I PRODOTTI TIPICI DELLA PROVINCIA DI TORINO

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1 FEDERAZIONE PROVINCIALE COLTIVATORI DIRETTI TORINO TORINO - VIA PIO VII 97 TEL. 011/ FAX. 011/ I PRODOTTI TIPICI DELLA PROVINCIA DI TORINO Censimento e ricerca storica delle produzioni tipiche agroalimentari nella provincia di Torino Dicembre 2000 Realizzazione a cura di: Mauro D Aveni, Sara Ebano - Ufficio Qualità Coldiretti Torino Gruppi Coltivatori Sviluppo - Torino Agriteco S.r.l. - Torino

2 PRESENTAZIONE. La recente riscoperta dei prodotti tipici ad opera dell opinione pubblica non ha certo colto impreparata la Coldiretti di Torino, che da anni ormai - risale agli Anni Ottanta l inizio della prima Campagna di Educazione Alimentare, rivolta agli scolari della scuola dell obbligo, nell intento di riavvicinare la città al mondo dei campi - si batte per promuovere e valorizzare le produzioni agricole di pregio, ricercando un dialogo costante e costruttivo con i consumatori. La Coldiretti infatti ha intrapreso da tempo, con il progetto Campagna Amica, la strada della massima trasparenza nel rapporto con il consumatore, dicendo un no deciso all utilizzo di organismi geneticamente modificati (con i progetti semina sicura e allevamento sicuro ), aprendo ai cittadini le porte delle proprie cascine, organizzando nelle piazze di tutt Italia le Oasi dei prodotti tipici, cercando di offrire prodotti che assicurino al contempo le massime garanzie di salubrità, genuinità e sicurezza, ed il rispetto delle grandi tradizioni alimentari del nostro paese. In cambio chiede che venga riconosciuto il ruolo insostituibile che l agricoltura svolge nel salvaguardare il territorio e l ambiente e nell assicurare la continuità delle tradizioni alimentari attraverso le produzioni tipiche e di qualità. La ricerca su che qui presentiamo, si inserisce appunto in questo contesto ed ambisce non solo costituire un censimento delle produzioni tradizionali sparse sul territorio provinciale, ma intende al contempo connotarsi come un analisi del fenomeno prodotti tipici nel suo complesso ed indicare alcune strade percorribili per una loro proficua e duratura valorizzazione. La ricerca è stata resa possibile dal profondo radicamento della Coldiretti sul territorio, che ha consentito di beneficiare della preziosa esperienza dei propri dirigenti di sezione e della insostituibile professionalità dei tecnici della Associazione Gruppi Coltivatori Sviluppo, che garantiscono una capillare ed approfondita conoscenza del mondo rurale e dei suoi prodotti. Dicembre 2000 Pag. 2

3 Un ringraziamento infine va ai dottori Mauro D Aveni e Sara Ebano, del nostro Ufficio Qualità, ed alla società Agriteco S.r.l., emanazione della Coldiretti di Torino, che su nostro incarico hanno curato la realizzazione della presente ricerca. Il Presidente (Carlo Gottero) Dicembre 2000 Pag. 3

4 INDICE Presentazione Pag. Indice Pag. 4 Introduzione Pag La tipicità: una scoperta recente. Pag Cosa definisce un prodotto tipico Pag Tipicità come radicamento storico e socio-culturale Pag Tipicità come qualità Pag Tipicità come denominazione regolamentata Pag La normativa nazionale Pag I marchi di garanzia comunitari Pag Tipicità come risultante di più fattori Pag La tipicità percepita Pag La inadeguatezza degli strumenti comunitari di tutela dell origine Pag. 32 dei prodotti tipici 5 L elenco regionale dei prodotti agroalimentari tradizionali Pag. 38 Capitolo Primo - 1. Ortaggi, cereali e simili. Pag Un po di storia Pag Il Peperone di Carmagnola Pag Il Pisello di Casalborgone Pag L Asparago Pag L Asparago di Santena Pag L Asparago di Poirino Pag Il Cardo bianco avorio di Andezeno Pag Il Cardo verde di Chieri Pag L insalatina di Castagneto Po Pag. 56 Dicembre 2000 Pag. 4

5 1.8 La Cipolla di Andezeno Pag Il Pomodoro costoluto di Cambiano Pag Il Pomodoro di Chivasso Pag La Scorzobianca o Barbabuc Pag Il Cavolfiore di Moncalieri Pag Il Cavolo di Montalto Dora Pag La Lattuga gentilina di Moncalieri Pag Il Trifulot del bür Pag Il Ravanello lungo o Torino o Tabasso Pag La Cipollina di Ivrea Pag Le antiche varietà di mais da polenta Pag Il Grano saraceno Pag Il Tartufo bianco (Tuber magnatum Pico) Pag La Frutta Pag Introduzione Pag Le mele Pag La mela di Cavour Pag La Renetta grigia di Torriana Pag Le mele rosse Pag Le mele di montagna Pag Il pum n cumposta o pum dal pis e il pum muiàt Pag Le pere Pag La pera Madernassa Pag Varietà di pere particolarmente adatte alla cottura Pag Le pere di montagna Pag La frutta della collina torinese Pag La ciliegia di Pecetto Pag L amarena di Trofarello Pag Le susine della collina torinese Pag. 121 Dicembre 2000 Pag. 5

6 2.4.4 La pesca di Baldissero Torinese Pag La fragolina di San Mauro Pag Le castagne delle vallate torinesi Pag Il marrone della Val di Susa Pag Le castagne delle Valli di Lanzo Pag Il marrone della Val Pellice Pag I piccoli frutti della provincia di Torino Pag Pane, prodotti da forno e dolci Pag Il pane Pag La Biova Pag La Mica Pag Il pane di Chianocco Pag Il Pan barbarià Pag Il Tupunin Pag I dolci ed i prodotti da forno Pag I dolci piemontesi nell antichità Pag La Fugassa d la Befana Pag La Focaccia di Susa Pag I Ciciu d Capdan Pag Il Medioevo e la pasticceria secca Pag Il Biscotto della Duchessa Pag I Canestrej Pag I Mostaccioli Pag Le paste di meliga Pag Il Medioevo e la nascita della confetteria Pag Gli Zest di Carignano Pag I Marrons glaces Pag Il Cinquecento e lo zabaglione Pag L antica ricetta dello zabaglione 174 Dicembre 2000 Pag. 6

