I distretti agroalimentari di qualita e rurali

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1 AGRICOLTURA NUOVE NORME I distretti agroalimentari di qualita e rurali Loredana Conti Direzione Programmazione e Valorizzazione dell Agricoltura Settore Politiche Comunitarie L agricoltura italiana ha vissuto dal II dopoguerra un periodo di crescita senza precedenti della produttività del lavoro e dell offerta aggregata, in ciò sostenuta da un aumento quantitativo della domanda alimentare, da un sentiero tecnologico favorevole all intensificazione delle tecniche produttive e da politiche agrarie produttivistiche (settoriali) definibili accoppiate. Negli ultimi 50 anni per effetto di scelte imprenditoriali e dello sviluppo del mercato, delle tecnologie, delle politiche agrarie e rurali, accentuato negli anni 60, le aree rurali del nostro Paese (compreso il Piemonte) hanno presentato una connotazione fondamentalmente agricola, che ha riscontrato una presenza pressoché esclusiva di attività economiche destinate alla coltivazione ed all allevamento con rare eccezioni di zone rurali. La funzione delle aree rurali e dell agricoltura hanno assunto, in questo periodo, il compito di produrre derrate alimentari a relativo basso costo per i cittadini e di assicurare forza lavoro per la crescente domanda espressa dall industria e si sono registrati fenomeni di abbandono delle aree rurali più marginali e marginalizzate dal modello di sviluppo dominante con un accentuarsi in esse della bassa densità della popolazione sempre più declinante. Di contro nelle zone più vicine alle città all attività agricola si è affiancato un numero crescente di altre attività industriali, artigianali e di servizio, fino a designare aree a sviluppo agricolo intermedio, aree di campagna urbanizzata (Becattini, 1975). Nelle zone rurali urbanizzate o industrializzate la bassa densità della popolazione non costituisce più un carattere identitificativo, tanto più quando alle nuove funzioni produttive extra-agricole si aggiunge la funzione residenziale. Nel nuovo quadro socio-economico si delineano differenti tipologie di sviluppo: aree interne e marginali in cui l agricoltura, attività esclusiva o quasi, declina; aree (di pianura e bassa collina) in cui l agricoltura si concentra e si specializza; aree in cui nasce o decolla un attività di trasformazione agroalimentare od agroindustriale, che quando legata alla produzione locale (come necessariamente nel caso della trasformazione cooperativa) favorisce un ulteriore specializzazione, con relativo rafforzamento strutturale dell agricoltura. A partire dalla fine degli anni 80 anni 90 i legami dell industria di trasformazione e commercializzazione con l agricoltura locale si modificano e si indeboliscono per le commodity, a causa della delocalizzazione delle imprese o della crescente possibilità di accedere a materie prime e semilavorati da agricolture non locali a minor costo. In senso inverso si infittiscono nel caso dei prodotti a denominazione di origine per i quali il rapporto agricoltura-trasformazione assume carattere di necessità. E proprio da questa contrapposizione, che diviene possibile incominciare a distinguere la formazione di quelle articolazioni organizzative territoriali che, con linguaggio attuale, sono chiamati distretti agroali-

2 NUOVE NORME mentari ed agroindustriali, filiere territoriali, ecc. Il processo continua con una fase di trasformazione delle relative economie in alcune aree rurali sulla base di fattori di repulsione delle aree urbane e industriali, per effetto della crisi occupazionale di grandi industrie e per i problemi di congestione delle aree urbane di maggiore dimensione, di fattori di attrazione espressi dalle aree rurali stesse e da nuovi progetti di sviluppo locale a finanziamento pubblico, nonché a causa di diverse richieste e necessità che emergono nella società e dai progetti dell economia. In particolare nel caso di territori al di fuori delle città capoluogo, si sviluppa la terziarizzazione con la crescita di servizi rivolti alle persone (turismo, tempo libero, abitazione) e di servizi alle imprese (intermediazioni commerciali, banche, trasporti), dove l agricoltura finisce più spesso per assumere una localizzazione interstiziale, con