Università degli Studi di Firenze Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali. Tesi di Laurea Triennale in Fisica

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1 Università degli Studi di Firenze Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Tesi di Laurea Triennale in Fisica CARATTERIZZAZIONE IN LABORATORIO DI FOTOMOLTIPLICATORI AL SILICIO Laboratory characterization of silicon photomultipliers Candidato: Francesco Poggiali Relatore: Prof. Oscar Adriani Anno Accademico 2010/11

2 Indice Introduzione 1 1 Fotomoltiplicatori e SiPM Fotomoltiplicatori tradizionali (PMTs) Fotomoltiplicatori al Silicio Caratterizzazione dei dispositivi HM-1095 e FBK Misure Corrente/Tensione (I-V) e prima stima del punto di lavoro Misure di corrente di buio (dark count) e di carica raccolta Analisi dati Incertezza sulla temperatura e sulla stima della tensione di breakdown Analisi dei conteggi di buio Misure di carica Conclusioni 30 Appendice A 31 Bibliografia 32

3 Introduzione L ampio uso di scintillatori nella rivelazione di particelle e la spettroscopia non sarebbero possibili senza la disponibilità di dispositivi in grado di convertire segnali estremamente deboli di luce in un corrispondente segnale elettrico: questo compito è generalmente svolto dai fotomoltiplicatori. Negli ultimi anni sono stati sviluppati fotomoltiplicatori di nuova tipologia, basati sull utilizzo di semiconduttori: i fotomoltiplicatori al silicio (SiPM). Scopo di questo lavoro di tesi è la caratterizzazione statica in laboratorio e il confronto dei parametri operativi dei due fotomoltiplicatori al silicio HM-1095 e FBK-016 attraverso misure, in condizioni di assenza di segnale, dell andamento della corrente di buio in funzione della tensione di contropolarizzazione, dei conteggi di impulsi di buio e della carica associata a questi ultimi. Queste misure sono state effettuate al variare della temperatura, per una caratterizzazione più completa di questi fotorivelatori. I dispositivi caratterizzati potrebbero essere utilizzati per applicazioni quali gli esperimenti MURAY [1] e γ400 [2] e per applicazioni in fisica medica con lo sviluppo di nuovi strumenti per esami quali scintigrafie. 1

4 Capitolo 1 Fotomoltiplicatori e SiPM 1.1 Fotomoltiplicatori tradizionali (PMTs) I dispositivi usati attualmente per la rivelazione di luce nella maggior parte dei casi sono i Fotomoltiplicatori a Tubo (Photomultiplier Tubes, PMTs): essi sono in grado di convertire segnali luminosi, anche di poche centinaia di fotoni, in un impulso di corrente utilizzabile, senza l aggiunta di un grande rumore casuale al segnale. La loro struttura consiste essenzialmente in un rivestimento esterno (generalmente vetro) che mantiene all interno del tubo le condizioni di vuoto richieste per far sì che elettroni a bassa energia possano essere accelerati efficientemente dal campo elettrico interno, uno strato di materiale fotosensibile chiamato fotocatodo e una struttura elettro-moltiplicatrice formata da molti ( 10) dinodi. I parametri che caratterizzano i PMTs sono l Efficienza Quantica (Quantum Efficiency, QE), il guadagno, l area attiva di raccolta, la sensibilità al campo magnetico e la risposta temporale. Si definisce QE il rapporto tra il numero di elettroni prodotti dall interazione con i fotoni incidenti sul dispositivo e il numero di questi ultimi; per i PMTs essa dipende fortemente dalla lunghezza d onda o dall energia del fotone incidente e nei casi migliori varia tra il 20% e il 30%. Il guadagno è il rapporto tra il numero di elettroni in uscita dal dispositivo e quelli prodotti all uscita del fotocatodo e tipicamente per un fotomoltiplicatore a tubo è dell ordine di L area attiva, cioè la superficie di raccolta dei fotoni, assume invece valori massimi intorno ai 100cm 2. Il fatto poi che gli elettroni fotogenerati si muovano nel vuoto all interno del dispositivo fa sì che essi siano soggetti all influenza di un eventuale campo magnetico presente, che potrebbe farli deviare sufficientemente da uscire dal sistema di dinodi elettromoltiplicatori; questo fenomeno ovviamente va considerato come possibile fonte di rumore sistematico. Infine la risposta temporale dei fotomoltiplicatori a tubo, ovvero 2

