita o col gesso, due casi di usura utile. In altri casi l'attrito è elevato ma l'usura è piccola, come per le pasticche dei freni, in cui si desidera che sia piccola. 3.2 Nuovi fenomeni e settori di ricerca: stick-slip, biologia, geologia e terremoti Nello stesso periodo, si studiano altre situazioni e fenomeni particolari, come l'attrito sul ghiaccio e sulla neve, lo stick-slip, l'attrito negli organismi viventi e fra le rocce. Il movimento di stick-slip è una successione di fasi di blocco e di slittamento, ben comune in molte situazioni ordinarie e responsabile di fenomeni come il cigolio di porte, lo stridio del gesso, il suono del violino ecc. Si studiano le equazioni del moto di un sistema soggetto ad una sollecitazione elastica e all'attrito e s'individuano, in funzione della velocità e della costante elastica del sistema, le condizioni in cui si attiva un movimento discontinuo di stickslip oppure un moto continuo. In geologia, si studia l'attrito delle rocce, importante per comprendere molti fenomeni geologici. L'osservazione di fenomeni di stick-slip fra due rocce striscianti l'una sull'altra, conduce Brace e Byerlee (1966), a proporre il movimento di stick-slip, nello scorrimento delle zolle rocciose vicino alle faglie, come il meccanismo all'origine dei terremoti (Sholz 2002). A partire dal modello proposto da Burridge e Knopoff (1967), si studiano vari modelli di terremoto (fig. 9) consistenti in una serie di blocchi poggiati su un piatto orizzontale con attrito, connessi fra loro e con un altro piatto posto sopra, mediante un sistema di molle (Hough 2002, p.30-31). Lo studio dell'attrito negli organismi viventi, (si parla di biotribologia), ha lo scopo di comprendere le soluzioni adottate in natura per controllare l'attrito e l'usura (per es. nei denti, 14

15 negli occhi, nelle giunzioni ossee come ginocchio e gomito) e fornire indicazioni per la costruzione sempre più diffusa e perfezionata di protesi varie. Riprendono in questo periodo gli studi dei contatti fra solidi, a partire dai risultati di Hertz ( 2.3). Nel 1971 Johnson, Kendall e Roberts elaborano una teoria del contatto che tiene conto dell'adesione e delle deformazioni plastiche. In tale teoria, il raggio della zona di contatto fra una sfera ed un piano non si annulla all'annullarsi della forza premente ed il distacco totale richiede una forza di trazione F a. Il modello JKR è confermato da molti esperimenti, nel caso di adesione a corto raggio fra materiali abbastanza deformabili (come mostrato nella figura 10b, per la gomma). Per materiali più rigidi con adesione a lungo raggio si rivela invece più adatta una teoria un po' differente, elaborata nel 1975 da Derjaguin, Muller e Toporov. Per i casi intermedi sono state elaborate teorie miste (Maugis 1992). Per distinguere quale tipo di modello utilizzare, Tabor (1976) ha definito un parametro adimensionale, funzione del raggio della sfera e delle caratteristiche dei materiali (modulo di elasticità, lavoro d'adesione e distanza d'azione delle forze adesive). La figura 10a mette a confronto le due teorie JKR e DMT con la teoria di Hertz. 3.3 Bowden e Tabor: il modello delle giunzioni adesive Le ricerche sull'attrito, la lubrificazione e l'usura trovano una sintesi e una sistemazione coerente nei lavori realizzati a Cambridge (Inghilterra), dall'australiano Franck Philip Bowden ( ) e dall'inglese David Tabor (1913-), raccolte nei due volumi del loro trattato (1950 e 1964). Si può affermare che, pur in presenza ovviamente di molti vuoti da colmare, di parti da completare, interpretazioni non soddisfacenti, essi stabilizzano un corpo di conoscenze sperimentali e teoriche che fondano la moderna tribologia e costituiscono il punto di riferimento obbligato per le ricerche nel campo. Bowden e Tabor (1950 e 1964) forniscono una gran quantità di risultati sperimentali, soprattutto sui metalli e sul legno e trattano