7 3.2.5 Il Seicento e la nascita del Gherssin Pag Il Grissino Stirato Pag Il Grissino Robatà Pag I Torcetti di Lanzo Pag Il Settecento ed i primi passi della pasticceria Pag I primi trattati di cucina e di pasticceria Pag L Ottocento e l avvento dello zucchero Pag L Ottocento e la pasticceria Pag I Sangiorgini di Piossasco Pag I Nocciolini di Chivasso Pag La diffusione dei dolci Pag I dolci del focolare nella tradizione torinese Pag Il Bonèt Pag La Turta ad pum d la festa d Argnan Pag Il Cioccolato Pag La storia Pag Il Bicerin Pag I cioccolatini Pag L Alpino Pag Il Grappino Pag Il Gianduiotto Pag Il Cremino Fiat Pag Il Bacio Pag Le uova di cioccolato Pag Le praline Pag I dolci orbassanesi Pag Liquori e distillati Pag Un po di storia Pag Il Vermouth Pag. 215 Dicembre 2000 Pag. 7

8 4.3 La Grappa Piemontese con alambicco a bagnomaria Pag La Menta di Pancalieri Pag Il Genepì Pag Il Barathier elisir d herbes Pag Il Ratafià Pag Il Nocciolino di Chivasso Pag I prodotti a base di carne Pag Il maiale nella tradizione contadina del Piemonte Pag I salumi Pag la Mica della Val Susa Pag I salami Pag il Cacciatorino Pag il Salame cotto Pag il Salam d la duja Pag il Cotechino Pag I prosciutti Pag il Prosciutto crudo della Val Susa Pag I salumi poveri Pag Dalle torte di sangue al salame di patate Pag la Mustardela Pag il Boudin Pag il Sanguinaccio con pane Pag il Sanguinaccio con patate Pag il Bisecon o bisecun Pag i Previ o preti Pag la Pancetta con cotenna Pag il Salame di patate Pag la Salsiccia di cavolo Pag Piedini ed orecchie Pag. 255 Dicembre 2000 Pag. 8

9 - la Batsuà o basuà Pag le Frisse o grive Pag Salumi ed insaccati di altri animali Pag il Salam d turgia Pag la Teutenne o tetetta Pag la Tripa d Muncalè Pag il Salame di capra Pag il Salame di cavallo Pag il Salame di asino Pag il Salame di cinghiale Pag I violini e le mocette Pag il Violino di agnello Pag il Violino di camoscio Pag il Violino di capra Pag la Mocetta del Canavese Pag Altri prodotti Pag la Carne secca in salamoia Pag la Galantina Pag il Lardo Pag il Salame all aglio Pag la Testa in cassetta Pag il Viorun Pag Che fine ha fatto messer porco? Pag I prodotti lattiero-caseari Pag I formaggi fra storia e leggenda Pag La storia e gli aneddoti più antichi Pag Il Medioevo Pag Pantaleone da Confienza e la sua Summa lacticiniorum Pag Dalla polenta concia di Facino Cane ai giorni nostri Pag. 280 Dicembre 2000 Pag. 9

10 6.2 I prodotti lattiero-caseari della provincia di Torino Pag La Toma Pag La Toma Piemontese DOP Pag Le mille varietà di Toma Pag La Tuma d lait brusc Pag La Tometta Pag Il Tumet Pag Il Tomino Pag Il tomino canavesano asciutto Pag Il tomino canavesano fresco Pag Il tomino di Rivalta Torinese Pag Il tomino di Saronsella o Chivassotto Pag Il tomino del Talucco Pag Il Cevrin di Coazze Pag La Toma o Tuma di Casalborgone Pag Il Murianengo o Moncenisio Pag La Paglierina Pag Il Crosta Rossa (Reblochon) Pag Il Bruss Pag Il bruss da latte Pag Il bruss da ricotta Pag La Ricotta Piemontese (Seirass) Pag Il Seirass del fen Pag Il Salignön Pag Il Murtret Pag Il germoplasma animale Pag La biodiversità come presupposto della tipicità Pag Il concetto di razza Pag Perché salvaguardare una specie o razza? Pag. 330 Dicembre 2000 Pag. 10

11 7.4 La conservazione del germoplasma animale Pag Il patrimonio zootecnico piemontese Pag Le razze autoctone della provincia di Torino Pag La razza bovina Piemontese Pag La razza bovina Pezzata Rossa d Oropa Pag La razza ovina Biellese Pag La razza ovina Frabosana Pag La razza ovina Tacola Pag La razza ovina Savoiarda Pag La razza caprina Alpina comune Pag La razza suina di Cavour Pag La gallina Bionda Piemontese Pag La gallina Bianca di Cavour Pag Il coniglio Grigio di Carmagnola Pag L ittiofauna del Piemonte Pag Un po di storia Pag La lampreda ( l lamprè) Pag La Tinca dorata del Pianalto di Poirino Pag. 368 Capitolo Secondo - Alcune ipotesi di valorizzazione 1. Un patrimonio di straordinarie potenzialità Pag I sentieri del gusto Pag Le DOP o IGP possibili Pag Il Peperone di Carmagnola Pag L Asparago Torinese Pag La Mela Rossa dell Ovest Piemonte Pag La Mela di Cavour Pag La Ciliegia di Pecetto Torinese Pag La Castagna delle Valli Torinesi Pag Il Salame Cotto Piemonte Pag. 389 Dicembre 2000 Pag. 11

12 3.8 La Ricotta Piemontese Pag La Tinca Dorata del Pianalto di Poirino Pag. 393 Considerazioni conclusive Pag. 394 Bibliografia Pag. 399 Dicembre 2000 Pag. 12