5 il tempo che intercorre tra l arrivo del fotone e l impulso elettrico ad esso associato, è dell ordine di qualche nanosecondo [5] con incertezza proporzionale all inverso della radice del numero di fotoelettroni emessi. 1.2 Fotomoltiplicatori al Silicio Lo sviluppo delle tecnologie legate ai semiconduttori ha portato anche nell ambito dei fotomoltiplicatori novità significative tramite l utilizzo di Fotodiodi a Valanga (Avalanche Photodiode, APD) e Fotomoltiplicatori al Silicio (Silicon Photomultiplayer, SiPM). I primi consistono in fotodiodi che lavorano in regime di Geiger mode, cioè con una tensione inversa in valore assoluto superiore a quella di breakdown. Si definisce quest ultimo il fenomeno per cui, in polarizzazione inversa, quando si raggiunge un certo valore di tensione, detto per l appunto tensione di breakdown (V BD ), la corrente aumenta in modo brusco raggiungendo valori molto alti (compatibilmente con gli eventuali limiti in corrente dovuti al resto del circuito), mantenendo la tensione ai capi del diodo ad un valore pressoché costante. [3] Uno dei fenomeni che portano a un breakdown elettrico reversibile è l effetto valanga; esso si basa sulla ionizzazione per urto ed ha luogo anche in giunzioni non strette e con drogaggi cm 3 in Si. L innesco può essere dato dai portatori generati termicamente entro la regione di svuotamento e in presenza di un campo tanto forte da causare ionizzazione secondaria da impatto al termine di ogni cammino libero. L effetto valanga fa sì che un portatore generato all inizio della regione di svuotamento sia in grado di creare a sua volta un numero elevato di coppie elettrone-lacuna. A questo punto possiamo definire operativamente la V BD come quella tensione a cui si innesca la valanga. Per le normali applicazioni nelle quali si vuole una amplificazione costante (numero coppie prodotte complessivamente proporzionale all originale numero di coppie elettrone-lacuna), un singolo fotodiodo che opera in Geiger mode è di limitato interesse, dal momento che ogni informazione sul numero originale di elettroni o fotoni che hanno generato la valanga è persa. Tuttavia è stato scoperto un utile dispositivo che sfrutta le proprietà uniche di arrays di fotodiodi operanti in Geiger mode di piccole dimensioni. I Fotomoltiplicatori al Silicio (anche chiamati solid state photomultiplier, SSPM, o multi-pixel photon counter, MPPC) sono matrici di celle di fotodiodi a valanga, dalle dimensioni di pochi micron, quadrate, contropolarizzate in maniera indipendente, ognuna attraverso una resistenza separata, ma con gli anodi connessi tutti insieme. Il segnale di anodo osservato sarà quindi la somma dei segnali 3

6 generati sui singoli fotodiodi. Idealmente, la dimensione della singola cella è piccola abbastanza da rendere bassa la probabilità che una di esse venga colpita da una fotoscintillazione durante un impulso, e, conseguentemente, su una cella tipica con buona probabilita incida al massimo un singolo fotone. Il numero di celle che producono una valanga è dunque proporzionale al numero di fotoni interagenti incidenti; il segnale di uscita di ogni cella, quando opera in Geiger mode, ha circa la stessa ampiezza, ottenuta dall uniformità delle celle e dall individuale resistenza di quenching implementata sul silicio per ogni singolo pixel. Nella figura 1.1 vediamo lo schema circuitale equivalente normalmente utilizzato per schematizzare una della del SiPM (1.1(a)), l architettura dei SiPM (1.1(b)) e la struttura della singola cella (1.1(c)). Come si vede dalla 1.1(a) la singola cella viene tenuta a una tensione V BIAS più alta (in valore assoluto) della tensione di breakdown; quando un evento (assorbimento di un fotone) si verifica, si innesca la valanga, la capacità del pixel scarica a V BD con una costante di tempo R S C D e contemporaneamente la corrente del diodo cresce fino a (V BIAS V BD )/R Q. Una volta terminata la valanga, la capacità del diodo sarà ricaricata a V BIAS con una costante di tempo uguale a R Q C D, e la cella sarà pronta per un altra misura. Dalla figura 1.1(b) vediamo più nel dettaglio come tale dispositivo sia strutturato come una matrice di N microcelle disposte in parallelo, ognuna con una propria resistenza di quenching, connesse a un nodo di output comune. In un SiPM dunque la carica in uscita è proporzionale al numero di celle innescate, che è pari al numero di fotoni incidenti, se si assume una PDE (Photo Detection Efficiency) del 100%. I parametri chiave in un fotomoltiplicatore al silicio sono: guadagno, Photodetection Efficiency, rumore, tensione di breakdown e range dinamico (e conseguente tensione operativa), risoluzione temporale. Il guadagno, definito nel paragrafo precedente, in un SiPM è dato dall effetto valanga stesso, ed è comunemente dell ordine di ; esso dipende in modo direttamente proporzionale dalla sovratensione rispetto alla tensione di breakdown e dalla temperatura a cui viene mantenuto il SiPM. [4] La PDE è la probabilità che un fotone incidente in una qualunque parte del nostro dispositivo venga rivelato e dipende in modo direttamente proporzionale da tre fattori principali: il fattore geometrico (il fill factor), l efficienza quantica e la probabilità di generare una valanga (ɛ trig ). Per quanto riguarda l aspetto geometrico è importante ridurre il più possibile lo spazio morto tra i pixels che formano la matrice per mantenere alta l efficienza del fotomoltiplicatore: un fotone incidente su quest ultimo infatti non provocherà alcuna reazione da parte dello strumento. Risulta importante allora in questo senso il parametro di fill factor (fattore di riempimento), che 4

7 (a) APD con resistenza di quenching passiva. (b) Matrice di pixels e risposta attesa. (c) Due tipi di struttura normalmente utilizzati per gli APD. Figura 1.1: Struttura circuitale e fisica di un SiPM e del singolo pixel e corrispondente segnale di uscita. 5

