Giancarlo Pontiggia Maria Cristina Grandi. Bibliotheca Latina. Storia e testi della letteratura latina. Casa Editrice G.

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2 Giancarlo Pontiggia Maria Cristina Grandi Bibliotheca Latina Storia e testi della letteratura latina

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4 Giancarlo Pontiggia Maria Cristina Grandi Bibliotheca Latina Storia e testi della letteratura latina 1 Dalle origini all età di Cesare PRINCIPATO

5 Direzione editoriale: Franco Menin Progetto graico e copertina: Giuseppina Vailati Canta Ricerca iconograica: Manuela Capitani, Fabio Rossi Impaginazione: he Good Company, Uicio Graico Principato Immagine di copertina: Busto di Cesare, I sec. a.c., Berlino, Altes Museum I materiali reperibili nel sito o allegati all edizione digitale sono messi a disposizione per un uso esclusivamente didattico. All atto della pubblicazione la casa editrice ha provveduto a controllare la correttezza degli indirizzi web ai quali si rimanda nel volume; non si assume alcuna responsabilità sulle variazioni che siano potute o possano intervenire successivamente. Per le riproduzioni di testi e immagini appartenenti a terzi, inseriti in quest opera, l editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire, nonché per eventuali non volute omissioni e/o errori di attribuzione nei riferimenti. ISBN (Bibliotheca Latina 1 + versione digitale) ISBN (sola versione digitale) Prima edizione: gennaio 2014 Ristampe VI V IV III II I Printed in Italy 2014 Proprietà letteraria riservata. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo efettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere efettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n Le riproduzioni per inalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale, possono essere efettuate a seguito di speciica autorizzazione rilasciata da EDISER (Centro licenze e autorizzazioni per le riproduzioni editoriali), corso di Porta Romana 108, Milano, autorizzazioni@clearedi.org e sito web Casa Editrice G. Principato S.p.A. Via G.B. Fauché Milano info@principato.it La casa editrice attua procedure idonee ad assicurare la qualità nel processo di progettazione, realizzazione e distribuzione dei prodotti editoriali. Stampa: SEBEGRAF Arese (MI)

6 Bibliotheca Latina Nel progettare Bibliotheca Latina ci siamo proposti di realizzare uno strumento scientiicamente corretto e didatticamente aggiornato, capace di fondere le caratteristiche di un manuale (cioè di una storia articolata per periodi rigorosamente e ordinatamente scanditi) con quelle di un antologia (fondata sulla centralità dei testi). La sezione antologica comprende accanto a un abbondante scelta di testi tradizionalmente presentati in lingua latina con traduzione italiana a fronte un cospicuo numero (oltre cento) di testi d autore, i classici in lingua originale (segnalati dal simbolo ), ampiamente annotati e commentati, provvisti in nota di complete e fedeli traduzioni che aiuteranno lo studente nella comprensione linguistico-grammaticale dei testi. Gli autori proposti come classici sono, nell ordine: Plauto, Terenzio, Catullo, Lucrezio, Cicerone, Cesare, Sallustio, Virgilio, Orazio, Tibullo, Properzio, Ovidio, Livio, Seneca, Tacito, Agostino. In molti casi, sono state privilegiate opere complete (come il Somnium Scipionis e la prima Catilinaria di Cicerone) o ampiamente antologizzate (come il Liber catulliano e il De coniuratione Catilinae di Sallustio). La selezione dei brani è stata ogni volta impostata sul criterio della maggiore esemplarità dei testi e dei temi afrontati: la igura di Catilina ritorna nella prospettiva a caldo della celebre orazione ciceroniana, come in quella più distanziata della monograia sallustiana; la rilessione sulla dottrina epicurea si sviluppa in un confronto serrato fra Lucrezio e Cicerone. Le tre sezioni in cui si articola il corso (Proilo storico-letterario, Antologia, Classici) sono state progettate in uno stretto rapporto di reciproca interazione, in modo tale che il discorso storico del proilo fosse funzionale a quei testi, e che i testi scelti fossero ogni volta rappresentativi di un autore e di un epoca: di questo rapporto testimoniano i continui rinvii tra le due sezioni (storica e antologica) mediante la speciica tavola di numerazione. La ricchezza dell antologia (247 testi introdotti e commentati nel solo primo volume), resa possibile anche dalla collocazione di una parte dei testi (segnalati dal simbolo [ ONLINE]) nel sito della casa editrice, risponde all intento di consentire all insegnante la più ampia possibilità di scelta. L impianto del discorso storico-letterario è in sostanza quello più collaudato e didatticamente eicace: l ordine cronologico è rigorosamente rispettato; gli autori maggiori sono afrontati in capitoli autonomi; il rapporto fra la produzione letteraria e il contesto storico-sociale viene sempre evidenziato. Ampio spazio è tuttavia riservato all evoluzione dei generi letterari: diversi capitoli presentano un impostazione e un percorso per generi (il teatro e l epica nell età arcaica; la storiograia nell età della tarda repubblica; l elegia augustea; la poesia nella prima età imperiale; le forme della letteratura cristiana); in altri casi il discorso sul genere trova posto all interno dei capitoli dedicati a singoli autori (ad esempio il poema didascalico, l epigramma, il romanzo nei capitoli su Lucrezio, Marziale, Petronio). Numerose Schede danno conto dell evoluzione di alcuni generi nel mondo greco («Retorica e oratoria nel mondo antico»; «La storiograia greca») o romano («La satura»). La letteratura latina può anche essere interpretata sul piano storico come una grande cerniera, dotata naturalmente di caratteri originali, fra il mondo greco e le culture successive (dal Medioevo latino e volgare ai nostri giorni). Per questo si è voluto render conto di entrambe le prospettive, procedendo mediante veri e propri campioni di lettura: testi brevi ma signiicativi, capaci di far luce 5