tutti gli aspetti fondamentali dell'argomento: struttura e topografia delle superfici, attrito radente e di rotolamento, lubrificazione, usura. Essi elaborano un'interpretazione delle leggi di Amontons, ancora oggi considerata un quadro di riferimento fondamentale. L'idea centrale è che, a causa delle irregolarità delle superfici, il contatto avviene solo in corrispondenza delle asperità più alte e quindi l'area reale di contatto A r fra i due solidi è molto più piccola dell'area apparente macroscopica A (fig. 11). La pressione in queste piccole zone può essere molto alta e provocare forti deformazioni ed elevate temperature. Le asperità in contatto aderiscono fortemente (nel caso dei metalli sono possibili micro-saldature locali) e, per essere separate, richiedono un definito sforzo di taglio s e quindi una forza uguale al prodotto di s per l'area di contatto. La forza d'attrito F è essenzialmente la forza totale necessaria per separare tutte le giunzioni ed è quindi proporzionale all'area reale di contatto F=sA r. Se nelle zone di contatto si hanno locali deformazioni plastiche e la pressione raggiunge la soglia di cedimento, la pressione di snervamento p o del materiale, un aumento del carico W schiaccia ulteriormente le asperità, facendo aumentare l'area del contatto, ma lascia invariata la pressione p o, che è la massima sopportabile dal materiale. L'area reale di contatto è quindi proporzionale al carico: W=p o A r. Si ottiene quindi F=sW/p o, in coerenza con le leggi di Amontons, con un coefficiente d'attrito µ=s/p o (Bowden e Tabor 1964, p.53). In realtà le cose sono molto più complicate di questa prima elementare interpretazione, come gli stessi autori segnalano subito. I valori del coefficiente d'attrito ottenuti dalla formula sono in molti casi inferiori a quelli misurati. Si deve tuttavia tenere conto che l'applicazione di una forza esterna tangenziale facilita il raggiungimento dello snervamento, che avviene così a pressioni inferiori al valore p o. Ciò provoca un aumento dell'area reale di contatto fra le superfici e quindi anche dello sforzo necessario a separarle, con conseguente aumento 15

16 dell'attrito. La formula andrebbe quindi modificata in una formula del tipo s s µ = 1 α po p o, dove α è un opportuno coefficiente adimensionale. Inoltre la presenza di forze adesive fra le superfici fa aumentare ulteriormente l'area dei contatti delle singole asperità, ciò anche in assenza di trazione tangenziale esterna. A supporto del loro modello, Bowden e Tabor studiano la topografia delle superfici e delle asperità, specialmente dei metalli, con metodi ottici (fig. 12) oppure con metodi meccanici, con i cosiddetti profilometri (fig. 13), costituiti da una punta di diamante molto fine, che viene fatta scivolare sulla superficie, segnalando con i suoi spostamenti verticali l'andamento altimetrico delle asperità della superficie, un po' come la puntina dei vecchi giradischi. Gli spostamenti della punta possono essere trasformati in segnale elettrico, amplificati e registrati su carta, producendo i profili lineari caratteristici (fig. 14). L'altezza delle asperità dipende molto dal tipo di trattamento della superficie. Valori tipici sono dell'ordine di 1-10 µm per superfici lisce e del decimo di micron per superfici levigate. Per acciai lavorati si trovano valori da 25 µm fino a 0,05 µm, secondo il tipo di lavorazione (Straffelini 2005, p. 12). La figura 15 mostra l'immagine di una superficie metallica ingrandita 2500x con un microscopio elettronico. Per dare un'idea del complicato contatto fra due superfici, Bowden & Tabor suggeriscono che è un po' come immaginare di rovesciare la Svizzera e poggiarla sull'austria. In realtà, le asperità che si osservano sono normalmente meno ripide delle Alpi (forse un'immagine più somigliante è allora quella dell'umbria rovesciata sulla Toscana). Il rapporto fra area reale e apparente