8 è esattamente il rapporto tra l area attiva di una cella e la sua area totale, compresi gli elementi circuitali necessari per la polarizzazione e per la lettura del segnale di uscita, e sarà proprio il primo dei tre fattori che compongono la Photo-detection Efficiency. La QE, efficienza quantica definita nel paragrafo precedente, di un singolo fotodiodo a valanga dipende fortemente dall energia dei fotoni incidenti (quindi dalla loro frequenza) e può arrivare anche all 80-90%. In generale essa varierà perciò a seconda del tipo di materiale utilizzato, dei drogaggi e dell architettura del dispositivo. Su quest ultimo aspetto in riferimento alla fig. 1.1(c) possiamo dire che la struttura p-on-n (impiantazioni di tipo p su un substrato di tipo n) è maggiormente sensibile alla regione blu dello spettro e la n-on-p (impiantazioni di tipo n su un substrato di tipo p) al rosso. La probabilità di generazione di una valanga dipende dal punto all interno della cella in cui il portatore è generato; l elettrone ha inoltre maggiore probabilità a parità di campo elettrico di dar luogo alla valanga rispetto a una lacuna e perciò un fotone convertito in una coppia e-h in uno strato p avrà una ɛ trig maggiore. Complessivamente valori tipici per la Photo-detection Efficiency di un SiPM variano intorno al 30-50%, significativamente più alti rispetto all efficienza quantica di un fotomoltiplicatore tradizionale. Aumentare il più possibile la PDE però non è in generale sufficiente per massimizzare la funzionalità del dispositivo, dato che questo aumento può portare ad un incremento considerevole del rumore tale da inficiare la misura. Le fonti di rumore in un fotomoltiplicatore al silicio sono il cross-talk ottico, gli afterpulse e il dark count. Durante una scarica Geiger si generano dei fotoni che possono migrare verso altre celle e dar luogo ad altri eventi di scarica: questo fenomeno è denominato cross-talk ottico. Il processo a valanga genera mediamente 3 fotoni ogni 10 5 portatori [6] che possono dare quindi luogo a ulteriori scariche, nel caso in cui questi fotoni raggiungano una delle celle adiacenti, aumentando il rate di rumore complessivo. La lunghezza d onda critica dei fotoni che possono generare cross-talk è compresa tra 850 e 1100nm: per una lunghezza d onda minore di 850nm si ha generalmente l assorbimento nello stesso pixel, mentre per una lunghezza d onda maggiore di 1100nm generalmente il fotone non viene assorbito [7]. Andando a valutare la dipendenza di tale rumore dalla tensione di contropolarizzazione applicata, notiamo come sia il guadagno, che produce un aumento lineare del numero di fotoni secondari generati, sia la PDE, che produce un aumento lineare del rate di scariche Geiger, dipendono direttamente da V: conseguentemente il cross-talk sarà una funzione quadratica della tensione applicata. Ovviamente quando, a parità di superficie della cella, si riduce il più possibile lo spazio morto per aumentare il fill factor e 6

9 la PDE del dispositivo, l aumento non controllato di questo tipo di rumore è un effetto collaterale da considerare con attenzione. D altra parte è possibile cercare di ridurre tale fenomeno attraverso separazioni ottiche o scanalature tra pixel e pixel che però vanno proprio ad aumentare la superficie non attiva del SiPM. [8] Il rumore di after-pulse è dovuto ai portatori intrappolati in impurità del cristallo che vengono poi rilasciati dopo un certo tempo e causano una valanga ritardata all interno dello stesso pixel; tipicamente la scala temporale di questo fenomeno è 100ns. La probabilità dell afterpulsing dipende dalla tensione di lavoro: un alto campo elettrico infatti dà come risultato un maggior numero di portatori e quindi una maggiore probabilità che qualcuno di questi possa essere intrappolato. La temperatura poi influirà sul tempo di rilassamento della trappola in modo inversamente proporzionale. Una possibilità di riduzione di questo rumore consiste nell aumento del tempo di recupero con una resistenza di quenching più grande, anche se questo porta ad un aumento del tempo di recupero tra una misura e un altra. Naturalmente la cosa più importante per limitare questo fenomeno è il controllo delle impurità e della qualità del cristallo del dispositivo, che in ogni caso oltre un certo livello risulta molto difficile e costoso. La maggiore fonte di rumore dei fotomoltiplicatori al silicio rimane comunque la corrente di buio (dark noise o dark count). Essa è generata da portatori liberi generati termicamente che innescano la valanga. Il rumore di buio produce un segnale identico a quello di una valanga dovuta alle coppie elettrone-lacuna generate dalla luce ed è di gran lunga il rumore dominante a temperatura ambiente. Il rate tipico alle comuni tensioni operative è 100kHz 1MHz a 25 C e generalmente viene all incirca dimezzato ogni 8 C. mm 2 Inoltre la generazione termica di portatori è direttamente proporzionale al volume della regione di svuotamento. Dato poi che gli elettroni sono più efficienti nel generare la valanga, un dispositivo con una regione drogata di tipo p più piccola, dove questi hanno un moto di deriva verso la regione con alto campo elettrico, ha un rate di rumore più basso. La diminuzione del dark noise richiede una diminuzione delle impurità, cosa che come abbiamo detto è difficile da realizzare oltre un certo livello; d altra parte la corrente di buio è la maggiore limitazione all uso di questo tipo di dispositivi e un suo abbattimento è necessario per i suoi reali utilizzi futuri. La tensione di breakdown è il paramentro più importante per definire le condizioni operative dei SiPM; difatti generalmente la tensione di lavoro dei fotomoltiplicatori al silicio è di qualche volt superiore alla V BD ; questa scelta è la conseguenza di alcune considerazioni: aumentare il voltaggio porta sì a una maggiore PDE (attraverso l aumento della ɛ trig ) e a un guadagno più alto, ma oltre un certo livello il rumore del dispositivo (a partire dalla 7