la realizzazione di prodotti necessari alla vicina città (latte, ortaggi, fiori, ecc.).viceversa, nel caso di territori interni e più lontani dalle città capoluogo, spesso con svantaggi naturali e strutturali, si differenziano e progressivamente si affermano modelli di sviluppo locale, assimilabili ai moderni distretti rurali in cui: coesistono attività e funzioni diverse (agricoltura, agriturismo, turismo rurale, artigianato, piccola industria, ecc.); le imprese sono in genere PMI e presentano flessibilità organizzativa e norme di comportamento da economia informale; le risorse ambientali, storico-culturali, paesaggistiche essendo in genere particolarmente pregiate sono suscettibili di valorizzazione; l agricoltura e la forestazione risultano prevalenti in termini di utilizzazione del territorio, ma minoritarie per partecipazione al reddito ed all occupazione totali, per quanto la conoscenza contestuale è agricola, essendo agricoli il tessuto connettivo, l identità culturale e la ragione principale dell attrattività dei luoghi; l agricoltura si caratterizza, fattualmente ed ancora più potenzialmente, come agricoltura multifunzionale, per una serie molteplici di attività: economico-terziarie (artigianato tipico, agriturismo turismo rurale, fornitura di servizi ambientali, educativi e culturali, ecc.) e di cura degli interessi collettivi (tutela e valorizzazione ambientale e paesaggistica, manutenzione del territorio e del paesaggio, difesa idrogeologica, servizi di manutenzione del verde pubblico, creazione di neo-agroecosistemi, manutenzione e valorizzazione del patrimonio edilizio e storico rurale, ecc.); si evidenzia una stretta integrazione tra produzione agricola e fenomeni culturali, turistici ed ambientali e si registra un forte interesse delle istituzioni locali verso la realtà locale. Si denota un inevitabile legame tra l evoluzione delle strutture, dei redditi agricoli e della diversificazione dell ambiente economico territoriale. Numerosi documenti CE (si cita ad esempio la risoluzione di Cork sullo sviluppo rurale 1996), ricerche economico territoriali, gli stessi Programmi Leader, i piani territoriali e di sviluppo rurale, di cui alla riforma della PAC del 1999, riconsiderano le prospettive di cambiamento delle aree rurali in un ottica meno legate ai modelli di aiuto pubblico quanto più influenzate dalle peculiarità ambientali produttive. L indirizzo si volge verso politiche d intervento capaci di consolidare e sviluppare forme di aggregazione flessibile a livello locale, ispirate a principi propri dell azione dei fondi strutturali (concertazione, modulazione, cofinanziamento, addizionalità, sussidiarietà). Per la maggior parte delle imprese agricole italiane e piemontesi è imprescindibile un legame tra strategie di sviluppo e territorio in cui sono insediate. La loro organizzazione non è autonoma ma risulta viceversa integrata ( cfr.iacoponi ) nel sistema economico generale del territorio e nel sistema agroalimentare (o agroindustriale ) a livello di sistema locale di imprese agricole e di mercato agricolo (filiera). Gli stessi studi compiuti negli ultimi decenni hanno portato al riconoscimento dell esistenza di articolazioni organizzative del sistema agroalimentare (filiere e distretti agroalimentari di qualità) e di un pluralismo tipologico dei modelli territoriali di sviluppo (economie rurali o distretti rurali). Di distretti e filiere si parla sempre di più nel nostro Paese come importanti strumenti da valorizzare per l atteso rilancio economico. Ne ha trattato anche il Governatore della Banca d Italia, Fazio, nelle sue considerazioni finali e l economista Alberto Quadro Curzio sul Sole 24 ore ( 8 giugno 2004) denunciando che l Italia economica e sindacale è preoccupata e sente la necessità di ritrovare quella coesione tesa a massimizzare l effetto sistema per aumentare la competitività e la crescita. Molti sono stati, in effetti, gli studi che hanno dimostrato la formazione/presenza di filiere agroalimentari, di distretti agroalimentari e rurali a partire dalle intuizioni di Malassis da un lato e di Becattini dall altro. 1 Anche presso la Regione Piemonte sono stati condotti studi di filiere agroalimentari e di distretti agro- Agricoltura/44