7 Bibliotheca Latina sui rapporti degli scrittori latini sia con il loro passato che con il nostro presente: un frammento di Varrone è accompagnato per esempio da un testo poetico dell ultimo Montale; numerosi componimenti di Catullo, Lucrezio, Virgilio, Orazio (e di molti altri ancora) rinviano ai loro precedenti greci. Speciici capitoli dedicati alla Fortuna dei singoli autori aiutano a comprendere il processo di circolazione e di difusione delle opere latine più signiicative nel corso dei secoli, sottolineando ogni volta l inluenza che esse hanno esercitato sulla letteratura successiva. Una rubrica intitolata Documenti e Testimonianze dà conto del giudizio degli antichi, sia greci sia latini, sugli autori letti e studiati. La centralità del testo è una delle acquisizioni indiscutibili della didattica più aggiornata: ciascun testo è non solo introdotto ma anche annotato con cura e seguito frequentemente da rubriche intitolate Testi (che permettono, come si è detto, di impostare confronti intertestuali con autori delle maggiori letterature antiche e moderne), Letture critiche (pagine dei maggiori studiosi di letteratura classica), Letture parallele (che suggeriscono titoli e percorsi per letture autonome e approfondimenti). Non minore attenzione è stata prestata agli apparati necessari allo studio e alla lettura dei testi: di qui la presenza di Schede (ad esempio «La traduzione latina», «La dottrina epicurea», «Libri, lettori e biblioteche nel mondo antico»); di Sommari delle opere maggiori (per restare al solo primo volume: i poemi omerici; le Argonautiche di Apollonio Rodio; le commedie di Plauto e di Terenzio; i carmina docta di Catullo; il De rerum natura di Lucrezio; le opere storiche di Cesare e di Sallustio; le opere ilosoiche di Cicerone); di un Glossario dei termini retorici e stilistici; di ragionati blocchi di Veriiche, che riguardano non solo tutti i capitoli di storia letteraria, ma anche tutti i testi dei classici letti direttamente in lingua latina. Gli esercizi sono stati pensati sia come momento di veriica immediata dei passi tradotti («Analisi del testo»), sia come ulteriore rilessione sugli autori presi in esame («Approfondimenti»). Gli autori L impostazione e la struttura generale dell opera sono il risultato di un elaborazione comune. In particolare, a Giancarlo Pontiggia si devono i capitoli 1, 2, 3, 6, 7, 9, 10, 13, 15, 16, 17 e le Schede 3 e 5; a Maria Cristina Grandi i capitoli 4, 5, 8, 11, 12, 14, 15 [T136, 137, 138, 141, 142, 144], 18, nonché le Schede 1, 2, 4, 6 e il Glossario dei termini retorici e stilistici. 6

8 1 L età preletteraria 1 Le origini 7

9 Cronologia 753 Data della fondazione di Roma secondo Varrone, da cui cominciano a decorrere gli anni ab Urbe condita 725 L anno della fondazione di Cuma secondo la tradizione. Ha inizio la colonizzazione greca dell Italia meridionale Età regia Secondo la tradizione, si susseguono sette re: Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marcio, Tarquinio Prisco, Servo Tullio, Tarquinio il Superbo. I primi quattro indicano un alternanza fra la componente latina e quella sabina; gli ultimi tre, un periodo di signoria etrusca su Roma 509 Cacciata di Tarquinio il Superbo e instaurazione della repubblica con l elezione dei primi due consoli. Nello stesso anno è ricordato un trattato commerciale fra Roma e Cartagine Secessione della plebe e creazione dei tribuni Guerra contro gli Equi, i Volsci e i Sabini Redazione e promulgazione delle XII Tavole Istituzione della questura Lex Canuleia: il tribuno della plebe G. Canuleio fa approvare la revoca del divieto di connubium fra patrizi e plebei 443 Istituzione della censura 431 Vittoria dei Romani sugli Equi presso il monte Algido 390 (secondo altre fonti 387) I Galli espugnano Roma 378 Costruzione delle cosiddette Mura serviane 376 ca Leges Liciniae et Sextiae: i plebei sono ammessi al consolato 366 Viene registrato il primo console plebeo. Istituzione della pretura 348 Viene rinnovato il trattato commerciale fra Roma e Cartagine PRIMA GUERRA SANNITICA Guerra latina. Vengono regolati nuovi rapporti con le città del Lazio SECONDA GUERRA SANNITICA, che si risolve con l ampliamento dei territori controllati da Roma (321: Forche Caudine) 306 Nuovo trattato commerciale fra Roma e Cartagine 312 Appio Claudio fa costruire la via Appia TERZA GUERRA SANNITICA (295: battaglia di Sentino) Guerra contro Taranto, che chiede aiuto a Pirro. Con la presa di Taranto, Roma controlla l intera Italia meridionale PRIMA GUERRA PUNICA 8 L ETÀ PRELETTERARIA

10 1 Le origini 1.1 La fondazione Latini e Sabini Fra Etruria e Grecia Lungo le rive del Tevere, a valle di una grande ansa naturale dove la corrente si fa più pigra, in presenza di un guado che consentiva facilmente il transito alle due sponde, a pochi chilometri dalla foce marina, sulle alture diseguali che dominavano un ampio orizzonte boscoso e che permettevano di difendersi agevolmente dai nemici come dalla malaria, verso la metà dell VIII secolo a.c. sorse il nucleo primitivo di Roma. A cominciare dal IV secolo a.c. gli storici e gli eruditi antichi, sia greci sia latini, tentarono più volte di definire una precisa data di fondazione: 814 a.c. (secondo Timeo); 753 (secondo Varrone); 750 (secondo Polibio); 747 (secondo la testimonianza dell annalista Fabio Pittore); 728 (secondo un altro annalista, Cincio Alimento). Gli studi moderni hanno nel complesso confermato questi dati, pur accertando l esistenza di insediamenti umani nell area dei colli almeno dalla metà del II millennio a.c. Ma perché si possa parlare di civitas, secondo il pensiero antico, è necessario qualcosa di più di una semplice aggregazione umana: occorre per usare le parole di Cicerone un insieme di uomini iure sociati, legati cioè dai vincoli di un ordinamento giuridico e istituzionale. E le comunità sparse sui colli romani si aggregarono in una vera e propria città-stato non prima dell VIII-VII secolo a.c. Gli abitanti erano di stirpe latina, un ramo del grande ceppo indoeuropeo: discesi in Italia poco dopo il II millennio a.c., dapprima si stanziarono fra il Tevere e la Sicilia, più tardi si concentrarono in quel piccolo territorio (Latium vetus) dominato dai colli Albani e limitato alla parte meridionale della valle inferiore del Tevere. La tradizione è concorde nel parlare, fin dai tempi più remoti, di un altra presenza etnica, quella sabina. Come i Latini, anche i Sabini erano una popolazione di origine indoeuropea ma appartenente al gruppo osco-sabellico, lo stesso di cui facevano parte le tribù dei Sanniti, dei Volsci, dei Bruzzii e dei Lucani. Originariamente i Sabini si erano stanziati sulle colline preappenniniche ad est del Lazio, per spostarsi successivamente anche nei territori di etnia latina. Le leggende della Roma primitiva sembrano alludere con chiarezza a una fusione tra la comunità latina del Palatino e quella sabina del Quirinale. I nomi dei primi due re di Roma designano infatti la compresenza di stirpe latina (Romolo) e sabina (Numa Pompilio). Il dio Quirino, di origine sabina, fu assimilato al dio Marte; Quirites, il secondo nome dei Romani ricorrente in tutti i documenti ufficiali, restò a perenne testimonianza dell antico processo di aggregazione fra i due ceppi etnici. L elemento sabino resterà caratterizzato, nell immaginario romano, da un tenace conservatorismo (la fedeltà ai mores) e da un forte attaccamento alla vita agreste. Coltivare i campi e allevare il bestiame non rappresentano solo un attività, ma un modello di vita esemplare dal quale dipendono i valori etici e comportamentali dell in- 9