10 corrente di buio) diventa troppo elevato e non ha più un andamento facilmente prevedibile, compromettendo così la linearità della risposta rispetto al segnale luminoso. Per valutare quale sia il punto di lavoro migliore, sempre ovviamente a seconda della finalità della misura, il metodo più efficace è la stima del dark count. Al di sotto della V BD infatti la probabilità di generare una valanga di qualsiasi tipo, sia attraverso coppie e-h dovute ai fotoni incidenti sia grazie a portatori generati termicamente, tende a zero, mentre in regime di breakdown la corrente uscente dal dispositivo mantenuto al buio avrà l andamento: I = DC guadagno e (1.1) dove DC è il numero degli impulsi di buio per unità di tempo (dark count) ed e il valore della carica elementare. È perciò importante il conteggio dei dark count che fornisce informazioni precise per stimare la tensione di breakdown, oltre che ovviamente per dare una caratterizzazione del rumore del dispositivo indispensabile per l analisi delle misure effettuate coi SiPM: se andiamo a esprimere il numero degli impulsi di buio in funzione della tensione applicata al dispositivo, si otterrà una funzione che avrà lo 0 proprio fino alla tensione V BD. Quest ultima solitamente assume valori compresi tra i 30V e i 70V. A questo punto è giusto considerare l ultimo parametro importante per l uso di questi dispositivi: la risposta temporale, generalmente molto veloce (inferiore a 1ns). [9] Il tempo di discesa del segnale anodico e il tempo di recupero del pixel sono determinati dal prodotto R Q C D : più grande è il pixel, maggiore sarà la sua capacità e quindi la sua costante di tempo di recupero. Utilizzando dispositivi molto sottili sono state misurate risoluzioni temporali dell ordine di 150 ps, eccellenti per misure in cui le informazioni sul tempo di passaggio delle particelle nei rivelatori sono essenziali (per esempio misure di tempo di volo). Riassumendo, i vantaggi nell uso di un SiPM rispetto a un PMT tradizionale per la rivelazione di segnali luminosi sono: La bassa tensione operativa: poche decine di volt contro valori che si aggirano intorno agli 800V per i PMTs. L efficienza di rivelazione della luce: essa si aggira attorno al 50%, contro il 20-30% di un PMT tradizionale. Ininfluenza di campi magnetici: al contrario dei fotomoltiplicatori tradizionali questi non risentono di eventuali campi magnetici presenti. D altra parte il vero limite all utilizzo dei fotomoltiplicatori al silicio rimane l alto rumore. Inoltre, le ridotte dimensioni possono rappresentare un pregio 8

11 nelle applicazioni in cui un SiPM viene utilizzato come rivelatore accoppiato a una fibra ottica, ma un difetto in applicazioni nelle quali si richiede la lettura di fotoni su grandi superfici. 9

12 Capitolo 2 Caratterizzazione dei dispositivi HM-1095 e FBK-016 I dispositivi trattati in questo lavoro di tesi, di cui ci siamo proposti la caratterizzazione dell andamento della tensione di breakdown, dei conteggi di dark count e della carica associata agli impulsi al variare della temperatura, sono uno di produzione industriale giapponese, Hamamatsu HM-1095, e uno prodotto presso Trento dalla Fondazione Bruno Kessler (FBK-irst), FBK-016. I loro dati forniti dai costruttori sono riportati nelle tabelle 2.1 e 2.2. HAMAMATSU-1095 Modello S U Numero di serie 1095 Dimensione celle 50x50µm 2 Caratteristiche costruttive Numero di celle 400 Forma Quadrata Dimensione totale 1mm 2 Struttura APD delle celle n-on-p Valori validi alla temperatura di 25 C Tensione operativa 71.27V Dark Noise 555kHz Tabella 2.1: Dati del costruttore del dispositivo Hamamatsu. Il lavoro di caratterizzazione dei due dispositivi si è svolto in due parti: nella prima sono state effettuate le misure di corrente-tensione (I-V) in camera pulita alle diverse temperature col fine di stimare (anche solo graficamente) la tensione di breakdown e quindi il punto di lavoro del dispositivo; nella seconda le misure di conteggio del dark count e della carica raccolta in funzione 10

13 Caratteristiche costruttive FBK-016 Numero di serie 016 Dimensione celle 70x70µm 2 Numero di celle 292 Forma Circolare Dimensione totale 1.43mm 2 Struttura APD delle celle p-on-n Tabella 2.2: Dati del costruttore del dispositivo FBK. della d.d.p. aggiuntiva rispetto alla V BD ottenuta precedentemente, sempre al variare della temperatura. Al fine di semplificare l esposizione, specifico che il lavoro svolto è stato compiuto in maniera sostanzialmente uguale sia per il dispositivo Hamamatsu HM-1095 che per l FBK-016, e che preciserò quindi solo la presenza di eventuali differenze. Per il controllo della temperatura abbiamo usato per entrambe le fasi di laboratorio una cella Peltier accoppiata a una termoresistenza PT1000: in generale abbiamo variato la tensione di alimentazione per raggiungere la resistenza corrispondente alla temperatura voluta, misurata con un ohmetro, ai capi della cella, atteso tre minuti circa per assicurarcene la stabilità, effettuato le misure e riverificato al termine di esse che non fosse cambiato il valore segnato dallo strumento. Nel dettaglio sottolineo che la cella Peltier andava a raffreddare una placchetta di rame dotata di una cavità all interno della quale venivano posti i case dei nostri dispositivi, e non ovviamente il dispositivo stesso. 2.1 Misure Corrente/Tensione (I-V) e prima stima del punto di lavoro Come già accennato le misure di I-V sono state svolte in camera pulita, quest ultima mantenuta alla temperatura ambientale di 20 C con aria semisecca. La sbarretta di rame di cui abbiamo parlato è stata fissata dentro una scatola e abbiamo posizionato quest ultima all interno di una probe station per assicurarci l assenza di luce. L alimentazione dei dispositivi era fornita da un generatore di tensione HP 4142B, attraverso il quale passava poi anche il segnale dei SiPM, inviato infine alla scheda di lettura GPIB contenuta in un calcolatore della camera stessa. Il sistema è schematizzato in figura