aumenta con la forza normale (il carico). Bowden & Tabor valutano l'area reale con misure indirette, nel caso dei metalli usando metodi elettrici. Si applica una tensione elettrica fra i due corpi metallici e si misura la corrente che circola (fig. 16). La conducibilità fra i due metalli è proporzionale all'area reale di contatto, quindi dal valore della corrente si può risalire all'area A r. In un esperimento con superfici piane d'acciaio, per esempio, ottengono i valori seguenti (Bowden & Tabor 1954, p.34): Tabella 1 Area reale di contatto A r e area apparente A. Acciaio su acciaio. A=21 cm 2. carico (N) Area apparente / area reale Valori simili si trovano anche con A=1 cm 2. Si vede dalla tabella che i valori trovati dell'area reale di contatto sono una frazione fra 10-2 e 10-5 dell'area apparente. Con i dati della tabella, si può verificare inoltre che la pressione sull'area reale di contatto è quasi costante, di circa 1 GPa 10 4 atm, un valore che corrisponde alla pressione di snervamento di alcuni tipi di acciaio. Bowden & Tabor misurano anche la temperatura delle asperità in contatto durante lo strisciamento, con metodi termoelettrici, trovando valori crescenti con la velocità, che raggiungono facilmente C, anche quando la temperatura media dell'oggetto è di qualche decina di gradi (fig. 17). 16

17 3.4 Deformazioni elastiche e modelli delle asperità di superficie Per molti materiali le deformazioni delle asperità possono non essere plastiche ma elastiche. In tal caso, l'area dei contatti non è proporzionale al carico, ma ad una potenza W 2/3, secondo la classica teoria di Hertz, il che porterebbe a contraddire la legge di Amontons di proporzionalità fra forza d'attrito e carico. Tuttavia, se si considera una superficie estesa, con molte zone di contatto, l'aumento del carico fa aumentare non solo l'area dei singoli contatti, ma anche il numero dei contatti (fig. 18), attivando nuovi contatti fra asperità meno alte. Questo fatto ha come conseguenza anche un piccolo avvicinamento dei due corpi in contatto, con micro-spostamenti normali, in genere inferiori al micron. A questo scopo, Archard (1957) sviluppa un modello con asperità a forma di calotte sferiche di raggio R 1, su ciascuna delle quali vi sono altre asperità più piccole di raggio R 2, e così via con asperità aventi raggi decrescenti R i, fino ad un valore i=i max. Egli mostra che l'area reale di contatto è proporzionale ad una potenza W n, dove n, maggiore di 2/3, aumenta con il numero di livelli considerati e si avvicina rapidamente ad uno già dopo tre o quattro livelli. Nel caso di due superfici nominalmente piane, per i primi tre livelli trova n=4/5, n=14/15, n=44/45 (ivi, p ). Greenwood e Williamson (1966) hanno sviluppato modelli più raffinati di contatto fra superfici rugose, con varie distribuzioni statistiche φ(z) delle altezze z delle asperità, in caso di asperità non interagenti fra loro e aventi uguale raggio β delle sommità. Nel caso di una distribuzione esponenziale del tipo φ(z) e -kz, trovano una relazione di proporzionalità esatta fra area reale di contatto A r e carico W con W/ A r =π ½ E * (σ/β) ½, dove E * è il modulo di elasticità combinato dei due solidi e σ la deviazione standard delle altezze delle asperità. Nel caso di distribuzione di probabilità gaussiana, trovano una relazione quasi coincidente con il caso esponenziale e molto vicina alla proporzionalità. Quest'ultimo caso è importante, perché gli autori riferiscono di misure che mostrano che in molti casi le asperità seguono realmente una distribuzione molto vicina alla gaussiana. Ciò ci porta a suggerire che l'origine delle leggi dell'attrito risiede non tanto in un'ideale deformazione plastica dei contatti individuali, quanto semplicemente nella statistica delle asperità di superficie (ivi, p. 303). La teoria fornisce un criterio per stabilire se il contatto sarà elastico o plastico, mediante un indice di plasticità (E * /H)(σ/β) ½, dove H è la durezza, un indice che combina proprietà elastiche del materiale e proprietà topografiche delle superfici. 