11 1. Le origini L insediamento romano L egemonia etrusca durante l età regia tera comunità. Dalla lingua sabina, un dialetto osco-umbro distinto dal latino, provengono non a caso voci indicanti animali (come lupus, bos o scrofa) o un termine come cascus (= vetus, «remoto, primitivo, antichissimo»; cfr. T10). Fu la natura del luogo, come già intuirono gli storici antichi (cfr. DOCUMENTI e TESTIMONIANZE ONLINE), a favorire lo sviluppo economico di Roma: giungeva fin qui il legname proveniente dall alta val Tiberina; di qui partivano le zattere cariche di sale che risalivano il fiume verso l interno; oltre le rive correvano i sentieri percorsi dalla transumanza locale. Ma ancora più rilevante fu la posizione strategica della nuova città, posta sul confine fra i due sistemi culturali più evoluti e organizzati dell Italia antica: gli Etruschi a nord del Tevere; i Greci a sud, lungo le coste dell Italia meridionale e della Sicilia. All VIII secolo appartengono infatti le fondazioni di Reggio e Cuma (ad opera dei Calcidesi di Eubea), di Siracusa (ad opera dei coloni di Corinto), di Crotone, Sibari e Metaponto (da parte degli Achei), di Taranto (ad opera di Sparta). Gli Etruschi erano una civiltà di origine non indoeuropea, che i Greci chiamarono Tyrrhenoi e i Latini Tusci o Etrusci. Dediti allo sfruttamento delle risorse minerarie e al commercio, protetti per via di mare da una potente flotta, gli Etruschi svilupparono una cultura essenzialmente urbana. La loro influenza si estendeva fino alla pianura Padana, all Appennino ligure e al mare Adriatico. Nel VII secolo si impadronirono di Roma, allora nient altro che un modesto agglomerato di capanne, trasformandola in una vera e propria città, con strade, edifici, mercati, negozi e templi. Le capanne dai tetti di paglia vennero sostituite da case fatte di mattoni, stucco e tegole. L area del Foro divenne il centro unificatore delle varie comunità disperse sui colli. Fra il 625 e il 575 Roma divenne un prospero centro direttamente influenzato dalla confederazione etrusca del nord. La tradizione leggendaria pone la fine di questa influenza nel 509, quando Roma si libera dell ultimo re, Tarquinio il Superbo, e si dà una costituzione repubblicana. È tuttavia molto probabile che l egemonia etrusca su Roma abbia continuato ad agire ancora per qualche decennio, almeno fino al 474, quando gli Etruschi vennero gravemente sconfitti per mare dalla città di Cuma e persero definitivamente la supremazia sul Lazio. L indovino Chalchas esamina il fegato di una vittima. Specchio di bronzo proveniente da Vulci; IV secolo a.c. Museo Etrusco Vaticano. Sul retro bronzeo di uno specchio etrusco compare l indovino Chalchas, raffigurato alato, mentre esamina il fegato di una vittima, che tiene nella mano sinistra. Sul tavolo a destra della scena sono poggiate altre interiora dell animale. Il ritualismo e il formalismo della religione romana, in parte eredità di quella etrusca, si fondano su un rapporto contrattualistico con il mondo degli dèi. Il consultante osserva i segni secondo una rigida procedura, dividendo lo spazio delle viscere (come negli auspicia quello del cielo) in parti rigorosamente controllabili. Gli atti cultuali sono comunque sempre l espressione di una volontà oggettiva (quella del popolo romano), non soggettiva. La figura del sacerdote scompare nella sua individualità: è uno specialista dei segni divini al servizio della res publica, che gli ha ufficialmente affidato tale compito. 10 L ETÀ PRELETTERARIA