14 Dopo esserci assicurati di aver collegato il dispositivo con la giusta pola- Figura 2.1: Apparato di misura per tracciare la curva caratteristica I-V. La polarizzazione della tensione di alimentazione non ha coinciso sempre con quella nello schema, date le due diverse strutture (n-on-p per l HM-1095 e p-on-n per l FBK-016). rizzazione, ne è stata impostata l alimentazione dal computer attraverso il programma di interfaccia con il generatore, da 0.00 V a V per l FBK- 016 e da 0.00 V a V per l HM-1095, con passi per entrambi di 100 mv al secondo, imponendo comunque un limite al passaggio di corrente di 200 µa per fermare la misura. Con queste condizioni abbiamo ottenuto infine un grafico di I-V sul nostro calcolatore campionando la corrente uscente dal dispositivo per ogni tensione a cui era alimentato. Riporto nella tabella 2.3 l elenco delle misure effettuate. Dopo le misure a 20 C e 15 C, che non avevano mostrato nessun particolare problema, è stato notato, a parità di tensione, un aumento della corrente di saturazione inversa di circa tre ordini di grandezza e un suo andamento più altalenante; nell assicurarci che i contatti fossero corretti e che il dispositivo fosse integro ci siamo accorti di una leggera condensa sul case del SiPM. Abbiamo perciò proceduto ad asciugarlo con l aria secca a disposizione in camera pulita: questo faceva sì che la corrente di saturazione tornasse ai livelli delle tempe- 12

15 Resistenza della cella Peltier Temperatura Ω 20 C Ω 15 C Ω 10 C Ω 5 C 1000Ω 0 C 980.4Ω -5 C Tabella 2.3: Valori della resistenza della cella Peltier e conseguenti temperature a cui sono state effettuate le misure di I-V sui due dispositivi. rature precedenti; quindi per tutte le temperature uguali o inferiori ai 10 C abbiamo proceduto con un raffreddamento del dispositivo con la cella Peltier alternato col passaggio dell aria secca. Una volta completato il set di misure abbiamo proceduto alla stima della tensione di breakdown per ogni temperatura analizzando la curva di corrente/tensione in scala logaritmica, un esempio della quale viene riportato in figura 2.2. Come già evidenziato nel capitolo precedente a proposito della relazione 1.1, dato che la carica elementare è costante e che dipendono linearmente da V sia il DC (vedi cap. 3.2) che il guadagno, possiamo prevedere un andamento della corrente quadratico rispetto alla tensione per valori superiori a V BD, mentre per valori della tensione poco minori della V BD ci si aspetta un andamento di tipo esponenziale: questo vuol dire che a tale tensione avremo un cambiamento di concavità del nostro grafico I-V in scala logaritmica. È quindi trovando il punto a cui ciò avviene che abbiamo stimato V BD. I valori di tensione, riportati nella tabella successiva (privi dell errore ad essi associati di cui parleremo nel paragrafo di analisi dati), a cui avviene questo sono stati scelti come punto di lavoro per la sezione successiva. Temperatura Vbd dell FBK-016 Vbd dell HM C 29.8V -69.8V 15 C 29.5V -69.5V 10 C 29.1V -69.2V 5 C 28.8V -69.0V 0 C 28.5V -68.7V Tabella 2.4: Prima stima della tensione di breakdown dei due dispositivi alle diverse temperature. 13

16 Figura 2.2: Misura di I-V in scala logaritmica per il dispositivo FBK-016 alla temperatura di 10 C. Sull asse delle ordinate è riportata la corrente in A (nel grafico valori che vanno da 100fA a 100µA), mentre sull asse delle ascisse viene riportata la tensione applicata in V. 14

17 2.2 Misure di corrente di buio (dark count) e di carica raccolta Questa parte del lavoro, effettuata in laboratorio e non in camera pulita, è consistita nel conteggio manuale degli impulsi di buio e nella misura della carica raccolta attraverso un oscilloscopio LeCroy LC584A, al variare della d.d.p. rispetto al punto di lavoro, alle stesse temperature a cui avevamo fatto le misure di I-V. Per far ciò abbiamo adottato il sistema di misura di figura 2.3, dove KEI- THLEY 237 è lo strumento utilizzato per l alimentazione dei dispositivi e P.A. il preamplificatore di carica utilizzato per amplificare il segnale dei Si- PM; sottolineo che la scatola di questi ultimi è stata oscurata con un panno nero per minimizzare la raccolta di luce da parte del sensore. Per ogni V BD abbiamo quindi effettuato sette insiemi di misure, una per Figura 2.3: Sistema di misura per il DC e la carica raccolta. Per la polarizzazione vedi nota a fig.2.1. ogni valore di overvoltage V (definito come la differenza tra la d.d.p. a cui viene alimentato il dispositivo in regime di valanga e la tensione di breakdown stimata nel paragrafo precedente). Questi saranno i valori di tensione a cui immaginiamo dovranno essere operativi e utilizzati i nostri dispositivi. Abbiamo scelto quindi valori di overvoltage compresi tra 1.00V e 2.50V a passi di 0.25V. Per ogni V alle varie temperature sono state prese 16 misure di Conteggi 15