3.5 Altri meccanismi dell'attrito: ploughing e third body In ogni caso, anche se il modello delle giunzioni adesive prima descritto funziona bene per l'attrito statico, difficilmente può rendere conto completamente dell'attrito dinamico. Oltre all'adesione fra le asperità delle superfici con conseguente sforzo di taglio per separarle, Bowden e Tabor considerano un altro tipo di meccanismo per l'attrito dinamico: la deformazione dei materiali in contatto, con una solcatura o aratura (ploughing), cioè una penetrazione delle asperità di un oggetto nella superficie dell'altro, con conseguente formazione di solchi, cui si oppone la resistenza del materiale su cui sono prodotti. I solchi possono essere deformazioni plastiche, che lasciano tracce permanenti, o deformazioni temporanee elastiche, che sono seguite da un ripristino della forma originaria, ma con perdite di energia per isteresi. Si avrebbe quindi per la forza F d'attrito: F=F adhesion +F ploughing. Vi possono poi essere fenomeni di usura con abrasione di particelle di materiale, che aggiungono un altro contributo all'attrito. In genere nei metalli prevale il termine adesivo plastico delle asperità e le deformazioni provocano solchi o graffi permanenti (fig. 19). Per la gomma, i polimeri e le rocce, 17

18 prevalgono le deformazioni elastiche con isteresi, e per le rocce diventa importante anche l'effetto dell'urto fra asperità e della loro rottura. Non bisogna infine dimenticare l'effetto della presenza quasi inevitabile sulle superfici o fra di esse di altri materiali, come grassi, umidità, ossidi, particelle solide, tanto che si parla dell'effetto di terzo corpo. Come scrive Feynmann (1967, p.12-6), certamente esagerando un po': Le tabelle che hanno la pretesa di elencare valori di µ per acciaio su acciaio, rame su rame e simili, sono tutte sbagliate l'attrito non è mai dovuto a rame su rame, ecc., ma alle impurità attaccate al rame. In effetti, nei metalli lo strato d'ossido ha un ruolo importante per l'attrito. Esso fa diminuire l'attrito, facendo diminuire l'adesione fra i due metalli. La rottura di parti dello strato d'ossido, per abrasione, provoca un aumento dell'attrito. Nei veicoli spaziali molte difficoltà tribologiche sono legate all'assenza dei film di ossido. Si usano allora lubrificanti solidi, cioè si applica uno strato sottile (alcuni micron) di un metallo tenero, per esempio piombo (Halling 1976, p. 150). 3.6 L'attrito di rotolamento negli studi di Bowden e Tabor A proposito dell'attrito di rotolamento, bisogna distinguere tre modalità differenti: il tractive rolling, rotolamento trainante, tipo ruota motrice, con una coppia esterna applicata, in cui la rotazione impressa provoca la spinta in avanti generata dall'attrito statico; il free rolling, rotolamento libero in movimento inerziale, in cui la forza d'attrito, contraria alla direzione del moto, rallenta il movimento; il rotolamento trainato, con una forza esterna applicata all'asse (come nel caso delle ruote passive di un veicolo o del rotolamento su un piano inclinato), in cui la forza d'attrito statico, di verso opposto al moto del centro di massa, provoca la rotazione della ruota o della sfera. Bowden e Tabor studiano principalmente il free rolling e il rotolamento trainato. Esaminano l'effetto dei micro-slittamenti indicati da Reynolds e Heathcote e dell'adesione evocata da Tomlinson (vedi 2.3 e 2.5). Osservano che i micro-strisciamenti studiati da Heathcote sono importanti soltanto nel caso di sfere che rotolano in solchi molto profondi, dell'ordine del raggio della sfera, e concludono che, nel caso di rotolamento libero, per carichi moderati, l'origine largamente predominante dell'attrito volvente risiede negli attriti