12 1.1 Fra Etruria e Grecia I segni dell influenza etrusca su Roma Roma e la Grecia Prima fase dell influenza greca su Roma L influenza etrusca restò viva ancora per secoli in Roma, lasciando tracce indelebili nel costume, nella lingua e nella mentalità. Dagli Etruschi Roma derivò per esempio gli abiti (la toga e un corto mantello chiamato trabĕa), le insegne del potere affidate ai magistrati (dalla sella curulis ai fasces, fasci di verghe strettamente legate attorno a una scure), pratiche rituali come l aruspicina (l interpretazione delle viscere degli animali sacrificati, dei prodigi e delle folgori) e l arte augurale (l interpretazione del volo degli uccelli), vari termini linguistici, fra cui quelli legati alle attività teatrali, come histrio (= attore), subŭlo (= flautista), persona (che in origine indicava la maschera dell attore, e in seguito avrebbe indicato il personaggio e infine la persona stessa). Come si vedrà nel capitolo dedicato al teatro latino, i primi giochi scenici furono importati in Roma dall Etruria. L elemento decisivo, che trasformerà la storia romana e avvierà un processo culturale destinato ad influenzare per sempre il mondo occidentale, fu tuttavia l incontro con il mondo greco, senza alcun dubbio la civiltà culturalmente più ricca e avanzata del Mediterraneo: un incontro che si realizza anche indirettamente attraverso la mediazione dei centri etruschi. Sintetizzando una questione molto discussa e ancora aperta, possiamo distinguere tre diverse fasi che caratterizzano tale rapporto: la prima è quella che va dall età delle origini agli anni appena successivi alla vittoria su Taranto (272 a.c.); la seconda, che coincide con la nascita e lo sviluppo della letteratura latina arcaica, va dal 240 a.c., quando il poeta greco Livio Androníco compone la prima opera in lingua latina, fino agli inizi del I secolo a.c.; la terza ha inizio dall età di Cesare e di Cicerone, quando il mondo latino è ormai pienamente in grado di emulare i grandi modelli letterari, artistici e filosofici della cultura ellenica. I primi rapporti con il mondo greco risalgono certamente all età della fondazione, che coincide, come si è detto, con la fondazione di importanti colonie greche sulle coste italiche. Mercanti greci risalirono il Tevere già alla fine dell VIII secolo, come testimonia la presenza di vasellame ceramico greco in Roma e in diverse località del Lazio. Assieme ai mercanti è attestata anche la presenza di maestranze greche: decoratori, scultori e architetti ai quali vennero commissionati i primi edifici, pubblici e religiosi, della nuova città. Fra i grandi centri della Magna Grecia, Cuma era la più vicina a Roma, e da Cuma, secondo la tradizione, giunse il modello di alfabeto dal quale fu ricavato quello latino fra VIII e VII secolo; sempre da Cuma, verso la fine dell età regia, giunsero in Roma i Libri Sibyllini, una raccolta di oscuri responsi attribuiti alla Sibilla cumana, che restarono fino alla fine del IV secolo d.c. uno dei fondamenti della vita religiosa romana. Ma tutto il pantheon romano risentì gradatamente (cfr. 1.2) di quello greco, mediante un processo costante di assimilazione e di identificazione fra divinità greche e divinità locali. Le prime leggi in Roma furono compilate e incise su XII Tavole (cfr. 1.6) nel 450 a.c. Secondo un antica tradizione (peraltro molto dubbia), il senato romano avrebbe sentito l esigenza, prima di dar luogo a una vera e propria assemblea legislativa, di inviare una commissione in Grecia per studiare gli ordinamenti delle città greche, e in particolare la legislazione ateniese. È in ogni caso assai probabile che Roma abbia guardato alle esperienze costituzionali delle città greche dell Italia meridionale. Verso il IV-III secolo, l espansionismo romano moltiplica i punti di contatto (e di scontro) con le città della Magna Grecia, e anche Roma, come tutte le città italiche, 11

13 1. Le origini La leggenda di Evandro sente il bisogno di nobilitare le proprie origini, collegando direttamente la propria fondazione ai miti eroici elaborati dalla letteratura greca. Le leggende destinate a maggior fortuna sono legate alle mitiche figure di Enea e di Evandro (v. cartina). Evandro è un re-pastore costretto ad abbandonare l Arcadia, una regione montuosa posta al centro del Peloponneso, per insediarsi con tutto il suo popolo sul Palatino, dove fonda un ideale comunità di uomini dediti pacificamente al lavoro dei campi e alla pastorizia. Tito Livio, il grande storico di età augustea, narra (I, 7, 8) che Evandro «reggeva quei luoghi col prestigio personale più che col potere legale» e che appariva «circonfuso di venerazione per la prodigiosa invenzione della scrittura» che aveva diffuso tra gli indigeni. Sempre secondo lo storico latino, Evandro (il cui nome significa, in greco, «benefattore degli uomini»), era figlio della dea Carmenta, un antica divinità dotata di poteri magici e profetici molto affini a quelli della Sibilla cumana: il suo nome derivava infatti da carmen, che in latino arcaico significa «vaticinio», «responso», come avremo modo di vedere fra poco (cfr. 1.4). Colonizzazioni leggendarie dell Italia dall area egea. Da: M. Pallottino, Origini e storia primitiva di Roma, Milano 1993, p. 107 Eracle Diomede Colonizzazioni anteriori o comunque estranee alla guerra di Troia L intero territorio d Italia, che i Greci chiamavano Esperia (= terra occidentale), è toccato dalle favolose vicende degli eroi greci e troiani che sbarcano, e talvolta si stanziano, in ogni parte della penisola. Sul Lazio agiscono «almeno tre temi leggendari diversi: le avventure di Eracle; l arrivo di eroi del ciclo troiano, greci come Diomede, Ulisse, Telegono, troiani come Enea; la storia di Evandro e degli Arcadi sul Palatino» (M. Pallottino). PELASGI LIDI Enea Evandro Ulisse ACHEI Antenore PELASGI TROIANI ARCADI TROIANI ABORIGENI ACHEI AUSONI Diomede ENOTRI MORGETI CRETESI ARCADI Colonizzazioni dell età della guerra di Troia o immediatamente successive Zone con più importanti tracce di influenze micenee ELIMI SICULI ITALI TROIANI Minosse CRETESI La leggenda di Enea Circa sessant anni dopo, secondo la tradizione, giunge sulle rive del Tevere Enea, costretto anch egli a fuggire dalla patria distrutta e a cercare una nuova terra per il suo popolo. Enea è accompagnato nel suo viaggio dal figlio Ascanio, detto Iulo, e porta con sé i Penati, divinità protettrici di Troia, garanti del destino della nuova città. Successivamente Enea sposa Lavinia, figlia del re Latino, e si allea con Evandro contro le popolazioni indigene. Non tutte le fonti romane sono concordi sul seguito della leggenda: Nevio ed Ennio, per esempio, fanno nascere Romolo direttamente da una figlia di Enea. Ma Troia, secondo i calcoli degli eruditi antichi, era stata distrutta nel 12 L ETÀ PRELETTERARIA