18 di Buio (DC) e una misura della carica raccolta. Un esempio di file di dati è riportato in appendice. In dettaglio il lavoro di conteggio si è svolto campionando il segnale dai dispositivi con un oscilloscopio digitale veloce e andando a contare nell intervallo di tempo considerato il numero di impulsi di buio, facendo attenzione a evitare di contare gli eventuali picchi secondari relativi al primo segnale; il criterio di scelta del fondo scala dei tempi è stato quello di mantenere sufficientemente alto il numero di conteggi nell intervallo (mediamente almeno una decina) in modo da ridurre l errore sulla media, e permettere contemporaneamente comunque di distinguere facilmente i diversi segnali, anche con l ausilio dello zoom dell oscilloscopio, evitando così eventuali errori personali difficili poi da stimare. Per la misura della carica sono state usate le funzioni dell oscilloscopio per calcolare l integrale degli impulsi, farne una distribuzione e restituirne posizione del picco e deviazione standard. Abbiamo posto attenzione a scegliere una scala di tempi e tensioni che ingrandisse i segnali mantenendoli comunque interamente all interno del display, in modo da poter selezionare bene la regione di integrazione del segnale; per la media e l errore abbiamo tenuto conto ovviamente solo della distribuzione degli impulsi primari, escludendo dall elaborazione dello strumento le distribuzioni dovute alla carica degli impulsi secondari e successivi. Quando, dopo la misura a 0 C, abbiamo aumentato la tensione della cella Peltier per arrivare a -5 C, i valori di resistenza non scendevano più ma al contrario tornavano a salire; questo perché, lavorando a una temperatura ambientale di laboratorio più alta rispetto a quella della camera pulita, avevamo raggiunto il limite di potenza dissipabile dalla cella prima di poter raggiungere i -5 C. Abbiamo così dovuto rinunciare alle misure a questa temperatura. 16

19 Capitolo 3 Analisi dati 3.1 Incertezza sulla temperatura e sulla stima della tensione di breakdown Preliminarmente a tutte le altre analisi dati è giusto considerare l incertezza relativa alla temperatura. Con il nostro multimetro eravamo in grado di misurare il valore della termoresistenza con una sensibilità di 1Ω: questo ci porta già 0.5Ω di errore. Inoltre c è da aggiungere 1Ω di errore relativo alla possibile variazione della temperatura durante i campionamenti. A questo punto si ottiene facilmente: T = T T 2 T 1 5 C = Ω = 1.5Ω Ω 2 Ω Ω T 0.4 C (3.1) Quindi ogni misura sarà affetta da un incertezza sulla temperatura di 0.4 C. Per quanto riguarda la stima dell errore associato al punto di lavoro trovato con le misure di tensione/corrente abbiamo considerato come incertezza semplicemente quella relativa all individuazione per via grafica del cambiamento di concavità, valutata conservativamente in 0.20V. 3.2 Analisi dei conteggi di buio Come già evidenziato, la corrente di buio è il termine che fornisce il contributo al rumore più significativo e da essa dipende in definitiva la funzionalità del dispositivo stesso. Definiremo allora come regione operativa quella in cui l andamento del dark count in funzione dell overvoltage è lineare. Questo sarà verificato per un certo limitato intervallo di tensione superiore alla V BD, 17

20 oltre il quale aumentano i contributi di fonti di rumore quali cross-talk ottico o fenomeni di after pulse difficilmente prevedibili. Definendo la singola misura non elaborata di conteggio c i e la scala tempo/divisione dell oscilloscopio che abbiamo preso f s(t) ed essendo il numero di divisioni temporali dello strumento uguale a 10, si avrà come misura del rate di dark count (in Hz) associata a c i : λ i = c i fs(t) 10 (3.2) Considerando quindi i conteggi λ i nel singolo set di misure di dark count come eventi indipendenti tra loro, la loro distribuzione avrà l andamento di una poissoniana; la migliore stima del valore vero sarà data dalla semplice media λ del set di N = 16 conteggi: λ = Ni=1 c i N 1 fs(t) 10 (3.3) e l errore ad esso associato da: con σ deviazione standard: λ = σ = σ N 1 [10] (3.4) Ni=1 (λ i λ) 2 N 1 (3.5) A questo punto abbiamo effettuato un fit lineare mettendo in grafico i valori delle medie dei conteggi ad una data temperatura in funzione dell overvoltage rispetto a V BD. Nelle pagine successive sono riportate le tabelle con i dati elaborati dei conteggi di buio e due grafici come esempio. Andando a guardare i grafici dell FBK ottenuti alle temperature di 5 C e 0 C, rispettivamente in figura 3.1(a) e 3.1(b), si nota che la dipendenza lineare del dark count dall overvoltage è verificata entro le incertezze di misura per tutto l intervallo di tensioni che abbiamo preso; questo si può vedere che vale per tutte le temperature, ad eccezione della misura a 10 C, fatto probabilmente imputabile a errori dell operatore in sede di misura. Il previsto passaggio dall origine poi è verificato entro le incertezze di misura (ricordo che sull ascissa dell origine abbiamo stimato un incertezza di 0.2V) per tutte le temperature esaminate. Per quanto riguarda invece il dispositivo Hamamatsu, è evidente dalle figure 3.2(a) e 3.2(b) che la dipendenza non risulta essere lineare su tutto l intervallo 18

21 FBK-016 T ( C) V (V) DC (Hz) DC (Hz) e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e+05 Tabella 3.1: Dati elaborati dei conteggi di buio con relative incertezze per l FBK-016 ad ogni temperatura e overvoltage considerato. 19

22 HM-1095 T ( C) V (V) DC (Hz) DC (Hz) e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e e+04 Tabella 3.2: Dati elaborati dei conteggi di buio con relative incertezze per l HM-1095 ad ogni temperatura e overvoltage considerato. 20

23 1.6e e+07 "datielaborati/fbk5dcelab" f(x) 1.2e+07 1e+07 8e+06 conteggi/s 6e+06 4e+06 2e e+06-4e V (V) (a) DC dell FBK-016 in funzione di V alla temperatura di 5 C. 1.4e e+07 "datielaborati/fbk0dcelab" f(x) 1e+07 8e+06 conteggi/s 6e+06 4e+06 2e e V (V) (b) DC dell FBK-016 in funzione di V alla temperatura di 0 C. Figura 3.1: Grafici di conteggi di buio per FBK

