COLLEGIO DI NAPOLI. Membro designato dalla Banca d'italia. (NA) RISPOLI FARINA Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari

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1 COLLEGIO DI NAPOLI composto dai signori: (NA) QUADRI (NA) CARRIERO (NA) CONTE Presidente Membro designato dalla Banca d'italia Membro designato dalla Banca d'italia (NA) RISPOLI FARINA Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari (NA) BARENGHI Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti Relatore RISPOLI FARINA MARILENA Nella seduta del 25/09/2014 dopo aver esaminato: - il ricorso e la documentazione allegata - le controdeduzioni dell intermediario e la relativa documentazione - la relazione della Segreteria tecnica FATTO La rappresentante volontaria della ricorrente, cointestataria con quest ultima di un rapporto di conto corrente intrattenuto presso l intermediario convenuto, il 06/01/2014 si accorgeva che il giorno precedente le era stato sottratto il portafogli contenente, tra l altro, una carta bancomat a valere sul citato rapporto. Nell immediatezza effettuava una verifica on line e si avvedeva della presenza di quattro operazioni di prelievo presso ATM, da lei non riconosciute, per un controvalore totale pari a 540,00 euro. Alle ore dello stesso giorno (06/01/2014), provvedeva a richiedere il blocco dello strumento di pagamento e, il giorno successivo, a sporgere denuncia sull accaduto alle forze dell ordine. In sede di ricorso, infine, la rappresentante volontaria della ricorrente, rendeva noto che con il furto le erano state sottratte altre carte di pagamento, che tuttavia non erano state oggetto di alcun utilizzo fraudolento in quanto il microchip su di esse presente era di un tipo più nuovo. Sempre in sede di ricorso, la rappresentante volontaria della ricorrente, dichiarava anche che il PIN relativo allo strumento di pagamento oggetto del ricorso non era conservato unitamente a questo, ma era custodito in forma criptata. Pag. 2/6

2 In sede di controdeduzioni l intermediario, ripercorrendo la successione degli eventi chiariva che lo strumento di pagamento oggetto dell utilizzo fraudolento risultava essere stato bloccato, su richiesta della ricorrente il 06/01/2014 alle ore 11:25. Relativamente alle operazioni effettuate con la carta bancomat, l intermediario evidenziava come queste fossero state messe in atto con la carta originale, oggetto del furto, e con il corretto inserimento del codice PIN sin dal primo tentativo di digitazione. Tale circostanza, unita al ridotto lasso temporale intercorso tra il furto dello strumento di pagamento ed i prelievi contestati, induceva l intermediario a supporre che il PIN relativo al bancomat della ricorrente fosse conservato insieme alla carta o comunque facilmente desumibile tra gli effetti personali sottratti col furto. La carta in questione, inoltre, era dotata di tecnologia Chip-Pin. L intermediario concludeva, quindi, che l intera responsabilità dei fatti non poteva che ascriversi al comportamento della ricorrente, giudicato gravemente negligente nei suoi obblighi di custodia dello strumento di pagamento a lei concesso in uso, e dei relativi codici operativi. Tale comportamento aveva infatti consentito a terzi non autorizzati di disporre della carta e dei relativi codici. Con una nota di replica alle controdeduzioni, fatta pervenire via PEC, la ricorrente, per il tramite della sua rappresentante volontaria, eccepiva: 1) la tardività della produzione delle controdeduzioni da parte dell intermediario contestando la loro ricevibilità. 