14 1.1 Fra Etruria e Grecia Enea offre un sacrificio ai Penati, per i quali si è già eretto un tempio (in alto a sinistra). Rilievo dell Ara Pacis Augustae. Seconda fase dell influenza greca su Roma Terza fase dell influenza greca su Roma Per giungere all VIII secolo, epoca della fondazione di Roma, occorreva dunque colmare lo spazio di tre secoli: è questo il motivo per cui, in un altra versione del mito, tra l arrivo di Enea e la fondazione di Roma troviamo inserite le leggende dei re di Alba Longa, la città nella quale nascono Romolo e Remo, dapprima esposti alla corrente del Tevere, poi salvati dal pastore Faustolo e infine fondatori non senza l episodio cruento del fratricidio di Roma. L integrazione fra la leggenda di Evandro e quella di Enea dimostra la complessità dell immaginario mitico romano, peraltro molto affine a quello di altre città italiche: i Romani ipotizzano di discendere da un incrocio di popolazioni di stirpe latina (gli indigeni governati da Latino), greca (i pastori di Evandro) e troiana (Enea). Il Palatino, sede dei primi stanziamenti storici di Roma, secondo la leggenda risulta occupato da gruppi etnici greci prima ancora che da quelli latini. Anche le figure di Enea e di Evandro si inseriscono perfettamente nell ideologia romana, perché Enea è insieme un guerriero ma anche l uomo della pietas, che porta sulle spalle il padre Anchise salvandolo dalle fiamme, mentre Evandro è l eroe incivilitore, colui che introduce nel Lazio l alfabeto e i primi strumenti musicali. Queste leggende, che si impongono proprio negli anni in cui Roma conquista l Italia meridionale, fra IV e III secolo, svelano la nuova immagine che i Romani vogliono dare di se stessi: fortissimi guerrieri, cittadini virtuosi profondamente legati a un ideologia patriarcale e familiare, uomini desiderosi di apprendere. Enea ed Evandro vengono entrambi da Oriente, ed è all Oriente che Roma comincia a guardare come ad un modello di civiltà superiore. Poenico bello secundo Musa pinnato gradu/ intulit se bellicosam in Romuli gentem feram («Fu al tempo della seconda guerra punica che, con passo alato, la Musa s introdusse fra la gente di Romolo, bellicosa e feroce»): questi versi di Porcio Lìcino, un poeta latino vissuto fra II e I secolo a.c., esprimono con chiarezza la trasformazione operata dal mondo greco su quello romano. Nemmeno un secolo dopo, Orazio ribadirà con più finezza lo stesso concetto: Graecia capta ferum victorem cepit et artes/ intulit agresti Latio («La Grecia conquistata conquistò a sua volta il rozzo vincitore e introdusse le arti nell agreste Lazio»). Sia Licino che Orazio insistono sulla feritas dell arcaica civiltà romana, potente sul piano militare ma alquanto sprovveduta su quello culturale. Nel 240 a.c., secondo la tradizione, uno schiavo di Taranto, Livio Andronico, dà origine alla letteratura in lingua latina. È l età in cui molti Greci cominciano ad affluire in Roma: non pochi sono uomini di cultura, che si stabiliscono in città aprendo scuole private o facendo i pedagoghi presso le famiglie più facoltose. Vedremo nei prossimi capitoli come durante questa fase, in Roma, andranno delineandosi due schieramenti contrapposti: da una parte i tradizionalisti, capeggiati da Catone, ostili all ellenizzazione dei costumi romani; dall altra gli innovatori, che faranno capo all ambiente degli Scipioni (in particolare a Scipione Emiliano), favorevoli invece a tale trasformazione (cfr. cap. 8). Il processo di assimilazione della cultura ellenica potrà dirsi compiuto solo nei primi decenni del I secolo a.c., quando ormai i giovani romani si recheranno direttamente nei grandi centri culturali della Grecia (Atene e Rodi in particolare) allo scopo di perfezionare la loro cultura, mentre in Roma giungerà un grande numero di opere d arte e di libri greci. Da questo momento il legame con la cultura greca non sarà più messo in discussione. 13

15 1. Le origini Roma: una città cosmopolita Fin dall età più arcaica, Roma si presenta dunque come una città aperta a diversi influssi, sia etnici che culturali. Le comunità antiche, e in particolare quelle greche, erano fondate su un concetto di uniformità etnica che tendeva ad escludere dalla civitas chiunque fosse straniero. In Roma, al contrario, prevale una concezione opposta, ribadita con forza in tutte le leggende delle origini come in quelle legate alla figura del fondatore: già discendente da un profugo troiano (Enea) sposato alla figlia (Lavinia) di un re indigeno, Romolo non esita a fondere la propria comunità con quella sabina e addirittura a trasformare Roma in un asilo aperto a uomini di ogni ceto sociale e di ogni provenienza. Molte delle gentes che amministrarono per diversi secoli il potere in Roma avevano origine non latina, come i Valerii, i Claudii e gli Aurelii (di origine sabina), i Volumnii, i Licinii, i Sempronii (di origine etrusca) o i Cornelii, i Sergii e i Sulpicii (di provenienza italica indefinita, certamente non latini). All integrazione etnica, nel corso dei secoli, si accompagnerà la pratica dell affrancamento, secondo la quale ogni schiavo, in qualsiasi momento, poteva venire liberato e assumere lo status sociale di «liberto», con la possibilità di trasmettere ai figli una piena integrazione sociale e civile. Ogni uomo, servus o straniero, poteva divenire col tempo un civis romano, superando le barriere, rigidissime nel mondo antico, della schiavitù e dell identità razziale. In una lettera indirizzata nel 214 a.c. alla città greca di Larissa, il re di Macedonia Filippo V sostenne con acutezza che la potenza romana derivava anche dalla facilità con la quale la res publica concedeva la propria cittadinanza sia agli stranieri che ai discendenti di liberti. 1.2 Pragmatismo e conservatorismo La mentalità e le istituzioni La storia di Roma, delle sue istituzioni e della sua mentalità, copre un lungo spazio di mille anni, durante i quali la città conosce uno straordinario sviluppo, passando attraverso fasi storiche ben distinte, caratterizzate da diverse forme costituzionali (monarchia, repubblica, principato). Non esiste dunque una romanità in senso unitario e compatto; esistono tuttavia alcuni aspetti della mentalità romana che si riconoscono come particolarmente caratteristici e fondanti, e che continuano ad operare, se non altro sul piano dell immaginario collettivo, almeno fino alle soglie dell età cristiana. Lo storico greco Polibio, vissuto nel II secolo a.c., annota a un certo punto delle sue Storie (VI, 25, 11) che i Romani, «più di ogni altro popolo, sono pronti a cambiare i loro usi e a imitare quelli che ritengono migliori». Ed effettivamente una costante disponibilità ad assorbire gli usi, i culti, le tecniche dei popoli con i quali la città veniva gradualmente a contatto, ha sempre convissuto strettamente, nella società romana, con un estremo conservatorismo e con il profondo orgoglio della propria identità culturale. È anzi proprio questo atteggiamento, pragmatico e non ideologico, a consentire la grande espansione politica e lo straordinario sviluppo culturale di Roma in età repubblicana. Potremmo dire parafrasando una famosa osservazione di Machiavelli sulla lingua fiorentina (lingua «forte», e perciò capace di assorbire nuovi vocaboli e nuove forme da altre lingue senza snaturarsi, rimanendo sempre se stessa) che è proprio la struttura forte della società romana, il suo credere in se stessa e nelle proprie capacità, a rendere possibile l assimilazione costante di altre culture. 14 L ETÀ PRELETTERARIA