13 INTRODUZIONE Il mondo agricolo si trova innanzi a un bivio: deve decidere se indirizzarsi verso un agricoltura votata a fornire nutrimento al minor costo (ciò che conta è fornire calorie, proteine e vitamine a prezzi stracciati, non importa se a scapito della qualità e della genuinità), oppure se avviarsi invece verso un agricoltura consapevole di non essere soltanto e semplicemente alimentazione, ma anche piacere gastronomico, anche desiderio di riscoprire le proprie radici culturali attraverso i sapori della tradizione. E sarà proprio dei prodotti di quest agricoltura che si occuperà la presente ricerca. Innanzitutto cercheremo in questa introduzione di chiarire il significato d un termine un poco onnicomprensivo ed elastico come tipicità, quindi vedremo come la interpretano e la salvaguardano le normative vigenti e che opinione hanno di essa i consumatori. Quindi, nei capitoli che seguiranno, faremo un censimento dei prodotti tipici della provincia di Torino (Capitolo Primo), dedicando ad ognuno un congruo spazio, e cercheremo di individuare in alcuni di essi potenzialità tali da farne ipotizzare la necessità di una valorizzazione che eventualmente conduca all ottenimento di un marchio di tutela comunitaria (Capitolo Secondo). Infine trarremo alcune brevi considerazioni sul ruolo che svolgono le produzioni tradizionali, sulle loro potenzialità e sulle iniziative da intraprendere per garantirne la sopravvivenza e lo sviluppo. Dicembre 2000 Pag. 13

14 1. La tipicità: una scoperta recente. L aggettivo tipico, nell odierna accezione di prodotto caratteristico legato ad uno specifico territorio, è, nella storia dell'alimentazione, una scoperta relativamente recente. Un tempo infatti i prodotti alimentari erano il frutto dell'elaborazione delle materie prime disponibili in loco e la produzione avveniva all'interno di contesti socio-culturali assai limitati, nei quali la circolazione delle risorse era riservata ai nobili, alle loro corti ed alle classi mercantili più agiate. La tipicità ha cominciato ad essere percepita come un valore soltanto quando, con lo sviluppo delle vie di comunicazione e delle reti commerciali, si è avuta la possibilità di venire a contatto con prodotti simili realizzati altrove, che entravano quindi in concorrenza con le produzioni locali. Fintanto poi che la circolazione delle conoscenze necessarie alla produzione è rimasta limitata ad un ambito territoriale ristretto, la tipicità di un prodotto - intesa in questo caso nel senso di rispondenza alla tradizione - poteva essere messa in pericolo tutt al più da qualche tentativo fraudolento, comunque non certo in grado di minarne l esistenza. Due processi sociali relativamente recenti hanno invece messo a repentaglio la vita stessa dei prodotti tipici: l'industrializzazione e la standardizzazione delle produzioni che ad essa consegue. L'industrializzazione non solo ha portato a modificare le stesse modalità produttive, ma, fatto ai nostri fini ancor più rilevante, ha progressivamente sempre più svincolato la produzione alimentare dai suoi luoghi tradizionali. Cardine dell industrializzazione è la ripetibilità, ossia il riprodursi di gesti, attività e prodotti sempre assolutamente identici: insomma l antitesi della tipicità, che per sua definizione crea prodotti irripetibili, legati come sono Dicembre 2000 Pag. 14

15 all alea della miriade di microeventi che caratterizzano un territorio ed una tradizione produttiva. La necessità di ottenere prodotti sempre uguali ha fatto nascere gli standard, i modelli da riprodurre fedelmente, ed ha mutato il concetto stesso di qualità, ora divenuto semplicemente (semplicisticamente?) la capacità di rispondere agli standard produttivi. Creare un modello di prodotto da ripetere significa però imbalsamare quel prodotto e quindi di fatto dimenticare che gli alimenti sono una cosa viva, fatta di microrganismi, tessuti e cellule in gran parte ancora vitali, e che spesso è questa vitalità a rendere tipico (e buono e saporito e salutare e godibile e chi più ne ha più ne metta) un prodotto. Questa vivacità però non solo non piace all industria, ma non piace neppure alle normative in materia di caratteristiche igienico-sanitarie degli alimenti, che si contraddistinguono per una sorta di fobia da batterio e, in nome del nobile intento di ridurre i rischi per il consumatore, rischiano nella pratica, come suol dirsi, di buttar via il bambino con l acqua sporca. Ossia privilegiano, nei fatti, gli alimenti cosiddetti a basso rischio (quelli imbalsamati cioè), facendo della sterilità un valore assoluto, ai danni delle produzioni artigianali meno standardizzate e più tradizionali. E così facendo rischiano di buttar via, tra le altre cose, il bambino che c è in ognuno di noi e che taluni prodotti tipici sanno far riemergere, col loro potere evocativo, la loro storia ed il loro legame con i nostri ricordi, con i brandelli della nostra vita. Dicembre 2000 Pag. 15

16 2. Cosa definisce un prodotto tipico. Definire esattamente cosa sia la tipicità è impresa oggi sempre più ardua. Abbiamo definito tipico un prodotto legato ad un determinato territorio e ad una determinata tradizione. Ma, mentre territorio e, benché in misura minore, tradizione sono termini sufficientemente trasparenti e riconducibili ad una qualche evidenza oggettiva, il concetto di legame è invece assai più problematico e si presta ad interpretazioni più o meno restrittive. Il legame con il territorio infatti può essere semplicemente il fatto che un certo prodotto porti il nome del luogo in cui anticamente si originava, oppure che sia fatto con materia prima proveniente da un determinato territorio, oppure ancora che il processo produttivo, tutto o in parte, le materie prime, tutte o in parte, e quindi il prodotto finale provengano da quella determinata area. E cosa dire poi del rapporto con la tradizione? È tipico soltanto un prodotto che ha dietro di sé un passato, una storia da raccontare, oppure è tipico anche un nuovo prodotto realizzato in un territorio ben definito? E ancora, quante e quali variazioni si possono tollerare in un prodotto per poterlo ancora definire tipico? Quale è il discrimine che ci consente di stabilire che un prodotto è tipico ed un altro no? Per cercare di dare risposta a simili quesiti, possiamo distinguere almeno tre modi, che possono anche essere o apparire in contrasto tra loro, di definire il concetto di tipicità: tipicità come radicamento storico e socio-culturale, tipicità come qualità (e/o come rispondenza a determinati standard di qualità), tipicità come denominazione regolamentata. Dicembre 2000 Pag. 16