interni e nell'isteresi elastica delle deformazioni (fig. 20), riprendendo così le idee sostenute da Dupuit già nella prima metà del XIX secolo (vedi 2.2). Ciò è confermato dal fatto che l'attrito volvente è pochissimo influenzato dall'aggiunta di lubrificanti sulle superfici a contatto, il che suggerisce che esso sia legato a fenomeni che avvengono anche nelle parti interne del corpo, e non solo sulle superfici. Nel caso di sfere dure rotolanti su legno o gomma, trovano una relazione empirica del tipo F W k /R n, con valori di k fra 1,30 e 1,45 e di n fra 0,75 e 0,85 (Bowden e Tabor 1964, p.250 e 302, vedi fig. 21). Teoricamente, trovano F W 4/3 /R 2/3 per una sfera e F W 3/2 /R ½ per un cilindro (ivi, p.299). Nel caso di carichi pesanti, invece le deformazione plastiche diventano importanti e, per il rotolamento di cilindri di metallo o di altri materiali duri, Collins (1972) trova una relazione F W 2 /R, confermata anche dalle misure di Johnson e White (1974). Diverso è il caso del rotolamento tipo ruota motrice, dove l'effetto dei micro-slittamenti può diventare importante. 18

19 3.7 La Commissione Jost e la nascita della tribologia Sull'impulso dei notevoli sviluppi delle ricerche sull'argomento nel dopoguerra e dei lavori di Bowden e Tabor, il governo inglese istituisce nel 1966 una Commissione di studio sull'attrito e la lubrificazione, con l'obiettivo di fare il punto sullo stato dell'arte e sui bisogni dell'industria e di promuovere la diffusione delle conoscenze sull'argomento. La relazione di tale commissione, nota come Commissione Jost dal nome del suo presidente, fornisce una stima dei costi legati alla lubrificazione e agli effetti dell'usura (300 milioni di sterline l'anno) e valuta i possibili risparmi ottenibili con perfezionamenti tecnologici 1. Sollecita allo scopo forti finanziamenti per la formazione e la ricerca nel settore. Nella relazione appare per la prima volta il termine tribologia (tribology, dal greco tribein, strofinare, o tribos, strofinamento, sfregamento) per indicare lo studio della scienza e tecnologia delle interazioni fra superfici in movimento relativo, unificando gli studi riguardanti l'attrito, l'adesione, la lubrificazione e l'usura. I lavori di questa Commissione segnano una svolta nel settore. Si sviluppano in tutto il mondo industrializzato numerosi programmi di formazione, in forma di brevi corsi nelle università, le industrie iniziano ad assumere personale con specifica preparazione nel settore, nascono gruppi professionali, società scientifiche e riviste specializzate, si organizzano congressi internazionali sull'argomento. Si manifesta tuttavia, com'è frequente nel mondo universitario, una certa resistenza all'unificazione dei diversi campi di ricerca afferenti alla nuova scienza della tribologia. Per esempio, è solo nel 1985 che il Journal of Lubrification Technology cambia il suo nome in Journal of Tribology. Il primo European Tribology Congress ha luogo a Londra nel Nel 1969, l'istituto d'ingegneria Meccanica inglese fonda il Tribology Trust, allo scopo di incrementare l'interesse per l'argomento, assegnando ogni anno alcuni premi per le ricerche più importanti nel settore. Il più prestigioso di tali premi è la medaglia d'oro della Tribologia, divenuta ormai una specie di premio Nobel per la tribologia. La prima medaglia d'oro è stata assegnata nel 1972 a D. Tabor, le successive sono andate a ricercatori di diverse nazionalità; nel 2004 ha ricevuto la medaglia di bronzo Daniele Dini, un ricercatore italiano, laureato a Bari, che però dal 2001 lavora ad Oxford, in Inghilterra, dove ha conseguito il dottorato di ricerca. 1 Krim (1996) riferisce di una valutazione del 1990, secondo cui negli USA tali risparmi potrebbero essere fra 1,3% e 1,6% del prodotto nazionale lordo. Persson (1998, p. V) riporta una stima del 6% del prodotto nazionale lordo per le perdite dovute all'ignoranza della tribologia ( resulting from ignorance of tribology ). 19

