L evoluzione del piano urbanistico

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1 L evoluzione del piano urbanistico 1. Tipi e forme del piano L evoluzione dello strumento principale dell azione urbanistica, vale a dire il piano, è conseguenza di diversi fattori: lo sviluppo complessivo della società e dell economia - in particolare per le nuove attese nei confronti del governo del territorio -, la crescita del sapere tecnico, l approvazione di nuove norme e nuovi strumenti che intervengono in modo parallelo a regolamentare le azioni sull ambiente e il territorio. La natura del piano nelle diverse fasi può essere riletta e delineata con una certa precisione individuando gli elementi che hanno segnato la trasformazione della strumentazione. In particolare, essi consistono nella natura di disegno o di progetto complesso (che non può basarsi solo su una planimetria ma su documenti e strumenti complementari), nella maturazione di un sistema di regole che definiscono le connessioni tra previsione planimetrica e modalità attuative (norme igieniche ed edilizie prima, zoning poi), nella strutturazione di un percorso analitico per sostenere le scelte (diagnosi, previsione, decisione), nell affermazione di una concezione via via meno statica del piano (che richiede strumenti attuativi a scale diverse e una struttura di gestione quale un ufficio del piano), nelle diverse modalità di trattare i rapporti tra pubblico e privato. Su tutto si pone naturalmente una diversa idea di città, che si riflette in assetti organizzativi dello spazio urbano differenziati nelle diverse situazioni. Il ragionamento qui svolto riguarda quindi essenzialmente il piano, inteso come documento orientato al disegno del territorio urbano e alla sua regolamentazione, lasciando ad altro capitolo l approfondimento del più ampio concetto di pianificazione, intesa come processo di produzione del piano ma anche di governo del territorio. E peraltro evidente come non sia possibile operare pienamente tale distinzione tra processo e prodotto e pertanto saranno numerosi i richiami al quadro decisionale entro il quale si definisce il piano, frutto in ogni caso di una precisa cultura tecnica e di un determinato orizzonte politico-amministrativo. Per quanto riguarda i tipi di piano, come prima distinzione di massima si può accogliere quella proposta da vari autori ed in particolare da G. Di Benedetto (1977), che distingue il piano, a partire dal secolo scorso, in: ottocentesco, razionalista, postrazionalista. Altre distinzioni sono state introdotte all interno del dibattito più recente sulla pianificazione in Italia. In particolare, Campos Venuti ha individuato, a partire dal secondo dopoguerra, tre generazioni di piani. La forma del piano è un tema sul quale si è tornati a discutere nei tempi recenti. Con tale locuzione si intendono le relazioni tra problematizzazione, forme descrittivointerpretative del contesto, forme normative secondo la definizione di P.C. Palermo (1986). Brevemente, si tratta di definire in modo appropriato il nesso tra le intenzioni di politica territoriale-urbana, il quadro normativo e amministrativo e la strumentazione tecnica. Il perseguimento di determinati obiettivi comporta infatti la messa a punto di meccanismi di piano specifici mentre, per converso, ad ogni forma di piano corrisponde una determinata efficacia dell azione pubblica. Questo comporta, in primo luogo, una particolare attenzione al processo di definizione dei problemi affrontati con il piano. E il tema della pianificazione trattato in 1