16 1.2 La mentalità e le istituzioni La familia e le gentes L orgoglio del civis Romanus La libertas Il fondamento della vita sociale e culturale romana, per tutta l età repubblicana, è la famiglia. È anzi probabile che la comunità romana sia sorta naturalmente, alle origini, per aggregazione e fusione di piccoli gruppi. Gli stessi poteri dello stato si fermano dinanzi a quelli della familia, che appare come una piccola res publica governata rigidamente dalla figura del pater familias, al quale vengono attribuiti poteri di vita e di morte su tutti i membri familiari, dai figli alla moglie (IV, 2; V, 1 [T11]) ai servi (famuli, anch essi parte della casa). La famiglia ha proprie divinità e propri culti, i sacra privata, contrapposti a quelli pubblici, i sacra publica. Più famiglie costituiscono una gens, «da intendere anzitutto come stirpe, o ceppo parentale» (Nicosia), come confermerebbe l etimologia del termine, ricollegabile a gignere, a generatio e a genus. Intorno a ogni gens viene a crearsi una rete di vincoli clientelari che legano per generazioni un patronus ai suoi clientes. Il rapporto di clientela, fondato sulla fides, venne contemplato dalle stesse leggi delle XII Tavole (VIII, 21 [T11]). Dall orgoglio di appartenere a una gens dipendeva il desiderio di gloria dell uomo romano, spinto ad emulare le imprese degli avi e ad arricchire di nuovi onori la propria casata. L orgoglio gentilizio è tuttavia integralmente orientato in senso civico. In ogni momento della sua storia, l uomo romano sente di essere innanzitutto un cittadino, un civis Romanus che vive all interno di una comunità dove ogni atto sociale e politico è regolato da precise norme. Ogni cittadino possiede dei diritti e dei doveri, e si sente profondamente vincolato alle sorti della propria città, la res publica, un «bene comune» che va sempre difeso e tutelato. L uguaglianza dinanzi alla legge è il fondamento di questa appartenenza. Le lotte fra patrizi e plebei sono l indice più significativo di questo processo: prima le leggi scritte delle XII Tavole (cfr. 1.6), poi le varie conquiste sociali che abbattono i privilegi patrizi, giungono a definire (intorno al III secolo) una civitas di «eguali», se non nelle condizioni sociali almeno nei diritti. È questo, del resto, fuor di ogni retorica, il mito di Roma che attraversa tutta la cultura occidentale, dà origine al pensiero umanistico e fonda il grande immaginario della rivoluzione francese. L uomo romano è innanzitutto un cittadino, pronto a sacrificare la propria individualità e la propria stessa vita per le esigenze della comunità. Tutta la storiografia romana (da Catone a Tacito) ci consegna episodi di virtù civica segnati da un preciso messaggio: la res publica viene prima della res privata. Lucilio, alla fine del II secolo a.c., definendo una gerarchia di valori, dirà che al primo posto stanno i valori della patria, poi quelli della famiglia, infine quelli dell individuo [T95 ONLINE]. La Roma dei secoli repubblicani è dunque una città-stato governata da un oligarchia ristretta di gentes, poco più di una ventina in tutto, che detengono una sorta di monopolio delle più alte magistrature civili e militari. Rari sono i novi homines, e concentrati nell ultima fase della repubblica. Ma queste gentes sono comunque inserite in una struttura che non consente l accentramento e l uso prolungato dei poteri: i consoli sono due e restano in carica un solo anno, senza diritto di rieleggibilità in tempi brevi (salvo proroghe eccezionali in momenti di particolare gravità). Un complesso sistema elettorale che coinvolge l intero populus romano crea la necessità di un rapporto costante con i ceti più deboli dello stato, rappresentati fin dal 494 a.c. dalla figura dei tribuni plebis, dotati del privilegio di inviolabilità e del diritto di veto perfino sulle decisioni del senato. Dominatio, dominatus, regnum, tyrannis restano per secoli, in Roma, vocaboli segnati da una forte carica di negatività: non a caso Augusto, nel- 15