2) Il mancato rispetto, da parte dell intermediario, degli standard richiesti per il microchip presente sulla carta di pagamento oggetto del ricorso (a detta della ricorrente tale bancomat, emesso nel 2010, presentava un microchip inferiore agli standard europei e bene avrebbe fatto l intermediario a provvedere al suo ritiro dalla circolazione a tempo debito). La rappresentante volontaria della ricorrente precisava anche che il furto di cui era rimasta vittima era avvenuto con particolare destrezza, integrando quindi la fattispecie di minorata difesa ex art. 625 c.p. come novellato dalla l. 94/2009. La rappresentante volontaria della ricorrente, escludendo una sua negligenza nella conservazione del PIN, ribadiva inoltre, che tra gli effetti a lei sottratti erano presenti altri strumenti di pagamento tuttavia non utilizzati dai malfattori. Tale ultima circostanza poteva confermare che non vi era nessuna annotazione nel portafoglio del PIN della carta in questione. 3) Relativamente, infine, a quanto dedotto dall intermediario circa la mancata custodia del PIN e a quanto previsto nel D.lgs. 11/2010, la rappresentate volontaria delle ricorrente, eccepiva che la colpa grave del cliente non può presumersi in base alla circostanza che un terzo abbia perpetrato prelievi a suo danno, facendo uso del PIN (a tale riguardo richiamava la sentenza del Trib. Di Roma del 20/03/2006). Citava poi, a sostegno di un favorevole accoglimento del ricorso presentato, le decisioni ABF nn. 770 e 397 del 2013, 1590/2012, 1085/2011 e 1387/2010 La ricorrente ha quindi richiesto all ABF di disporre nei confronti dell intermediario convenuto la restituzione della complessiva somma di 543,00 euro relativa alle quattro operazioni, disconosciute, di prelievo presso ATM, oltre il riconoscimento delle spese legali quantificate in 200,00 euro. La resistente si oppone alla domanda e chiede al Collegio che il ricorso sia rigettato per non essersi verificata, nella vicenda rappresentata, nessuna responsabilità ad essa riconducibile, o, in subordine, di applicare la franchigia di cui all art. 12 comma 3 del D.Lgs 11/2010. DIRITTO Pag. 3/6

3 Il Collegio deve deliberare in merito alla richiesta della ricorrente, di rimborso di operazioni fraudolente poste in essere con la carta di debito a lei intestata e sottratta con il portafoglio in un centro commerciale. Sulle ipotesi di prelievi fraudolenti effettuati in concomitanza di furto dello strumento di pagamento questo Collegio si è più volte pronunziato. Vale, da ultima, ricordare la decisione n. 55 del 2014, che tiene conto anche delle recenti decisioni del Collegio di coordinamento. La questione centrale che questo Collegio deve affrontare per la soluzione del caso in esame concerne il rispetto dei doveri di custodia dello strumento di pagamento (nella specie la carta Bancomat e il PIN da parte del cliente) da un lato e il grado di diligenza che si può richiedere all intermediario in relazione all erogazione di detto servizio dall altro, ciò ai fini di stabilire la responsabilità della banca per i danni derivanti dalle operazioni fraudolente. Preme sottolineare che all epoca dei fatti all origine del presente procedimento era già in vigore la normativa (di recepimento della c.d. Direttiva PSD) di cui al D. Lgs. 27 gennaio 2010, n. 11, che costituisce la disciplina speciale dettata ad hoc dal legislatore comunitario, sulla base della best practice assunta dagli intermediari in tema di servizi di pagamento. Secondo tale disciplina salvo il caso in cui l utilizzatore abbia agito con dolo o colpa grave ovvero non abbia adottato le misure idonee a garantire la sicurezza dei dispositivi personalizzati che consentono l utilizzo dello strumento di pagamento, prima della comunicazione eseguita ai sensi dell articolo 7, comma 1, lettera b), l utilizzatore medesimo può sopportare per un importo comunque non superiore complessivamente a 150 euro la perdita derivante dall utilizzo indebito dello strumento di pagamento conseguente al suo furto o smarrimento (art. 12, comma 3); nel contempo, qualora abbia agito in modo fraudolento o non abbia adempiuto ad uno o più obblighi di cui all art. 7 con dolo o colpa grave, l utilizzatore sopporta tutte le perdite derivanti da operazioni di pagamento non autorizzate e non si applica il limite di 150 euro di cui al comma precedente (art. 12, comma 