2 altra parte e che è stato merita di essere ricordato quanto ai modi di approccio ai problemi, colti e trattati sulla base di rappresentazioni prodotte dai diversi attori (ad esempio: la situazione di debolezza di una certa area è dovuta alla carenza di infrastrutture) o addirittura a rappresentarli attraverso le soluzioni, facendo coincidere l individuazione del problema con la proposta operativa (il problema dell area è la costruzione di una nuova autostrada). Sono tali rappresentazioni ad attivare le politiche e a segnare gli strumenti (il piano deve prevedere l autostrada). In questo processo gli strumenti urbanistici (e gli urbanisti) rischiano di assumere un ruolo riduttivo, fornendo sapere tecnico semplicemente per definire soluzioni a problemi alla cui definizione e comprensione non hanno contribuito. Un altro aspetto da sottolineare, nel trattare la forma del piano, è quello della pluralità degli strumenti ed in particolare del raccordo tra piani territoriali, quelli urbanistici e i sempre più numerosi strumenti che si occupano di ambiente e territorio (piani cave, dei trasporti, delle aree naturali, ecc.). Questi intervengono con grande efficacia sui settori di loro competenza senza curare in genere le connessioni con la strumentazione urbanistica. 2. Il piano ottocentesco Le condizioni della città industriale hanno imposto, a partire dalla metà del secolo scorso, interventi di adeguamento della macchina urbana alle nuove esigenze e ai nuovi processi in atto e di controllo delle dinamiche attraverso interventi normativi nel campo edilizio, in quello igienico-sanitario, nella regolamentazione delle trasformazioni urbane. In questo contesto al piano venne assegnato il ruolo di disegnare le modalità della crescita urbana e della trasformazione delle parti esistenti che richiedevano un adeguamento alle nuove esigenze. L obiettivo era quello di contenere la conflittualità tra gli interessi del singolo e quelli collettivi, che venivano fatti coincidere sostanzialmente con la stessa crescita urbana. Insomma, il piano doveva definire un disegno della città prevedendo le opere infrastrutturali e gli edifici pubblici necessari per attrezzarla alle nuove esigenze e per impedire che il mancato coordinamento o il mancato rispetto di adeguati parametri quantitativi e qualitativi (ad esempio nel campo dell edilizia residenziale) conducessero a momenti di crisi (il diffondersi di epidemie, ad esempio) o che la scarsa efficienza del sistema urbano causasse penalizzazioni delle attività o il blocco della crescita della città. In questo processo si possono distinguere le azioni che dovevano essere condotte dal pubblico da quelle di competenza del privato. Le prime erano in primo luogo relative alla previsione di regole, quindi alla dotazione di opere ritenute di interesse collettivo ed in particolare quelle che l iniziativa privata non aveva alcun interesse a realizzare perché non remunerative. Le azioni di interesse privato erano evidentemente quelle che si collocavano entro una logica di mercato. La gestione di questi rapporti stava alla base di ogni azione di piano, rappresentando - allora come oggi - il problema chiave della pianificazione e l aspetto principale dell evoluzione dei piani. Dal punto di vista dei contenuti dello strumento, il piano ottocentesco assumeva la forma di un disegno a grande scala strutturato per elementi. Era quindi meno dettagliato di certe esperienze di tipo architettonico condotte nell 800, come l intervento di 2