17 2.1 Tipicità come radicamento storico e socio-culturale. La tipicità è un concetto che trova il suo pieno significato nell'ambito della storia e del contesto socio-culturale di un territorio. In questo senso, è molto più difficile definire degli standard e precisare dei confini. Il prodotto tipico non è semplicemente un alimento (a rigore per altro vi sono anche numerosi prodotti tipici non alimentari), è lo specchio di un territorio, delle sue risorse naturali e culturali, è il frutto dello stratificarsi delle fatiche e dell inventiva di generazioni e generazioni, è un qualcosa che ha una storia da raccontare. E la grandezza, la straordinaria diversità, di un prodotto tipico sta nel suo saper raccontare ad ognuno di noi una sua storia, imbastita coi fili dei nostri ricordi più profondi. È ormai a tutti noto che la cultura materiale fa parte a pieno titolo della cultura senza aggettivi, anzi, in un mondo in cui predomina la corporeità e la materialità (lo stesso culto dell apparire che ci caratterizza non ha proprio nulla di spirituale), essa diviene il veicolo principale per conoscere la storia e la cultura d una società o d un territorio. Se è vero poi che le pratiche alimentari sono una parte fondamentale della cultura di tutti i popoli, allora il prodotto tipico va considerato, a tutti gli effetti, un bene culturale. Non necessariamente un'opera d'arte, è ovvio, come non lo sono gran parte dei documenti storici o dei reperti archeologi, ma un bene che ha in sé la capacità di evocare la nostra storia, anzi, a ben pensarci, che è la nostra storia. In questo senso, la diffusione della cultura dei prodotti tipici è prima di tutto una questione di diffusione culturale e di educazione. E quindi sarebbe importante se di essa si occupasse non solo il Ministero delle Politiche Agricole, ma anche il Ministero dei Beni Culturali e, perché no, il Ministero dell Istruzione. Sarebbe bene infatti che si moltiplicassero le iniziative di educazione alimentare nelle scuole (la Coldiretti torinese fin dal 19 conduce ogni anno Dicembre 2000 Pag. 17

18 un intensa attività nelle scuole torinesi), per spiegare ai ragazzi cos'è un prodotto tipico ed abituarli a riconoscere in quel cibo qualcosa di più che un semplice nutrimento. Perché comprendere appieno un prodotto tipico non è soltanto una questione di gusto, di sensi, quanto piuttosto una questione di senso. Occorre cioè una cultura specifica che, considerandolo alla stregua d un qualsiasi bene culturale, sia in grado di attribuirgli l intero suo significato, collocandolo all interno di un sistema di segni, di valori, di rimandi, di corrispondenze, di confronti. Ecco perché anche la cultura alimentare ha bisogno di essere tramandata, insegnata, diffusa, stimolata: solo così il prodotto tipico spalancherà le porte del mondo in esso racchiuso e riuscirà a perpetuare il miracolo di farlo continuamente rivivere. 2.2 Tipicità come qualità. Tipicità non è sinonimo di qualità tout court, è bene sottolinearlo subito, per quanto possa esservi una stretta parentela. L'innegabile qualità di molti prodotti industriali moderni, o dei pregiatissimi piatti della nouvelle-cuisine, sono quanto di più lontano si possa immaginare da un prodotto tipico inteso in senso tradizionale. Anzi non è paradossale sostenere che molti prodotti tipici nel senso più tradizionale del termine non potrebbero essere considerati oggi dei prodotti di qualità, almeno non nell'accezione più attuale del termine qualità applicato ai prodotti alimentari, che, ignorando che l alimento è una cosa viva, privilegia l aspetto igienico-sanitario, facendo, come abbiamo già detto, della sterilità un valore assoluto. Definire il concetto di qualità di un alimento rimane comunque assai complicato. Dicembre 2000 Pag. 18

19 Si può definire la qualità complessiva d un alimento come la sommatoria di numerose qualità, che la bibliografia più recente, così come illustrato nello Schema n 1, riassume in cinque qualità : qualità Igienico-sanitaria, intesa come assenza di agenti patogeni od inquinanti; qualità nutrizionale, come contenuto in elementi nutritivi; qualità sensoriale, che considera le caratteristiche percettibili, quali l aspetto, l odore, il colore, la consistenza, la struttura; qualità tecnologica, intesa come attitudine a particolari usi o trasformazioni (resa produttiva, ritenzione idrica, resistenza alle manipolazioni, ecc.); qualità d uso, da intendersi come l insieme di quelle caratteristiche che rendono facile e conveniente l uso di un determinato prodotto, quali la disponibilità (facilità di reperimento e quantitativi sufficienti a soddisfare la richiesta), la conservabilità, la trasportabilità, l economicità. Le norme internazionali di qualità invece definiscono la qualità come l insieme delle caratteristiche di un entità, che ne determinano la capacità di soddisfare esigenze espresse ed implicite (UNI EN ISO 8402 ed. 1995). Questa definizione di qualità implica che un entità deve in tutti gli aspetti essere idonea per il proprio previsto uso. Nel caso di un prodotto, esso deve, all atto della messa sul mercato, soddisfare un certo numero di specifiche tecniche (standard), le quali possono essere codificate in norme o contratti. In questo senso la qualità diventa conformità ai requisiti richiesti, rispondenza agli standard o, in loro assenza, adeguatezza allo scopo. Dicembre 2000 Pag. 19

20 Schema n 1 La qualità degli alimenti. Igienico-sanitaria assenza di: microrganismi patogeni e tossine; parassiti e loro metaboliti; contaminanti tossici; ecc. Sensoriale aspetto colore odore struttura ecc. Tecnologica La qualità degli alimenti Nutrizionale energia proteine minerali vitamine ecc. Qualità d uso disponibilità conservabilità trasportabilità economicità ecc. Attitudine a particolari usi o trasformazioni (es. resa, ritenzione idrica, resistenza alle manipolazioni, ecc.) Quando parliamo però di prodotto tipico e cerchiamo di definirne il concetto di qualità, avvertiamo immediatamente l inadeguatezza tanto di questa definizione quanto delle cinque categorie riportate nello Schema: nessuna ci pare risponda adeguatamente alle peculiarità che caratterizzano un prodotto tipico. È un po come per le nostre capacità percettive: ci siamo resi conto, ormai da secoli, che i nostri cinque sensi sono una strumento inadeguato per cogliere appieno la complessità dell universo e ci siamo così inventati il sesto senso, che non è certo un concetto univoco o ben definibile, ma è un elastico agglomerato Dicembre 2000 Pag. 20