3 AGRICOLTURA NUOVE NORME alimentari e rurali (possono essere citati studi del dott. Cassibba e dell IRES). Questi studi hanno evidenziato l esistenza anche nel territorio piemontese di articolazioni organizzative del sistema agroalimentare (filiere e distretti agroalimentari di qualità) e di un pluralismo tipologico dei modelli territoriali di sviluppo (economie rurali o distretti rurali). In effetti il sistema agroalimentare e territoriale regionale può essere ricondotto a tre realtà che visto dal versante delle agricolture insediate risultano essere: l agricoltura delle produzioni di massa o commodity (cereali, ecc.) facenti parte di filiere più o meno strutturate; l agricoltura delle produzioni tipiche di qualità (vino, frutta, riso, ecc.), facenti parte di sistemi produttivi locali specializzati (distretti agroalimentari di qualità) più o meno consolidati; l agricoltura parte costitutiva di economie rurali. Rispetto ai distretti rurali la maggior parte delle aree montane e collinari del piemonte (qualora non specializzate nella viticoltura) hanno caratteri tali da poter essere individuate in prima approssimazione come distretti rurali. Le stesse aree selezionate per Leader plus sono un chiaro esempio riconducibile in prima approssimazione a distretti rurali. L individuazione è recente ed è avvenuta nella programmazione dell iniziativa comunitaria Leader Plus. La Progettazione regionale Leader Plus è basata sul criterio della bassa densità abitativa quale indicatore fortemente correlato alla ruralità. E quindi probabile un approfondimento partendo dallo studio fatto per l individuazione come base dell iniziativa Leader. In presenza di tali realtà sul territorio piemontese, nasce la necessità di passare dall analisi e dall interpretazione dei fenomeni a politiche pubbliche, che in coerenza con i fenomeni osservati, dovrebbero: a) essere partecipate chiamando alla progettualizzazione i soggetti direttamente interessati (istituzioni locali e rappresentanti dei privati metodo bottom up); b) avere carattere di progetto integrato (con il coordinamento di più misure). Si deve ricordare che le politiche pubbliche relative all agricoltura sono state per molto tempo settoriali, giustificabili da forti scelte politico-economiche nel passato che tuttavia non permangono al momento. Ne è conseguita negli ultimi anni la diffusione di politiche integrate di natura intersettoriale o territoriale che hanno riguardato l agricoltura, l agroalimentare e i territori (economie) rurali. In esse il settore agricolo vede il recupero di una valenza positiva non residuale e di servizio rispetto ai modelli di sviluppo, mediante il raggiungimento di una maggiore integrazione tra agricoltura e dinamiche economiche e sociali del territorio. Si pensi agli strumenti della programmazione negoziata (patti territoriali e contratti di programma), ai contratti di filiera, all I.C. Leader ed in una qualche misura allo stesso PSR In effetti, nel PSR convivono due tipi di politiche che in qualche modo fanno riferimento alle realtà descrittive: - una nuova politica intersettoriale finalizzata ad aumentare la competitività dell agricoltura nell ambito appunto di filiere e distretti agroalimentari relativamente a mercati sempre più aperti e internazionalizzati, ma anche più segmentati; - una politica di sostegno ai sistemi (economie, distretti) rurali, dove non è più prevalente il settore agricolo e dove le potenzialità multifunzionali dell agricoltura sono maggiori. La legge regionale n. 26/03 Istituzione dei distretti rurali e dei distretti agroalimentari di qualità è conseguente ad interventi che denotano chiaramente l esistenza delle linee politiche descritte ed è in tale contesto generale che risulta opportuno collocare l analisi in tema di distretti rurali ed agroalimentari e delle loro prospettive di sviluppo. Vale la pena a questo punto di richiamare non solo il PSR ma anche: - il DocUP ob. 2; -i Piani di Sviluppo Locale di cui all Iniziativa Comuni taria Leader plus; - L INTERREG; - Gli strumenti della programmazione negoziata (patti territoriali, generalisti e tematici, contratti di programma, ecc.). Precedono la legge anche altri due interventi legislativi che costituiscono un anticipo da cui la legge però si differenzia.