3 Haussmann a Parigi, che era basato non tanto su un disegno complessivo quanto sulla attenta definizione progettuale delle singole parti (strade, fronti edilizie, ecc.) ed operava mediante delle norme che relazionavano i diversi elementi: strada ed edificio, edificio e spazi antistanti, ecc. Il piano ottocentesco trattava le relazioni tra la sfera pubblica e quella privata mediante un sistema normativo che regolamentava la disposizione fisica degli elementi (distanze tra strada ed edifici, altezze, ecc.), gli aspetti igienico edilizi (ed erano ancora fatti fisici: dimensioni dei vani, dei cortili, ecc.), il decoro degli edifici (molti dettagli erano disegnati in anticipo rispetto alla effettiva realizzazione), modalità di cessione degli spazi pubblici (lottizzazione con riorganizzazione delle proprietà e cessione del sedime stradale), gli impegni economici e operativi reciproci. Il meccanismo consentiva una grande precisione nelle previsioni (spesso di livello architettonico) ma comportava una grande rigidità esecutiva: ogni componente doveva essere realizzato come previsto, anche se le esigenze nel frattempo cambiavano, altrimenti saltava l equilibrio complessivo. Dal punto di vista metodologico possiamo parlare di una pianificazione per elementi: il tutto urbano viene scomposto negli elementi che fisicamente lo costituiscono, case, strade, piazze, canalizzazioni, ferrovie, parchi e giardini, edifici pubblici, opifici, e viene pianificato attraverso l indicazione della distribuzione sul terreno di tali elementi... Pianificare la città per elementi significa dunque definire esattamente le parti che devono essere realizzate dalla collettività e le parti che sono di assoluta competenza dei privati... La conseguenza è che il processo di piano si riduce tutto alla redazione della planimetria di piano... non occorrono, anzi sarebbero male accetti, ulteriori strumenti o atti intesi a definire più precisamente i modi dello sviluppo. Poche norme attuative... bastano ad esaurire il quadro della strumentazione attuativa del piano. In coerenza con la sua natura di patto stipulato, poi, il piano ha validità a tempo indeterminato... (Di Benedetto, 1977) Alcuni elementi ricoprivano peraltro un ruolo portante nel disegno complessivo: la strada, in particolare, era assunta a principio generatore e ordinatore dello sviluppo complessivo della città... [e]... non vale più in quanto collegamento tra due punti del territorio, bensì quale luogo di affaccio e di valorizzazione degli edifici: quanto maggiore sarà il numero e l estensione delle strade, tanto più numerosi saranno gli edifici valorizzati... E poiché gli edifici prospicienti strade principali sono più valorizzati di quelli prospicienti strade secondarie, le strade saranno tutte principali... Ed ancora, dato che gli edifici d angolo hanno più valore degli altri, le strade formeranno quanti più incroci è possibile (Di Benedetto, 1977). In questo, si rileva come la strada fosse complementare all area edificabile, vero centro dell attenzione del piano. La rappresentazione in sezione della strada e degli edifici adiacenti, tipica dei piani e dei manuali ottocenteschi, tende ad illustrare tale rapporto tra spazio collettivo e spazio privato. Il sistema stradale, organizzato in genere a scacchiera attorno al vecchio centro, definiva una crescita omogenea in tutte le direzioni (a macchia d olio ) valorizzando così via via le aree più interne e consentendo la estensione successiva della città con le stesse regole morfologiche. 3

4 Il piano per Barcellona di I. Cerdà (1859) (da Di Benedetto, 1977). La griglia viaria regolare individua con precisione gli isolati e i diversi compiti dell operatore pubblico rispetto alle possibilità di intervento del privato. L impianto è variato solo dai due grandi assi diagonali e da alcuni parchi,. Le diverse funzioni previste entro gli isolati sono state in parte disattese nel corso dell attuazione. Gli altri elementi presenti nel piano erano quelli già descritti a proposito della città ottocentesca (gli edifici pubblici, le nuove attrezzature della città industriale, ecc.), collocati entro un disegno che, per quanto rigido, presentava - almeno in alcune porzioni dello spazio urbano - una dignità e una qualità ancora apprezzabili. La differenziazione sociale costituiva comunque una scelta costante, che passava per le diverse tipologie edilizie previste (e quindi per i diversi costi di accesso all alloggio). Ma anche qui, come per altri contenuti (in particolare la dotazione impiantistica), si rimanda a quanto considerato per la città ottocentesca. Nella esperienza italiana la comparsa della forma piano viene sancita... da due leggi, quella Sulla espropriazione per pubblica utilità del 1865 e quella pel risanamento della città di Napoli del 1885 (Gabellini, 1996). La prima definisce il piano regolatore edilizio come lo strumento per intervenire sulla città esistente, mentre le espansioni sono l oggetto del piano di ampliamento. La legge del 1885 prevede piani di risanamento igienico ed edilizio. Tuttavia, con gli anni La distinzione tra piano 4