21 di sensazioni indefinibili, è il residuo fossile di quell antenna parabolica da marziani che forse un tempo, chissà, avevamo. Ecco quindi che la tipicità diventa la sesta qualità d un alimento. Ed in questo senso la tipicità di un prodotto diviene l espressione della sua capacità vocativa e referenziale. La tipicità di un prodotto, la sua tradizionalità, diviene essa stessa sommatoria di diversi caratteri, che fanno del prodotto tipico un unicum : la storicità, in virtù della sua capacità di richiamare valori culturali originali delle comunità locali e del suo stretto rapporto con l ambito territoriale di riferimento; la familiarità, per la sua capacità di rievocare concretamente le nostre radici; la riscoperta, per quel suo stimolarci alla ricerca del tempo perduto e fare così di noi tanti piccoli Indiana Jones del gusto; l eccellenza, non tanto per quei suoi profili organolettici particolare, quanto per quel suo essere frutto d una antica sapienza artigianale ed espressione dell arte del particulare, così cara alla nostra storia e al nostro sentire. 2.3 Tipicità come denominazione regolamentata. Un altra accezione del concetto di prodotto tipico è quella che lo identifica con un prodotto a denominazione regolamentata e quindi, potremmo dire, munito d una patente di ufficialità, che lo definisce tipico, lo contraddistingue e lo tutela. Dicembre 2000 Pag. 21

22 2.3.1 La normativa nazionale. La necessità di definire e tutelare, a livello nazionale ed internazionale, la tipicità dei prodotti ha cominciato a diventare un esigenza, per tutti i principali paesi europei, fin dai primi anni del secondo dopoguerra, quando si è iniziato ad intervenire con una regolamentazione giuridicamente vincolante. Il primo atto ufficiale di questa nuova sensibilità si è avuto con la Convenzione Internazionale sull uso dei nominativi e delle denominazioni dei formaggi, stipulata a Stresa il 1 giugno 1951 tra Italia, Francia, Svizzera, Austria, Paesi Bassi, Danimarca, Svezia e Norvegia. In essa i Paesi contraenti riconoscono un univoca definizione ai concetti di formaggio, nominativi d origine e denominazioni, e si impegnano ad adeguare le singole normative nazionali in materia. I formaggi italiani riconosciuti con questa convenzione sono Parmigiano Reggiano, Gorgonzola, Pecorino Romano, Fontina, Fiore Sardo, Asiago, Provolone e Caciocavallo. A questo primo atto internazionale è seguito l Accordo di Lisbona del 31 ottobre 1958 che ha definito il concetto di denominazione di origine ( denominazione geografica di un paese, regione o località che serve a designare un prodotto che ne proviene e le cui qualità o caratteristiche siano dovute esclusivamente o essenzialmente all ambiente geografico, comprendendovi i fattori naturali e i fattori umani ), estendendolo a tutti i prodotti, e ne ha stabilito la protezione. L atto normativo nazionale che ha recepito gli accordi intrapresi con la Convenzione di Stresa è la Legge 10 aprile 1954 n. 125 Tutela delle denominazioni di origine e tipiche dei formaggi, cui sono seguite le Norme regolamentari d applicazione contenute nel D.P.R. 5 agosto 1955 n La Legge 125/54 tra le altre cose ha istituito un apposito Comitato Nazionale per la tutela dei formaggi a denominazione ed ha riconosciuto ai Consorzi volontari di produzione compiti di vigilanza sulla produzione e sul commercio dei formaggi a denominazione. Dicembre 2000 Pag. 22

23 Ad essa è seguito il D.P.R. 30 ottobre 1955 n di riconoscimento di 14 formaggi (Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Pecorino Romano, Pecorino Siciliano, Fontina, Montasio, Pressato, Ragusano, Taleggio, Fiore Sardo, Asiago, Provolone e Caciocavallo), che ha definito per ognuno di essi metodi di lavorazione, caratteristiche merceologiche e zone di produzione. Per quanto concerne gli altri formaggi piemontesi, oltre a Grana Padano e Gorgonzola, occorre attendere la fine degli Anni Settanta (se si eccettua il D.M. 24 novembre 1964 sulle caratteristiche del Toma prodotto nel vercellese) per avere i decreti di riconoscimento della Robiola di Roccaverano (1979) e di Murazzano, del Bra, del Raschera e del Castelmagno (1982), cui seguirà dieci anni dopo quello del Toma Piemontese (1993). Agli Anni Cinquanta datano anche i primi riconoscimenti di denominazione attribuiti ai vini (benché alcuni tentativi di regolamentazione fossero già stati fatti negli Anni Trenta, come il Decreto del Ministero Agricoltura e Foreste del 15 ottobre 1931 che delimitava la zona tipica di produzione del Marsala) a partire dalle leggi del 4 novembre 1950 n 1068 e n 1069 di riconoscimento rispettivamente del Moscato passito di Pantelleria e del Marsala. Bisognerà però attendere l inizio degli Anni Sessanta per avere la prima vera disciplina organica dei vini a denominazione d origine, orientata sul collaudato modello francese, con il D.P.R. 12 luglio 1963 n 930, che ha definito le Norme per la tutela delle denominazioni di origine dei mosti e dei vini, classificandole in: - denominazione di origine semplice (D.O.), controllata (D.O.C.) e controllata e garantita (D.O.C.G.). Da questo punto in avanti i vini italiani procederanno spediti, distanziando inesorabilmente tutti gli altri prodotti, verso un successo che non ha eguali ed in molti casi ha consentito la sopravvivenza, spesso pure ben remunerata, di vitigni, ambienti e consuetudini tradizionali. La distanza tra i vini e gli altri prodotti è ben sintetizzata dal fatto che in Piemonte, a fronte di ben 51 vini a DOC/DOCG, vi siano appena 6 DOP (formaggi) e 1 IGP (Nocciola Piemonte). Dicembre 2000 Pag. 23

24 Per questo motivo la presente ricerca non considera in alcun modo i vini, ritenendo che essi, ancorché siano sicuramente da considerarsi prodotti tipici di grande tradizione e qualità, siano ormai sufficientemente noti e studiati. La denominazione d origine, inizialmente come abbiamo visto riservata a vini e formaggi, è stata progressivamente allargata, a partire dagli Anni Ottanta, a salumi, olio extravergine di oliva, frutta e ortaggi. Quindi, negli anni successivi, la normativa nazionale è andata raccordandosi con la nascente normativa comunitaria, che ha dato nuovo impulso e indirizzo alla denominazione d origine I marchi di garanzia comunitari. Con i Regolamenti n. 2081/92 e 2082/92 la Comunità Europea ha per la prima volta inteso valorizzare i prodotti agroalimentari mettendone in evidenza la qualità legata all origine geografica. In particolare il Regolamento n. 2081/92, entrato in vigore il 24 luglio 1993, intende espressamente favorire lo sviluppo delle zone rurali e delle popolazioni che vi risiedono esercitando attività legate all agricoltura e alla trasformazione dei prodotti agricoli. È bene ricordare infatti che i prodotti che possono beneficiare dei marchi comunitari DOP e IGP (per i vini DOCG e DOC) risultato tutelati in modo più efficace in caso di contestazione, grazie alla prevalenza del diritto comunitario rispetto al diritto nazionale dei singoli Stati membri. Inoltre l Accordo TRIPS, applicabile nei 130 Paesi aderenti all Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), consente di tutelare, in tali Paesi, non solo i marchi e i brevetti di invenzione, ma anche le denominazioni di origine geografiche che risultano legittimamente tutelate all interno di ciascuno dei Paesi aderenti. Dicembre 2000 Pag. 24