24 2.5e+06 2e+06 "datielaborati/hm20dcelab" f(x) 1.5e+06 1e+06 conteggi/s e e V (V) (a) DC dell HM-1095 in funzione di V alla temperatura di 20 C e tentativo di fit lineare utilizzando tutte le misure acquisite "datielaborati/hm10dcelab" f(x) conteggi/s V (V) (b) DC dell HM-1095 in funzione di V alla temperatura di 10 C e tentativo di fit lineare utilizzando tutte le misura acquisite. Figura 3.2: Grafici di conteggi di buio per HM

25 di misura e che le rette dei fit lineari riportati in grafico non passano dall origine entro le incertezze da noi considerate valide; 1 abbiamo riscontrato lo stesso effetto anche sulle altre misure, seppure in modo minore sotto i 15 C; ciò è spiegabile come risultato di effetti di cross-talk ottico o fenomeni di after pulse, che aumentano con l overvoltage in modo analogo all andamento riscontrato per le misure dei conteggi di buio e tendono poi a diminuire con la temperatura, esattamente come riscontrato nei nostri dati. Perciò il range operativo del nostro dispositivo sarà minore di quello considerato da noi in partenza. Abbiamo quindi rieffettuato un fit dei dati limitandoci a considerare valori di V al di sotto di 2.00V, e il risultato è riportato nel grafico di figura 3.3(a). Nel nuovo intervallo il fit lineare è chiaramente corretto e viene risolto anche il problema del passaggio dall origine. Un discorso a sé stante lo meritano le misure effettuate a 0 C riportate in figura 3.3(b), che hanno un andamento lineare anche su tutto l intervallo di overvoltage originario, ma non prevedono il passaggio dall origine della retta entro l errore, nemmeno riducendo il range operativo: probabilmente è stato commesso un errore nella valutazione del punto di lavoro con la curva I-V, dato che le misure di conteggio di buio sono in generale più precise, o in alternativa abbiamo valutato in maniera errata la temperatura, dato che a 0 C eravamo al limite della potenza dissipabile dalla cella peltier. Infine possiamo notare come il valore dei conteggi associati al dispositivo HM-1095 sia inferiore di uno o due ordini di grandezza rispetto a quelli dell FBK-016, che raggiunge persino i 23 MHz a T=20 C e V =2.5V. Un rumore così alto ovviamente potrebbe rendere difficile l utilizzo di questo dispositivo, che presenta invece caratteristiche migliori dal punto di vista della zona operativa. 1 In realtà, per stabilire in maniera rigorosa la compatibilità del passaggio dall origine della retta di fit y = a + bx, dovremmo valutare la varianza (Var) del valore della variabile y estrapolata ŷ per ˆx = 0, tenendo conto della correlazione tra i parametri a e b della retta fittata, che risulta essere: V ar(ŷ) = σ ŷ 2 N [1 + (ˆx x m) 2 V ar(x) ] [11] Nel nostro caso, tenendo conto dei valori di x utilizzati per le misure, si trova però che V ar(ŷ) 2V ar(y) = 2σ(y) 2. La compatibilità nel passaggio dall origine della retta di fit, considerando anche l errore sistematico di ±0.2V su x, si ha quindi se esiste almeno un valore della variabile x compreso tra 0.2V e +0.2V in cui la retta estrapolata assume un valore compreso tra 2σ(y) e + 2σ(y). 23

26 2.5e+06 "datielaboratihm/hm20dcelab" f(x) 2e e+06 conteggi/s 1e V (V) (a) Conteggi di buio dell HM-1095 a 20 C con fit del nuovo range operativo (considerando le misure con V < 2.00V ) "datielaboratihm/hm0dcelab" f(x) conteggi/s V (V) (b) Conteggi di buio dell HM-1095 a 0 C con fit del nuovo range operativo. Si osservi come la retta non passa dall origine entro le incertezze sperimentali. Per una possibile spiegazione si rimanda al testo. Figura 3.3: Nuovi grafici del dispositivo HM

27 3.3 Misure di carica Come detto nel capitolo 1, per le misure di carica Q degli impulsi ci si aspetta un andamento lineare rispetto a V e costante rispetto alla temperatura. Abbiamo perciò preso i valori di integrale del segnale S i misurati e cercato di verificare tali andamenti. Nel valutare l errore su questi dati ci siamo peró resi conto che la deviazione standard σ fornitaci dall oscilloscopio sottostimava l incertezza sulla misura, anche perché i valori dipendevano fortemente dal fondo scala delle tensioni impostato sullo strumento; abbiamo quindi verificato la presenza di un errore sistematico sulle misure dovuto a una non perfetta calibrazione dell oscilloscopio, che misurava una tensione diversa da 0 anche in assenza di segnale di ingresso (offset). Inoltre abbiamo verificato che l effetto dipendeva anche dalla scala di tensione impostata, influendo quindi sull integrale degli impulsi; abbiamo allora riprodotto le condizioni di misura mettendo in ingresso però un segnale nullo e ottenuto come stima dell integrale di questo offset off = 1pV s. L incertezza sulla stima dell integrale del segnale sarà data quindi dalla somma dell errore sistematico dovuto all offset e di quello dato dallo strumento di misura: A questo punto abbiamo usato le relazioni: S i = off + σ i (3.6) S i =< V i dt >=< t i R o I i dt >= R o < t i I i dt >= R o Q i t i (3.7) dove t i è ovviamente l intervallo di tempo in cui si effettua l integrale e R o è la resistenza di richiusura di fig. 2.3 (50Ω) che abbiamo messo in parallelo all oscilloscopio. Q i = S i R o e Q i Q i = S i S i + R o R o (3.8) Notiamo però che l errore relativo sulla resistenza è minore di un ordine di grandezza rispetto a quello su S i e perciò sarà trascurato. Nella tabella 3.3 riporto i dati elaborati completi di Q. Abbiamo quindi messo in grafico i valori di Q in funzione di V a temperatura costante; ne riporto due ad esempio per ogni dispositivo nelle figure Da queste si vede che l andamento della carica misurata è coerente con quello atteso per entrambi i SiPM, sia per quanto riguarda la linearità rispetto a V sia per la costanza rispetto alla temperatura, entro le incertezze di misura. Si nota però nei vari grafici che, per quanto riguarda il passaggio previsto dall origine, c è un piccolo spostamento verso valori di carica positivi per V uguale a 0: questo 25