5 regolatore, piano di ampliamento e piano di risanamento tende rapidamente a sfumare, i provvedimenti si compenetrano e si compongono variamente fino a produrre documenti che... assumono una forma simile destinata a consolidarsi e a diventare quella tipica del piano urbanistico moderno (Gabellini, 1996). Quali sono i materiali del piano ottocentesco? Essenzialmente si tratta di una planimetria in scala, che rappresenta... ciò che sarà possibile vedere in futuro e come si potranno modificare alcuni aspetti della città esistente (Gabellini, 1996). L uso del colore per evidenziare gli interventi nuovi, l aggiunta di indicazioni a margine della tavola, la rappresentazione di dettagli a scala diversa o con viste a volo d uccello costituiscono elementi ricorrenti. La planimetria del piano tende quindi ad autogiustificarsi, sia perché le relazioni illustrative sono spesso sbrigative, sia perché la tavola, metricamente misurabile, diventa prefigurazione e regola allo stesso tempo. Il piano regolatore di ampliamento di Bologna (1885) (da Di Benedetto, 1977). La sfera di competenza dell ente pubblico e lo spazio di intervento del privato. 5

6 3. Il piano razionalista Il superamento della forma del piano propria dell Ottocento avviene solo dopo il primo conflitto mondiale, anche se nei primi decenni del secolo si erano fatte delle esperienze innovative, basate sulla divisione del territorio in zone, che tendevano a rendere più preciso il piano quanto alla localizzazione delle attività (evitando la compresenza di funzioni incompatibili) e meno rigido quanto a disegno fisico. L introduzione della divisione in zone rappresenta il passaggio nodale, che ha consentito di definire in modo nuovo il sistema delle regole e dei rapporti tra i soggetti, in particolare ampliando gli spazi di azione del privato. L evoluzione successiva che segna una nuova concezione urbana e l emergere di una nuovo approccio alla pianificazione si ha con l esperienza del piano razionalista. Tale termine, che vuole sottolineare la nuova natura dello strumento, riflette le esperienze parallele in campo architettonico e la volontà di ricondurre l azione ad alcuni principi che sintetizzano i bisogni e i comportamenti dell uomo. Si tratta, in particolare, dei principi della Carta di Atene, documento che venne pubblicato nel 1943 a cura di Le Corbusier e che riassumeva le discussioni condotte in occasione del Congresso Internazionale di Architettura Moderna (CIAM) tenuto nel Sulla base di tale documento si può affermare che le funzioni che la città deve assolvere corrispondono ai bisogni dell uomo, individuati in: abitare, lavorare, circolare, ricrearsi. Ma non è solo questa precisa indicazione delle funzioni che comporta una innovazione, quanto la messa a punto dello strumento dello zoning, che nelle esperienze razionaliste viene portato alle conseguenze estreme. Ai bisogni dell uomo e alle funzioni stabilite per la città corrispondeva l individuazione, con grande precisione, di aree diverse destinate ciascuna a ricoprire una funzione e per la quale si indicavano le modalità edificatorie. Anche questo approccio rifletteva l esigenza di definire un nuovo equilibrio tra iniziativa privata e azione pubblica, vedendo tuttavia un nuovo ruolo della pubblica amministrazione, che diventava il soggetto principale dell azione urbanistica. Dal punto di vista della forma, si assumeva quindi quella del piano per aree, (le zone) la cui ampia definizione dimensionale e la poco dettagliata articolazione normativa richiedeva una ulteriore specificazione attraverso strumenti di dettaglio. Il piano generale così costruito doveva quindi essere reso operativo attraverso piani attuativi relativi alle singole aree. Le implicazioni di questo approccio sono relative alla necessità di condurre delle indagini preliminari al piano (conoscere e prevedere per decidere) e al fattore tempo, in quanto la sua attuazione si svolge nel corso degli anni attraverso momenti successivi di pianificazione. Per quanto riguarda il primo aspetto, già agli inizi del secolo si era sottolineata l importanza dell analisi preliminare. L urbanista inglese P. Geddes, in particolare, affermava: prima le analisi, poi il piano. Se tale impostazione rifletteva una visione tutto sommato statica dello strumento, essa comportava comunque un processo di pianificazione complesso, basato su indagini relative ai diversi aspetti coinvolti, la messa a punto di previsioni, la strutturazione di risposte all interno di uno strumento appropriato. In particolare, nel caso del Piano di Amsterdam emerge un percorso di previsione della popolazione ad una certa soglia e delle attrezzature e degli spazi conseguenti: abitazioni, posti di lavoro, verde, servizi, ecc. Il piano è composto inoltre 6