20 oggi. L'attrito a livello atomico, la nanotribologia. Nel periodo fra la fine degli anni '60 e la metà degli anni '80, nonostante i molti studi su aspetti particolari e su applicazioni, il quadro teorico è rimasto abbastanza stabile e sono stati fatti pochi progressi negli studi fondamentali sull'attrito (Persson 1998, p.6). A partire dagli ultimi anni 80 si apre una nuova fase, con un rinnovato interesse per gli aspetti fondamentali della tribologia e l'apertura di nuovi filoni di ricerca, una fase di rapido ed eccitante sviluppo (Persson 1998, p.445) che dura ancora oggi. L'origine di questo nuovo sviluppo risiede in due fattori sinergici: la disponibilità di alcuni nuovi strumenti, che permettono accurate misure ad una scala di grandezza micro e nanometrica in ben definite geometrie di contatto; la possibilità di eseguire efficienti simulazioni, grazie alla crescente potenza di calcolo dei computer. 4.1 Nuovi strumenti di osservazione e misura I nuovi strumenti sono l'apparato a forza superficiale (SFA), il microscopio a effetto tunnel (STM), il microscopio a forza atomica (AFM), il microscopio a forza laterale o a forza d'attrito (LFM o FFM), la microbilancia a cristallo di quarzo (QCM). L'apparato a forza superficiale (SFA) inizialmente sviluppato, già dal 1969, per misurare forze normali fra strati molecolari di mica o fra due superfici immerse in un liquido o in un gas, è stato utilizzato per le misure d'attrito dal 1973 e in seguito ulteriormente perfezionato e reso più preciso. In esso (fig. 22), due sottili strati lisci di un opportuno materiale, in genere mica (di spessore circa 2 µm), sono incollati sulla superficie di due cilindri di vetro o silicio (di diametro circa 1 cm), disposti in modo che le superfici cilindriche si affaccino con i loro assi ad angolo retto. Sulle superfici di mica è possibile depositare strati di altri materiali da studiare. Fra di esse si può porre un film di un lubrificante, di cui si vuole studiare il comportamento, il cui spessore può essere misurato con metodi ottici interferometrici con una sensibilità fino a 0,1 nm. Tutto il sistema può essere immerso in un ambiente gassoso o liquido, a temperatura e pressione controllabili, all'interno di una scatola chiusa. Le superfici cilindriche possono essere pressate l'una contro l'altra, formando una piccola zona di contatto piana e circolare, di raggio tipicamente fra 10 µm e 40 µm, con carichi fra 10 mn e 100 mn. Uno dei due solidi può essere spostato con un sistema ad alta precisione, mediante sbarrette piezoelelettriche, facendo così strisciare le due superfici l'una sull'altra (con velocità tipiche fra 1 nm/s e 0,1 mm/s), ed è collegato ad un bilanciere elastico che permette di misurare la forza d'attrito e la forza normale, mediante la deflessione del bilanciere stesso. La misura delle forze può essere eseguita con una sensibilità fino a 10 nn. La risoluzione degli spostamenti laterali è invece dell'ordine del micrometro. Il microscopio ad effetto tunnel (Scanning Tunneling Microscope, STM) è stato sviluppato nel 1981 al laboratorio IBM di Rüschlikon vicino Zurigo dallo svizzero Heinrich Roher (1933-) e dal tedesco Gerd Binnig (1947-). Un suo precursore, il Topografiner, funzionante su principi simili, era già stato realizzato nel 1971 da Russell Young in USA, al National Bureau of Standards (Young et al 1972), ma aveva una sensibilità di molto inferiore (3 nm e 400 nm rispettivamente in direzione perpendicolare e parallela alla superficie da analizzare) e funzionava con corrente di emissione di campo e non per effetto tunnel, pur suggerendo possibili sviluppi in tal senso. Lo STM inizia a diffondersi alla metà degli anni '80. Esso consente di ottenere delle immagini di superfici con una risoluzione dell'ordine del 20

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