25 I marchi comunitari sono riportati nello Schema n 2 brevemente nei paragrafi successivi. e descritti Schema n 2 - I marchi comunitari. D.O.P.: Denominazione di Origine Protetta. È il marchio comunitario che costituisce una tutela e una garanzia sia a livello comunitario che con i paesi terzi. La protezione della denominazione d'origine è stata attuata dalla Comunità Europea con il Regolamento N. 2081/92, entrato in vigore il 24 luglio In esso per Denominazione d'origine Protetta si intende: "il nome di una regione, di un luogo determinato o in casi eccezionali di un paese, che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare: - originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese, - la cui qualità o le cui caratteristiche siano dovute essenzialmente o esclusivamente all'ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali ed umani, - la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano nell'area geografica delimitata" (Art. 2 par.1). Dicembre 2000 Pag. 25

26 I.G.P.: Indicazione Geografica Protetta. È il marchio comunitario che viene attribuito a prodotti la cui origine fa riferimento ad uno specifico ambito territoriale, ma per i quali è sufficiente che solo una fase del processo produttivo avvenga nell'area geografica determinata. La protezione della indicazione geografica è stata attuata dalla Comunità Europea con il Regolamento N. 2081/92, entrato in vigore il 24 luglio In esso per Indicazione Geografica Protetta si intende: "il nome di una regione, di un luogo determinato o in casi eccezionali di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare: - originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese, - di cui una determinata qualità, la reputazione o un'altra caratteristica possa essere attribuita all'origine geografica, - la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengano nell'area geografica determinata" (Art. 2 par. 1). S.T.G.: Specialità Tradizionale Garantita. Il regolamento n. 2082/92 consente di attribuire la denominazione di Specialità Tradizionale Garantita ai prodotti fabbricati secondo le formule tradizionali nel paese di origine. In Italia ad oggi soltanto la mozzarella ha ottenuto questo riconoscimento. Le caratteristiche specifiche di tale regolamento e lo scarso interesse raccolto fino ad ora, non fanno intravedere grandi sviluppi futuri. 2.4 Tipicità come risultante di più fattori. Dalle più recenti indagini, come vedremo nel successivo paragrafo (cfr. par. 3), emerge come il consumatore ritenga elemento indispensabile per attribuire una patente di tipicità la presenza di un legame o di un vincolo tra prodotto e Dicembre 2000 Pag. 26

27 territorio. Tuttavia esistono molteplici fattori che, sommandosi e fondendosi a quello geografico, determinano il prodotto tipico ed il suo apprezzamento da parte della domanda finale. La Tabella n 1 che segue propone uno schema riepilogativo che classifica gli spazi di differenziazione tra: - differenti fasi e livelli della filiera: materie prime, trasformazione, stagionaturaconservazione; - differenti variabili di prodotto: areale di produzione (localizzazione), contenuto intrinseco delle componenti materiali del prodotto (input di produzione) e componenti esterne di processo (tecniche di gestione). Tab. n 1 - Le variabili della tipicità alimentare. Localizzazione Input di produzione Tecniche di gestione Materie prime agricole Comunale, provinciale, regionale (1 o più), nazionale Razza, varietà, cultivar, tipo alimentazione Trattamenti, lavorazioni, operazioni colturali, modalità raccolta Trasformazione Comunale, provinciale, regionale (1 o più), nazionale Salatura, tipo di caglio, ingredienti Parametri chimicofisici di gestione, tecnica di cottura, tecniche di spremitura Comunale, Tempi di Stagionatura, provinciale, stagionatura, conservazione regionale (1 o più), modalità di nazionale conservazione Dicembre 2000 Pag. 27

28 Le singole caselle mostrano alcuni esempi esplicativi del tipo di differenziazione che può essere introdotta e sottolineano come, a seconda dei casi, il livello di vincolo associato al prodotto può essere più o meno forte. In pratica la differenziazione insita in un prodotto tipico, e quindi la sua specificità, è la risultante di un mix di fattori che trovano nel disciplinare di produzione lo strumento di identificazione e la base di riferimento per i controlli e la certificazione. Ciò significa che non esiste una definizione univoca di tipicità, bensì esistono prodotti con diversi livelli di tipicità. Infatti, pur in presenza del minimo comune denominatore rappresentato dal legame col territorio, la differente qualità e quantità di vincoli legati al prodotto determina livelli distinti di tipicità. E tale attributo assume valori più elevati quanto maggiori risultano vincoli, legami ed elementi di differenziazione. 3. La tipicità percepita. L Istituto Nomisma ha condotto nel 2000 (VIII rapporto sull agricoltura italiana Prodotti tipici e sviluppo locale. Il ruolo delle produzioni di qualità nel futuro dell agricoltura italiana Sintesi dei risultati intermedi. Roma, 11 luglio 2000) un indagine sui prodotti tipici realizzata su un campione di consumatori rappresentativo dei grandi centri urbani (Milano, Torino, Bologna, Roma, Napoli, Bari) con l obiettivo di verificare: i criteri di scelta del consumatore relativi all acquisto di beni alimentari: l importanza della tipicità del prodotto come criterio di scelta negli acquisti dei prodotti alimentari; la capacità di identificazione dei prodotti tipici da parte del consumatore; Dicembre 2000 Pag. 28