7 non solo della planimetria ma anche di una relazione che contiene il sistema analitico e che definisce i contenuti progettuali in termini quantitativi, qualitativi e programmatici. L individuazione in termini generali delle zone significava inoltre dover attivare un livello attuativo, che consentisse di precisare contenuti e modi operativi dell azione urbanistica, giungendo ad una dimensione planovolumetrica. La pianificazione attraverso piani generali e piani attuativi imponeva, inoltre, una accurata gestione del piano, possibile solo attraverso l istituzione, all interno dell amministrazione, di un ufficio di piano. Alcune delle esperienze più significative vennero condotte proprio da parte di amministrazioni che agivano con un proprio organismo di progettazione urbanistica, come nel caso di Amsterdam e del suo piano del Il piano di Amsterdam (1935) (da Di Benedetto, 1977). La divisione in ampie zone, destinate alle diverse funzioni, richiede l attuazione attraverso piani di dettaglio. In nero l edificato, in campitura a quadretti le espansioni residenziali, a tratteggio incrociato diagonale le zone industriali, a puntini le zone verdi. In basso a sinistra la previsione del grande bosco di Amsterdam. 7

8 Uno schema di Le Corbusier (1953) (da Di Benedetto, 1977) nel quale si raffronta un insediamento tradizionale di case unifamiliari (B) per abitanti e la sua proposta di Unità d abitazione per un eguale numero di persone. E evidente il risparmio di suolo e di infrastrutture. 4. Il piano post-razionalista Con la definizione di piano post-razionalista è stato identificato il tipo di piano invalso nella prassi urbanistica italiana successiva alla legge del 1942, che ha mediato vari tipi di strumento combinando elementi di diversa provenienza e di diverso ruolo. In Italia l esperienza razionalista in campo urbanistico - a differenza che in architettura - non è stata significativa, in un quadro statico che ha visto una lenta evoluzione dai pochi piani del secolo scorso agli altrettanto rari strumenti della prima metà di questo secolo senza significativi mutamenti. Si trattava, del resto, di piani redatti in circostanze particolari e generalmente in occasione di forti intenzioni di intervento: Firenze e Roma capitali, la realizzazione di città nuove, l espansione di città con forte rilievo politico-territoriale, come Bolzano. Nel secondo dopoguerra la ricostruzione è avvenuta senza piani o facendo ricorso ai piani di ricostruzione, vale a dire strumenti-stralcio relativi alle parti più danneggiate dagli eventi bellici. Del resto, varie sentenze avevano stabilito che l edificazione era comunque possibile anche in assenza del piano, non potendo limitare l azione privata. 8