4). Per una compiuta ricostruzione della disciplina in esame, preme segnalare che secondo l interpretazione prospettata dal Collegio di coordinamento dell ABF nella decisione n. 5304/2013 grava sul prestatore la prova (non solo dell adozione da parte sua dei presidi di sicurezza degli strumenti di pagamento, bensì anche) della sussistenza di quell elevato e abnorme grado di negligenza in capo all utilizzatore, al ricorrere del quale possa imputarsi allo stesso la responsabilità delle conseguenze di un utilizzo fraudolento della carta rubata. Ne consegue che, come già rilevato dall Arbitro, la prova della colpa grave indica, più specificamente, la prova dei fatti che, in connessione tra loro, possono ragionevolmente condurre a ritenere gravemente negligente la condotta del cliente. Tale prova può ovviamente essere fornita pure per mezzo di presunzioni, purché queste, com è noto, siano gravi, precise e concordanti secondo quanto dispone l art c.c. (cfr. decisione del Collegio ABF di Milano n. 1033/2012). Va anche aggiunto che la stessa Corte di Cassazione, a tale specifico riguardo, ritiene ammissibile la prova indiziaria della sussistenza della colpa grave (cfr. Cass. civ., Sez. II, 18 gennaio 2010, n. 654). Si tratta, quindi, di valorizzare le singole e specifiche circostanze relative alla fattispecie in esame, rispetto alle quali è necessario verificare se alla luce degli elementi costituitivi della fattispecie, stretti in intima connessione tra loro sia possibile desumere in capo all utilizzatore un comportamento gravemente colposo. Pag. 4/6

4 Non osta rispetto a tale ricostruzione il dettato dell art. 10, comma 2, D. Lgs. n. 11/2010, nella parte in cui dispone che Quando l utilizzatore dei servizi di pagamento neghi di aver autorizzato un operazione di pagamento eseguita, l utilizzo di uno strumento di pagamento registrato dal prestatore di servizi di pagamento non è di per sé necessariamente sufficiente a dimostrare che l operazione sia stata autorizzata dall utilizzatore medesimo, né che questi abbia agito in modo fraudolento o non abbia adempiuto con dolo o colpa grave a uno o più degli obblighi di cui all articolo 7. Nonostante il dato testuale parrebbe escludere prima facie qualsiasi presunzione al riguardo, deve infatti rilevarsi che l espressa enunciazione del dettato normativo dispone che il solo compimento dell operazione fraudolenta non costituisca di per sé e necessariamente prova della colpa grave dell utilizzatore. Ne consegue che la formulazione della norma citata consente all interprete di ritenere che si tratti non già di una esclusione totale ed automatica, ma che l unica presunzione che appare da essa vietata è quella relativa dell affermazione della colpa grave esclusivamente collegata all utilizzo della carta; da ciò discende, a contrario, che sia invece ammissibile tale presunzione, laddove sussista una serie di elementi di fatto particolarmente univoca e convergente, al punto che possa ragionevolmente ritenersi che l utilizzo fraudolento sia effettivamente riconducibile sul piano causale alla condotta dell utilizzatore. Orbene, in fattispecie come quella in esame occorre verificare se la sequenza temporale tra furto e utilizzi fraudolenti posti in stretta successione tra loro sia idonea a fondare la presunzione della sussistenza della colpa grave in capo all utilizzatore: nella ricostruzione di tale iter, i fatti noti consistono nel furto della carta e nel suo utilizzo immediato e fraudolento; sulla base di tali premesse in fatto deve risalirsi al fatto ignoto consistente nella conservazione del PIN unitamente alla carta e alla relativa facile associazione. È tale comportamento, infatti, che si pone in contrasto con obblighi specifici derivanti dalla legge e dal contratto con il prestatore e che integra ex se la colpa grave dell utilizzatore. In altre parole, non v è un ulteriore passaggio logico-deduttivo, in base al quale - alla luce di fatti noti debba risalirsi