29 la conoscenza di marchi di tutela comunitari per i prodotti alimentari; la capacità di associazione dei prodotti alimentari ai marchi di tutela; la riconoscibilità dei marchi DOP e IGP per le diverse categorie merceologiche di prodotti alimentari. l accettazione di un differenziale di prezzo tra tipico e non tipico.. I risultati di tale indagine sono sintetizzati nelle Tabelle di seguito riportate. Tab. n 2 - I criteri di scelta dei prodotti alimentari. Criteri di scelta Punteggio medio Importanza alta Giudizio da 8 a 10 Marchi di tutela e garanzie di qualità 8,8 85,8% Prodotto naturale 8,2 75,1% Provenienza italiana del prodotto 8,2 73,8% Vicinanza del punto vendita 8,0 68,3% Prezzo e convenienza 7,4 56,4% Presenza di promozioni 6,7 45,9% Prodotto della regione/provincia di appartenenza 5,9 34,9% Marca famosa 5,4 19,2% Fonte: Nomisma, Indagine Prodotti Tipici 2000 Dicembre 2000 Pag. 29

30 Tab. n 3 - Gli attributi di tipicità di un prodotto. Attributi % Genuino, non ha conservanti 31,8 Fatto con materie prime del territorio 24,5 Fatto con metodi artigianali 18,5 Basato su una ricetta tradizionale 15,8 Acquistabile direttamente nel luogo di produzione 9,4 Fonte: Nomisma, Indagine Prodotti Tipici 2000 Tab. n 4 Conoscenza dei marchi di tutela e certificazione dei prodotti alimentari. Conoscenza marchio Sì, conosco No, non conosco ISO 9000 UNI-EN ,0 74,0 Biologico 82,5 17,5 Lotta integrata 16,6 83,4 DOP 28,8 71,2 IGP 18,1 81,9 STG 12,5 87,5 Fonte: Nomisma, Indagine Prodotti Tipici 2000 Dicembre 2000 Pag. 30

31 Tab. n 5 - Associazione tra prodotti alimentari e marchi di tutela: analisi per comparto. Percezione Percezione Comparto Non so errata Corretta Salumi e carne 31,3 22,3 46,6 Formaggi 28,9 23,1 48,1 Ortofrutta 33,3 38,8 27,9 Pasta e prodotti da forno 29,4 47,6 23,0 Fonte: Nomisma, Indagine Prodotti Tipici 2000 Tab. n 6 - Il differenziale di prezzo sostenibile per i prodotti tipici. È disposto a pagare un prezzo più elevato per il prodotto tipico? Risposte % Sì, anche molto elevato (>50%) 10 Sì, con una differenza tra il 20% e il 50% 19 Sì, ma non più del 20% 47 No, non sono disposto a pagare alcuna differenza 18 Fonte: Nomisma, Indagine Prodotti Tipici 2000 Non so 6 Dicembre 2000 Pag. 31

32 4. La inadeguatezza degli strumenti comunitari di tutela dell origine dei prodotti tipici. Abbiamo visto nei paragrafi precedenti come esistano diversi livelli di tipicità, che tende ad assumere valori più elevati quanto maggiori risultano i vincoli e gli elementi di differenziazione, e come il legislatore comunitario, con DOP, IGP e STG, abbia in un certo senso interpretato tale aspetto. È indubbio però che, in senso più generale, livelli differenti di tipicità siano riscontrabili anche al di fuori del sistema delle denominazioni comunitarie, tra i prodotti che, a vario titolo - tradizionali, di fattoria, locali, di parchi/aree protette, ecc. - si propongono al consumatore come tipici. Quindi, nonostante essi rappresentino il quadro normativo di riferimento essenziale per la valorizzazione dei grandi prodotti tipici italiani e per supportare politiche di espansione delle esportazioni, i regolamenti sulla tutela dell origine non sono, da soli, in grado di coprire la vasta gamma di opportunità, produzioni e nicchie che caratterizzano i sistemi agricoli e territoriali italiani. La valorizzazione completa del prodotto tipico italiano (come in altri Paesi Europei) necessita di diversi strumenti interrelati organicamente, in grado di assicurare quei principi di flessibilità e diversificazione che sono insiti nel concetto esteso di tipicità. Tra le varie opportunità che l esperienza ha dimostrato difficilmente valorizzabili con i regolamenti sulle denominazioni d origine, un ruolo rilevante è rappresentato dalle produzioni ottenute con processi tradizionali (ecotipi locali di nicchia, preparazioni gastronomiche tradizionali, eccetera). Si tratta, in genere, di produzioni agricole ottenute con processi di trasformazione consolidati nel tempo (formaggi, salumi, varie tipologie di conserve vegetali) che si caratterizzano come arte del particolare, assumendo non di rado valenze di assoluta eccellenza. Dicembre 2000 Pag. 32

33 Queste produzioni non sempre possono rientrare negli schemi segnati dalla regolamentazione comunitaria per diversi motivi interagenti e, talvolta, sovrapposti: piccola scala produttiva; eterogeneità delle produzioni; frammentazione delle aziende produttrici, difficilmente organizzabili in consorzi. A ciò occorre aggiungere poi che, generalmente, queste produzioni si caratterizzano per porsi ai massimi livelli di tipicità e quindi di vincoli e di differenziazione, il che si scontra con la generale correlazione positiva presente tra vincoli e costi di produzione, a livello tanto a livello d impresa quanto di filiera, come ben evidenzia lo Schema n 3. Schema n 3 - Il binomio vincoli-dimensioni. Costi maggiori Volumi prodotto ridotti Vincoli blandi Vincoli estremi Volumi prodotto elevati Costi minori Fonte Nomisma Dicembre 2000 Pag. 33

34 La correlazione diretta tra vincoli e costi di produzione è comunque soltanto una delle componenti economiche che caratterizzano i sistemi di produzione tipici, come si può evincere dalla Tab. n 7, nella quale viene riportato con maggiore dettaglio il panorama delle funzioni economiche del prodotto, distinguendo tali funzioni a seconda che riguardino il livello microeconomico dell impresa o quello più generale della filiera e del sistema locale. Proprio perché, come abbiamo visto, l elemento imprescindibile della tipicità è la presenza di un legame diretto tra prodotto e territorio, si comprende come tale caratteristica implichi effetti economici diretti e indiretti sull economia del comprensorio considerato. Il modello economico della produzione tipica può interagire anche a livello di sistema territoriale, garantendo la massima efficienza in termini di attivazione dell economia locale. Infatti i legami col territorio garantiscono la permanenza in esso dei benefici economici di una positiva evoluzione del prodotto sul mercato finale. D altronde, se sostenuto da una coerente concertazione e condivisione territoriale delle scelte programmatorie riferite allo sviluppo rurale, il prodotto tipico può coagulare sinergie intersettoriali con altre componenti dell economia e del territorio (turismo, ambiente, cultura). Ecco perché diviene estremamente importante una politica di sostegno che tuteli non solo le poche grandi produzioni tipiche a marchio comunitario, ma anche la miriade di produzioni tradizionali, ivi compresi le tante piccole DOP e IGP che non riescono ad andare oltre un mercato più o meno strettamente locale. Dicembre 2000 Pag. 34