9 Il carattere principale del piano post-razionalista riflette pertanto la cultura amministrativa italiana da un lato e le indicazioni della Corte Costituzionale - sempre a favore della possibilità edificatoria - dall altro. L esito è l assunzione di un ruolo poco progettuale da parte dell ente pubblico e la strutturazione di piani indirizzati a consentire l intervento privato in modo diretto, senza momenti intermedi di pianificazione attuativa e con scarsi obblighi di intervento per l amministrazione pubblica. Perciò il piano è tutto contenuto in un disegno: la mappa delle diverse possibilità di sfruttare la trasformazione spaziale. In essa terreno per terreno viene indicato: se lo sfruttamento è possibile (e cioè se il terreno è fabbricativo oppure destinato ad infrastrutture o comunque ad uso pubblico); il modo in cui è possibile sfruttare...; la misura nella quale è possibile sfruttare (cubatura edificabile, altezza delle costruzioni, sviluppo planimetrico realizzabile). Il diverso modo dello sfruttamento, e cioè quel che si chiama la destinazione d uso dei suoli, non è altro che la trasposizione del concetto razionalista di funzione urbana... (Di Benedetto, 1977). Queste modalità di strutturazione del piano conducono ad una estensione notevole delle possibilità edificatorie e al livellamento verso l alto degli indici, uniformando i caratteri (anche sociali) della città, con la diffusione di tipi edilizi intensivi (le palazzine, gli edifici alti). La modesta previsione di spazi ed attrezzature pubbliche e lo scarso impegno nella loro realizzazione (anche per mancanza di risorse, che non erano legate ai profitti realizzati nel frattempo dagli operatori immobiliari) hanno prodotto nel corso dei primi decenni del dopoguerra espansioni urbane poco qualificate. L approvazione della legge 765/76 ( legge ponte ), del decreto sugli standard (1444/1968), della legge 10/1977 sui suoli e la messa a disposizione di strumenti di intervento settoriali (piani per l edilizia economica e popolare, per le aree produttive, la lottizzazione convenzionata) hanno comportato una trasformazione del piano, soprattutto per un rapporto più equilibrato tra previsioni di crescita della popolazione e possibilità edificatorie e tra queste e le attrezzature pubbliche. Dal punto di vista della forma, tuttavia, poco è cambiato: il piano vige soprattutto come quadro di regole da applicare immediatamente da parte dei singoli. E... un piano particolareggiato esteso a tutto il territorio comunale. In quanto tale esso non necessita di una gestione: si amministra da sé, attraverso l applicazione meccanica delle proprie indicazioni (Di Benedetto, 1977). Ma anche a queste condizioni è presente una certa rigidità, che viene allentata dal ricorso alle deroghe (limitate a quelle per interesse pubblico dalla legge ponte ) e dalle numerose varianti, che spesso trasformano anche in misura consistente l impianto originario dello strumento. 5. Le nuove forme del piano Nel corso degli anni il modo consueto di intendere e di attuare la pianificazione urbanistica è stato oggetto di pesanti critiche sia disciplinari (basti ricordare le numerose proposte dell INU di riforma urbanistica), che politiche. Le innovazioni, che pure ci sono state, si sono avute a partire da alcune esperienze che in qualche modo hanno assunto un valore emblematico e, a partire dagli anni 70, da alcune situazioni regionali dove sono state approvate leggi con contenuti innovativi rispetto alla legge del 1942 e 9