17 1. Le origini Una forma mista di governo I mores La religione romana l atto di concentrare nelle proprie mani un grande potere, adotterà il titolo di princeps, che richiama l antica carica del princeps senatus (una sorta di presidente del senato). Quello della libertas è dunque un valore dotato di una straordinaria vitalità morale e politica, tanto da preservarsi ancora intatto durante tutta la prima età imperiale. Polibio cercò nelle sue Storie di comprendere le ragioni profonde del successo politico-militare di Roma nel Mediterraneo, e le trovò nell analisi del suo assetto istituzionale, completamente diverso rispetto agli altri sistemi politici del mondo antico. Lo Stato romano, secondo Polibio, non poteva infatti essere definito propriamente una monarchia, un aristocrazia o una democrazia, ma un sistema misto che riassumeva in sé, armonizzandole, queste tre forme di governo: il potere dei consoli era infatti assimilabile a quello monarchico; quello del senato richiamava un sistema aristocratico; le assemblee comiziali (nelle quali si eleggevano i vari magistrati) e il potere dei tribuni erano propri di un ordinamento democratico (cfr. DOCUMENTI e TESTIMONIANZE ONLINE). La difesa della propria cultura e dei propri valori è forse il dato fondamentale della romanità lungo tutti i secoli della sua storia. Maiores è il termine che i Romani usano per indicare i propri antenati; mos maiorum è dunque il «costume degli avi», quell insieme di valori comuni, di tradizioni, di esperienze e di istituzioni che creano una continuità e un identità culturale. Detentori di questo sapere sono i patres familias: dall assemblea dei patres ha origine il senato (da senex = anziano). L identità dei nomi rivela che la familia è il nucleo portante dello Stato, e che lo Stato viene interpretato come una grande assemblea di «padri» che tutela i valori (anche morali) della comunità. Gli avi non scompaiono dalla vita familiare, ma continuano a sopravvivere, come spiriti protettori, nei luoghi sacri della casa. Quando un membro della famiglia muore, alle esequie partecipa un corteo di uomini coperti in volto dalle imagines, le maschere funebri degli antenati (sull argomento cfr. T3 ONLINE TESTI ). Gli scrittori latini ripeteranno per secoli di considerarsi superiori agli altri popoli non per cultura e nemmeno per valore militare, ma grazie all esercizio delle proprie virtutes. La fedeltà ai mores consiste infatti, in primo luogo, nel rispetto delle virtù dei patres: la pietas (che esprime la devozione verso gli dèi); la fides (cioè il mantenimento della parola data); la gravitas (la severità e l austerità del comportamento, da cui dipende l autorevolezza del vir). Da mos deriva il vocabolo «morale»: nell immaginario romano la moralità e l integrità dei costumi restano il fondamento di tutta la propria storia. La laudatio funebris di Quinto Metello [T3 ONLINE] indica chiaramente quali sono i valori fondamentali che caratterizzano il civis Romanus: sono innanzitutto valori pubblici (fu un grande soldato e un valente oratore, conseguì le massime cariche pubbliche, fu uno stimato senatore, si rese illustre con le sue imprese) e in secondo grado familiari (ebbe molti figli e guadagnò il suo denaro onestamente). Come abbiamo già osservato, anche la leggenda di Enea si adatta perfettamente a definire il vir romano, perché Enea non è solo un valoroso soldato ma anche l uomo della pietas, che compare ripetutamente, nell iconografia italica e romana, mentre porta sulle spalle il padre e per mano il figlio Ascanio. Anchise, in queste immagini, stringe tra le mani una cassetta contenente gli arredi sacri della città: patria e famiglia sono dunque i fondamenti della società romana. Come tutte le religioni antiche, con l eccezione di quella ebraica, la religione romana arcaica conserva l impronta di una primitiva fase animistica: crede cioè nel- 16 L ETÀ PRELETTERARIA

18 1.2 La mentalità e le istituzioni l esistenza di spiriti che hanno sede in un oggetto o in un luogo, per esempio in un fiume, in una selva, in una roccia, nel focolare domestico o in un tronco d albero. Gli dèi sono presenti ovunque: nelle porte (Ianus) come in una pietra di confine (Terminus). Il loro numero è in continua crescita, poiché man mano che la città si espande gli dèi protettori dei popoli conquistati vengono assimilati mediante il rito della evocatio [T9 ONLINE], e ad essi viene elevato un nuovo tempio. L urbs è infatti, secondo la mentalità antica, il luogo dove coabitano uomini e dèi. Anche gli dèi partecipano alla vita della comunità, quasi fossero dei magistrati potenti che vanno costantemente onorati mediante riti e culti, per evitare che ritirino la propria protezione e la mettano a disposizione di un altro popolo. La religione romana è dunque eminentemente una religione sociale, che non implica un adesione personale del devoto ma una serie di atti di culto (preghiere o sacrifici) indirizzati a stabilire un buon rapporto con le divinità. Diversamente dalla religione greca, che è fondata sui miti (cioè sul racconto di storie divine), è una religione ritualistica e prescrittiva: il pragmatismo romano non è interessato a conoscere le forze divine ma a controllarle mediante dei culti, a distinguere ciò che è fas (che si deve fare) da ciò che è nefas (che non si deve fare), così come successivamente, nel passaggio da un diritto sacerdotale a un diritto laico, ciò che è fas (la legge divina) da ciò che è ius (la legge umana). Di qui i calendari che segnavano con grande cura i giorni fasti e nefasti; di qui l osservanza scrupolosa di interdizioni e di divieti, l estrema meticolosità dei rituali, il timore reverenziale di offendere gli dèi. La pietas romana non si fonda su valori mistici o estatici ma su un rapporto contrattuale definito con spirito prettamente giuridico. Anche per questo il sacerdote romano assomiglia più a un magistrato che a un devoto, una sorta di funzionario che deve svolgere delle pratiche cultuali per il buon andamento della vita pubblica. Si leggano, a questo proposito, i testi dell antica religiosità romana che ci sono pervenuti: il Carmen Saliare [T4 ONLINE]; il Carmen Arvale [T5 ONLINE]; il Carmen lustrale [T6]; una formula di augurium [T7 ONLINE]); la devotio con la quale il console Publio Decio Mure si consacra agli inferi per la salvezza della patria [T8 ONLINE]. In tutti questi testi il rapporto con la divinità è espresso mediante un puntiglioso rispetto di formule sacre, una rigida procedura formale e un chiaro rapporto di do ut des. La religione romana, fin dall età regia, fu il prodotto di innesti e di assimilazioni: Diana proviene da Aricia; Cerere dalla Campania; Giunone da Lanuvio; Venere da Ardea; Ercole da Tivoli; Apollo da Cuma. Le divinità locali più arcaiche sono Ianus, dio dei passaggi e degli inizi, e Saturnus, dio incivilitore al quale veniva collegata l età felice dei primordi. Giano e Saturno vanno considerati come divinità pret- Moneta raffigurante la statua di Diana nel bosco di Aricia (43 a.c.). Uno dei più antichi culti laziali fu quello di Diana Nemorensis, la Diana dei boschi venerata in un santuario nei pressi di Nemi. Il nome viene generalmente fatto derivare da dies (il «giorno», la «luce») e significherebbe perciò «la Luminosa»; secondo altri deriverebbe invece da dius (deus) e significherebbe in tal caso «la Divina». In seguito la Diana Nemorensis venne assimilata ad altre divinità di origine greca, assorbendo i caratteri di Artemide (la dea della caccia e dei boschi), di Persefone (sposa di Ade e signora dei morti) e della celeste Selene (la Luna). In questa triplice veste fu venerata allora come Trivia e rappresentata con statua triplice. 17