35 Tab. n 7 - Le funzioni economiche dei modelli di produzione tipici. Minacce vincoli Opportunità I M P R E S A S I S T E M A - Maggiori costi di produzione delle materie prime - Maggiori costi di trasformazione - Costi del sistema di controllo e certificazione - Costi di produzione, commercializzazione e tutela giuridica del prodotto - Ripensamento approccio allo sviluppo locale - necessità di coordinamento di filiera e di sistema economico locale - condivisione territoriale di indirizzi e strategie - nuovi segmenti di domanda interna - nuovi mercati geografici - maggiori garanzie di reddito - sfuggire alla concorrenza internazionale - garanzia indotto economico - garanzia indotto occupazionale - sinergie intersettoriali per lo sviluppo locale - conservazione identità storicoculturale È sufficiente così uno sguardo, anche sommario e frettoloso, al panorama italiano delle produzioni tipiche tutelate, per rimanere colpiti innanzitutto dalla natura bipolare del paniere dei prodotti italiani a denominazione comunitaria. La Tab. n 8 mostra infatti come i primi 10 prodotti DOP/IGP per dimensione di PLV agricola attivata (qui elencati in ordine di PLV decrescente: Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma, Gorgonzola, Pecorino Romano, Prosciutto San Daniele, Mozzarella di Bufala Campana, Prosciutto di Norcia, Speck Alto Adige, Prosciutto di Modena), aggreghino una quota di PLV Dicembre 2000 Pag. 35

36 complessiva pari a circa il 92% ed una quota pressoché analoga in termini di export (90%). Tab. n 8 - La concentrazione dei prodotti DOP/IGP PLV Quota Export Prodotti (mrd. Lire) % (mrd. Lire) Quota % Top , ,4 Altri 93 prodotti 465 8, ,6 Totale paniere DOP/IGP , ,0 Fonte: elaborazioni Nomisma su dati Consorzi di Tutela Oltre alla caratteristica dimensionale, anche altre variabili della tipicità contribuiscono a definire tipologie di prodotto e modelli di filiera. In questo senso lo Schema n 4 individua, sui due livelli accesso alle materie prime e ampiezza dell area di trasformazione, quattro gruppi di prodotto: A) prodotti con bacini geografici ampi sia per l approvvigionamento delle materie prime e sia per l area di trasformazione; B) prodotti con ampio bacino di approvvigionamento delle materie prime e area di trasformazione ristretta; C) i cosiddetti prodotti alimentari locali, che possiedono caratteristiche intermedie, vuoi per dimensioni, vuoi per materie prime e aree di trasformazione (ambiti provinciali o pluricomunali), e che trovano sbocco prevalentemente in mercati locali e regionali; in questa categoria rientrano gran parte dei prodotti a marchio dei settori caseario e della salumeria; D) vi è infine il cosiddetto giacimento delle nicchie, che racchiude preziosità d ogni genere. Dicembre 2000 Pag. 36

37 In quest ultima categoria rientra tutto quell elevato numero di prodotti nazionali - ivi comprese alcune DOP e IGP minori e quei prodotti legati alle numerose iniziative di marchi collettivi fiorite di recente nel nostro paese - contraddistinti da una forte specializzazione, tanto delle materie prime quanto della trasformazione, e caratterizzati da dimensioni di scala ridotte o anche molto ridotte (da qualche miliardo a alcune decine di milioni). E sarà proprio di questi prodotti che si occuperà la presente ricerca. Schema n 4 - La mappa strategica dei prodotti tipici. A Accesso a Materie Prime (bacino approvv. ampio) B Mortadella di Bologna Grana Padano Gorgonzola Pecorino Romano Bresaola Speck Prosciutto di Parma Parmigiano Reggiano Area di trasformazione ampia C Prodotti alimentari locali Area di trasformazione ristretta Limitazione Materie Prime (bacino approvv. ristretto) Giacimento delle nicchie D Fonte Nomisma Dicembre 2000 Pag. 37

38 5. L elenco regionale dei prodotti agroalimentari tradizionali (ai sensi dell art. 8 del Decreto Legislativo 30 aprile 1998 n. 173). L introduzione delle recenti normative in materia di caratteristiche igienicosanitarie degli alimenti - il Decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1997 n. 54 in materia di produzioni lattiero-casearie, attuazione delle direttive CE 92/46 e 92/47, e soprattutto il decreto Legislativo 26 maggio 1997 n. 155, attuazione delle direttive CE 93/43 e 96/3, concernente l igiene dei prodotti alimentari - ha suscitato da più parti nel nostro Paese forti proteste, che si sono tradotte in una riscoperta delle produzioni tipiche italiane, considerate le prime vittime d una visione troppo rigida e burocratica del sacrosanto concetto della tutela del consumatore, ed in una massiccia mobilitazione dell opinione pubblica in favore della loro salvaguardia. Per tentare in qualche modo di placare le proteste e di favorire l ottenimento di qualche deroga per talune produzioni tradizionali, il Decreto Legislativo 30 aprile 1988 n. 173 ha istituito la pubblicazione di un elenco regionale di prodotti tradizionali (art. 8, comma 1) e ha dato vita ad un Comitato, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con lo scopo di promuovere e diffondere le produzioni agroalimentari tipiche e di qualità e per accrescere le capacità concorrenziali del sistema agroalimentare nazionale, nell ambito di un programma integrato di valorizzazione del patrimonio culturale, artigianale e turistico nazionale (art. 8, comma 3). Sulla scorta di ciò la Regione Piemonte ha emesso con deliberazione della Giunta Regionale 10 aprile 2000 n , pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte del 24 maggio un primo elenco di prodotti agroalimentari tradizionali del Piemonte, che riporta le schede tecniche di 162 prodotti e cita altri 65 prodotti in via di definizione. Di questi prodotti, 91 Dicembre 2000 Pag. 38

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