10 dove sono stati elaborati piani di coordinamento territoriale, che inquadravano i singoli piani locali. La critica svolta da alcuni autori, in particolare Campos Venuti, ha trovato nella individuazione di tre generazioni di piani una proposta di sintesi. Si tratta di una articolazione che discende da una valutazione dell orientamento e della efficacia di tali strumenti...mancati in Italia veri e propri piani della ricostruzione urbana, si parte dai piani del primo ordinamento urbano, cui seguono i piani dell espansione urbana, fino alla Terza Generazione... con i suoi piani della trasformazione urbana (Campos Venuti, 1987). Rileggendo, con Campos Venuti, le vicende italiane alla luce della individuazione di tre successive generazioni, si possono cogliere i caratteri dei processi e degli strumenti. I piani della prima generazione sono strumenti ancora generici, dettati dal desiderio di porre una qualunque regola al caos della crescita cittadina... [e]... sono concepiti più o meno esplicitamente a favore del regime immobiliare. La Seconda Generazione affronta la cultura dell espansione producendo una notevole evoluzione disciplinare. La terza generazione è quella che segna il passaggio dalla cultura dell espansione urbana alla cultura della trasformazione (Campos Venuti, 1987). I temi colti da questa lettura sono relativi da un lato alla forma della città prefigurata con lo strumento, dall altro al tema che in qualche modo li caratterizza in modo peculiare, ponendo forse troppa enfasi nei confronti della crescita urbana (la seconda generazione sarebbe quella dell espansione, la terza quella della trasformazione e della qualità). Su tutta la lettura domina inoltre il ruolo della rendita urbana, tema che è tuttora irrisolto e che è stato al centro di esperienze che hanno assunto spesso il carattere della testimonianza, quando non della lotta politica. E il caso, in particolare, del filone dell urbanistica riformista, entro il quale ha operato con un ruolo di rilievo proprio G. Campos Venuti. I temi che hanno qualificato gli strumenti comunali sono così stati diversi. Tra questi va citato il dimensionamento, in primo luogo, vale a dire la ricerca di un rapporto equilibrato tra crescita effettiva della popolazione e possibilità edificatorie. Il contenimento dell espansione è diventato, a partire dagli anni 70, un obiettivo sempre più diffuso, al quale si è connesso il tema del recupero, sia dei centri storici che di edifici comunque significativi (anche, ad esempio, di archeologia industriale) e delle aree dismesse, che si trovano in posizione strategica per la città perché ormai circondate dall edificazione e già dotate delle opere di urbanizzazione. La pianificazione dei centri storici, in particolare, è diventata di grande rilievo ed ha introdotto una forma nuova di piano, basata non più sullo zoning ma sulla identificazione di categorie di intervento per ciascuna unità edilizia. La dotazione di servizi e attrezzature pubbliche è diventata una questione nodale nel corso degli anni 70, soprattutto a seguito del decreto sugli standard. Altro tema importante è quello dell ambiente, introdotto sia come elemento fondamentale nelle analisi sia come fattore da considerare nella definizione della qualità urbana. Le scelte di alcuni piani si sono caratterizzate quindi non solo per la previsione di abbondanti aree a verde ma anche per la introduzione di norme che perseguono la ricerca dell equilibrio ambientale. Si tratta di indici relativi alla permeabilità del suolo, alla previsione di quote di verde, al rispetto di parametri relativi alla qualità insediativa (rumore, esposizione, ecc.). 10