19 1. Le origini tamente italiche, inizialmente senza alcun rapporto con la mitologia greca. Accanto ad essi operavano diverse altre divinità, non collegate in un sistema genealogico complesso (come quello dell Olimpo greco) ma venerate isolatamente: Vesta, dea del focolare (sia domestico che pubblico), Iuppiter, il dio-padre della luce e dei fulmini, Mars, dio della guerra ma anche dei campi e della natura [T5 ONLINE], ai quali vanno aggiunte divinità multiple come i Penates, custodi della patria, della casa e della famiglia, i Lases (poi Lares), protettori dei campi, delle strade e delle case [T5 ONLINE] o i Manes, gli spiriti dei morti. L influsso sempre più marcato dei culti greci, operante almeno dal VI-V secolo, creò una progressiva fusione fra i numina italici e quelli ellenici: Crono-Saturno, Zeus-Giove, Era-Giunone, Artemide-Diana, Afrodite-Venere, Ares-Marte, Ermes- Mercurio, Demetra-Cerere. Il fenomeno continuò durante i secoli della repubblica: nel pieno della seconda guerra punica, per esempio, sulla base di un responso oracolare, fu trasportata in Roma la statua nera della dea Cibele, perché assistesse la città contro il nemico. Dell estrema tolleranza della res publica nei confronti dei culti avremo modo di parlare più diffusamente a proposito dell età imperiale. Un lararium, ovvero un tempietto domestico, della Casa dei Vettii a Pompei. Nell affresco sono rappresentati il genius affiancato da due lares protettori della casa e il serpente beneaugurante. 1.3 L alfabeto latino La lingua latina arcaica: iscrizioni e testimonianze Originariamente la lingua di Roma non era altro che una delle tante parlate locali del Latium vetus, a loro volta appartenenti al ceppo occidentale delle lingue indoeuropee. Questa parlata dovette essere influenzata in vario modo dalle lingue con cui venne progressivamente in contatto, assimilando via via elementi italici, etruschi e greci. La scrittura cominciò a diffondersi in Roma sicuramente già alla fine del VII secolo. L alfabeto latino derivava da quello greco di Cuma attraverso la mediazione degli Etruschi, che in età arcaica erano stanziati anche nella regione campana. Come quella dei Greci e degli Etruschi, originariamente la scrittura procedeva da destra a si- 18 L ETÀ PRELETTERARIA

20 1.3 Ia lingua latina arcaica: iscrizioni e testimonianze Le iscrizioni La diffusione della scrittura nistra. In seguito assunse forma bustrofedica (= a solco di bue), spostandosi cioè alternativamente da sinistra a destra e da destra a sinistra, con un movimento affine a quello dei buoi durante l aratura. La fase conclusiva fu il passaggio, anch esso mediato dall esempio greco, a quello che sarebbe rimasto per sempre il carattere della nostra scrittura, da sinistra a destra. Al modello originario (da destra a sinistra) continuarono invece a restare fedeli gli Etruschi. Una traccia evidente dell influenza etrusca sull alfabeto latino è la presenza di un unico segno c per indicare sia la gutturale sorda (c) che quella sonora (g), suoni che gli Etruschi (al contrario dei Greci) non distinguevano. La lettera g fu introdotta nell alfabeto latino solo a partire dal III secolo a.c. Pochissimo sappiamo del latino arcaico, per la scarsezza di documenti anteriori all età propriamente letteraria. Nella maggior parte dei casi si tratta di iscrizioni dedicatorie incise su oggetti della vita domestica e quotidiana: un vasetto per unguenti e profumi; una coppa per il vino; una cista, cioè un recipiente cilindrico destinato a usi vari [T1]. Di grande importanza, nonostante lo stato lacunoso del testo, è l iscrizione (in caratteri bustrofedici) di una legge sacra incisa su un cippo di tufo del VI secolo a.c. rinvenuto nel 1899 sotto il Lapis niger, la pavimentazione di marmo nero che copriva la cosiddetta tomba di Romolo. Più recente, del 1977, è la scoperta del Lapis Satricanus, la pietra proveniente dall antica città di Satricum, nel Lazio meridionale, su cui appare incisa la dedica di un dono votivo a Marte, il cui nome compare (come nel Carmen Arvale: T5 ONLINE) nella forma raddoppiata Mamartei = Marti. Nel 2011 è stata accertata tramite analisi con microscopio elettronico e microsonda elettronica l autenticità della Fibula Praenestina, che è stata a lungo oggetto di dibattito. La fibula è una spilla in oro della metà del VII secolo a.c. ritrovata a Palestrina che reca una iscrizione in latino arcaico e rappresenta il più antico documento scritto in lingua latina. Il ritrovamento di oggetti domestici arricchiti di iscrizioni sembrerebbe testimoniare una discreta diffusione della scrittura nei secoli che precedono l età propriamente letteraria della storia latina. Il primo impulso risale all età dei Tarquinii (VI-V secolo), al culmine dell influenza etrusca, quando la città vive una fase di bilinguismo (con la coesistenza della lingua latina e di quella etrusca) e l espansione della vita commerciale crea la necessità di conoscere la scrittura per poter fissare contratti, trattati, relazioni diplomatiche. Verso il IV-III secolo è attestata la presenza di scrivani (scribae), spesso al servizio di coloro che devono amministrare la città e svolgere alti incarichi pubblici. Nel complesso la lingua latina scritta resta comunque confinata ad usi pratici, e in particolare a occasioni di natura giuridico-sacrale. Non esiste una vera e propria cultura letteraria, anche se è probabile che esistessero forme di poesia orale. È significativo che uno dei più antichi testi religiosi a noi pervenuto, il Carmen Saliare [T4 ONLINE], risultasse già incomprensibile ai Romani della tarda repubblica. I più antichi documenti in nostro possesso presentano una lingua ancora instabile nella grafia ed elementare sul piano della sintassi, come testimoniano le leggi del- La Fibula Praenestina, una spilla in oro recante la più antica iscrizione in lingua latina, VII secolo a.c., Roma, Museo Nazionale Etnografico Luigi Pigorini. 19

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