28 FBK 016 T ( C) V (V) Q (fc) Q (fc) HM 1095 T ( C) V (V) Q (fc) Q (fc) Tabella 3.3: Valori di carica degli impulsi di buio con rispettiva incertezza ai vari valori di overvoltage per ogni temperatura. 26

29 "datielaboratiq/fbk5dcq2" f(x) Q (fc) V (V) "datielaboratiq/fbk20dcq2" f(x) Q (fc) V (V) Figura 3.4: Carica in funzione dell overvoltage per il dispositivo FBK alle temperature di 5 C e 20 C 27

30 500 "datielaboratiq/hm15dcq2" f(x) Q (fc) V (V) 500 "datielaboratiq/hm5dcq2" f(x) Q (fc) V (V) Figura 3.5: Carica in funzione dell overvoltage per il dispositivo HM alle temperatura di 15 C e 5 C 28

31 dovrebbe essere dovuto all offset dell oscilloscopio, che abbiamo introdotto come errore sistematico, che probabilmente contribuisce nello stesso modo su tutte le misure alzando il valore della carica. Notiamo infine che la risposta dell FBK016 è maggiore di quella dell HM1095 a parità di V : questo è indice che nel primo dispositivo si ha un maggiore guadagno. 29

32 Conclusioni Dalle misure svolte e dall analisi dei dati acquisiti si possono trarre alcune conclusioni importanti sul funzionamento dei due dispositivi oggetto di questo lavoro di tesi e sulle loro differenze: tensione e range operativo, guadagno, rate di impulsi di buio. Innanzitutto notiamo come il dispositivo FBK-016 abbia una tensione operativa molto minore, pari a circa 1/2 quella dell HM- 1095; possiamo vedere poi come anche il range operativo sia favorevole al primo dispositivo in quanto l andamento del dark count si mantiene lineare per un intervallo di overvoltage superiore a quello dell Hamamatsu. A questi dati si aggiunge in favore dell FBK un maggiore guadagno: infatti dalla misura di carica raccolta risulta evidente che il dispositivo italiano presenta un maggior numero di portatori associati alla singola valanga. D altra parte possiamo vedere come l FBK abbia un rate di conteggi di buio molto alto e considerevolmente maggiore rispetto all HM; come esempio prendiamo le misure effettuate a 20 C con V = 1.75V (condizioni operative plausibili per questi SiPM): il dark count del primo dispositivo risulta oltre 30 volte più grande di quello del secondo. Per quanto detto, nel caso in cui si sia interessati a valutare l intensità luminosa di segnali deboli (dell ordine di pochi fotoelettroni) l alto rumore dell FBK influenzerà certamente in negativo la misura; questo dispositivo potrebbe invece garantire delle performance migliori rispetto all Hamamatsu dal punto di vista di guadagno e regione operativa, tali da ritenere il suo utilizzo vantaggioso per grandi segnali (corrispondenti a molti fotoelettroni). 30

33 Appendice A Esempio di file di dati per le misure di conteggi di buio e carica raccolta. Dopo un primo preambolo dove sono scritti nome del dispositivo, temperatura delle misure e valore della termoresistenza ad essa associata e tensione del punto di lavoro, troviamo le varie colonne di dati che contengono (rispettivamente da sinistra verso destra): valore di overvoltage, scale di tensione/divisione e tempo/divisione per le misure di dark count, 16 misure di conteggio di impulsi di buio, valore dell integrale degli impulsi e relativa σ misurati dall oscilloscopio, scale di tensione/divisione e tempo/divisione per le misure di carica. 31

34 Bibliografia [1] G. Ambrosi (INFN, Perugia) et al., The MU-RAY project: Volcano radiography with cosmic-ray muons, Nucl.Instrum.Meth. A628 (2011) , p.4, [2] A.M. Galper et al., Status of the GAMMA-400 Project, e-print: arxiv: [astro-ph.im], p. 6, Jan [3] Glenn F. Knoll, Radiation Detection and Measurement, terza edizione, John Wiley & Sons, Inc., [4] P. Buzhan et al. An advanced study of Silicon Photomultiplier, ICFA Instrum. Bul., vol. 23, p.28, [5] S.O. Flyckt, Carole Marmonier Photomultiplier tubes-principles and applications, Photonis, 2002 [6] A. Lacaita et al., IEEE Trans. Electron. Dev. 40, vol.3, p. 577, [7] N. Otte, 5th International Conference on New Developments In Photodetection, Aix-les-Bains, Francia, Giugno, 2008 [8] K.Yamamoto, Newly Developed Semiconductor Detectors by Hamamatsu, International Workshop on new photon-detectors PD07, Kobe University, Giugno, 2007 [9] M.Yokoyama, Development of Multi-Pixel Photon Counters, SNIC Symposium, Stanford, California, 3-6 Aprile, [10] John R. Taylor, Introduzione all analisi degli errori-seconda edizione, Zanichelli, [11] Maurizio Loreti, Teoria degli Errori e Fondamenti di Statistica- Introduzione alla Fisica Sperimentale, pp , Padova,

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