11 Anche il disegno urbano è ritornato all attenzione del pianificatore, ma qui il problema si pone in modo controverso rispetto alla forma del piano, potendosi trovare soluzioni diverse. In particolare, si può rinviare la definizione dell assetto urbano ai piani attuativi (è il solito metodo della previsione di piani particolareggiati o di lottizzazione), ma la scarsa efficienza del meccanismo e la impostazione della pubblica amministrazione italiana - indirizzata alla verifica della legittimità dell azione del singolo operatore, non alla interazione con esso in piena trasparenza dei rapporti, per perseguire un risultato qualificato - toglie spesso efficacia a tale previsione. Un altra soluzione è quella di strutturare programmaticamente il piano verso soluzioni individuate per parti di città. E la proposta del piano per progetti, che spesso lascia grande spazio alle proposte dei singoli operatori e trasforma la previsione pubblica nel ricettacolo delle intenzioni e degli interessi privati. Infine, altre esperienze hanno cercato di perseguire la qualità urbana attraverso la minuta precisazione di regole insediative, di modalità edificatorie, di soluzioni progettuali all interno del piano generale. Si tratta di soluzioni che possono funzionare soprattutto nel caso di piccoli centri, ma che comportano comunque una grande rigidità delle previsioni, sulle quali ci deve essere pieno consenso locale. Tali aspetti si riflettono nella proposta, avanzata dall Inu in sede nazionale, ma in corso di introduzione in alcune regioni e in via di sperimentazione nella pratica di diversi piani comunali, della distinzione del piano in due livelli: uno strutturale, relativo alle parti che vengono definite e realizzate nel lungo periodo (le parti consolidate della città, il sistema viario, dei grandi servizi, ecc.) ed uno operativo, riguardante le parti per le quali si può procedere in modo puntuale alla definizione delle previsioni, anche sulla base di proposte specifiche da parte dei singoli soggetti, adeguatamente considerate e valutate nell ottica dell interesse collettivo. Questo approccio rende maggiormente praticabile la perequazione, vale a dire la condivisione tra i diversi soggetti dei vantaggi e degli oneri derivanti dalla trasformazione urbana. Si tratta di intervenire per grandi aree, che comprendano sia parti edificabili (che creano valore di mercato, quindi), che viabilità, spazi per attrezzature, verde, ecc., (che comportano oneri realizzativi, quindi, che non è giusto far gravare sulla collettività). Questo meccanismo può essere attuato anche mediante l accostamento di iniziative collocate su siti diversi, ma che integrino oneri e vantaggi (realizzando, ad esempio, un area residenziale contemporaneamente ad un parco su un altro sito). 6. Lo zoning Il problema affrontato dallo zoning è sostanzialmente quello solito del rapporto tra pubblico e privato: fino a che punto è corretto limitare i diritti del singolo e fino a che punto può essere esercitata la libera iniziativa senza danneggiare l interesse collettivo? Se il piano ottocentesco rispondeva con delle soluzioni perentorie, corrispondenti alle previsioni del disegno del piano (spesso rappresentato tridimensionalmente, almeno nelle parti più significative, talvolta eseguito imponendo facciate dal disegno comune o addirittura realizzate unitariamente, in anticipo rispetto agli edifici sui singoli lotti), l esigenza di riconoscere una maggiore libertà di realizzazione, od ancora la impossibilità di precisare le esigenze future, ha condotto a descrivere non tanto le caratteristiche degli oggetti da realizzare ma i limiti alla realizzazione degli stessi. 11

12 E questo ribaltamento di prospettiva che costituisce la novità dello zoning. I limiti, poi, sono stabiliti sulla base della funzione e delle caratteristiche edificatorie. Si precisa, cioè, qual è l attività prevista e quali sono le caratteristiche fisiche degli interventi edilizi. Va ricordato, peraltro, che lo zoning nei modelli iniziali (il piano di Amsterdam, in particolare), era esteso ad aree ampie, entro le quali trovavano collocazione edifici e spazi diversi, da realizzarsi contemporaneamente attraverso un piano attuativo. L uso dello zoning nell esperienza italiana è stato limitato invece alla individuazione delle destinazioni d uso lotto per lotto, evitando passaggi intermedi e impedendo meccanismi compensativi. Un esempio di zoning: il Piano Regolatore Generale di Trento (1989), centro abitato di Gardolo. Scala originale 1: Alle diverse campiture della cartografia corrispondono delle destinazioni d uso e delle regole edilizie. 12

13 Esempio di zoning: Piano Comprensoriale dell Alta Valsugana, Cartografia originale in scala 1:

14 Esempio di zoning: Piano Comprensoriale dell Alta Valsugana, Cartografia in scala 1: Sono evidenti le diverse zone contrassegnate da un cartiglio con una lettera e con l indicazione dell indice edificatorio e dell altezza massima Bibliografia Campos Venuti G. (1987), La terza generazione dell urbanistica, F. Angeli, Milano Di Benedetto G. (1977), Introduzione all urbanistica, Vallecchi, Firenze. Gabellini P. (1996), Il disegno urbanistico, Roma, NIS, La Nuova Italia Scientifica. Palermo P.C. (1992), Interpretazioni dell analisi urbanistica, F. Angeli, Milano. Mancuso F. (1978), Le vicende dello zoning, Milano, Il Saggiatore. 14

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