4 NUOVE NORME Sono infatti operanti: - la legge regionale n. 24/97 interventi per lo sviluppo dei sistemi di imprese nei distretti industriali del Piemonte, con la quale sono stati individuati 2 distretti agro-industriali Canelli-Santo Stefano Belbo e Moretta ed attualmente in corso di revisione; - la legge regionale 9 agosto 1999, n. 20 Disciplina dei distretti vini e delle strade del vino del Piemonte. Modifiche alla legge regionale 12 maggio 1980, n. 37 (Le Enoteche regionali, le botteghe del vino o cantine comunali, i musei etnografico-enologici, le strade del vino), con la quale sono stati istituiti ope legis il Distretto Langhe, Roero e Monferrato ed il Distretto Canadese, Coste del Sesia e Colline Novaresi. La legge 26/03 non è una legge di finanziamento. Le sue finalità vanno ben oltre introducendo un nuovo concetto di politica regionale agraria, agroalimentare e rurale. Il concetto di efficacia della spesa pubblica viene definita nella legge in una dimensione di sviluppo locale e di filiera/distretto, con modelli basati sulla concertazione e la responsabilizzazione delle parti sociali ed degli enti locali. La progettazione integrata ( per altro ripresa dall articolo 33 del Reg. CE 1783/3003) è vista come la soluzione migliore per garantire una maggiore concentrazione delle risorse in un contesto finanziario pubblico con risorse in diminuzione. La legge reg.le 26/03 demanda alle Province il ruolo primario di soggetto che crea e raccorda la rete territoriale in un sistema di sinergie progettuali e di reciproci controlli, capace di creare un programma di investimenti sul territorio idoneo a favorire le vocazioni che gli sono proprie. La Provincia è per la legge l ente prossimo al territorio che per sua dimensione, e spesso affinità territoriale, risulta il soggetto più idoneo al ruolo di coordinamento progettuale e più appropriato per una permanente attività di monitoraggio del territorio, della sua capacità di offerta e dell efficacia degli interventi posti in essere, necessaria a mantenere un rapporto proficuo con le esigenze locali rispetto ad un mercato globale in continua evoluzione. La legge non si limita a riconoscere un ruolo agli enti locali ma dà anche spazio a tutte le voci presenti sul territorio, siano essi enti privati, associazioni imprenditoriali ed agricole, enti di credito, cooperative, ecc.. Ogni soggetto del territorio è proponente ed attore, in un rapporto di interlocuzione con responsabilità e ruoli precisi, seppure convergenti in un programma integrato di sviluppo. Si costruisce una nuova modalità gestionale e progettuale delle politiche agricole regionali che attraverso i piani di distretto si traducono operativamente nei progetti di innovazione. I progetti d innovazione costituiscono dei progetti integrati con la previsione esplicita di interconnessione di diversi interventi (misure) funzionalmente e territorialmente interconnessi tesi a massimizzarne l efficacia. La spesa pubblica entra in una dimensione di utilizzo definito a livello locale, basato sulla concertazione e responsabilizzazione delle parti sociali e degli enti pubblici. La legge individua tale modalità progettuale come la migliore soluzione in un contesto di risorse finanziarie pubbliche scarse, grazie alla possibilità di convergenza e concentrazione che la programmazione distrettuale permette. L esperienza dei distretti diviene per la Regione avvio della nuova politica agraria (che possiamo definire integrata) e sede idonea di sperimentazione per una nuova idea di interventi da traghettare nelle linee programmatiche del prossimo Piano di sviluppo 2007/2013. Emerge la volontà regionale di attribuire ai distretti il compito di incanalare la politica agraria, agroalimentare e rurale regionale verso la strategia dei progetti integrati nei vari progetti di intervento pubblico: PSR, contratti di programma, decreto legislativo 173/98, piani di filiera di iniziativa regionale ecc.. Va sottolineato anche che, in un probabile ampliamento dei compiti attribuiti alle Province, sarà utile, prima di ulteriori elaborazioni, la sperimentazione che le stesse possono fare nell ambito dei distretti. La politica di distretto ha tenuto conto dell esperienza Leader. Questa è stata utile per creare l interrelazione tra i soggetti pubblici e privati indispensabile ad una politica integrata e lo stesso effetto si spera di ottenere dalla sperimentazione dei distretti. I caratteri dei distretti agroalimentari di qualità e dei distretti rurali sono bene illustrati negli articoli 3 e 4 della l.r. n. 26/03. Per facilitare le Province nell attività propositiva a livello regionale sono state predisposte delle linee guida per l individuazione dei distretti dalla Direzione Programmazione e Valorizzazione dell agricoltura, settore Politiche comunitarie, grazie alla collaborazione con IRES. L analisi tende a chiarire il significato dell articolo 4 evidenziando le caratteristiche che, in base ai dettami dell articolo, risultano essere indicatori di presenza di una realtà distrettuale. Non si intende costituire un percorso obbligatorio e Agricoltura/44