dapprima al fatto ignoto consistente nella conservazione congiunta di PIN e carta (che costituirebbe una prima presunzione semplice), in ragione della quale dovrebbe ulteriormente presumersi la sussistenza della colpa grave (che costituirebbe una seconda presunzione). Ritenuto, pertanto, legittimo tale percorso argomentativo, poiché esso non costituisce una praesumptio de praesunto bensì una presunzione seppure qualificata, questo Collegio avendo presente che non possa ritenersi provata, neppure in via presuntiva, la colpa grave dell utilizzatore sulla base dei soli utilizzi fraudolenti in tempi alquanto ravvicinati rispetto al furto (cfr. la succitata decisione del Collegio di coordinamento n. 5304/2013) ritiene tuttavia di poter ravvisare una colpa grave del ricorrente in presenza di ulteriori elementi di fatto che siano per l appunto gravi, precisi e concordanti ed in relazione ai quali vi sia un elevato grado di probabilità che detti utilizzi fraudolenti siano ascrivibili alla condotta gravemente colposa dell utilizzatore, il quale con il proprio comportamento abbia casualmente contribuito al verificarsi dell evento. Nel caso di specie, la ricostruzione dei fatti, operata anche da parte ricorrente, è tale da far ritenere sussistente proprio detta serie univoca e concordante di elementi atti a dimostrare un contegno gravemente colposo da parte del ricorrente. Pag. 5/6

5 La sottrazione della carta, infatti, rientra in uno di quei casi qualificabili come furto con destrezza, più volte portati alla cognizione dell ABF. Ciò premesso, non può mancarsi di rilevare che gli utilizzi fraudolenti sono avvenuti con successo a pochissima distanza dal momento in cui il ricorrente ha dichiarato di aver subito il furto: questo ristrettissimo arco temporale risulta incompatibile con l eventualità che i ladri abbiano proceduto a digitare il PIN per tentativi, denotando invece che al contrario essi dovessero necessariamente conoscerlo al punto da poter effettuare le transazioni contestate. La successione temporale degli eventi può, insomma, far presumere con un elevato grado di probabilità che il PIN fosse conservato unitamente alla carta e ad essa immediatamente associabile, al punto da renderne particolarmente agevole la digitazione per porre in essere le operazioni oggi contestate. Tutti i prelievi sono stati effettuati tramite ATM posizionati nella stessa città in cui è allocato anche il centro commerciale nel quale è avvenuto il furto. In particolare, poi, i primi tre prelievi sono avvenuti presso sportelli di altri istituti (i primi due presso il medesimo ATM), mentre l ultimo è stato messo in atto presso un ATM collocato in una delle filiali dell intermediario. Le altre carte di pagamento, sottratte, non dotate di PIN, non sono state utilizzate. Il che fa presumere che i ladri siano stati in grado di accedere al Pin proprio della carta la cui utilizzazione viene qui in discussione con una certa facilità, in quanto la ricorrente non ha adottato le dovute cautele. Tale comportamento ascrivibile alla ricorrente evidenzia, allora, una violazione gravemente colposa degli obblighi di conservazione e di sicurezza sullo stesso gravanti, sia in relazione alle disposizioni di legge, sia in relazione alle disposizioni contrattuali (nello stesso senso, decisioni del Collegio ABF di Napoli nn. 4885/2013, 4856/2013, 3260/2013). Né può imputarsi all intermediario una grave violazione dei criteri di diligenza e buona fede nell esecuzione del contratto. La carta, deve aggiungersi, era dotata di microchip (di cui viene, dalla ricorrente, peraltro, solo affermata la inadeguatezza), così da rendere oltremodo difficile l operazione di estrazione del PIN in termini di tempo molti ristretti. In relazione agli elementi fin qui esposti, il Collegio si orienta per non accogliere il ricorso. Il Collegio non accoglie il ricorso. P.Q.M. IL PRESIDENTE firma 1 Pag. 6/6

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