5 AGRICOLTURA NUOVE NORME predefinito che limiti la decisione delle Province, ma un elemento di aiuto per la comprensione concettuale dei distretti, al fine di agevolare le Province stesse nella definizione delle loro proposte. Queste linee vanno qui ricordate per rendere più comprensibile gli ambiti in cui i distretti potranno sorgere. Sul territorio dovranno ritrovarsi le seguenti condizioni per potersi definire un distretto agroalimentare: a) presenza di uno o più prodotti merceologicamente omogenei, certificati e tutelati ai sensi della vigente normativa, tradizionali o tipici, la cui produzione risulti significativa a livello dell economia agroalimentare regionale; b) presenza di un sistema consolidato di relazioni tra le imprese agricole ed agroalimentari; c) capacità di soddisfare a livello locale una parte rilevante dell innovazione tecnologica ed organizzativa delle imprese agricole e delle imprese agroalimentari, nonché dell assistenza tecnica ed economica e della formazione professionale; d) esistenza di un integrazione tra produzione agroalimentare e fenomeni culturali e turistici; e) interesse delle istituzioni locali a stabilire rapporti di tipo collaborativo e convenzionale con le imprese agricole e agroalimentari per una politica integrata. Per la definizione dei distretti rurali saranno indicative: a) la presenza di un insieme di attività e funzioni diversificate, quali l agricoltura, l agriturismo, il turismo rurale, l artigianato e la piccola industria, aventi una base comune territoriale ed in grado di valorizzare le risorse produttive, culturali ed ambientali locali; b) una produzione agricola realizzata nell area distrettuale coerente con i valori ambientali e paesaggistici dei territori, capace di caratterizzare l identità dei luoghi ed essere significativa a livello dell economia locale; c) la presenza di un sistema consolidato di relazioni tra le imprese agricole e le imprese locali operanti in altri settori; d) la capacità di soddisfare l offerta locale di una parte rilevante dell innovazione tecnologica ed organizzativa delle imprese agricole, nonché dell assistenza tecnica ed economica e della formazione professionale; e) l esistenza di un integrazione tra produzione agricola e fenomeni culturali e turistici; f) la disponibilità delle risorse aziendali necessarie per attività di valorizzazione dei prodotti agricoli e del patrimonio rurale e forestale, nonché di tutela del territorio e del paesaggio rurale; g) l interesse delle istituzioni locali alla realtà distrettuale ed a stabilire rapporti di tipo collaborativo e convenzionale con le imprese agricole e con quelle di altri settori locali; h) la volontà di destinare aiuti alle imprese basati sull incentivazione della eco-efficienza quale cultura dello sviluppo sostenibile del territorio multifunzionale. Le modalità progettuali delle Province si esprimono nei piani di distretto previsti dall articolo 6 della legge. I piani, va ribadito, hanno due obiettivi quello già indicato di preparare le politiche di filiera e di sviluppo locale del PSR e degli altri strumenti di intervento, e uno più specifico di accrescere la competitività del distretto, sviluppando, attraverso le relazioni verticali ed orizzontali degli attori presenti il ruolo multifunzionale delle imprese agricole e rurali. I piani che saranno presentati dalle Province dovranno avere obiettivi conformi alla filosofia espressa nelle linee guida ovvero dovranno essere volti a: Promuovere la realizzazione di progetti di innovazione con forme diverse di collaborazione tra imprese, istituzioni ed altri soggetti locali; Incentivare strette relazioni sociali, orientando i soggetti locali verso soluzioni operative concordate e suscettibili di generare sviluppo sostenibile; Proporre azioni di stimolo a rivedere i modelli di intervento verso comportamenti frutto di un modo concertato tra pubblico e privato di investire sul territorio. I piani indicheranno compiutamente le politiche rilevanti per il distretto. Queste costituiranno le linee di intervento delle istituzioni e in un ottica di multifunzionalità, si dovranno concretizzare in interventi: Di diversificazione e differenziazione produttiva; Pianificazione del territorio rurale ai fini del rispet-

6 NUOVE NORME to di esigenze di continuità e sviluppo delle attività agricole; Salvaguardia e tutela del paesaggio rurale; Gestione delle risorse idriche; Gestione ed utilizzo dei reflui soprattutto zootecnici; Sviluppo di un sistema efficiente ed efficace di servizi quali l assistenza tecnica alle imprese, politiche di formazione professionale, supporto creditizio e finanziamento, servizi di base per la collettività e lo sviluppo dell imprenditoria femminile, infrastrutture ecc. Attività atte a favorire la presenza imprenditoriale piemontese nei mercati interno ed estero; Attività di sperimentazione e studio per un incremento della qualità, differenziazione e salubrità dei prodotti agroalimentari nonché della salvaguardia del territorio e dell ambiente. Sul territorio esistono già la realtà del Distretto floricolo del Lago Maggiore che prevede l estrensione territoriale su due Province Novara e Verbano Cusio Ossola (attualmente in fase di allargamento alla Provincia di Biella) e tre ipotesi territoriali di economie territoriali di distretto agroalimentare di qualità realizzabili: riso comprendente le Province di Alessandria, Biella, Novara, Vercelli; frutta che potrebbe comprendere le province di Cuneo e Torino, orticolo nella Provincia di Alessandria. In particolare il distretto del riso ed orticolo sono realtà su cui le Province interessate stanno movendo i primi passi per una definitiva proposta territoriale da sottoporre all approvazione regionale. Queste e le altre ipotesi citate possono trovare definizione in proposte provinciali di costituzione di distretto perché: rispondono ad una domanda oggettiva e matura che viene dai territori; valorizzano iniziative già condotte o in via di realizzazione sul territorio, che si prestano ad essere utilizzate in chiave di pianificazione distrettuale; le economie territoriali indicate hanno certamente in prima approssimazione carattere distrettuale, salvo l individuazione territoriale precisa delle Province in conformità con la legge e la verifica della sussistenza dei requisiti; sono presenti territori i cui settori produttivi sono poco considerati dalla riforma della Pac quali il settore frutticolo ed orticolo; Altre economie territoriali potrebbero essere oggetto di indicazione per una individuazione territoriale di distretti (si pensi a quella cerealicola di Alessandria e Torino ed alla economie territoriali zootecniche da latte ed altre minori). Queste iniziative distrettuali sono già oggetto di progettazione locale e opportunamente potrebbero divenire tema delle progettazioni del nuovo PSR o di altre linee di intervento, permettendo alle realtà locali di caratterizzare gli interventi regionali futuri. Tuttavia deve sottolinearsi che in questa prima fase di applicazione della legge c è necessità di realizzare poche esperienze distrettuali, ma significative, per verificare le nuove modalità di programmazione e per far cogliere a tutti i soggetti coinvolti (Regione, Province, enti locali, funzionari pubblici, attori economici e sociali, tecnici) i complessi problemi di una pianificazione distrettuale per progetti integrati (ripartizione territoriale, diagnosi, costruzione del partenariato e ruolo degli enti locali, qualità della progettazione locale condivisa, finalizzazione e coordinazione degli interventi, complementarietà con altre politiche, qualità della gestione, ecc.). Per i distretti rurali l esperienza Leader plus risulta la fonte più importanti per la loro attivazione e costituisce punto di riferimento e di studio anche in ordine ad una allocazione territoriale. Le indicazioni fornite dalla Commissione europea affidano alla programmazione integrata e alle metodologie progettuali di sviluppo di Leader un ruolo di rilievo. Questo rafforza l importanza di estendere l esperienza delle politiche distrettuali anche all ambito rurale. E però logico prevedere che tali distretti siano la continuità dell esperienza Leader nella nostra Regione, per una stretta correlazione fra le due programmazioni integrate, correlazione che porta ad una sovrapposizione territoriale. Lecitamente si può auspicare che l avvio di esperienze pilota anche nel settore dei distretti consenta di trarre spunti concreti in direzione di una diversa costruzione e formulazione del Piano di Sviluppo Rurale per farne il bacino ideale per lo sviluppo delle politiche integrate. Vi è l obbligo di non disperdere risorse, ma di concentrare quelle disponibili su piani rivolti essenzialmente ad interventi di carattere collettivo, innovativo e di qualità. 1 all uopo meriterebbe citare, tra gli altri, gli studi di Fanfani, Casati, Montresor, Cecchi, Jacoponi, Giovannetti, Favria, Bertolini. Agricoltura/44

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